Rassegna 2019-2020 (3 – 2019)
OSSERVATORIO CORTE COSTITUZIONALE (PIEMONTE)
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI RINUNCIA AL RICORSO DOPO LA MODIFICA DELLE NORME DI BILANCIO RIGUARDANTI LA RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE DI FINPIEMONTE S.p.A.
(Corte costituzionale, ord. 31 maggio 2019, n. 136, Pres. Lattanzi, Red. Carosi)
Con l’ordinanza in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato l’estinzione del processo incardinato in via d’azione ex art. 127 Cost. dal Presidente del Consiglio dei Ministri, a seguito della rinuncia da parte di questi e della sua accettazione da parte della Regione Piemonte. Il ricorso era stato promosso in riferimento agli artt. 119 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione ‒ quest’ultimo in riferimento agli artt. 42, 44 e 45 e ai punti 1 e 5 dell’allegato 4/2 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42) rispetto all’art. 22, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Piemonte 29 giugno 2018, n. 7 (Disposizioni urgenti in materia di bilancio di previsione finanziario 2018-2020).
A giudizio del ricorrente, infatti, l’art. 22 della legge impugnata, al comma 1 autorizzava la Giunta a trasferire dallo stato patrimoniale di Finpiemonte S.p.A. a quello della Regione crediti per un valore massimo di € 52.000.000,00,derivanti da un finanziamento erogato originariamente dalla B.E.I. Al riguardo si evidenziava, innanzitutto, che il subentro dei crediti era avvenuto senza dare evidenza di un atto o documento che giustificasse tale operazione contabile. Ma quel che più rilevava era il fatto che la disposizione di legge impugnata comportasse il trasferimento in capo alla Regione di rilevanti debiti di Finpiemonte S.p.A., operazione in contrasto con la disciplina dei limiti di indebitamento di cui all’art. 119 della Costituzione, la quale autorizzagli enti territoriali a contrarre debito, ma «solo per finanziare spese di investimento». Ma le disposizioni de quibus sarebbero risultate anche in contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. e) Cost. in relazione agli articoli 42, 44 e 45 nonché al punto 1 e al punto 5dell’allegato 4/2 del decreto legislativo n. 118/2011, considerati parametri interposti nel giudizio di costituzionalità. Esse avrebbero, infatti, evitato che tale operazione patrimoniale transitasse nella contabilità finanziaria in uso presso gli enti territoriali, tale per cui vi sarebbe dovuta essere una regolarizzazione contabile, costituita da impegni per concessione di crediti a favore di Finpiemonte S.p.A. cui far corrispondere accertamenti di pari importo per accensione di prestiti nei confronti di Finpiemonte S.p.A. e da mandati versati in quietanza di entrata nel bilancio dell’amministrazione stessa. Inoltre, la Regione avrebbe previsto l’iscrizione delle entrate derivanti dai crediti tra le entrate correnti e le corrispondenti spese relative al pari rimborso verso Finpiemonte S.p.A. tra le spese correnti,secondo un piano che avrebbe previsto l’estinzione dei crediti e dei debiti nel 2028. In altre parole, la classificazione contabile non seguiva la natura dei crediti e dei debiti che avrebbero dovuto portare la Regione a classificarle tra le entrate da riduzione di attività finanziarie) e tra le spese per rimborso prestiti. In questo modo, la Regione avrebbe leso le regole costituzionali in materia di classificazione delle entrate e classificazione delle spese di cui al menzionato decreto legislativo n. 118/2011. In questo modo, la Regione avrebbe violato anche il punto 5 dell’allegato 4/2 il quale prevede che «Il sistema di bilancio deve essere comprensibile e deve perciò presentare una chiara classificazione delle voci finanziarie, economiche e patrimoniali». Del pari, analoghe violazione dell’art. 117, co. 2, lett. e) potevano essere individuate a partire dal comma 2 del medesimo art. 22 il quale autorizzava la Giunta a ridurre il capitale sociale di Finpiemonte S.p.A. di 200 milioni di euro e di disporre, al comma 3, l’iscrizione di tale importo tra le entrate in conto capitale vincolato al rifinanziamento per pari importo di stanziamenti di spesa relativi a leggi regionali precedenti. Così facendo, la legge regionale avrebbe attribuito un vincolo di destinazione all’entrata straordinaria di 200 milioni di euro di cui si discute in contrasto con l’art. 42, co. 5 del decreto legislativo succitato. Nel complesso, tali disposizioni violavano poi anche direttamente l’art. 117, co. 2 lett. e) Cost. dal momento che la potestà legislativa in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici spetta esclusivamente allo Stato e non alla Regione.
Con l’art. 1 della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2018, n. 17, recante: «Modifiche alla legge regionale 29 giugno 2018, n. 7 (Disposizioni urgenti in materia di bilancio di previsione finanziario 2018-2020)» la norma impugnata veniva sostituita in modo da rendere il quadro normativo-contabile regionale conforme alle regole fissate dal d.lgs. n. 118/2011. Pertanto, il Presidente del Consiglio dei Ministri rinunciava al ricorso [G. Boggero]
LA GIUNTA REGIONALE PUÒ LEGITTIMAMENTE ADOTTARE UN PROVVEDIMENTO IN ORDINE ALLE SPECIE CACCIABILI E AI PERIODI DI CACCIA
(Corte costituzionale, sent. 10 luglio 2019, n. 171, Pres. Lattanzi, Red. De Pretis)
Con la pronuncia in oggetto è stato definito il giudizio di legittimità costituzionale relativo agli artt. 6, comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l) e s),Cost., promosso in via principale dal Governo.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri lamentava anzitutto l’illegittimità dell’art. 6, comma 7, come risultante dal testo vigente al momento del ricorso, a norma del quale: «Il proprietario o il conduttore di un fondo che intende vietare sullo stesso l’esercizio dell’attività venatoria inoltra al Presidente della provincia e al sindaco della Città metropolitana di Torino e, per conoscenza all’ATC o CA di competenza, una richiesta motivata che, ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in assenza di risposta entro i termini ivi contenuti si intende accolta. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le modalità di esercizio del presente divieto, compresa l’apposizione, a cura del proprietario o del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il perimetro dell’area interessata». Secondo il ricorrente, tale disposizione si sarebbe posta in contrasto sia con la normativa civilistica dettata dall’art. 842 del codice civile, sia con gli artt. 15, comma 3, della legge n. 157 del 1992 e 20 della legge n. 241 del 1990 per quanto concerne la disciplina del silenzio-assenso dalla quale sarebbe esclusa la materia ambientale. Altro profilo di contestazione da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato riguardava la mancata previsione di un termine di presentazione della richiesta del provvedimento di divieto di caccia su un certo fondo, in asserito contrasto con il citato art. 15 della legge n. 157 del 1992, il quale impone al proprietario di chiedere la chiusura del fondo «entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio».
In relazione all’art. 13, comma 1, della legge Reg. Piemonte n. 5 del 2018, il Presidente del Consiglio dei Ministri lamentava, poi,la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di tutela dell’ambiente attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost. per quanto concerne l’adozione da parte della Giunta regionale del calendario venatorio e delle disposizioni relative alla stagione venatoria. Secondo il ricorrente, la norma impugnata «in assenza di una disposizione espressa che specifichi […] le modalità per la individuazione delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di attribuzione di un potere incondizionato di gestione del patrimonio faunistico regionale vanificando la pianificazione faunistico-venatoria regionale che costituisce componente essenziale della protezione nazionale ambientale».
Con riferimento alla prima delle questioni sollevate, la Regione Piemonte, nelle more del giudizio, ha eliminato il censurato meccanismo del silenzio-assenso sostituendolo con una nuova disposizione (l’art. 141 della legge della Regione Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19) la quale, rimandando all’art. 2 della legge 241/1990, impone il dovere di conclusione del procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso entro trenta giorni, se non diversamente stabilito. Sul punto la Corte, nel prendere atto della rinuncia parziale al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri limitatamente alla disposizione concernente l’art. 6, comma 7, della cit. legge, conclude con una dichiarazione di cessazione della materia del contendere, stante la modifica satisfattiva operata dallo ius superveniens.
Per quanto concerne invece la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), il Giudice delle leggi conclude con una pronuncia di inammissibilità per carenza di motivazione, in quanto: «il ricorrente, (…) non spiega in alcun modo per quale ragione la norma censurata interferirebbe con la materia dell’ordinamento civile». Nel caso di specie parrebbe, comunque, difficile ravvisare una lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, per ragioni analoghe a quelle esplicitate in relazione all’ultimo punto. Infatti, con riferimento all’asserito contrasto della suddetta norma con l’art. 117, secondo comma, lettera s) la Corte, pur riconoscendo sufficientemente motivate le ragioni della censura, conclude con una dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale posta alla sua attenzione. La tesi avanzata dall’Avvocatura Generale dello Stato, secondo la quale alla Giunta regionale piemontese sarebbe stato attribuito un «potere incondizionato» di determinazione delle specie animali cacciabili, al di là di quanto consentito in sede di determinazione del calendario venatorio, con un conseguente possibile aumento ingiustificato delle stesse, viene smentita – secondo la Consulta – dalla stessa previsione contenuta nella norma censurata, la quale prescrive espressamente «il rispetto dell’art. 18 della legge 157/1992». Secondo consolidata giurisprudenza della Corte,infatti, l’art. 18 della legge n. 157 del 1992 ha «natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale, in quanto indica il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il cui rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale» e «contempla appositi elenchi nei quali sono individuate le specie cacciabili, i relativi periodi in cui ne è autorizzato il prelievo venatorio, nonché i procedimenti diretti a consentire eventuali modifiche a tali previsioni» (sentenze n. 536 del 2002, n. 227 del 2003 e n. 233 del 2010). Operando esplicitamente il suddetto rimando, la Regione Piemonte ha dunque agito legittimamente, senza invadere la sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente. Infatti l’adozione del provvedimento da parte della Giunta regionale riguardante il calendario venatorio e le disposizioni relative alla stagione venatoriaconcernenti: a) le specie cacciabili e i periodi di caccia, b) le giornate e gli orari di caccia, c) il carniere giornaliero e stagionale, d) i giorni da destinare, per tutto il territorio regionale, alla caccia programmata, e) i periodi e le modalità di allenamento degli ausiliari, potrà avvenire solo ed esclusivamente entro i limiti dettati dall’art. 18 della citata legge. Ne consegue,pertanto, una dichiarazione di non fondatezza della questione in relazione alla materia “tutela dell’ambiente”,in ragione del fatto che è proprio la norma censurata a prevedere chela Giunta regionale, nel modulare il periodo di caccia di determinate specie, si debba attenere ai limiti dettati dalla normativa statale di riferimento la quale, peraltro, consente alle Regioni di operare una deroga ai termini in essa contenuti «per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali». Proprio in relazione a quest’ultimo punto, la Corte ricorda di essersi recentemente espressa con la sentenza n. 7 del 2019 e di aver fatto salve norme di legge piemontesi che vietano la caccia di alcune specie considerate invece cacciabili dalla legge n. 157 del 1992, riconoscendo alla Regione Piemonte una «tradizione normativa […] da tempo connotata da previsioni notevolmente più rigorose rispetto a quelle della legislazione statale». (sulla quale si veda: S. Gimigliano, Le recenti statuizioni della Corte costituzionale sulla caccia. A margine delle sentenze Corte cost. nn. 7/2019, 10/2019 e 16/2019, Il Piemonte delle Autonomie, n. 1/2019). La sentenza in esame si pone, quindi, nel solco di una ormai consolidata giurisprudenza costituzionale che consente alle Regioni di legiferare in materia di caccia, purché si rispetti la soglia minima di tutela della fauna selvatica o, ancor meglio, si operi nella direzione di un legittimo incremento della protezione minima stabilita dalla legislazione statale. [M. Calvo]