Il nuovo reclamo alle Autorità garanti per i migranti trattenuti nei CPR: tra timidezze legislative e necessarie prospettive di implementazione, una proposta dal contesto territoriale piemontese

Barbara Giors[1] e Laura Scomparin[2]

Lo scritto nasce da riflessioni condivise; la stesura dei parr. 1, 3 e 4 si deve a L. Scomparin e quella del par. 2 a B. Giors.

I. Premessa.

L’introduzione ad opera del d.l. 21 ottobre 2020 n. 130, conv. con modif. dalla l. 18 dicembre 2020 n. 73, della possibilità per i trattenuti nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio di presentare «istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale» ha certamente rappresentato una significativa novità nel quadro dei rimedi a tutela dei diritti delle persone sottoposte a detenzione amministrativa in ragione dell’illegittimità della loro presenza sul territorio nazionale. La previsione – accompagnata dall’inserimento tra i poteri del Garante nazionale della formulazione di specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata, ove accerti la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti dai soggetti trattenuti –, sebbene non possa essere ritenuta pienamente soddisfacente rispetto alle esigenze cui mira a rispondere (da tempo evidenziate sia dalla giurisprudenza sovranazionale, sia in sede interpretativa, sia finanche dalle stesse Autorità di garanzia), potrebbe rappresentare un passo importante verso la costruzione di un sistema effettivo di controllo e tutela dei diritti delle persone sottoposte a trattenimento amministrativo, consentendo al contempo l’emersione di situazioni che possono richiedere interventi sistemici sul territorio nazionale.

Perché questi obiettivi si realizzino, tuttavia, è indispensabile che all’astratta previsione normativa si accompagni un’adeguata implementazione dello strumento introdotto e su questo punto, a distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore del nuovo istituto, i passi da compiere sembrano ancora molti.

Sul territorio piemontese, la presenza del Centro di Permanenza per il Rimpatrio con più elevata capienza tra quelli attualmente aperti sul territorio nazionale[3], la consolidata attività di monitoraggio svolta dal Garante regionale e dalla Garante del Comune di Torino, unitamente alle attività realizzate sinergicamente con le Cliniche Legali dell’Università di Torino[4], hanno consentito l’elaborazione di strategie di concreta attuazione dello strumento del reclamo che verranno qui di seguito illustrate e che potrebbero rappresentare un utile riferimento anche in una prospettiva sovraregionale.

II. Il nuovo reclamo: matrice, limiti e prospettive di sviluppo.

Come espressamente affermato nella Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. 130/2020[5], l’introduzione del nuovo strumento di reclamo dovrebbe costituire la risposta del legislatore italiano alle conclusioni formulate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Khlaifia c. Italia[6], ove si censurava, tra l’altro, la mancata previsione di un rimedio effettivo attraverso il quale i migranti sottoposti a detenzione amministrativa nel nostro Paese potessero dolersi delle loro condizioni di trattenimento. Nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano di aver subito un trattamento inumano e degradante – dapprima all’interno del Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (oggi hotspot) dell’isola di Lampedusa dove erano stati collocati dopo il recupero in mare ad opera della guardia costiera italiana e successivamente a bordo di due navi ormeggiate nel porto di Palermo che li avevano ospitati in attesa del rimpatrio – e di non aver potuto far valere in alcuna sede, davanti ad un’autorità italiana, la violazione dei loro diritti. La Corte europea, pur reputando in concreto ed a posteriori che il trattamento riservato ai ricorrenti non potesse dirsi irrispettoso degli standards minimi richiesti dalla Convenzione, stigmatizzava la carenza nell’ordinamento italiano di una via di ricorso effettiva in relazione alle condizioni di accoglienza e di trattenimento dei migranti, ravvisando perciò una violazione dell’art. 13 in combinato disposto con l’art. 3 Conv.Eur.[7]

L’assenza di un qualsivoglia meccanismo di ricorso o reclamo a disposizione dei trattenuti in ordine alle condizioni della detenzione amministrativa, invero, era da tempo oggetto di critiche da parte della dottrina[8], che caldeggiava l’introduzione di un rimedio analogo a quello del reclamo giurisdizionale inserito nel 2013 nell’ordinamento penitenziario per consentire a detenuti ed internati di denunciare al magistrato di sorveglianza situazioni di attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei loro diritti, derivanti da inosservanza di leggi o regolamenti ad opera dell’amministrazione[9]. Anche il Garante nazionale delle persone private della libertà personale aveva ripetutamente evidenziato l’improcrastinabilità di una riforma volta a delineare una procedura di reclamo per denunciare eventuali violazioni dei diritti subite dai trattenuti all’interno dei CPR[10].

Intervenuto finalmente sul punto, il legislatore italiano non ha tuttavia optato per la via del reclamo giurisdizionale, ma ha individuato quale destinatario delle doglianze dei trattenuti il Garante nazionale ed i Garanti regionali o locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (art. 14 co. 2-bis d.lgs. 286/1998).

Sia pure significativa dal punto vista politico e culturale – in quanto costituisce esplicito riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle Autorità di garanzia – questa scelta non appare pienamente soddisfacente, in quanto poco incisiva rispetto all’obiettivo che mira a soddisfare. Certo, nella sentenza Khlaifia si ammette che lo strumento di ricorso che gli Stati contraenti devono mettere a disposizione non deve necessariamente avere quale destinatario un’istituzione giudiziaria; tuttavia, la Corte precisa anche che la diversa autorità designata dovrà essere dotata di adeguati poteri e garanzie[11]. Sotto questo profilo, non si può non osservare come i Garanti, organi terzi ed indipendenti ma privi di competenze giurisdizionali e di poteri coercitivi, non dispongano allo stato di strumenti di intervento diretto né per far cessare eventuali violazioni dei diritti dei reclamanti, né per dar corso a meccanismi riparatori in loro favore.

Al Garante nazionale è stato infatti attribuito dal d.l. 130/2020, nel caso in cui accerti la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti dai soggetti trattenuti, esclusivamente il potere di rivolgere «specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata», con un corrispettivo onere per l’amministrazione, in caso di diniego, di comunicare il proprio dissenso motivato entro trenta giorni. Non solo, dunque, non vi è alcun dovere di provvedere a fronte di acclarate violazioni – non essendo stato introdotto un meccanismo analogo al giudizio di ottemperanza attivabile dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35-bis o.p. per far cessare condotte illegittime dell’amministrazione – ma neppure esistono strumenti (al di fuori di quello derivante dal peso istituzionale dell’Autorità di garanzia) per sindacare le ragioni del dissenso, né per ottenerne quantomeno la comunicazione in caso di inerzia nei trenta giorni stabiliti.

Appare del resto significativo che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nel definire recentemente la procedura di supervisione dell’esecuzione della sentenza Khlaifia[12] con un giudizio di sostanziale adeguatezza delle misure ad oggi messe a disposizione dal nostro Paese, non abbia posto l’accento sull’introduzione del reclamo al Garante – pur sottolineando l’importanza di un dialogo continuo con l’Autorità di garanzia – ma abbia fatto riferimento ad istituti che certo non costituiscono una novità nell’ordinamento italiano, quali il ricorso per ottenere un provvedimento d’urgenza disciplinato dall’art. 700 c.p.c. e l’azione per il risarcimento del danno da fatto illecito attivabile ex art. 2043 c.c. Si tratta, peraltro, di strumenti di carattere generale che, seppure esperiti in alcune isolate occasioni, appaiono assai difficilmente fruibili nel contesto specifico dei migranti trattenuti, anche solo in considerazione della loro onerosità e dell’impossibilità di accedervi senza il patrocinio di un avvocato: se, dunque, valgono forse ad allontanare i sospetti di una totale assenza di rimedi, stupisce che possano fondare un giudizio di piena ed effettiva ottemperanza alle indicazioni della Corte europea.

Sulla base di queste considerazioni, sarebbe stato senz’altro preferibile affiancare al reclamo al Garante anche una forma di ricorso ad hoc ad un’autorità giurisdizionale, con scansioni procedimentali ben definite. Quanto all’individuazione del giudice competente, la scelta sarebbe potuta ricadere sul giudice di pace, nel solco della linea finora tracciata dal legislatore, che individua sostanzialmente tale figura come “magistrato di riferimento” del migrante privato della libertà personale. Tuttavia, il migliore approdo del percorso verso una piena effettività della tutela dei diritti dei trattenuti avrebbe potuto essere l’attribuzione delle competenze di cui si discute al magistrato di sorveglianza, nell’ambito di un più ampio intervento sulla disciplina del trattenimento, che riconosca finalmente la natura sostanziale della detenzione amministrativa ed assimili la posizione giuridica di coloro che vi sono sottoposti a quella delle persone ristrette negli istituti di pena. Ma si tratta di una prospettiva de iure condendo, rispetto alla quale il tassello introdotto dal d.l.130/2020 pare presentare profili di eccessiva timidezza.

Ciò premesso, e tornando ad una prospettiva de iure condito, il diritto di proporre reclamo ai Garanti è stato espressamente riconosciuto soltanto agli stranieri ristretti nei CPR e non anche a coloro che si trovano nei «punti di crisi» di cui all’art. 10-ter d.lgs. 286/1998 per le esigenze di soccorso e di prima assistenza (c.d. hotspot), oppure nei locali idonei allestiti presso gli uffici di frontiera ai sensi dell’art. 13 co. 5-bis d.lgs. 286/1998; ciò, malgrado il caso Khlaifia concernesse proprio le doglianze sollevate da ricorrenti trattenuti in tali strutture. Si tratta di un profilo di criticità già evidenziato dal Garante nazionale nel corso dei lavori per la conversione in legge del d.l. 130/2020[13] e che si pone nel solco di una radicata disattenzione del legislatore per questi contesti limitativi della libertà personale, cui pare improcrastinabile porre rimedio[14].

La definizione articolata ed organica dei diritti delle persone comunque sottoposte a forme di detenzione amministrativa, del resto, appare presupposto fondamentale per l’effettivo esercizio del diritto di reclamo, posto che in assenza di un catalogo chiaro e conoscibile delle pretese azionabili è assai arduo per il trattenuto – tanto più alla luce delle difficoltà di ordine linguistico che generalmente incontra – individuare e lamentare ipotetiche violazioni subite.

Allo stato, il quadro complessivo dei diritti riconosciuti agli stranieri all’interno dei CPR può essere ricostruito facendo riferimento a fonti molto diversificate tra loro, in buona parte di rango subordinato[15]: dai «diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti»[16], a quelli espressamente individuati dall’art. 14 co. 2 d.lgs. 286/1998 (tra cui vengono in rilievo, in particolare, il diritto a godere di adeguati standard igienico-sanitari e abitativi e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno) e nel Regolamento attuativo del T.U. Imm. (approvato con d.P.R. 31 agosto 1999 n. 394), che agli artt. 20 e 21 garantisce tra l’altro il diritto all’assistenza difensiva e sanitaria, la libertà di colloquio, di socializzazione, di corrispondenza e di culto, fino ad arrivare alle previsioni contenute nel c.d. Regolamento CIE[17]. Si tratta di un catalogo di diritti e garanzie sufficientemente articolato, che tuttavia, come si è già accennato, manca di effettività non solo a causa della sua frammentarietà e della sua scarsa conoscibilità per i migranti, ma soprattutto alla luce della sostanziale assenza di rimedi in caso di mancata attuazione.

III. Dall’esperienza piemontese una proposta al Garante nazionale e alla rete dei Garanti territoriali.

L’effettiva implementazione dell’istituto del reclamo all’interno dei CPR sta al momento incontrando significativi ostacoli riconducibili da un lato alla difficoltà di rendere edotti i trattenuti dell’esistenza del nuovo strumento e delle sue potenzialità, dall’altro alla necessità di costruire un insieme di mezzi e condizioni attraverso i quali sia concretamente possibile avvalersene all’interno dei Centri.

Il primo, fondamentale problema consiste nel far conoscere ai trattenuti la possibilità di reclamo, in un contesto, quale quello dei CPR, dove l’informazione sui diritti e sui doveri, anche in ragione delle difficoltà linguistiche e della carenza di risorse, stenta a raggiungere livelli di adeguatezza. Certo l’esistenza dello strumento può essere diffusa dai Garanti stessi in occasione delle loro visite, che tuttavia non possono garantire sufficiente capillarità; altrettanto possono fare gli avvocati difensori, ma spesso anch’essi faticano ad usufruire di colloqui con i loro assistiti al di fuori dei brevi momenti che precedono le udienze. Un ruolo potenzialmente assai prezioso potrebbe essere svolto dal personale del Centro deputato all’informazione legale, che, pure a fronte di un monte orario certamente insufficiente, dovrebbe essere coinvolto e responsabilizzato da questo punto di vista.

Quanto alle concrete difficoltà operative che i trattenuti incontrano nella presentazione del reclamo, non si può prescindere da questioni banali eppure di fondamentale rilevanza, a partire dalla mancata disponibilità di carta e penna; un invio telematico del reclamo scritto appare ancora meno praticabile, atteso che all’interno dei CPR non è – assai discutibilmente – consentito l’uso del telefono cellulare[18], e tantomeno sono accessibili agli ospiti postazioni informatiche provviste di connessione ad internet. L’indisponibilità di cellulari ostacola anche la proposizione di reclami in forma orale in condizioni idonee a garantire la privacy, atteso che le telefonate (di cui comunque non tutti i trattenuti possono sostenere il costo) devono essere effettuate per il tramite degli apparecchi messi a disposizione dall’Ente gestore. Restano, naturalmente, i momenti di colloquio in presenza con i Garanti in occasione delle loro visite, che tuttavia non possono certo considerarsi un canale sufficiente, atteso che gli accessi delle Autorità di garanzia sono inevitabilmente limitati, non calendarizzati in modo regolare e comunque troppo brevi per poter dare adeguato ascolto a tutti i trattenuti. A ciò si aggiungono le difficoltà linguistiche, in quanto solo una minima parte dei migranti ha una conoscenza dell’italiano sufficiente per far comprendere il tenore delle proprie doglianze.

In questo contesto, la creazione di prassi uniformi sul territorio nazionale – promosse attraverso processi indifferentemente top down o bottom up – potrebbe utilmente contribuire al successo del nuovo istituto.

Proprio muovendo dalla constatazione delle difficoltà sopra delineate, sul territorio piemontese è stato così avviato un processo volto a definire un modello di implementazione per far fronte almeno in parte alle criticità riscontrate, che ove adeguatamente condiviso con tutti gli attori istituzionali potrebbe costituire il punto di partenza per una più ampia strategia a livello nazionale.

Nella proposta elaborata dall’Università di Torino in sinergia con i Garanti locali, un ruolo centrale è rivestito dalla concreta possibilità di mettere a disposizione dei trattenuti moduli prestampati (tradotti nelle lingue maggiormente diffuse tra i migranti ristretti) che si prestino ad una compilazione semplice, rapida ed efficace[19].

Oltre a far fronte alle già segnalate difficoltà che lo straniero può incontrare nel formulare in modo comprensibile le sue doglianze, la disponibilità di moduli che elenchino le possibili violazioni da prospettare all’Autorità di garanzia, con le relative esemplificazioni, può contribuire a dare al trattenuto maggiore contezza dei suoi diritti.

Inoltre, attraverso l’impiego di moduli predefiniti, e dunque uniformi nel contenuto, i Garanti potranno più agevolmente, ed in maniera più sistematica, raccogliere le informazioni necessarie per tratteggiare un quadro completo, organico e continuativamente aggiornato delle condizioni di trattenimento all’interno dei CPR, anche al fine di sollecitare interventi sistemici a livello nazionale.

I moduli proposti fanno riferimento a due macroambiti di possibili doglianze: il primo riguarda le condizioni di vita all’interno del Centro (condizioni abitative, servizi igienici, alimentazione, attività ricreative, libertà di culto…), mentre nel secondo vengono esemplificate ipotesi di violazione di specifici diritti, come il diritto alla salute, il diritto alla comunicazione ed ai rapporti con i familiari, il diritto alla difesa, la facoltà di presentazione della domanda di asilo ecc.

La casistica proposta è stata elaborata sulla base delle situazioni di criticità finora individuate in diversi contesti territoriali – anche non necessariamente piemontesi – e riportate all’interno delle Relazioni delle Autorità di garanzia.

Nei moduli è stata inoltre inserita una breve premessa che illustra la funzione del reclamo, per rendere chiaro al trattenuto che lo scopo dello strumento è consentire l’attivazione del Garante per tentare di risolvere la situazione di pregiudizio, senza che ciò abbia diretta influenza sul protrarsi del trattenimento.

La ricerca condotta nel contesto piemontese ha poi posto in evidenza la centralità del problema della distribuzione dei moduli prestampati ai trattenuti; risulterebbe infatti indispensabile rimuovere ogni possibile ostacolo ad un’effettiva messa a disposizione dello strumento all’interno dei Centri. Se pure i Garanti regionali e comunali durante le loro visite possono certamente portare con sé la modulistica da consegnare ai soggetti con cui riescono ad interagire, è fondamentale che l’Ente gestore svolga in questo contesto un ruolo proattivo, anche coinvolgendo il personale interno dedicato al servizio di informazione e orientamento legale ed i mediatori linguistico-culturali.

Prezioso potrebbe essere altresì il contributo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ad esempio attraverso specifici momenti di formazione per gli iscritti alle liste dei difensori d’ufficio per il CPR, dedicati al tema del reclamo ed alla diffusione dei moduli, in modo che ogni difensore possa metterli a disposizione dei propri assistiti.

Anche la compilazione dei moduli necessita di specifici accorgimenti volti ad evitare che difficoltà di ordine pratico possano impedire in radice la presentazione del reclamo o pregiudicarne la genuinità: accanto al problema della carenza di cancelleria per compilare materialmente il prestampato, il personale degli Uffici dei Garanti territoriali ha evidenziato la necessità di individuare all’interno del Centro un luogo consono in cui il trattenuto possa scrivere liberamente e in condizioni di sufficiente privacy.

I moduli compilati e racchiusi in busta chiusa dovranno poi essere raccolti dal personale del Centro per un invio tempestivo agli uffici del Garante a cura dell’Ente gestore, naturalmente ferma la possibilità di consegnarli direttamente all’Autorità di garanzia nel corso delle visite, o di farli pervenire attraverso il difensore.

I Garanti territoriali, coordinandosi mediante appositi accordi laddove vi sia la contemporanea presenza di più Autorità locali (regionale e comunale), dovranno procedere alla raccolta ed allo smistamento dei reclami pervenuti ai loro Uffici, in un’ottica di raccordo delle azioni sulla base delle specifiche attribuzioni di competenze così come delineati dalle relative leggi istitutive. Al Garante nazionale andranno inoltrati, oltre naturalmente ai reclami direttamente indirizzati al suo Ufficio, tutti quelli che denuncino situazioni di particolare gravità o delicatezza o che comunque richiedano raccomandazioni all’amministrazione, la cui formulazione – sia pur astrattamente delegabile secondo il disposto dell’art. 7 co. 5.1 d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, conv. con modif. dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10 – è riservata dalla legge alla sola Autorità nazionale. In ogni caso, dalla rete territoriale dei Garanti dovranno essere inviate relazioni periodiche che consentano un monitoraggio complessivo delle violazioni lamentate dai trattenuti, affinché sia possibile coordinare a livello nazionale le azioni delle diverse Autorità di garanzia e definire strategie di intervento di ampio respiro.

IV. Considerazioni conclusive.

La riflessione avviata nel contesto territoriale piemontese e qui proposta non può certamente superare, anche laddove adeguatamente implementata, le criticità di una riforma che, sia pur apprezzabile nella misura in cui riconosce e rinforza il ruolo delle Autorità di garanzia nella tutela dei diritti dei migranti, certamente sconta il limite sistematico di fondo di una mancata giurisdizionalizzazione della procedura di reclamo o quantomeno della sua mancata costruzione secondo quelle caratteristiche che le ormai risalenti indicazioni dei giudici sovranazionali parevano considerare irrinunciabili in questo contesto.

Non è confortante pensare che occorrerà aspettare ancora per poter vedere finalmente in azione un sistema che guardando alla natura sostanziale della restrizione di libertà cui sono sottoposti i migranti riconosca agli stessi, come le garanzie costituzionali imporrebbero, una piena tutela giurisdizionale relativa ai modi del loro trattenimento. D’altra parte, ad istituzioni, operatori e studiosi spetta il compito non solo di denunciare costruttivamente quanto ancora occorre fare, ma anche quello di attivarsi perché gli spazi, pur angusti, messi a disposizione dal legislatore siano utilizzati al meglio.

In un periodo come quello attuale nel quale, a partire dall’esperienza piemontese, si possono osservare difficoltà di implementazione dell’istituto, questa proposta di interventi sinergici e strategie condivise si auspica possa contribuire da un lato a ridurre le disomogeneità applicative che inevitabilmente si determinano nelle fasi di prima sperimentazione di qualunque istituto innovativo, dall’altro ad ottimizzare il monitoraggio e gli interventi delle diverse Autorità di garanzia che sono chiamate ad un continuo sforzo di coordinamento e collaborazione: è quanto ci si attende in questo campo nel prossimo futuro, nell’attesa di altre e più coraggiose riforme legislative.

  1. Avvocata del Foro di Torino.
  2. Professoressa ordinaria di Diritto Processuale Penale, Università degli Studi di Torino.
  3. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel corso dell’anno 2020 il CPR di Torino è stato luogo di trattenimento di 791 persone; nel 2019 i trattenuti sono stati 857 e nel 2018 addirittura 1388.
  4. I cui risultati sono sintetizzati in un Report consultabile all’indirizzo https://www.clinichelegali.unito.it/do/documenti.
  5. http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.2727.18PDL0118490.pdf.
  6. Corte EDU, Grande Camera, sent. 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia; https://hudoc.echr.coe.int. Per un commento, cfr. Bacis D. (2017), Khlaifia e altri c. Italia: l’accoglimento dei migranti al vaglio della Corte di Strasburgo, in DPCE online, vol. 30, n. 2, 401 ss; Bonetti P. (2017), “Khlaifia contro Italia”: l’illegittimità di norme e prassi italiane sui respingimenti e trattenimenti degli stranieri, in Quaderni costituzionali, 37 (1), pp. 176 ss.; Giliberto A. (2016), La pronuncia della Grande Camera della Corte EDU sui trattenimenti (e i conseguenti respingimenti) di Lampedusa del 2011, in Diritto penale contemporaneo, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org.
  7. Art. 3 Conv. Eur: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Art. 13 Conv. Eur.: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali».
  8. Di Martino A. (2014), Centri, campi, Costituzione. Aspetti d’incostituzionalità dei CIE, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, vol. XVI, n. 1, p. 36; Ferrajoli L. (2009), La criminalizzazione degli immigrati (Note a margine della legge n. 94/2009), in Questione Giustizia 2009(5), pp. 16; Valentini E. (2018), Detenzione amministrativa dello straniero e diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, p. 111.
  9. Art. 35-bis l. n. 354/1975, inserito dal d.l. n. 23.12.2013 n. 146, conv. con modif. in l. 21.2.2014 n. 10. In argomento v. AA.VV. (2019), La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti, a cura di F. Fiorentin, Torino, Giappichelli; Natali K. (2019), Il reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, Torino, Giappichelli.
  10. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2019), Relazione al Parlamento 2019, p. 214, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/relazioneparlamento2019; negli stessi termini, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2018), Relazione al Parlamento 2018, pag. 228, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/relazioneparlamento2018.
  11. Corte EDU, sent. Khlaifia, cit., par. 268.
  12. Risoluzione CM/ResDH(2021)424 del 2 dicembre 2021, in https://search.coe.int/Resolution CM/ResDH(2021)424
  13. https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/PARERE GARANTE DECRETo-LEGGE 21 ottobre n. 130.
  14. In questo senso Loprieno D. (2018), “Trattenere e punire”. La detenzione amministrativa dello straniero, Napoli, Ed. scientifica, p. 137; Mangiaracina A. (2016), Hotspots e diritti: un binomio possibile?, in Diritto penale contemporaneo, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org; Masera L. (2017), I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, in Diritto penale contemporaneo, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org; A. Massimi, F. Ferri (2019), L’attualità del caso Khlaifia. Gli hotspot alla luce della legge 132/2018: la politica della detenzione extralegale continua, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it
  15. Sul punto, criticamente, Di Martino A. (2013), I “C.I.E.”, le fonti e l’art. 1 della Costituzione, in AA.VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere, Torino, Giappichelli, p. 110; Pugiotto A., La “galera amministrativa” degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quaderni Costituzionali, Quaderni costituzionali, 34 (3), p. 573; Valentini E., Detenzione amministrativa, cit., p. 111.
  16. Art. 2 d.lgs. 286/1998.
  17. Decreto del Ministero dell’Interno del 20 ottobre 2014, con il quale si istituisce il Regolamento recante “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione”.
  18. Si tratta di una situazione più volte denunciata dal Garante nazionale: così, da ultimo, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2020), Rapporto sulle visite effettuate nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) (2019/2020), p.7, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/rapportovisitecpr2019_2020.pdf. In argomento v. Mentasti G. (2021), La libertà di corrispondenza nel CPR e la (mancata) regolamentazione delle condizioni di trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione, in www.sistemapenale.it
  19. I moduli, elaborati nell’ambito dell’attività clinica, sono allegati al report consultabile all’indirizzo https://www.clinichelegali.unito.it/carceriediritti