La sussidiarietà come principio sussidiario del diritto pubblico
Jörg Luther[1]
Versione rielaborata di una relazione al seminario “Storie, percorsi e politiche della sussidiarietà”, a cura di D. Ciaffi e F. Giordano, di prossima pubblicazione presso il Mulino, Bologna, 2020. Desidero ringraziare Franco Pizzetti per lo spirito costruttivo e critico con il quale ha sempre accolto le idee altrui.
1. Storie distorte: idea né solo cattolica, né solo politica.
Helmut Kohl raccontava di aver personalmente ottenuto l’integrazione del principio di sussidiarietà insieme al motto della “prossimità” nel trattato di Maastricht[2]. Per evitare simili semplificazioni occorre subito ricordare che contrariamente ai racconti più diffusi[3], la sussidiarietà non è un principio inventato dall’enciclica Quadragesimo Anno nel 1931, piuttosto un’idea delle scienze politiche e sociali riportabile ai classici di Aristotele, Tommaso d’Aquino e Johannes Althusius.[4] Inoltre è un concetto giuridico analitico antico usato da tempo dal pluralismo giuridico. Solo la loro sintesi, prima nel diritto comunitario e poi nel diritto costituzionale, l’ha trasformato in un principio di diritto pubblico comune europeo.
La filologia storica esige di non dimenticarne la derivazione dal latino subsidium, l’aiuto o la forza di riserva (anche militare), tradizionalmente usato dalla scienza giuridica per disegnare una relazione di subordinazione tra norme applicabili a una pluralità di soggetti[5], in particolare in relazione ad azioni fondate su posizioni di responsabilità nei confronti di terzi.[6] Nella Disputatio Politica De Gynaecocratia Subsidiaria difesa a Lipsia nel 1667 davanti a Jacob Thomasius, maestro di Leibniz, si rivendicava il diritto “minore” delle donne contro le pretese di monopolio patriarcale, un’integrazione delle responsabilità di chi era sovraordinato ma sostituibile. Mentre prima dell’unificazione giuridica dello Stato nazionale, l’applicabilità sussidiaria di norme sul modello della lex specialis caratterizzava la relazione tra lo jus comune e i diritti regionali, simili regole di collisione si ritrovano nelle codificazioni europee del diritto e della procedura civile e penale,[7] ma anche nella sussidiarietà dei ricorsi a Strasburgo.
Le origini civili e penali della responsabilità sussidiaria[8] nonché la sua diffusione anche fuori dall’Europa[9] non avvallano un’interpretazione “autentica” di spirito troppo comunitarista o antiliberale delle clausole di sussidiarietà nei trattati europei e nelle costituzioni più recenti ad es. negli art. 87-5 Cipro, art. 6, 7 Portogallo, art. 23 Germania, art. 23 G, H Austria, art. 88-6 Francia, art. 5A Svizzera, ma anche negli art. 270 Bolivia, art. 288, 356 Colombia, art. 34, 238 Ecuador, art. 134 Tunisia, art. 136 Sudan meridionale. Semmai proiettano nella sussidiarietà sempre responsabilità e ne vietano la derubricazione a un principio solo morale o politico.
2. Rappresentazioni fuorvianti: la distinzione della cd. sussidiarietà “verticale” ed “orizzontale”.
La dottrina giuridica ha tuttavia dimostrato diffidenza, criticando la sussidiarietà come «principio ambiguo, con almeno trenta diversi significati, programma, formula magica, alibi, mito, epitome della confusione, foglia di fico»[10]. In questo modo non solo si è resa infertile, ma ha anche frustrato le speranze sia dei negoziatori della Carta europea dell’autonomia locale (art. 4)[11] e dei trattati di Maastricht e Lisbona, sia dei legislatori dell’art. 4 co. 3 l. n. 59/1997 (cd. legge Bassanini) e della legge (di revisione) costituzionale n. 3/2001.[12] Di quest’ultima si è diffusa un’interpretazione sistematica che ricorre all’immagine di una croce per distinguere la sussidiarietà “in senso verticale” (art. 118 co. 1 Cost.) da quella “in senso orizzontale” (art. 118 co. 4 Cost.), distinzione abbozzata nel lontano 1990 da Valéry Giscard d’Estaing.[13] In essa riecheggia la distinzione della dottrina generale dello Stato tra separazione orizzontale e verticale dei poteri pubblici e si afferma un’insostenibile parità tra poteri pubblici e privati. Disegnando i poteri dello Stato e della società equiparati nella governance e nel partenariato pubblico/privato, l’immagine della cd. “sussidiarietà orizzontale” forse si concilia ancora con quella delle distinte sovranità di Stato e Chiesa, ma rischia di negare ogni sovra-e subordinazione tra Stato e società civile o Terzo settore, contrariamente ai principi della sovranità statale e popolare nel diritto internazionale e costituzionale che fondano l’asimmetria dei poteri e delle responsabilità tra pubblico e privato. Anche se la persona privata in virtù dei propri diritti fondamentali si può sentire all’altezza dello Stato, parlare di orizzontalità facilita pregiudizi e confusioni dei ruoli e delle responsabilità. Il privato, le famiglie e le ONG possono svolgere iniziative di interesse pubblico, ma restano subordinati allo Stato senza poterlo surrogare e sottrarre alle garanzie giurisdizionali. I cittadini non devono scambiare le loro responsabilità politiche con quelle sociali. Voler trovare una terza via tra l’individualismo liberalista e lo statalismo socialista, si rischia di perdere di vista la separazione delle responsabilità e soprattutto di veicolare doveri di collaborazione dei cittadini con le autorità.
Il principio di sussidiarietà nel diritto UE intendeva innanzitutto accrescere la responsabilità delle autonomie, chiedendo di prendere le decisioni nel modo più vicino ai luoghi dove producono i propri effetti. In questo modo si consentiva anche una difesa politica e giuridica della sovranità statale e popolare da avocazioni e usurpazioni. Anche nell’art. 118 Cost., la sussidiarietà difende in primo luogo le autonomie territoriali, in secondo luogo invece le autonomie sociali che non sono modalità di esercizio della sovranità popolare, piuttosto garanzie particolari dell’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana e delle sue formazioni sociali. Nell’esercizio di questi diritti presidiati dal principio di proporzionalità, si possono formare poteri sociali autonomi, presidiati da una sussidiarietà senza corollari di adeguatezza e differenziazione. Le due garanzie della sussidiarietà a garanzia delle autonomie pubbliche e di quelle sociali dà forma a uno Stato costituzionale democratico che riconosce autonomie pubbliche e private, restando “sussidio” della società e servitore della persona umana senza cedere la sovranità.
Ignorando che orizzontalità contraddice la subordinazione implicita in ogni sussidiarietà, l’aggettivazione dottrinale è stata recepita dapprima nelle memorie delle parti del processo costituzionale, poi dal legislatore con l’art. 1 co. 366 della l. n. 266 del 2005. La giurisprudenza costituzionale italiana ne ha preso atto (ord. n. 21/2004; sent. n. 165/2007), parlando in un primo tempo solo di “cd. sussidiarietà orizzontale” (sent. 220/2007) per adottare poi senza virgolette “sussidiarietà verticale” (sent. n. 225/2009) e “orizzontale” (sent. 189/2015 rel. Sciarra, 160/2018 rel. Amato, 79/2019 rel. Barbera). Forse è ancora possibile rinunciare a questi aggettivi fuorvianti nel drafting legislativo e delle sentenze costituzionali. Più importante resta la differenza dei contesti della sussidiarietà, tra settore pubblico e settore sociale, che emerge peraltro proprio nelle garanzie giurisdizionali, più sviluppate per l’agire privato per l’interesse pubblico che non per le autonomie pubbliche.[14]
3. Applicazioni dall’alto: la “chiamata in sussidiarietà”.
L’art. 20 co. 3 lett. l della legge n. 59/1997 prospettava una legge di semplificazione con delega al governo di realizzare come principio di autonomia e decentramento l’attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni «salvo il conferimento di funzioni» ad altri enti territoriali e allo Stato «al fine di assicurarne l’esercizio unitario in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza». In questo passo, quasi letteralmente tradotto nella riforma dell’art. 118 co. 1 Cost. nel 2001, la sussidiarietà appare più come una giustificazione di pratiche di accentramento che non come contro-limite a limitazioni delle autonomie. Fu per la prima volta la sent. n. 242/2005 (rel. De Siervo) a dare il titolo “chiamata in sussidiarietà” a una precedente interpretazione giurisprudenziale della riforma costituzionale del 2001, nell’ottica di una restaurazione di competenze statali: «Come ben noto, questa Corte ha più volte ammesso che la legge statale “chiami in sussidiarietà” alcune funzioni in ambiti di normale competenza delle Regioni, peraltro nel rispetto di determinate condizioni». Tale formula si ritiene “inventata” dalla sent. n. 303/2003 (rel. Mezzanotte), riassunta nella seguente massima ufficiale:
“La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo che determina [per il principio di cedevolezza] una temporanea compressione (fino all’entrata in vigore di una diversa norma regionale) della competenza legislativa regionale concorrente, deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto [per sussidiarietà e adeguatezza] per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività”.
La successiva sent. n. 6/2004 superava il carattere temporaneo della deroga, precisando che il principio di sussidiarietà poteva giustificare deroghe al riparto delle competenze solo a condizione che «la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata».
In questa giurisprudenza consolidata, la “chiamata in sussidiarietà” disegna un meccanismo in virtù del quale si deduce dalla Costituzione una norma implicita di competenza legislativa statale per la disciplina dell’esercizio di funzioni amministrative in materie concorrenti o residuali “attribuite” o “conferite” allo Stato (art. 118 co. 1 e 2).[15] Alla locuzione “chiamata in sussidiarietà”, ormai senza virgolette (sent. n. 45/2019), è stata legata un’immagine meccanicistica ed equivoca di “ascensore”.[16] Nonostante numerose critiche, la dottrina si è poi arresa all’etichettatura ufficiale, spingendosi fino a riconoscere una «potestà legislativa sussidiaria dello Stato»[17] e rinunciando alla ricerca di un’interpretazione sistematica alternativa.
La massima apologia della virtuosità del giudice costituzionale considera oramai la sussidiarietà uno «strumento che consente alla necessità, sotto la copertura del principio unitario, di dispiegare la sua forza normativa», che assumerebbe «i contorni di una competenza a struttura finalistica, una competenza “di necessità”» e sarebbe «assimilabile, a dispositivi di unificazione legislativa prevista negli ordinamenti federali», in particolare quello tedesco e statunitense[18].
L’ascensore della sussidiarietà, chiamato dall’alto, sembra servire più lo Stato che non le autonomie ed essere privo di meccanismi di freno azionabili. Il controllo giurisdizionale della sussidiarietà rischia di non andare oltre una conferma dell’ “adeguatezza” allocativa delle competenze, delle necessità di “differenziazione” o della “proporzionalità” di atti allocativi di funzioni. Il suo valore pratico è semmai quello di una weak constitutional review. Nel frattempo la chiamata in sussidiarietà dall’alto avvallata dalla giurisprudenza è diventata un modello per vari tentativi di (contro-)riforma costituzionale del titolo V e di una seconda camera rappresentativa delle autonomie territoriali. Per avere invece una chiamata in sussidiarietà dal basso, si procede per la via tortuosa delle intese di differenziazione ex art. 116 (3) Cost.
4. Self-restraint: controllo blandi della Corte del Lussemburgo.
Anche la dottrina e i giudici del diritto UE faticano ad implementare il principio di sussidiarietà. Invocata nel preambolo come corollario dell’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa «in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini», l’art. 5 co. 2 TUE lo ha trasformato in un requisito di valutazione e presupposto dell’esercizio delle competenze concorrenti dell’UE. Il loro esercizio è legittimo: a) «solo se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale» e b) solo se e in quanto possono «a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Il protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità richiede una vigilanza continua di tutte le istituzioni (art. 1), prevede un procedimento di consultazione sulle proposte di atti legislativi (art. 2), l’obbligo di una motivazione corredata da apposita «scheda contenente elementi circostanziati» finalizzati alla valutazione (art. 5), il potere dei parlamenti nazionali di esprimere entro otto settimane un parere motivato contrario (art. 6), un meccanismo di preallerta con poteri di veto sospensivo differenziati (cd. cartellini “gialli” e “arancioni”) (art. 7) e il ricorso alla Corte di giustizia dell’UE (CGUE).
La giurisprudenza della CGUE[19] non ha mai giudicato violato il principio e desume il miglior conseguimento degli obiettivi di regolazione da una presunzione di efficacia a favore dell’uniformità. Le censure si liquidano ad es. con un: «è giocoforza constatare che lo scopo del regolamento di base non potrebbe essere realizzato in modo soddisfacente mediante un’azione intrapresa dai soli Stati membri e presuppone un’azione a livello dell’Unione, come lo dimostra l’evoluzione eterogenea delle normative nazionali nel caso di specie»[20]. Vista la generosità con la quale in alcuni paesi membri sono state allargate le vie di accesso alle giurisdizioni per la difesa delle proporzionalità, questa performance è apparsa ai commentatori come segno di un eccessiva deferenza alle istituzioni politiche e di un under-enforcement rispetto agli standard di controllo in uso nelle corti costituzionali federali, cioè «di scarso valore», «imbarazzanti», «placebo» etc.[21] Anche a voler ricondurre il principio della sussidiarietà a una difesa del decentramento quale comune denominatore di una pluralità di sistemi costituzionali con ispirazioni federaliste, regionaliste o anche solo municipaliste, la weak review approach della CGUE sembra essere fondata su una sussidiarietà del controllo giurisdizionale della sussidiarietà, ben spiegabile anche dal timore di trovare anche le proprie sentenze soggette a censure di violazione del principio. Al riguardo si può anche argomentare che la proporzionalità a differenza della sussidiarietà esige più garanzie che interventi, più una distanza dei poteri che non la prossimità delle istituzioni, differenze che non possono non investire anche le difese giurisdizionali dei due canoni.
Sarebbe troppo semplice dedurre da questo restraint una sostanziale inefficacia del principio di sussidiarietà nell’ordinamento UE. Più efficace dei controlli giurisdizionali ex post potrebbero in effetti essere i meccanismi di controllo ex ante che includono il “sistema” di early warning da parte dei parlamenti nazionali e degli enti regionali locali. In conclusione, riconoscere la sussidiarietà dei rimedi giurisdizionali rispetto a quelli parlamentari della sussidiarietà non deve indurre a precludere il controllo giudiziario con una political question doctrine, piuttosto a indagare le possibilità di una migliore integrazione di entrambi.[22]
5. Attivismo crescente: controlli parlamentari nazionali e regionali.
Meno studiata e più difficile da decifrare è la “giurisprudenza” dei parlamenti nazionali nell’UE[23]. La Commissione deve presentare ogni anno una relazione sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (da ultimo: COM(2018)490). L’ultima presentata il 23 ottobre 2018 (COM(2018)703) riflette i risultati dei lavori di un’apposita task force istituita nel 2017[24].
Da questi documenti risulta anzitutto che il cartellino arancione non è mai stato usato e quello giallo è stato usato solo in tre casi: una proposta (ritirata) di regolamento sull’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive e due proposte (adottate) per il regolamento istitutivo della Procura europea e quello sul distacco dei lavoratori. Inoltre risulta che nel 2017 sono stati prodotti 576 pareri dei parlamenti nazionali, di cui 52 pareri motivati. Notevole è la distribuzione territoriale dei pareri non motivati e di quelli motivati. Dei 576 pareri complessivi, il maggior numero è venuto dall’Italia, cioè 56 pareri dal Senato e 45 dalla Camera dei Deputati della Repubblica italiana.[25] Tra i 52 pareri motivati si trova tuttavia solo un parere motivato del Senato, a fronte di 9 pareri motivati delle camere francesi, 9 di quelle tedesche, 6 di quelle polacche ecc. Se si guarda alle statistiche dei pareri motivati dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona fino al 2017, le camere alte risultano più attive di quelle basse e un notevole divario tra nord e sud, risultando la camera più produttiva lo Riksdag svedese (50),[26] seguito dal parlamento del Lussemburgo (17).[27]
L’attivismo italiano produce tanti pareri semplici e pochi pareri negativi motivati, indice forse di un maggiore “filo-europeismo”. Nella logica del protocollo di sussidiarietà servirebbero tuttavia più pareri motivati a produrre un dialogo e una “giurisprudenza” interparlamentare. Più che l’autoelogio per la moltiplicazione dei pareri con risoluzione[28] servirebbe anche nelle statistiche ufficiali un’analisi comparativa della incisività dei pareri e degli argomenti e criteri tecnici di valutazione utilizzati.
Elementi per una valutazione dell’incisività potrebbero desumersi da un confronto con i pareri del Comitato per il controllo normativo all’interno della Commissione – nel 2017 ci sono stati 53 pareri di cui 12 positivi, ma con moniti su progetti «migliorabili sotto il profilo dell’analisi della sussidiarietà e del valore aggiunto europeo»[29] – e degli atti dei procedimenti di consultazione gestiti dalla Commissione attraverso un apposito website. Il Comitato è composto da esperti socioeconomici non accademici (non giuristi) e valuta l’impatto socioeconomico e ambientale degli atti proposti, accennando nei pareri a osservazioni riservate alle direzioni generali. Funzioni analoghe svolge il Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT)[30]. La qualità e l’incisività del controllo parlamentare nazionale dipenderà non da ultimo anche dalla accessibilità tempestiva e dalla qualità di questi pareri e dalla loro capacità di costruire una rete di controllo.
In merito al ruolo dei parlamenti regionali organizzati dal Comitato delle Regioni (CdR) nella rete di monitoraggio Subsidiarity Monitoring Network (SMN)[31] che gestisce REGPEX, la Commissione evidenzia che nel 2017 trenta contributi sarebbero venuti dai Parlamenti regionali. Il parlamento regionale più attivo è l’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia Romagna (17 risoluzioni nel 2018) seguito da quelle delle Marche, del Friuli-Venezia-Giulia e, più raramente, della Lombardia e della Provincia di Bolzano, mentre risultano dai siti partecipare in modo totalmente passivo Piemonte (peraltro separatamente Consiglio e giunta come in Lombardia), Lazio, Calabria, Sardegna e Trento. Al di là di questa opzione data a 74 organi legislativi regionali e dei poteri di controllo concessi alle seconde camere di rappresentanza territoriale, l’UE può vantarsi di combattere la propria cecità per le esigenze degli enti territoriali infrastatuali; tuttavia, le 280 regioni e i circa 80.000 comuni europei restano divisi e non riescono a parlare con una sola voce a difesa delle proprie autonomie. L’ideale di un grande dialogo politico di tutti gli enti pubblici per una governance migliore sembra lontano.
6. Idee innovative: le proposte europee di sviluppo delle pratiche di controllo.
L’asimmetria si nota anche nei dibattiti sulle riforme dei controlli di sussidiarietà. Nel 2014 sono stati soprattutto il Folketing danese, la House of Lords e la Eerste Kamer olandese a promuovere un dibattito nel Parlamento europeo (PE), nel CdR e nella Conferenza degli organi specializzati negli affari europei (COSAC) con l’obiettivo di rafforzare i controlli di sussidiarietà e di fare crescere “denti” giuridici in grado di difendere le autonomie tutelate dalla sussidiarietà.
Molte proposte come la revisione del termine delle otto settimane o l’abbassamento dei quorum per i cartellini gialli e arancioni richiederebbero procedure di revisione dei trattati, considerate impossibili allo stato attuale dell’Unione. Altre prospettano piuttosto una razionalizzazione delle pratiche di controllo politico[32].
Sotto il titolo significativo di «fare meno in modo più efficiente», la Task Force della Commissione ha proposto una griglia modello (model grid) per effettuare il controllo di sussidiarietà secondo uno schema comune che distingue i profili procedurali (1) e formali della motivazione (2), da quelli sostanziali della necessità dell’azione UE confrontata con le azioni reali o possibili degli Stati membri (3) e di una preferibilità della stessa sotto l’aspetto delle economie di scala e del cosiddetto valore aggiunto dell’UE (4).[33]
Sotto i primi due profili renderebbe censurabile sia una consultazione non sufficientemente estesa (ad es. anche agli enti locali e regionali, alla società civile e ai partiti europei), sia una motivazione inadeguata della proposta della Commissione. Sotto i profili sostanziali, la verifica della necessità include la quantificazione della rilevanza transfrontaliera, la diffusione e diversificazione territoriale dei problemi, le diverse capacità di azione e anche le differenze di valutazione dei problemi e delle soluzioni tra gli stati, non menzionando significativamente le alternative di azioni a velocità differenziata tramite forme auto-coordinamento spontaneo tra singoli stati più interessati di altri.
Entrambi i profili sostanziai richiedono analisi economiche dei costi/benefici, ma la verifica della preferibilità esige “clear benefits”, ragionamenti di economia si scala, la specificazione dei benefici di un “more homogenous policy approach”, un bilanciamento tra i benefici e i costi derivanti dalla “perdita di competenze” nonché una dimostrazione dei guadagni in termini di “chiarezza regolatoria”. La griglia apre quindi a considerazioni economiche, ma non riconduce i costi a profili di finanza pubblica. Nulla vieterebbe invece di esigere una quantificazione dei costi, ben potendo la diagnosi dell’impossibilità di intervento decentrato dipendere dalla carenza di strumenti finanziari.
La griglia non agevola la distinzione dei profili giuridici da quelli politici e amministrativi. Potrebbe aprire il controllo anche ad ulteriori censure, ad es. a violazioni del principio di attribuzione, delle garanzie di identità costituzionale e della sussidiarietà sociale oltreché a violazioni di diritti e della proporzionalità. In un’ottica più funzionale e amministrativa, il controllo della sussidiarietà europea potrebbe esigere anche prognosi di efficacia, efficienza e buon andamento. Ad ogni modo, le informazioni prodotte secondo questa griglia potrebbero offrire una chiave anche per il rafforzamento dei rimedi giurisdizionali[34].
La citata relazione della Task Force offre ulteriori raccomandazioni, chiedendo anzitutto flessibilità nell’applicazione del termine di otto settimane. In sede di revisione dei trattati, il termine potrebbe essere esteso a 12 settimane. Altre raccomandazioni riguardano i flussi e la qualità delle informazioni. La Commissione dovrebbe informare il PE e il Consiglio anche in mancanza dei quorum prescritti sui rilievi di sussidiarietà formulati dai Parlamenti nazionali, dandone conto anche nel suo rapporto annuale. Insieme ai Parlamenti nazionali e al CdR dovrebbe sensibilizzare e coinvolgere le autorità regionali e locali nei propri processi di consultazione, consentendo loro di individuare e valutare l’impatto territoriale regionale e locale delle azioni proposte. Anche tali risposte andrebbero trasmesse a PE e Consiglio affinché valutino l’opportunità di ulteriori audizioni. Servirebbe una più efficace circolazione dei documenti tra i Parlamenti nazionali (IPEX) e regionali (REGPEX) e tra gli esperti della piattaforma REFIT.
In uno studio della presidenza del Bundestag emergono ulteriori problemi pratici, in particolare quello dei destinatari dei pareri, spesso indirizzati solo alla Commissione o solo ai governi nazionali. Si propone al riguardo non solo di controllare se il governo federale ha rappresentato le censure in sede di Consiglio, ma anche di inviarle ai membri nazionali del PE e ai relatori competenti dello stesso; cioè di utilizzare tutti i canali formali e informali possibili[35]. Inoltre si propone di aumentare la frequenza del coordinamento interparlamentare in sede di COSAC e di introdurre una programmazione delle priorità di controllo per ogni anno solare nella conferenza dei capigruppo. Sulla base di tale lista, gli uffici di collegamento a Bruxelles e le commissioni competenti per materia potrebbero effettuare delle preistruttorie delle questioni. Il Bundestag segnala l’opportunità di anticipare un controllo informale della sussidiarietà nelle procedure di dialogo politico sui libri bianchi e verdi della commissione. Servirebbero inoltre un monitoraggio sul follow up delle censure, con termini di reinserimento automatico all’ordine del giorno della commissione capofila, possibilità di adottare risoluzioni ulteriori (§ 93a co. 2 per. 2 regolamento BTag) e incontri con gli europarlamentari.
Il coordinamento tra le commissioni parlamentari è un problema anche italiano. A norma del nuovo articolo 144 del Regolamento del Senato approvato il 20 dicembre 2017, alle commissioni di merito spetta esclusivamente il dialogo politico, mentre la verifica della sussidiarietà spetta esclusivamente alla 14a commissione. Tale suddivisione esige tuttavia una consultazione reciproca intensificata. All’interno delle commissioni di merito maggiormente interessate potrebbe essere conveniente nominare dei relatori o comitati speciali permanenti per gli affari UE. Anche all’interno della Commissione affari europei si potrebbe costituire un apposito “scrutiny committee”. Nulla vieta ai gruppi parlamentari di nominare alcuni responsabili per gli affari europei. Per dare maggiore peso ai cartellini, la decisione in commissione potrebbe essere sottoposta ad approvazione ulteriore del plenum.
Resta infine il problema di come associare gli altri enti territoriali alle verifiche della sussidiarietà, in particolare l’audizione dei loro rappresentanti nelle commissioni parlamentari, il ruolo del sistema delle conferenze e la carenza di cooperazione interregionale e know how intercomunale al riguardo. Il rafforzamento della sussidiarietà europea dipende in ultima analisi dall’intreccio di questi meccanismi con quelli a garanzia della sussidiarietà interna.
7. Conclusioni: la sussidiarietà della sussidiarietà rispetto al pluralismo delle autonomie e sovranità.
Si può concludere che il principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 TFUE ha concretizzato un principio generale del diritto pubblico, nazionale ed internazionale, riemerso nel costituzionalismo europeo della fine del secolo scorso, ma legato a una storia lunga non solo di idee sociali e politiche. Se il sussidio è un’azione o un bene funzionale al mantenimento di una situazione di autonomia di altro soggetto, individuale o collettivo, la sussidiarietà giuridica disegna una relazione tra norme che disciplinano azioni di un soggetto rispetto ad altri in situazioni di responsabilità verso terzi, stabilendo regole di collisione che servono a ottimizzare sia l’efficacia dell’azione sia l’autonomia in rapporti ri- e plurilaterali.
La sussidiarietà del diritto civile e penale è anche alla base della sussidiarietà del diritto costituzionale e di quello internazionale. In ambito internazionale, il principio della sussidiarietà è stato applicato non solo all’interpretazione delle competenze delle organizzazioni internazionali (europee), ma anche alle garanzie dei diritti umani ma e potrebbe valere perfino per i rapporti tra consuetudini e patti internazionali. Tuttavia, è anche contestato come troppo “stato-centrico”,[36] forse troppo marcatamente giusnaturalistico e forse più europeo che universale. In ambito costituzionale, si è cercato di trasformarla in una garanzia del pluralismo istituzionale, in particolare delle autonomie territoriali e funzionali, aggiungendo una dimensione di garanzia della responsabilità sociale della cittadinanza. Nell’art. 118 co. 4 Cost. lo Stato sociale preoccupato della propria sostenibilità ha “chiamato in sussidiarietà” la società civile, significato forse non pienamente rispecchiato nel linguaggio dei tecnici della giustizia costituzionale.
Nella multilevel-governance, il principio di sussidiarietà non è incompatibile con il federalismo a livello nazionale e internazionale, in particolare con i modelli di federalismo cooperativo, mutati in misura minore anche nella cooperazione più verticale che orizzontale del regionalismo e in quella più orizzontale che verticale nelle relazioni internazionali[37]. Le pratiche di controllo della sussidiarietà possono svolgere una funzione di manutenzione del pluralismo delle autonomie pubbliche e sociali, ma anche mantenere la sovranità dei cittadini e delle loro democrazie. In ultima analisi, l’idea della sussidiarietà potrebbe anche essere mobilitata per una sussidiarietà delle responsabilità tecniche rispetto a quelle politiche, cioè per una garanzia che una funzione di controllo non si trasformi essa stessa in governo.
Allo stato attuale, il principio di sussidiarietà è tuttavia solo parzialmente effettivo, perché le sue garanzie giurisdizionali e politiche sono ancora poco sviluppate e poco integrate. Pertanto il principio risulta né pienamente costituzionalizzato, né pienamente internazionalizzato e sarebbe prematuro qualificarlo come principio fondamentale delle costituzioni e principio generale delle nazioni civili. Semmai è un principio generale del diritto pubblico comune europeo che in alcune costituzioni, compresa quella italiana, potrebbe essere diventato indispensabile per il mantenimento del pluralismo, della tolleranza nei confronti delle diversità e di una solidarietà ancorata nella prossimità[38].
Proprio per la sua vicinanza e strumentalità rispetto a questi e altri valori e principi fondamentali del costituzionalismo europeo, l’idea europea della sussidiarietà potrebbe avere o acquistare il valore culturale di una virtù relazionale repubblicana. In un momento nel quale questi valori sono forse percepiti più deboli, il riconoscimento delle responsabilità sussidiarie nei confronti delle autonomie e dei beneficiari delle azioni pubbliche può sembrare romantico ed idealista, ma dentro i discorsi giuridici e politici della sussidiarietà sta forse anche un messaggio di fiducia nell’educazione e nella responsabilità civica, fiducia utile a tutti. Questa morale minima del principio della sussidiarietà pretenderà forse più partecipazione da chi ne vorrebbe di meno e piacerà magari più agli umanisti che non ai sovranisti. E sarebbe un’utopia idealista, sognare un dialogo politico perfetto di tutti gli enti con la società civile sulla portata delle proprie funzioni e competenze
L’enfasi sul principio della sussidiarietà è inevitabilmente controfattuale, ma la sua critica non deve cedere al cinismo. Il mito della “comprehensive subsidiarity”[39] non deve portare a elevare il principio della sussidiarietà al rango di principio più fondamentale di tutti. Lo stesso principio di sussidiarietà è, almeno allo stato attuale, solo un principio sussidiario, ma proprio come tale sembra ragionevole e merita di essere fatto valere.
[1] Università del Piemonte Orientale
[2] Cfr. Dichiarazione del Governo federale del 16 novembre 1993, in: www.bundesregierung.de/breg-de/service/bulletin; consultato il 24 agosto 2019.
[3] Cfr. I. Massa Pinto, Il principio di sussidiarietà: profili storici e costituzionali, Napoli, Editrice Jovene, 2003; F. Pizzolato, Il principio di sussidiarietà, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, Giappichelli, 2001, pp. 151 e ss. Più vicino alle idee qui esposte invece F. Pizzetti, Il principio di sussidiarietà nell’Unione europea e in Italia: il rispetto del cittadino difronte alle nuove esigenze di democrazia, in: Il nuovo ordinamento italiano fra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino 2002, 125ss; A. Rinella, Il principio di sussidiarietà: definizioni, comparazioni e modello d’analisi, in id., L. Coen, R. Scarciglia (a cura di), Sussidiarietà e ordinamenti costituzionali. Esperienze a confronto, Padova, Cedam, 1999, pp. 3 e ss.; P. Ridola, Il principio di sussidiarietà e la forma di Stato di democrazia pluralistica, in A. Cervati, S. Panunzio, P. Ridola (a cura di), Studi sulla riforma costituzionale, Torino, Giappichelli, 2001, pp. 193 e ss. Da ultimo D. Donati, Il paradigma sussidiario. Interpretazioni, estensioni, garanzie, Bologna, Mulino, 2013.
[4] J. Finnis, Subsidiarity’s Roots and History: Some Observations, in The American Journal of Jurisprudence, 61.2016, pp. 133–141, http://scholarship.law.nd.edu/law_faculty_scholarship/1256. Per Althusius T. Hueglin, Early Modern Concepts for a Late Modern World: Althusius on Community and .Federalism, Waterloo, 1998, pp. 152 e ss.
[5] Nel Dictionnaire de l’Académie françoise del 1694, l’aggettivo «Subsidiaire» si trova nel significato di «conclusions subsidiaires, hypothèque subsidiaire». Anche in Germania si ritrova espresso pressocché nello stesso modo ad es. in un documento coevo custodito presso l’Archivio di Stato dell’Assia (Hessisches Hauptstaatsarchiv, 137, U 709, 1698 November 17/27).
[6] Cfr. J.W. Bewert, Dissertatio juridica de citatione subsidiaria, Francofurti ad Viadrum, Zeitler, 1685; J. W. Reymann, Dissertatio Inavgvralis Ivridica De Execvtione Svbsidiaria, Gottingae, I.C.L. Schvltzii Acad. Typogr., 1737; D. Scheinemann, De subsidiaria actione contra magistratus, Tubingae, Literis Kernerianis, 1663.
[7] Cfr. G. Hufeland, Lehrbuch des in den deutschen Ländern geltenden gemeinen oder subsidiarischen Civilrechts I, Giessen, Erster Band, 1808, p. 147 (intercessione subsidiaria). Successivamente C. Jahr, Ist die actio de dolo subsidiär und wann beginnt im Falle einer subsidiären Anwendung die Verjährung?, Inaug-Diss., Erlangen, 1898; O. Kopp, Die Aufnahme eines neuen Gesellschafters nach B.G.B. unter besonderer Berücksichtigung der Subsidiarität dieser Vorschriften für die offene Handels- und die Kommanditgesellschaft, Elberfeld, F. Unverzagt, 1902; K. Heyden, Die Subsidiarität der Strafgesetze, Inaug-Diss., München, 1907.
[8] Cfr. ad es. la sussidiarietà nelle adozioni ex art. 21 della Convenzione dei diritti dei bambini. Per il diritto privato transnazionale P. Zumbansen, Parole magiche di successo? Costruendo e decostruendo una prospettiva di diritto privato sulla sussidiarietà, in Politica del diritto 2015, 381ss.
[9] Cfr. R. Mulé, G. Walzenbach, Introduction: two spaces of subsidiarity? Commonwealth & Comparative Politics 57. 2019, 141-152.
[10] S. Cassese, L’Aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in «Foro italiano», n. 5, 1995, pp. 373 e ss.
[11] Definition and limits of the principle of subsidiarity, Report prepared for the Steering Committee on Local and Regional Authorities (CDLR), Strasburg 1994 (https://rm.coe.int/1680747fda; consultato il 24 agosto 2019). Sull’interpretazione G. Boggero, Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe, Leiden, Brill, 2018, pp. 154 e ss.
[12] J. Luther, Il principio di sussidiarietà: un “principio speranza” per il diritto costituzionale comune europeo?, in «Foro Italiano» 1996, V, pp. 184 e ss.
[13] Cfr. ad es. K. Endo, The Principle of Subsidiarity: From Johannes Althusius to Jacques Delors (1994), in Giscard d’Estaing’s Working Document on subsidiarity for the EP’s Institutional Committee, dated 5 April 1990, https://eprints.lib.hokudai.ac.jp/dspace/bitstream/2115/15558/1/44(6)_p652-553.pdf; consultato il 24 agosto 2019.
[14] Cfr. F. Giglioni, Forme di cittadinanza legittimate dal principio di sussidiarietà, in Diritto e società, 2016, 305 ss.
[15] C. Mainardis, Chiamata in sussidiarietà e strumenti di raccordo nei rapporti Stato-Regioni, in «Le Regioni», 2011, pp. 455 e ss. Più cauti A. D’Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, Quaderni costituzionali 2001, 17ss.; P. Veronesi, I principi in materia di raccordo Stato-Regioni dopo la riforma del Titolo V, in: E. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La riforma del titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 2004, 282ss.
[16] Cfr. solo R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, Torino, Giappichelli, 2001, p. 96.
[17] P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 2013, p. 414.
[18] G. Scaccia, Sussidiarietà istituzionale e poteri statali di unificazione normativa, Napoli, ESI, 2009, p. 81.
[19] Cfr. i 14 casi elencati in https://curia.europa.eu/common/recdoc/repertoire_jurisp/bull_1/data/index_1_03_04.htm; consultato il 24 agosto 2019.
[20] Sent. 25. 4. 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e.a./Commission (T-526/10) (§ 85).
[21] G. Moens, J. Trone, The Principle of Subsidiarity in EU Judicial and Legislative Practice: Panacea or Placebo?, in «Journal of Legislation», 41, 2015, p. 72 (http://scholarship.law.nd.edu/jleg/vol41/iss1/2; consultato il 24 agosto 2019). Cfr. anche K. Shaw,
The Court of Justice of the European Union, Subsidiarity and Proportionality, Leiden 2018.
[22] Cfr. W. Vandenbruwaene, The Ambivalent Methods of Subsidiarity Review, in M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and subsidiarity in the EU and L. Di Donato, Impact Assessment and Control of the Compliance with the Principle of Subsidiarity in the EU, in M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and subsidiarity in the EU, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 371 e ss e 399 e ss.
[23] K. Granat, The Principle of Subsidiarity and its Enforcement in the EU Legal Order, London, Hart Publishing, 2018; id. National Parliaments and the Policing of the Subsidiarity Principle, Florence, EUI-PHD thesis 2014 (http://cadmus.eui.eu/; consultato il 24 agosto 2019); id., Institutional design of the Member States for the ex post subsidiarity scrutiny, in M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and subsidiarity in the EU, cit., pp. 427 e ss.; F. Fabbrini, K. Granat, Yellow card but no foul, in «Common Market Law Review», 50, 2013, pp. 115 e ss.
[24] Active Subsidiarity. A new way of working. Report of the Task Force on Subsidiarity, Proportionality and “Doing Less More Efficiently”https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/report-task-force-subsidiarity-proportionality-and-doing-less-more-efficiently_en.pdf; consultato il 24 agosto 2019.
[25] Dossier n. 16/2018 del 26 novembre 2018, Rafforzare il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità nel processo decisionale dell’UE, Ufficio Rapporti con l’Unione europea XVIII Legislatura, pp. 1-10 (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/ES016.pdf?_1558417840280; consultato il 24 agosto 2019).
[26] Cfr. Capitolo 7, art. 8 e Cap. 9, art. 20 della legge su Rijsdag.
[27] Deutscher Bundestag, Drucksache 18/12260,, p. 35.
[28] L’importante è partecipare 1996-2017: come (e quanto) ha contribuito il Senato alla formazione delle leggi europee?, Ufficio valutazione impatto, Senato della Repubblica, 28 giugno 2018, in: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01077448.pdf; consultato il 24 agosto 2019.
[29] Dossier n. 16/2018, cit., p. 3.
[30] Cfr. https://ec.europa.eu/info/law/law-making-process/evaluating-and-improving-existing-laws/refit-making-eu-law-simpler-and-less-costly_it; consultato il 24 agosto 2019).
[31] Il SMN unisce 162 enti territoriali e relative associazioni, cfr. https://portal.cor.europa.eu/subsidiarity/thesmn/Pages/default.aspx; consultato il 24 agosto 2019. Cfr. K. Boronska, Hryniewiecka, Regions and Subsidiarity after the Treaty of Lisbon: Overcoming the “Regional Blindness”? in, M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and subsidiarity in the EU, cit., pp. 341 e ss.
[32] B. Guastaferro, Reframing subsidiarity inquiry from an “EU value-added” to an “EU non encroachment” test?, in M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and subsidiarity in the EU, cit., pp. 133 e ss.
[33] The principles of subsidiarity and proportionality: Strengthening their role in the EU’s policymaking {COM(2018) 490} – {COM(2018) 491}, Annexes to the Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, COM(2018) 703 final, Strasbourg, 23 October 2018 (https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2018/EN/COM-2018-703-F1-EN-ANNEX-1-PART-1.PDF; consultato il 24 agosto 2019).
[34] L. Di Donato, Impact Assessment and Control of the Compliance with the Principle of Subsidiarity in the EU, cit., pp. 414 e ss.
[35] Deutscher Bundestag, Drucksache 18/12260, cit., pp. 54 e ss.
[36] A. Follesdal, The Principle of Subsidiarity as a Constitutional Principle in International Law, in «Jean Monnet Working Paper», 12, New York 2011, pp. 30 e ss. (https://ecpr.eu/filestore/paperproposal/bbd954cc-d0d8-49f0-a800-8e4bb422fb11.pdf; consultato il 24 agosto 2019); Id. Subsidiarity in the Global Order, in M. Evans, A. Zimmermann (eds), Global Perspectives on Subsidiarity, New York, Springer, 2014, pp. 207-220; più favorevoli P. Carrozza, The Problematic Applicability of Subsidiarity to International Law and Institutions, in «The American Journal of Jurisprudence», 61, 2016, pp. 51 e ss; Id., Subsidiarity as a structural principle of international human rights law, in «American Journal of International Law», 97, 2003, pp. 38 ss. (https://scholarship.law.nd.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1571&context=law_faculty_scholarship; consultato il 24 agosto 2019); C. Seiler, Der souveräne Verfassungsstaat zwischen demokratischer Rückbindung und überstaatlicher Einbindung, Tübingen, Mohr Siebeck, 2005, pp. 320 e ss; U. Fastenrath, Subsidiarität im Völkerrecht, in P. Blickle, T.O. Hüglin, D. Wyduckel (eds.), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und Gesellschaft, Berlin, Duncker & Humblot, 2001, pp. 475 e ss.
[37] P. Häberle, Der kooperative Verfassungsstaat: aus Kultur und als Kultur, Berlin, Duncker & Humblot, 2013, pp. 103 e ss.; anche T. Kingreen, A Federalist New Deal for a more perfect European Union, in «Berliner Online-Beiträge zum Europarecht», Nr. 109, 2016, pp. 18 e ss.
[38] A. von Bogdandy, Europäische Prinzipienlehre, in Id. (Hrsg), Europäisches Verfassungsrecht, Berlin, Springer, 2003, p. 193. Sulla prossimità P. Rosanvallon, La légitimité démocratique. Impartialité, réflexivité, proximité, Paris, Seuil, 2008.
[39] Su questo concetto di Neil MacCormick, cfr. C. Fasone, Competing Concepts of Subsidiarity in the Early Warning System, in M. Cartabia, N. Lupo, A. Simoncini (eds), Democracy and Subsidiarity in the EU, cit., p. 170.