Sindaci e Decreto Sicurezza: il Sindaco del Comune di Rivalta accetta l’iscrizione anagrafica di un richiedente asilo

Elena Belliardo[1]

 

Sommario: 1. Il procedimento di iscrizione anagrafica. 2. L’interpretazione della legge. 3. I comuni e i giudici di fronte ai procedimenti amministrativi di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. 4. Osservazioni conclusive.

 

 

1. La residenza[2], disciplinata, nel nostro ordinamento, dall’art. 43 c.c., è definita come il luogo in cui la persona ha fissato la propria dimora abituale, da intendersi quale manifestazione di volontà e consuetudine di vita in un determinato luogo[3].

Sul piano del diritto civile, la nozione di residenza è composta da un elemento di carattere oggettivo, rappresentato dalla permanenza di un soggetto in un determinato luogo, e da un elemento di natura soggettiva, costituito dalla volontà di permanere per lungo tempo in quel determinato luogo[4].

In merito ai procedimenti amministrativi anagrafici, secondo il nostro ordinamento, ai sensi del DPR 30 maggio 1989 n. 223[5], vi è un obbligo per chiunque abbia fissato la propria dimora abituale in un Comune di richiedere l’iscrizione nei registri anagrafici della popolazione residente.

Nel dettaglio, lo status di residente si acquista al termine di un procedimento amministrativo in cui, a seguito delle dichiarazioni rese dall’interessato con le quali questi rende nota la propria dimora abituale, vi è un controllo da parte dell’Ufficiale d’Anagrafe circa la veridicità di quanto denunciato dall’istante[6].

Per quanto riguarda l’iscrizione anagrafica dello straniero, i presupposti e le modalità per l’ottenimento dello status di residente, ai sensi dell’art. 6 Testo Unico dell’Immigrazione[7], sono analoghi a quelli richiesti al cittadino sia in riferimento al carattere oggettivo, sia riguardo al carattere soggettivo. Invero, la parità di trattamento tra i cittadini italiani e stranieri funzionale all’iscrizione anagrafica subisce un parziale temperamento costituito dalla necessità per lo straniero di provare la regolarità del proprio soggiorno nel territorio dello Stato o, in ogni caso, di trovarsi nelle condizioni di fatto e di diritto per poter fornire tale prova[8].

È, quindi, evidente che uno straniero che intenda iscriversi nello schedario della popolazione residente di un determinato comune, oltre alla dichiarazione di volontà da rendere all’Ufficiale d’Anagrafe, sarà tenuto a provare la regolarità circa il proprio soggiorno in Italia, mediante l’esibizione del permesso di soggiorno.

In questo contesto normativo, è intervenuto, recentemente, il d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, c.d. “decreto sicurezza”[9], convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132, il quale, modificando il d.lgs.18 agosto 2015 n. 142[10], ha previsto attraverso il co.1 bis dell’art. 4 che il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo non costituisca un “idoneo titolo” per l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo.

Secondo tali disposizioni, parrebbe, quindi, che, nel nostro ordinamento, siano previsti specifici titoli legittimanti l’acquisizione dello status di residente ove, tuttavia, come noto, nella disciplina dedicata, non si rinvengono “situazioni di fatto” o “titoli” utili per ottenere l’iscrizione anagrafica[11], poiché l’acquisto della residenza è l’esito di un procedimento amministrativo volto solamente ad accertare la dimora abituale del richiedente.

Inquadrato così il tema della residenza, ci si domanda se, per effetto della recente previsione normativa, sia stato introdotto, nel nostro ordinamento, un divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo e quali conseguenze possano scaturire da tale disposizione di legge.

 

2. In materia di iscrizione anagrafica, il d.l. 113/2018, pur avendo disposto che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non è un valido titolo per la registrazione dello straniero presso l’anagrafe della popolazione residente, non vieta esplicitamente ai richiedenti asilo di poter acquisire lo status di residente.

Si evidenzia, infatti, che il “decreto sicurezza” non ha chiaramente introdotto alcun divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo e neppure ha apportato alcuna variazione al Testo Unico dell’Immigrazione nella parte in cui si considera dimora abituale dello straniero la documentata ospitalità per più di tre mesi presso un centro di accoglienza[12].

Dalla lettura delle norme in materia di dimora abituale e di iscrizione anagrafica dello straniero, si evince che il richiedente asilo, pur potendo astrattamente acquisire, ai sensi della normativa anagrafica, lo status di residente perché dimorante abituale in un centro di accoglienza,potrebbe concretamente essere impossibilitato ad acquisire lo status di residente, in quanto privo di un titolo valido a questi fini.

Le complessità di carattere interpretativo collegate all’art.4, co. 1 bis d. lgs.142/2015 sono, peraltro, rafforzate dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge in cui si parla di esclusione dall’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo in ragione della “precarietà del permesso di soggiorno” e in considerazione della necessità di “definire, preventivamente, la condizione del richiedente“.

Anche la Circolare del Ministero dell’Interno n. 15/18 del 18 ottobre 2018, intervenuta con l’intento di fornire un’interpretazione della norma, si è limitata a disporre, senza ulteriori chiarimenti, che, a partire dall’entrata in vigore del “decreto sicurezza”, il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale non potrà consentire l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo[13].

L’oscurità della disposizione in esame è suscettibile di una duplice lettura.

Se, per un verso, il c.d. “decreto sicurezza” sembrerebbe introdurre un divieto di iscrizione anagrafica, lesivo del diritto di circolazione e di soggiorno per i richiedenti asilo regolarmente soggiornanti; per altro verso, il c.d. “decreto sicurezza” sembrerebbe suscettibile di un’interpretazione compatibile con il diritto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo che sono regolarmente soggiornanti nel nostro paese. Laddove dovesse prevalere la prima interpretazione, l’intervento della Corte Costituzione sarebbe inevitabile al fine di limitare ogni forma di diseguaglianza e di tutelare il diritto di circolazione e di soggiorno del richiedente asilo. Al contrario, la seconda interpretazione permette una lettura della disposizione in esame compatibile con la Costituzione e la normativa sovranazionale. Quest’ultima interpretazione pare essere la soluzione più convincente.

Preliminarmente, giova evidenziare che, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, nel nostro ordinamento, vige il principio dell’intenzione del legislatore obiettivata nella norma secondo cui, in ipotesi di conflitti interpretativi, a prevalere è la volontà della legge che risulta dal dato letterale e dall’intenzione che il legislatore intende perseguire sul piano sociale, politico e economico[14].

L’interpretazione della norma deve, quindi, essere tenuta distinta dalla volontà di coloro che hanno partecipato al processo formativo della legge e deve emergere dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, oltre che dall’intenzione del legislatore intesa come volontà oggettivata della norma[15].

Parimenti, l’interprete non può stabilire il significato da attribuire all’art. 4, co.1 bis del d.lgs. 142/2015 utilizzando solamente i lavori preparatori, in quanto questi ultimi, pur potendo esprimere l’intenzione legislativa, non possono attribuire all’enunciato legislativo un significato che ecceda il dato letterale o oggettivo della norma. Essi, a differenza delle norme di interpretazione autentica, non prescrivono un risultato interpretativo in via specifica, ma sono degli indici della possibile interpretazione della disposizione legislativa[16].

In considerazione di tale principio, è, quindi, evidente che, poiché nel dettato normativo di cui all’art. 4, co.1 bis del d.lgs. 142/2015, non vi è un esplicito divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, non è possibile ritenere che il legislatore abbia voluto del tutto escludere i richiedenti asilo dall’ottenimento dello status di residente.

Inoltre, in virtù del combinato disposto di cui all’art. 117 della Costituzione, il divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo violerebbe l’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, il quale sancisce il diritto per ogni individuo che si trovi regolarmente sul territorio dello Stato di fissare liberamente la propria residenza, oltre all’art. 14 della CEDU, il quale assicura, senza alcuna discriminazione, il godimento dei diritti e delle libertà riconosciute dalla Convenzione, tra cui vi è all’art. 2 del Protocollo n. 4 il diritto alla residenza[17].

Tali disposizioni sanciscono il diritto per qualunque individuo che sia regolarmente presente sul territorio di uno stato di circolare, soggiornare e fissare la propria residenza senza porre alcuna distinzione tra coloro che siano autorizzati a permanere nel paese per un periodo di tempo lungo o per uno più breve[18].

Secondo tali norme, disposizioni come quelle statuite dal c.d. “decreto sicurezza”, secondo cui la privazione del diritto di fissare la propria residenza sarebbe giustificata dalla precarietà o transitorietà del permesso di soggiorno di cui è titolare il richiedente asilo, risulterebbero perciò non conferenti.

Possono, invece, essere giustificate delle limitazioni rispetto al godimento dei predetti diritti solo se siano motivate dalla necessità di perseguire scopi generali quali la sicurezza nazionale, il mantenimento dell’ordine pubblico, la prevenzione delle infrazioni penali, la protezione della salute o della morale oltre alla tutela di diritti o libertà altrui[19].

Invero, nel caso di specie, le limitazioni introdotte all’iscrizione anagrafica sono dovute, oltre alla transitorietà della condizione del richiedente asilo, anche dalla necessità di tutelare interessi di matrice individuale, quali la preventiva definizione della condizione del richiedente protezione internazionale.

È, quindi, evidente come per tutte queste ragioni, le disposizioni previste dal “decreto sicurezza” si pongano in contrasto con la normativa sovranazionale ove intese in senso letterale.

A ciò si aggiunga che il diniego di iscrizione anagrafica del richiedente asilo consoliderebbe quelle prassi amministrative discriminatorie sviluppate a livello comunale e denominate “politiche locali di esclusione[20], da intendersi quali atteggiamenti di ostilità assunti a livello comunale e volti ad introdurre nei procedimenti di iscrizione anagrafica dei requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa di riferimento, al fine di allontanare “le persone sgradite” dal Comune scelto per fissarvi la residenza[21].

Invero, un’interpretazione dell’art. 4, co.1 bis a favore della mancata iscrizione anagrafica non soltanto consoliderebbe queste prassi comunali discriminatorie, ma rafforzerebbe le condotte ostili dei Comuni, i quali troverebbero una diretta legittimazione a escludere dall’iscrizione anagrafica i richiedenti asilo grazie a una fonte primaria del nostro ordinamento[22].

 

3. Individuata la possibilità di interpretare l’art. 4, co.1 bis del d.lgs. 142/2015 a favore dell’iscrizione anagrafica del richiedente asilo, si impone la necessità di analizzare le condotte concretamente assunte dagli Ufficiali d’Anagrafe di fronte alle richieste di iscrizione anagrafica avanzate a seguito delle modifiche normative del 2018.

A questo proposito, occorre evidenziare come alcuni Comuni abbiano interpretato il c.d. “decreto sicurezza” quale norma introduttiva di una disposizione che di fatto impedisce l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo in quanto sprovvisti di un titolo idoneo per acquisire lo status di residente.

Vi è traccia, peraltro, di prassi amministrative che negano il diritto di iscrizione anagrafica nei confronti di stranieri il cui permesso di soggiorno per motivi umanitari[23], pur essendo valido al momento della presentazione dell’istanza, sia scaduto durante la fase di accertamento del Comune.

Tale condotta, secondo i Comuni, sarebbe giustificata dall’assenza, ai sensi dell’art. 4, co.1 bis del d.lgs. 142/2015, di un titolo legittimante l’iscrizione anagrafica dello straniero.

È, tuttavia, il caso di rilevare, come recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione[24], che è il momento della presentazione della domanda in sede amministrativa che determina il complesso di norme applicabili. Si tratta, in altre parole, di dare attuazione al principio tempus regit actum in base al quale sono irrilevanti le eventuali sopravvenienze normative che determinano l’abrogazione della disciplina valida ed efficace all’atto della presentazione dell’istanza di iscrizione anagrafica, essendo la dichiarazione di volontà resa all’Ufficiale d’Anagrafe il momento rilevante per l’individuazione della disciplina applicabile.

Oltre a queste condotte, vi sono altri Comuni che hanno continuato a riconoscere il diritto di iscrizione anagrafica dello straniero. A questo proposito, si possono rammentare le vicende del Comune di Rivalta, il quale, recentemente, ha riconosciuto il diritto di iscrizione anagrafica per un richiedente asilo, nonché la decisione assunta dal Sindaco di Palermo, il quale, manifestando la necessità di tutelare i richiedenti protezione internazionale, ha annunciato la disapplicazione del c.d. “decreto sicurezza” nella parte in cui parrebbe precludere il diritto di iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo[25].

A livello giurisprudenziale, numerose sono le ordinanze adottate dal Giudice ordinario, mediante le sezioni specializzate in protezione internazionale[26], con cui è stato ordinato ai Sindaci, in qualità di Ufficiali di Governo, di provvedere all’iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale. In particolare, si è ritenuto che la novella introdotta per effetto del d.l. 113/2018 non ponga alcuna preclusione all’iscrizione anagrafica del richiedente asilo, essendo possibile un’interpretazione della norma compatibile con il quadro normativo costituzionale ed europeo.

Nelle poche ipotesi di rigetto delle domande proposte dai richiedenti asilo[27], i Giudici hanno precisato che l’art. 4, co.1 bis del d.lgs. 142/2015, introducendo tale divieto, si ponga in palese contrasto con diverse disposizioni costituzionali in quanto introduce un regime differenziato tra cittadini e stranieri in materia di iscrizione anagrafica.

Rilevante a questo proposito sono le decisioni prese da alcuni Giudici, i quali, ritenendo che la disposizione di cui all’art. 4, co.1 bis sia in contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, rinviando la decisione in attesa della pronuncia della Corte costituzionale[28].

A questo riguardo, si segnala che la Corte costituzionale è già stata recentemente investita di una questione di legittimità in riferimento alle norme relative all’iscrizione anagrafica contenute nel c.d. “decreto sicurezza”[29]. In particolare, le Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Umbria hanno proposto ricorso innanzi alla Corte costituzionale, ritenendo che il legislatore statale con l’introduzione dell’art. 4, co.1 bis d.lgs. n. 142/2015 abbia indirettamente leso il riparto di competenze legislative tra Stato e Regione. Pur concordando nel riconoscere l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo quale materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, le Regioni ricorrenti hanno ritenuto che le recenti modifiche normative introdotte dal c.d. “decreto sicurezza” abbiano delle ricadute indirette rispetto alle materie di competenza legislativa delle Regioni[30].

Tali ricadute si collegherebbero all’inevitabile condizionamento che il divieto di iscrizione anagrafica produrrebbe nei confronti dei destinatari dei servizi di competenza legislativa regionale previsti solamente a favore dei residenti e da cui dovrebbero essere, invece, esclusi i richiedenti asilo. Con riferimento a tali censure, la Corte costituzionale, pur rilevando come, astrattamente, non possa escludersi che il c.d. “decreto sicurezza” abbia determinato una violazione indiretta del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, ha ritenuto che gravi sulle Regioni l’onere di dimostrare “in concreto” le ragioni a sostegno della violazione del riparto di competenza legislativa. In altre parole, la Corte costituzionale ha evidenziato come per l’individuazione di una violazione indiretta del riparto di competenze legislative tra Stato e Regione non possa ritenersi sufficiente un mero rinvio a possibili conseguenze negative connesse all’esercizio delle attribuzioni regionali, in quanto diviene indispensabile individuare elementi concreti a sostegno della lesione del riparto di competenze legislative. Per tali ragioni, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni sollevate dalle Regioni.

 

4.L’art. 4, co.1 bis d.lgs. 142/2015 solleva, com’è evidente, alcune questioni di carattere interpretativo e, infatti, accanto a coloro che hanno scelto di riconoscere il diritto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo non rintracciando nella predetta disposizione normativa alcun divieto in ordine al riconoscimento dello status di residente, vi sono altri che hanno qualificato il c.d. “decreto sicurezza” quale norma impeditiva dell’iscrizione anagrafica.

A prescindere dalla legittimità costituzionale della disposizione in esame, più ragioni paiono supportare un’interpretazione volta a confermare la possibilità di iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo.

Preliminarmente, pare opportuno rilevare che, sin dalla sua nascita, il servizio di iscrizione anagrafica è stato pensato quale strumento funzionale alla registrazione di tutte le persone, le famiglie e le convivenze che risiedono in un determinato Comune, senza alcuna distinzione tra coloro che godono dello status di cittadino e coloro che sono stranieri[31].

La registrazione anagrafica è, quindi, stata introdotta nel nostro ordinamento con l’intento di fornire una corretta registrazione di tutti gli avvenimenti che riguardano la popolazione presente sul territorio comunale e nazionale[32], oltre ad assicurare un’equa distribuzione di risorse economiche agli Enti Locali[33].

Per tali ragioni, escludere i richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica significherebbe violare una delle principali funzioni per cui è stato istituito il servizio anagrafico nel nostro ordinamento.

In secondo luogo, l’acquisto della residenza non dovrebbe essere uno status che produce un divario tra cittadini e non cittadini, bensì una condizione che accomuna tutti coloro che hanno fissato la loro dimora abituale in un determinato luogo senza alcuna ulteriore distinzione.

Tali considerazioni risultano, peraltro, rafforzate dalla sentenza n. 306/08 della Corte costituzionale, secondo cui, quando il diritto a soggiornare non sia in discussione, gli stranieri non possono essere discriminati attraverso particolari limitazioni al godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti, al contrario, ai cittadini.

In merito ai richiedenti asilo, il diritto a soggiornare, anche se eventualmente solo fino alla decisione della Commissione Territoriale in ordine alla richiesta di asilo, non è in alcun modo messo in dubbio: per tali ragioni, poiché non esistono motivi di ordine generale giustificanti una tale restrizione, non può essere precluso il diritto di iscrizione anagrafica al richiedente asilo che dimori abitualmente in un determinato Comune.

Ove ciò accada, si determina una violazione del principio di uguaglianza.

Del resto, interpretare le disposizioni normative del c.d. “decreto sicurezza” a favore del divieto di iscrizione anagrafica determinerebbe una violazione dell’art. 2 del Testo Unico dell’Immigrazione nonché dell’art. 2 della Costituzione, e perciò il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona previsti dal diritto interno e dal diritto internazionale[34].

A questo proposito, a nulla vale la previsione di cui all’art. 5 del c.d. “decreto sicurezza”, secondo cui devono essere garantiti ai richiedenti asilo i servizi erogati sul territorio nel luogo di domicilio, in quanto solamente mediante l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo può essere assicurato un sistema di inclusione multilivello.

Lo status di residente permette, infatti, al richiedente protezione internazionale, regolarmente soggiornante, di acquisire anche la c.d. cittadinanza amministrativa[35], la quale assicura a coloro che ne beneficiano il riconoscimento di posizioni giuridiche e di diritti in quanto individui di una determinata comunità locale[36].

La mancata iscrizione anagrafica rende ai richiedenti asilo molto più difficile l’esercizio di taluni diritti e libertà fondamentali e funzionali all’inserimento nel tessuto sociale, impedendo, per esempio,al singolo individuo di poter accedere a misure di politica attiva del lavoro ex art. 11, co.1 d. lgs. 150/2015, alla sottoscrizione di un contratto di lavoro, alla determinazione del valore ISEE, di ottenere il reddito di cittadinanza, di accedere all’edilizia popolare, di conseguire il c.d. bonus bebé o di ottenere la patente di guida[37].

In conclusione, il riconoscimento giuridico della qualifica di residente pare essere un valido strumento per garantire, nel rispetto del quadro costituzionale e della normativa sovranazionale, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché per assicurare a coloro che otterranno il riconoscimento della protezione internazionale la possibilità di avviare un procedimento di integrazione.


 


[1] Borsista di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Torino.

 

[2] Nel nostro ordinamento, l’art. 43 c.c., oltre a fornire una nozione di residenza, chiarisce la nozione di domicilio, da intendersi quale luogo in cui la persona ha fissato la sede principale dei propri affari ed interessi, e di dimora, da intendersi quale luogo in cui la persona attualmente abita o permane. In questo senso Stazione P. (1991), sub. Artt. 43-45 in Perlingeri P. (a cura di), Codice civile. Annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Bologna, Zanichelli, p. 422, Gazzoni F. (2003), Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Torrente A., Schlesinger P. (2013), Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, pp. 117-119.

 

[3] La nozione giuridica di residenza, nata nel nostro ordinamento in concomitanza con la codificazione civile, si sviluppa dallo “smembramento” del concetto di domicilio: la residenza diviene luogo di dimora abituale, mentre il domicilio rappresenta la sede dei propri affari ed interessi. Il servizio anagrafico acquisisce una funzione imprescindibile nel moderno Stato di diritto solamente quando il cittadino è divenuto creditore di prestazioni pubbliche e debitore di contributi. In questo senso, si rinvia a Carnelutti F. (1916), Studi di diritto civile, Milano, Athenaeum, pp. 33. Per un approfondimento sulla nozione di residenza si vedano, inoltre, Rosa S. (2001), Anagrafe della popolazione, in Enc. Dir., II, Milano, Garzanti, p. 350, Forchielli P. (1964), Domicilio, residenza e dimora (dir. priv.) in Enc. Dir., XIII, Milano, Garzanti, p. 847, A livello giurisprudenziale, si rinvia, ex multis, a Cass., sez. II, 14 marzo 1986, n. 1738.

 

[4] L’elemento soggettivo non sempre costituisce una fattispecie distintiva del concetto giuridico di residenza, in quanto, in taluni casi, la residenza si acquista indipendentemente dalla volontà di risiedere in quel luogo. A questo proposito, basti pensare alla residenza obbligatoria acquistata dal detenuto nel luogo in cui è situato l’istituto di detenzione indipendentemente dalla volontà di costui di permanere in carcere. In codesta prospettiva, si rinvia a Dinelli F. (2010), La stagione della residenza: analisi di un istituto giuridico in espansione, in Diritto Amministrativo, vol. 3, pp. 639-708, il quale evidenzia come l’elemento della volontarietà serva, in realtà, ad escludere il trasferimento di residenza ogni volta in cui un soggetto si allontani per studio, viaggio o lavoro dalla propria casa.

 

[5] D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.

 

[6]A questo proposito, si rinvia a Cons. Stato, 26 gennaio 1979, n. 539 in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si definisce l’iscrizione anagrafica quale procedimento amministrativo di natura accertativa.

 

[7] L’art. 6, co. 7 del Testo Unico dell’Immigrazione dispone che “le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione”.

 

[8] A questo proposito, è appena il caso di rilevare che già le note illustrative dell’ISTAT del 1992 prevedevano che l’iscrizione anagrafica dello straniero avvenisse a seguito dell’esibizione del passaporto e del permesso di soggiorno, mediante cui si provava la coincidenza tra l’elemento intenzionale e l’elemento di fatto dello stato di residenza. Peraltro, il DPR 223/1989 prevede che gli stranieri iscritti all’anagrafe debbano dichiarare entro 60 giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno la loro dimora abituale. Trascorso un anno dal rinnovo del permesso senza che tale dichiarazione sia resa dallo straniero, previo avviso da parte dell’Ufficiale d’Anagrafe a comparire, si procede alla cancellazione della posizione anagrafica dello straniero. In questo senso, Morozzo Della Rocca P. (2003), Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche, in Il diritto di famiglia e delle persone, pp. 1-30.

 

[9] D.l. 4 ottobre 2018 n. 113, Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

 

[10]D. lgs. 18 agosto 2015 n. 142, Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

 

[11] L’iscrizione anagrafica si concreta, infatti, nella registrazione delle posizioni anagrafiche desunte “dalle dichiarazioni degli interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli ufficiali di stato civile” (ai sensi dell’art. 1 DPR n. 223/1989). In dottrina, si rinvia a Morozzo Della Rocca P. (2017), I luoghi della persona e le persone senza luogo, Sant’Arcangelo di Romagna, Long J., Albano S., L’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: il Tribunale di Bologna faluce sulle ombre del “decreto sicurezza”, in Famiglia e diritto, in corso di pubblicazione. A livello giurisprudenziale, si rinvia a Cass., 28 maggio 2018, n. 13241 e Cassazione, 1 dicembre 2011, n. 25726.

 

[12] Così ai sensi dell’art. 6 del Testo Unico dell’Immigrazione.

 

[13] L’utilizzo dell’espressione “non potrà consentire” in luogo della formula “non costituisce titolo”, utilizzata dal legislatore nel Decreto Sicurezza, ha acuito le problematiche di carattere interpretativo che si articolano intorno a tale previsione normativa. In questo senso, Santoro E. (2019), In direzione ostinata e contraria. Parere sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo alla luce del Decreto Salvini, in www.altrodiritto.unifi.it.

 

[14] In questo senso, si rinvia a G. Tarello, Argomenti interpretativi, voce del Digestodelle Discipline Privatistiche, vol. I, Utet, Torino, 1987, 419-423.

 

[15] In giurisprudenza, si rinvia inoltre a Cass., 8 giugno 1979, n. 3276, in cui si dispone che “il ricorso ai lavori preparatori trova un limite in ciò che la volontà da essi risultante non può sovrapporsi alla volontà obiettivata dalla legge”.

 

[16] A questo proposito, si veda Tarello G. (1980), L’interpretazione della legge, Giuffré, Milano, 241-286, il quale definisce le leggi interpretative come quelle leggi che stabiliscono il significato che deve essere attribuito ad un’altra legge. L’Autore individua, inoltre, quali indici della possibile interpretazione della legge: la formula documentale, la intitolazione della legge e i lavori preparatori.

 

[17] In questo senso, si rinvia a Bartole S., Conforti B., Raimondi G. (2001), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 877- 890.

 

[18] In questo senso si rinvia a Velu J. Ergec R. (2014), Convention européenne des droits de l’homme, Bruylant, 318.

 

[19] Bartole S., Conforti B., Raimondi G., Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cit., 877-890.

 

[20] A partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso, i Sindaci di più Comuni hanno adottato ordinanze, circolari e delibere tramite cui hanno fissato requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa vigente in materia di iscrizione anagrafica al fine di escludere persone “sgradite” dai registri dell’anagrafe della popolazione residente. Su questo tema, si rinvia a Ambrosini M. (2012), Separati in città. Le politiche di esclusione degli immigrati, in La Rivista delle politiche sociali, vol. 1, 69-88, Gargiulo E. (2015), Dalla popolazione residente al popolo dei residenti: le ordinanze e la costruzione di alterità, in Rivista italiana di sociologia, vol. 1, 3-26. Rispetto alle politiche di esclusione degli stranieri, si rinvia, inoltre, a Dinelli F. (2010), La stagione della residenza: analisi di un istituto giuridico in espansione, cit., 639-708, Morozzo Della Rocca P. (2003), Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche, cit., pp. 1-30. Questi autori, sottolineando come l’orientamento assunto dai Comuni consiste spesso nel separare “gli accettati da coloro da respingere”, evidenziano come i Sindaci, in vista di elezioni politiche, concedano la residenza “con rapidità e disinvoltura” a soggetti inclini alle loro idee politiche, assumendo, al contrario, un atteggiamento più rigoroso nei confronti di coloro che sono, o si presume essere, politicamente avversi. Sui profili di ordine e sicurezza pubblici e sui limiti al potere di ordinanza sindacale in tema di immigrazione v. Consito M. (2016), La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli, Jovene, pp. 44 e s., 120 e s. Sui profili di discriminazione verso lo straniero in merito all’iscrizione anagrafica, si rinvia a Gargiulo E., Maiorca A. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto di iscrizione anagrafica, in Diritti uguali per tutti, Giorgis A., Grosso E., Losano M. (a cura di), Milano, Franco Angeli Editore, 50-58.

 

[21] A questo proposito, emblematica è la vicenda del comune di Cittadella: il Sindaco, mediante un’ordinanza contingibile e urgente, adottata ai sensi dell’art. 54 TUEL, ha subordinato l’iscrizione anagrafica dello straniero al possesso di un contratto di lavoro, alla disponibilità di un alloggio con determinate caratteristiche di salubrità e alla dimostrazione della non pericolosità dello straniero. Giova evidenziare che le finalità e la funzione dell’ordinanza denotano, oltre ad una palese violazione del principio di uguaglianza, un vizio di eccesso di potere in quanto sono state introdotte delle prescrizioni di ordine generale ricorrendo ad una fattispecie eccezionale e di durata transitoria. Per un’analisi più dettagliata della vicenda si rinvia a Campo G. (2007), Cittadella e dintorni, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 63 e a Cortese F. (2007), Il “caso” Cittadella: ovvero, breve vademecum per leggere una controversa ordinanza, in www.forumcostituzionale.it, pp. 1-6.

 

[22] Una ricostruzione in questi termini, a dire il vero, pare poco plausibile in quanto, laddove prevalesse questa interpretazione non solo violerebbe l’art. 3 della Costituzione, ma si introdurre una modifica di tutta la disciplina vigente in materia di iscrizione anagrafica introducendo un procedimento amministrativo subordinato al possesso di specifici titoli.

 

[23] La protezione umanitaria è stata abrogata per effetto del d.l. 113/2018. In materia di irretroattività delle norme, con specifico riguardo all’abrogazione dei permessi di soggiorno per protezione umanitaria si rinvia a Canzian N. (2019), Profili di diritto intertemporale del Decreto Legge 113/2018, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, vol. 1, pp. 1-44.

 

[24] Così Cass, SS. UU., del 24 settembre 2019, n. 29460, la quale, intervenendo in materia di permessi di soggiorno per protezione umanitaria, ha disposto che “Benché il diritto di asilo nasca quando il richiedente faccia ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità che mettono a repentaglio l’esercizio dei propri diritti fondamentali, è la presentazione della domanda che identifica e attrae il regime normativo della protezione per ragioni umanitarie da applicare. È con la domanda in sede amministrativa che il titolare del diritto esprime il bisogno di tutela, e il bisogno di tutela per ragioni umanitarie va regolato secondo le modalità previste dal legislatore nazionale: sicché è tale domanda ad incanalare tale bisogno nella sequenza procedimentale dettata dal legislatore nell’esercizio della discrezionalità a lui rimessa ed è quindi il tempo della sua presentazione ad individuare il complesso delle regole applicabili”.

 

[25] Così ha disposto il Sindaco di Palermo con il provvedimento n. 1807620 del 21 dicembre 2018.

 

[26] Ci si riferisce alle ordinanze adottate dal Tribunale di Firenze in data 18 marzo 2019, a quelle pronunciate dal Tribunale di Bologna 2 maggio 2019, dal Tribunale di Genova il 20 maggio 2019, dal Tribunale di Prato il 28 maggio 2019, dal Tribunale di Lecce il 4 luglio 2019, dal Tribunale di Cagliari il 31 luglio 2019, dal Tribunale di Parma il 2 agosto 2019 e dal Tribunale di Bologna in data 2 maggio 2019 e 23 settembre 2019. A sostegno di queste ordinanze, i Giudici hanno richiamato, oltre alla necessità di assicurare il riconoscimento dei diritti fondamentali e il divieto di introdurre forme di discriminazione nei confronti dei richiedenti asilo regolarmente soggiornanti, la disciplina dell’iscrizione anagrafica, evidenziando come essa non preveda “titoli” per l’iscrizione anagrafica, ma solamente una dichiarazione dell’interessato oltre ad una successiva verifica del requisito della dimora abituale disposti d’ufficio.

 

[27]Per quanto noto, ad oggi i provvedimenti che hanno invece rigettato le domande dei richiedenti sono solo tre, due del Tribunale di Trento e una del Tribunale di Torino. In questo senso, www.asgi.it.

 

[28]Si rinvia alle ordinanze del Tribunale di Ancona del 29 luglio 2019, del Tribunale di Milano del 1 agosto 2019, del Tribunale di Salerno del 9 agosto 2019 e del Tribunale di Ferrara del 24 settembre 2019, reperibili in www.asgi.it.

 

[29]Corte costituzionale 31 luglio 2019, n. 194. La sentenza della Corte costituzionale, oltre a pronunciarsi sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ha esaminato le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni rispetto all’abrogazione della protezione per ragioni umanitarie e al sistema di accoglienza italiano dei richiedenti asilo. In particolare, con le censure sollevate, le Regioni hanno ritenuto che il decreto sicurezza avrebbe leso, anche se indirettamente, il riparto di competenze legislative fissato dal Titolo V, Parte II, della Costituzione. Al riguardo, la Corte costituzionale ha rilevato che non è sufficiente sostenere che il riparto di competenze legislative sia violato poiché le disposizioni del decreto-legge “incidono sull’esercizio delle funzioni proprie delle Regioni nei settori della “tutela della salute”, della “tutela del lavoro”, dell’“istruzione”, della “formazione professionale”, del “governo del territorio”, con riferimento all’edilizia residenziale pubblica, e dell’”assistenza sociale”, nonché sulle corrispondenti funzioni amministrative regionali e locali”. Secondo la Corte costituzionale, di fronte al d.l. 113/2018, il quale è un atto normativo a contenuto differenziato, la ridondanza del vizio sulle competenze regionali e locali avrebbe dovuto essere argomentata dai ricorrenti in relazione allo specifico contenuto normativo del decreto e alla idoneità dello stesso a obbligare le Regioni a esercitare le proprie attribuzioni in conformità a una disciplina legislativa statale in contrasto con norme costituzionali. Per tali ragioni, la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni. Per un’analisi della sentenza e per un approfondimento sul tema della “ridondanza”, si veda Padula C. (2019), Le decisioni della Corte costituzionale del 2019 sul decreto sicurezza, in:www.forumcostituzionale.it, 29 agosto 2019.

 

[30] Il rinvio è alle competenze in materia di sanità, istruzione, formazione professionale e politiche sociali.

 

[31] Quanto alle funzioni del servizio di iscrizione anagrafica, si rinvia a Salvi E. (1921), Domicilio (Residenza, Dimora), in Enciclopedia Giuridica Italiana, volume 4, Parte 4, pp. 574-610, in cui si afferma “Il Comune, o municipio, ente che impersona la collettività di (…) famiglie, registra ogni cambiamento che accade nella vita; e così con l’anagrafe statistica tiene il novero di tutti i domiciliati o residenti nel Comune”. Su questo tema, si rinvia, inoltre, a P. La Cannare (1987), Anagrafe della popolazione, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Vol. V, Torino, Utet, pp. 260-262. L’Autore afferma che la funzione dell’anagrafe della popolazione è quella di registrare le persone residenti in un Comune sia come singoli sia come componenti di una famiglia o di una convivenza. La registrazione anagrafica permette, inoltre, di conoscere le variazioni che si verificano nella popolazione comunale in seguito a nascite, morte, matrimoni, immigrazioni ed emigrazioni.

 

[32] Il carattere peculiare dell’anagrafe è costituito dalla registrazione dinamica degli avvenimenti che riguardano tutti i residenti del Comune. In ciò, si ravvisa la principale distinzione con il censimento, il quale fornisce un’informazione statistica, cogliendo esclusivamente gli aspetti della popolazione in un preciso momento. In tema di differenze tra anagrafe e censimento, si rinvia a Moretti M. (2018), I Pilastri del nuovo Censimento Permanente e alcune riflessioni, in Servizi Demografici, pp. 10.

 

[33] A questo proposito, si rinvia a Morozzo Della Rocca P. (2003), Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche, cit., pp. 1-30.

 

[34] Sul punto si richiama, inoltre, Corte cost., 6 agosto 2008, n. 33.

 

[35]In riferimento al concetto di cittadinanza amministrativa, si rinvia a Pugliese F. (1996), Scritti recenti sull’amministrazione “consensuale”: nuove regole, nuove responsabilità, Napoli, Università, Gallo C. E. (2002), La pluralità delle cittadinanze e la cittadinanza amministrativa, in Diritto Amministrativo, 481- 490, Cavallo Perin R. (2004), La configurazione della cittadinanza amministrativa, in Diritto Amministrativo, 201-208.

 

[36] La residenza costituisce “il principale criterio di collegamento tra cittadino e territorio”, rappresentando il presupposto per il soddisfacimento, la promozione e la salvaguardia di bisogni relativi alla tutela della persona umana. In questi termini, si rinvia a Fasano P., L’iscrizione anagrafica: una via crucis per i richiedenti asilo, in Curi F. (a cura di), Il decreto Salvini, Pacini editore, 2018, 171-181.

 

[37] In questo senso, è sufficiente pensare, a titolo esemplificativo, all’ottenimento della patente di guida, la quale, ex art. 116 del Codice della Strada, è rilasciata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a soggetti che hanno la residenza in Italia. È, quindi, evidente che interpretare l’art. 4, co. 1 bisd. lgs. 142/2015 a favore della esclusione dei richiedenti asilo dall’acquisizione dello status di residente significherebbe compromettere l’esercizio di una libertà fondamentale quale quella di circolazione riconosciuta sia dall’art. 16 della Costituzione, sia dall’art. 2 del Protocollo CEDU, sia dall’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Per un approfondimento della questione, si rinvia a Gargiulo E., Maiorca A. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto di iscrizione anagrafica, cit., 50 e s. Pare, tuttavia, opportuno rilevare che l’iscrizione anagrafica non sempre è un requisito essenziale per accedere a taluni diritti e servizi. Ne sono un esempio l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, l’accesso alle scuole e l’apertura di un conto corrente. In questo senso, si rinvia a Long J., Albano S., L’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: il Tribunale di Bologna fa luce sulle ombre del “decreto sicurezza”, cit., e a Consoli D., Zorzella N. (2019), L’iscrizione anagrafica e l’accesso ai servizi territoriali dei richiedenti asilo ai tempi del salvinismo, in Diritto senza confini¸8 gennaio 2019 ove si ricorda il disposto del TU immigrazione, d.lgs 286/98, art. 34, co. 1 secondo cui gli stranieri regolarmente soggiornanti “per richiesta di asilo” hanno l’obbligo di iscrizione al SSN.