I controlli interni negli enti locali a vent’anni dalla revisione del Titolo V
Roberta Lombardi[1]
Sommario: 1. Introduzione: tratti di penna e biblioteche al macero? – 2. Breve ricostruzione dell’evoluzione della disciplina dei controlli interni negli ultimi vent’anni. – 3. Considerazioni conclusive: la persistente centralità del tema, fra assenza della cultura del risultato e sistemi di autoregolazione responsiva. – 4. Appendice.
1. Introduzione: tratti di penna e biblioteche al macero?
Ringrazio gli organizzatori del Convegno per l’opportunità di partecipare a questo interessante confronto comparatistico sul sistema dei controlli interni e il ringraziamento è doppio perché è stata anche l’occasione per riportare l’attenzione su uno dei miei primi temi di interesse scientifico, a cui sono in qualche modo affezionata, se non altro perché ha costituto oggetto dello studio monografico con cui si è avviata la mia carriera accademica.
La prima riflessione che mi è venuta spontanea è stata quella di verificare se, anche in questo caso, potesse ritenersi valido il celebre aforisma di Kirchmann, coniato durante la metà dell’Ottocento, secondo cui basta un tratto di penna del legislatore per mandare al macero intere biblioteche. Il mio primo approccio, quindi, alla preparazione di questa relazione, è stato “di verifica”, ossia di vedere quanto di quelle riflessioni contenute in uno studio di ormai quasi vent’anni fa, che aveva proprio ad oggetto il tema dei controlli interni, potesse essere ancora considerato attuale e riproponibile nelle riflessioni odierne.
2. Breve ricostruzione dell’evoluzione della disciplina dei controlli interni negli ultimi vent’anni.
Le riforme sono state numerose – di cui a breve dirò – soprattutto a partire dalle leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione. Tali leggi costituzionali, nel comportare una profonda rivisitazione dei rapporti Stato-Regioni ed enti locali, hanno direttamente toccato la sfera dei controlli abrogando, come è noto, l’art. 125, co. 1 e l’art. 130, e segnando di fatto la scomparsa dei controlli-tutela nei confronti di regioni ed enti locali (che prevedevano specularmente un controllo preventivo di legittimità da parte di un organo dello stato sugli atti amministrativi regionali, e uno analogo della Regione, sugli atti delle province, comuni e degli altri enti locali), sono andate tutte nel segno di recupero di efficienza, celerità ed economicità dell’azione amministrativa che si doveva tradurre – sul piano dei controlli – nella considerazione di un sistema di valutazioni improntato alla cultura del risultato. A verifiche, cioè, che avessero ad oggetto l’attività dell’amministrazione nel suo complesso gestionale, più che alla verifica formalistica del rispetto della legittimità dei singoli atti.
La celebre, provocatoria, ma efficace metafora utilizzata da S. Cassese (I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, in Corr. Giur., 1993) secondo cui «i controlli formalistici e minuti sono delle ragnatele che servono per irretire i moscerini, ma inutili per catturare gli avvoltoi» rende bene l’idea di fondo che ha costituito il punto di partenza per stravolgere un sistema ancorato a verifiche preventive di riscontro della legittimità formale dei provvedimenti per arrivare ad un controllo di tipo diverso, non più esterno, all’ente in grado di sospendere l’efficacia degli atti fino alla verifica, ma interno e concomitante al farsi dell’azione amministrativa, collaborativo quasi che dovesse partecipare della stessa funzione di amministrazione attiva, almeno secondo il disegno teorico del legislatore riformatore che lo ha concepito nel dl.gs 286/99.
Perché il sistema italiano – fu evidenziato allora – soffre d’un male atavico, su cui già puntava l’indice il Rapporto Giannini sui principali problemi dell’amministrazione del 1979: lo scarto tra il diritto e il fatto, tra il quadro formale delle regole e la loro applicazione materiale.
Giannini definiva i controlli un “argomento dolente” riconoscendo i limiti derivanti dal loro essere costituzionalmente “inchiodati” dagli articoli 100, 125 e 130 Cost. che codificavano e imponevano l’antiquata figura del controllo preventivo di legittimità su atti; del pari, evidenziava come istanze di modifica dei controlli provenissero dalla stessa Corte dei conti la quale si era più volte espressa in favore della limitazione del controllo preventivo e per l’introduzione di controlli successivi valutativi dei risultati dell’attività amministrativa, più che di singoli atti.
Le conseguenze di questa situazione erano, a loro volta, paradossali: da una parte, si contestavano i controlli in quanto troppi e troppo asfissianti; dall’altra, si assisteva ad una crescente domanda di controlli, intesi come strumento per arginare la corruzione degli amministratori, aumentare la trasparenza dell’amministrazione, assicurare la corretta gestione delle pubbliche risorse.
Dal d.lgs n. 286/99, esteso agli enti locali dall’art. 147 del T.U.E.L. che scompone la nozione di controllo interno in quattro differenti funzionalità che le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia, sono tenute ad effettuare, si è passati poi alle integrazioni del d.lgs 150/2009, nel quale sostanzialmente la valutazione della dirigenza viene sostituita dalla misurazione e valutazione della performance individuale; vengono istituiti gli Organismi indipendenti di valutazione della performance (Oiv), previsti in sostituzione dei servizi di controllo interno, di cui al d.lgs. 286/1999, con funzioni di valutazione e controllo strategico.
Il d.lgs. 150/2009, c.d. legge Brunetta (art. 3) stabiliva che ogni amministrazione è tenuta a misurare e a valutare la performance con riferimento alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola, e ai singoli dipendenti. Il presupposto di partenza è che il risultato del singolo dipendente (performance individuale) condizioni il risultato dell’amministrazione nel suo complesso (performance organizzativa) e, dunque, il servizio reso alla collettività degli utenti, sotto il profilo della massimizzazione della produzione, dato il vincolo di risorse disponibili. Infatti, il perseguimento del (buon) risultato deve avvenire senza aggravio di costi e le amministrazioni interessate devono utilizzare, a tal fine, le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. Il monitoraggio della performance si svolge secondo quanto dettato dall’art. 6 del d.lgs de quo: gli organi di indirizzo politico amministrativo, con il supporto dei dirigenti, verificano l’andamento della performance rispetto agli obiettivi enunciati dalla disciplina, durante il periodo di riferimento e propongono, ove necessario, interventi correttivi in corso di esercizio. A tal fine, si avvalgono delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nell’amministrazione. La finalità correttiva costituisce l’essenza del monitoraggio della performance e si attiva quando, attraverso il controllo concomitante, sia diagnosticabile uno scostamento del risultato conseguito rispetto all’obiettivo prefissato.
Su questo quadro interviene poi la c.d. riforma Madia (d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74) che mantiene inalterati molti dei caratteri del controllo interno delineato dalla legge Brunetta:
a) rimane ferma l’impalcatura generale del ciclo di gestione della performance e, in modo particolare, i suoi principi generali (art. 1, art. 2 e, in larghissima misura, art. 3), nonché l’articolazione del ciclo in fasi (programmazione, allocazione, misurazione, valutazione, rendicontazione, ai sensi dell’art. 4);
b) persiste l’attenzione alla qualità degli obiettivi, da formulare secondo determinati criteri (comma 2, art. 5);
c) permangono il Piano, il Sistema, la Relazione (artt. 10 e 7), ossia l’intero corredo della documentazione strategico-gestionale;
d) resiste la distinzione tra la performance organizzativa (art. 8) e quella individuale (con alcune importanti novità nei contenuti dell’art. 9);
e) persiste l’Oiv (art. 14), sebbene con modifiche abbastanza rilevanti in termini di poteri e di indipendenza;
f) viene conservato il titolo III, dedicato al merito e ai cc.dd. “premi”.
Passando invece alle principali novità, esse riguardano, in estrema sintesi, gli obiettivi c.d. “generali”: il rafforzamento dell’indipendenza dell’Oiv, la rilevanza della performance organizzativa, l’adozione del Piano, la partecipazione della collettività alle attività di valutazione. L’ultima tappa è rappresentata dal recentissimo c.d. decreto legge Reclutamento, che all’art. 6, introduce un nuovo strumento: il Piano integrato di attività e organizzazione chiamato a definire, su base triennale e con aggiornamento annuale, diversi profili di interesse dell’attività e dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, tra cui gli obiettivi programmatici e strategici della performance, secondo i principi e criteri direttivi di cui all’articolo 10, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, stabilendo il necessario collegamento della performance individuale ai risultati della performance organizzativa. Per gli enti locali si stabilisce che, ferme restando le previsioni di cui all’articolo 169, comma 3-bis,) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la Relazione sulla performance (di cui al comma 1, lettera b)), può essere unificata al rendiconto della gestione.
A conferma della centralità del tema del controllo, l’articolo 6, comma 3, del DL 80/2021, prevede che «l Piano definisce le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione dell’utenza mediante gli strumenti di cui al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché del monitoraggio dei procedimenti attivati ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198».
3. Considerazioni conclusive: la persistente centralità del tema, fra assenza della cultura del risultato e sistemi di autoregolazione responsiva.
Per concludere: in un bell’articolo intitolato La semplificazione complicante di qualche anno fa, Michele Ainis, pur non avendo come riferimento preciso l’ambito dei controlli, ma in genere il tema delle semplificazioni, come rivela il titolo del suo articolo, faceva alcune considerazioni che possono a mio avviso certamente valere anche sul sistema dei controlli interni. Il fatto, cioè, che si intervenga in più occasioni e in tempi diversi a ri-disciplinare sempre gli stessi istituti, a ritoccare continuamente un sistema, puntellandolo di norme nuove che ridisegnano il contenuto di certi istituti: non è un buon segno. Significa non solo che l’ordinamento ravvisa in quelle norme un problema, ma anche, e forse ancor peggio, che quel problema, visto che il legislatore vi ritorna sistematicamente negli anni, non è stato ancora risolto.
I controlli interni non sono riusciti, complessivamente, ad incidere positivamente e in modo significativo sull’operato delle amministrazioni, per una pluralità di cause riconducibili, essenzialmente, all’assenza di una cultura del risultato. Perché – sempre per continuare nella provocazione – a me sembra che gli avvoltoi godano ancora di ottima salute.
In termini molto sintetici, la questione della legalità e dell’efficienza dell’amministrazione, che si tengono insieme in quel concetto di corruzione grigia delineato da Bernardo Mattarella nel volume Le regole dell’onestà e che vede delinearsi nelle ipotesi di maladministration forme di corruzione e spreco di denaro pubblico altrettanto insidiose se non più insidiose di quelle tipizzate nei reati contro l’amministrazione pubblica, sembra tutt’altro che risolta, al punto che per arginare il problema si è ricorsi a costringere le amministrazioni a lavorare dal basso. Negli ultimi anni, infatti, il legislatore si è limitato a svolgere il ruolo di architetto delle scelte dell’amministrazione, organizzando la cornice di contesto nella quale le pubbliche amministrazioni sono chiamate a dotarsi di modelli organizzativi virtuosi funzionali al miglioramento dell’attività in termini di buona amministrazione e a condotte anti corruttive.
Si è sentito parlare negli ultimi tempi di spinta gentile del diritto, pungoli di contesto che in questo caso sono volti a responsabilizzare le amministrazioni: si è parlato infatti di autoregolazione responsiva sia con riferimento ai piani preventivi per la corruzione, sia modelli organizzativi di gestione ex 231, ove ovviamente applicabili solo a certi tipi di amministrazione, a cui si chiede di fare ciò che i controlli interni non sono stati capaci di realizzare.
4. Appendice.
1. Per assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso, le pubbliche amministrazioni, con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con più di cinquanta dipendenti, entro il 31 gennaio di ogni anno adottano il Piano integrato di attività e organizzazione, nel rispetto delle vigenti discipline di settore e, in particolare, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e della legge 6 novembre 2012, n. 190.
2. Il Piano ha durata triennale, viene aggiornato annualmente e definisce: a) gli obiettivi programmatici e strategici della performance secondo i principi e criteri direttivi di cui all’art. 10 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
Al fine di semplificare l’adozione in concreto del Piano è prevista la definizione di un “Piano tipo”. Alla relativa predisposizione è chiamato il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, entro il medesimo termine indicato al comma 4 dell’articolo 6 qui in commento previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. All’interno del Piano tipo devono essere previste «modalità semplificate per l’adozione del Piano […] da parte delle amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti» (articolo 6, comma 6, DL 80/2021).
Il chiaro riferimento alla necessità di individuare delle modalità semplificate di costruzione del Piano, per le amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti, lascia intendere che, sebbene non obbligate, queste ultime possano comunque autodeterminarsi nel senso di adottare tale nuovo strumento di programmazione.
Un tratto peculiare dell’odierno Piano è senza dubbio il suo carattere integrato, sia nel senso, come sopra indicato, di una evidente eterogeneità dei contenuti, sia soprattutto nel senso che, attraverso lo stesso, si vuole realizzare una vera e propria “concentrazione” di piani, programmi e previsioni, già disciplinati da altre normative di settore.
Depongono in questo senso le previsioni contenute al comma 5, dell’articolo 6, del DL 80/2021, secondo le quali «[e]ntro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, con uno o più decreti del Presidente della Repubblica, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati e abrogati gli adempimenti relativi ai piani assorbiti da quello di cui al presente articolo».
Come per ogni altro strumento di programmazione, anche per il Piano de quo, fisiologica e vitale è l’esigenza di prevedere modalità e forme di verifica e monitoraggio dell’attuazione degli obiettivi in esso individuati. Infatti, solo grazie ad esse è possibile valutare la congruità delle azioni messe in campo e, all’occorrenza, ponderare la necessità di misure correttive.
Un’esigenza questa che è particolarmente evidente laddove, come nel nostro caso, lo strumento di programmazione presenti un’architettura pluriennale con aggiornamento annuale.
A conferma della centralità del tema del controllo, l’articolo 6, comma 3, del DL 80/2021, prevede che «l Piano definisce le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione dell’utenza mediante gli strumenti di cui al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché del monitoraggio dei procedimenti attivati ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198».
Dunque, in buona sostanza, ciascun Piano deve prevedere le modalità di monitoraggio periodico dello stato di attuazione degli interventi e delle azioni programmate. Si tratta, con ogni evidenza, di un contenuto obbligatorio. Vista l’ampiezza della norma qui richiamata è facile ritenere che, dalla redazione del Piano tipo, potranno derivare indicazioni di maggior dettaglio sul punto.
Dal canto suo il legislatore si limita a richiamare l’attenzione su alcuni strumenti di rilevazione quali, quello afferente alla soddisfazione dell’utenza, previsti dal D. Lgs. n. 150/2009 e quello afferente al monitoraggio dei procedimenti attivati ai sensi del D. Lgs. 198/2009.
La mancata adozione del Piano è sanzionata al comma 7, dell’articolo 6, del DL 80/2021, per il quale «trovano applicazione le sanzioni di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ferme restando quelle previste dall’articolo 19, comma 5, lettera b), del decreto-legge 25 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114».
Si tratta di un impianto sanzionatorio decisamente importante, tanto per le figure dirigenziali, quanto per la singola amministrazione pubblica inadempiente.
Infatti, è fatto divieto di erogare la retribuzione di risultato ai dirigenti che, per omissione o inerzia nell’adempimento dei propri compiti, abbiano concorso alla mancata adozione del Piano e, quanto all’amministrazione inadempiente, è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. Non solo, laddove la mancata adozione del Piano sia dipesa da omissione o inerzia dell’organo di indirizzo politico-amministrativo della singola amministrazione, l’erogazione dei trattamenti incentivanti e delle premialità è fonte di responsabilità amministrativa del titolare dell’organo che ne abbia dato disposizione e che abbia concorso alla mancata adozione del Piano (articolo 10, comma 5, D. Lgs. 150/2009).
A tutto ciò devono poi aggiungersi anche le sanzioni ex articolo 19, comma 5, lettera b), del Decreto Legge 25 giugno 2014, n. 90, espressamente fatte salve dalla norma.
La disciplina del Piano termina, infine, con una clausola di invarianza contenuta al comma 8, dell’articolo 6, del D. Lgs. 80/2021, in forza della quale «ll’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
Vengono introdotti strumenti per la pianificazione e il monitoraggio dei processi di innovazione organizzativa delle pubbliche amministrazioni. In particolare: ogni amministrazione sarà tenuta a presentare il “Piano”, “Piano integrato di attività e organizzazione”, un documento di programmazione unico che accorperà, tra gli altri, i piani della performance, del lavoro agile, della parità di genere, dell’anticorruzione. Restano esclusi dall’unificazione soltanto i documenti di carattere finanziario. I vantaggi: grande semplificazione e visione integrata dei progressi delle amministrazioni. Una sorta di “mappatura” del cambiamento che consentirà di realizzare un monitoraggio costante e accurato del percorso di transizione amministrativa avviato con il Pnrr. In Conferenza Unificata sarà approvata un’intesa sul modello standard di “Piano” e su un format semplificato per le amministrazioni sotto i 50 dipendenti. Coerentemente con l’approccio adottato per la governance del Pnrr, molte delle innovazioni del decreto legge poggiano su una forte collaborazione sia con le Regioni, le Province e i Comuni, che diventano protagoniste di alcuni passaggi cruciali (definizione dei requisiti per il reclutamento di tecnici ed esperti, dei criteri di allocazione dei 1000 esperti per la gestione delle procedure complesse, impostazione dei Piani delle PA) sia con i sindacati. Alla contrattazione si rinvia infatti per gli interventi sulla valorizzazione delle persone: la nuova area di inquadramento e il superamento dei tetti per i trattamenti accessori, misura chiave per potenziare la produttività nelle amministrazioni.
- Professoressa ordinaria di Diritto amministrativo presso l’Università del Piemonte orientale. ↑