Il Piemonte in epoca romana
Sergio Roda1
Il profilo antropico e degli insediamenti umani in Piemonte prima che Roma rivolgesse la sua attenzione al territorio subalpino e alpino occidentale permane ancora alquanto impreciso per assenza di adeguata documentazione. È certa la presenza di tribù celtiche e liguri, talora definite celtoliguri con una qualificazione di comodo ma di scarsa validità scientifica, le più consistenti delle quali ci sono note: a nord del Po i Salassi (stanziati in Valle d’Aosta e nelle valli canavesane settentrionali), i Taurini (in una vasta area di pianura parzialmente corrispondente all’attuale provincia di Torino), i Sallui o Libui (nel Vercellese), i Vertamacori (nel Novarese), e, a sud del Po, i Bagienni (nella vasta area corrispondente all’attuale territorio di Asti, Alba e Cuneo), gli Statielli (nel territorio di Acqui Terme), gli Epanteri Montani (stanziati nell’Alta Val Tanaro). Nessuno di tali raggruppamenti tribali, o civitates, come le definivano i Romani, tradusse mai il suo controllo territoriale in strutture istituzionali e amministrative stabili limitandosi a difendere fin dove possibile (è il caso ad esempio dei Taurini che si opposero invano alla discesa di Annibale in Italia nel 218 a. C.) il loro dominio e l’agibilità dei percorsi stradali funzionali alle loro modeste attività economiche. Per quanto ci è noto, dunque, il Piemonte preromano poteva considerarsi regione soltanto in senso fisico e geografico, era scarsamente popolato e privo di un’organizzazione politica di qualche consistenza e solidità. Forse anche per questo l’occupazione e la conquista romana del Piemonte fu assai più tarda rispetto alle altre zone dell’Italia settentrionale ove nel III secolo a. C. i Romani fondarono anche importanti colonie come Rimini, Cremona o Piacenza. Ancora all’inizio del II secolo, dopo il trauma della seconda guerra punica, si segnalano in territorio pedemontano soltanto interventi settoriali e contingenti e fino all’89 a. C. prevalgono da parte romana iniziative federative tese al controllo delle tribù autoctone attraverso la stipula di patti (foedera) che garantissero senza conflitti l’egemonia romana. Non tutto però si svolse pacificamente: numerosi furono anzi gli episodi di resistenza indigena, repressi violentemente dai Romani con massacri e deportazioni, concentrate soprattutto, ma non solo, nel Piemonte meridionale e in area ligure. Un primo stanziamento stabile romano sembra in ogni modo individuabile nel territorio compreso tra i fiumi Po, Tanaro e Stura ed ebbe come centro motore la città di Pollentia (Pollenzo): non ancora è chiaro, tuttavia, se tale insediamento possa risalire già alla prima metà del II secolo a. C. o se, come è più probabile, esso prenda consistenza assai più tardi, allorché nel 125 a, C, il console Marco Fulvio Fiacco, sostenitore degli ambiziosi progetti di riforma fondiaria dei Gracchi, favorì e promosse l’insediamento di coloni centro-italici facendo capo alla nuova colonia, testé fondata, di Dertona (Tortona), e promuovendo un’espansione a nord, in Monferrato e verso il Po. Risale in ogni caso all’ultimo quarto del II secolo a. C. una serie di importanti realizzazioni viarie e stradali accompagnate da interventi di centuriazione nelle campagne che non determinarono però un’immediata urbanizzazione dell’area piemontese. Oltre a Dertona, istituita nel 122 a. C., il II secolo exeunte conobbe soltanto un’altra colonia, Eporedia (Ivrea), fondata nel 100 a. C. per ragioni strategiche sia militari (imposte dalla opportunità di controllare il territorio dopo la temibile invasione dei Cimbri fermata l’anno precedente – 101 – da Caio Mario in area vercellese) sia economiche (salvaguardare l’attività da poco iniziata di sfruttamento sistematico delle miniere d’oro della Bessa eporediese-biellese, che si giovava di manodopera autoctona – i Salassi – di dubbia lealtà). Sulla soglia del I secolo a. C. siamo ancora lontani da una riorganizzazione territoriale e da una salda strutturazione amministrativa del Piemonte.
Una svolta significativa avvenne tuttavia nell’89 a.C. con la contemporanea emanazione della Lex Pompeia de Transpadanis e della Lex Plautia Papiria che concessero a tutte le comunità italiche, rispettivamente a nord e a sud del Po, il diritto latino di cittadinanza (ius Latii): fu il segnale concreto della volontà romana di consolidare la propria presenza anche nella regione pedemontana, volontà che fu ulteriormente incoraggiata quando le campagne di Giulio Cesare in Gallia resero impellente la necessità di rendere agibili in maniera permanente passi di transito alpini di più antica o più recente apertura, dal Monginevro (via ad Alpes Cotitias) al Gran San Bernardo (via ad Alpes Poeninas) e al Piccolo San Bernardo (via ad Alpes Graias). L’opportunità di organizzare un retrofronte sicuro per l’espansione territoriale in Gallia e nell’Europa Centrale, che era nei disegni di Cesare e poi di Augusto, fu anche il fattore principale del riordino di realtà urbane come Novaria (Novara) e Vercellae (Vercelli) convertite in municipi, o della fondazione di importanti colonie come Augusta Taurinorum (Torino) e Augusta Praetoria (Aosta), o dello sviluppo di piccole città dal grande peso strategico come Segusium (Susa); mentre a sud del Po le fondazioni urbane di Augusta Bagiennorum (Benevagienna) in età augustea e quelle precedenti di Alba Pompeia (Alba) e di Aquae Statiellae (Acqui) erano avvenute in continuità con i centri indigeni protourbani. Lungo i fondovalle alpini, infine, si stabilì una rete di piccoli centri, Forum Vibii Caburrum (Cavour), Forum Gema (—) (San Lorenzo di Caraglio), Pedo (Borgo San Dalmazzo) e forse una colonia lulia Augusta (Centallo), in larga misura corrispondenti alle stazioni di esazione della cosiddetta Quadragesima Galliarum, l’imposta del 2,5% sulle merci in transito da e per la Gallia Transalpina. Nel 49 a. C. tutte le colonie latine dell’area padana furono trasformate in municipi, e gli abitanti acquisirono la piena cittadinanza romana, mentre nel 42 a.C. la provincia della Gallia Cisalpina, nata nella prima metà del I secolo a. C. (forse attorno al 90/89 a. C.) e che comprendeva tutta l’Italia settentrionale fu abolita: si trattò di uno snodo fondamentale perché da quel momento anche il nord entrò a fare parte dell’Italia romana, secondo una concezione politico-amministrativa ma anche ideologica, ribadita da Augusto nel suo vasto piano di riforme, per cui l’intera penisola fino al confine della pianura con le Alpi veniva intesa come spazio sacro e inviolabile della città di Roma. Ciò non confliggeva con quello che rimaneva il cardine del sistema decentrato di governo dello stato romano e cioè l’autonomia cittadina. Le città, che coprivano con i loro territori senza soluzione di continuità l’intera superficie della repubblica imperiale, si autogovernavano in totale autonomia amministrativa e si regolavano secondo leggi municipali e istituzioni modellate sull’esempio delle istituzioni repubblicane di Roma, che l’avvento del principato di Augusto non aveva cancellato. I cittadini godevano nella loro città dei diritti civili sia attivi, sia passivi (ma per questi ultimi solo nel caso fossero in possesso del censo indicato dalla legge cittadina), e della doppia cittadinanza sia romana sia della civitas in cui vivevano. Se quindi erano di fatto esclusi dalla possibilità di influire sulle scelte generali del governo centrale di Roma, i cittadini esercitavano invece nella propria città un ruolo politico-partecipativo di grande rilievo. Le leggi del 49 e del 42 e gli ulteriori interventi di Augusto estesero tale regime (autonomia e autogoverno delle città, doppia cittadinanza per i cives) all’Italia settentrionale e quindi anche all’area subalpina di pianura. Com’è noto, per i Romani, le aree di montagna costituivano una realtà geopolitica a se stante e peculiare che andava trattata amministrativamente con altrettanta specificità: in conformità a tale concezione, ma anche di precise esigenze strategiche e di controllo di un territorio popolato da piccole ma bellicose tribù che avevano dato molto filo da torcere sia a Cesare sia allo stesso Augusto, l’imperatore suddivise l’arco alpino occidentale in distretti militari governati da prefetti, le Alpes Maritimae, le Alpes Cottiae e le Alpes Graiae e le Alpes Poeninae, che si estendevano sui due versanti fino allo sbocco in pianura delle valli. Le Alpes Cottiae ebbero un regime particolare in quanto sottoposteall’autorità del re segusino Cozio che, con il titolo praefectus civitatum, dalla capitale Segusium estese il suo dominio su quattordici tribù stanziate sui due versanti alpini e garantì la sicurezza dell’importantissima via del Monginevro: con una scelta tipica della flessibilità del dominio romano, a Cozio, e alla sua dinastia fino a buona parte del I secolo d. C., fu assicurata autonomia e continuità di potere sul nuovo distretto, pur sotto il controllo dell’autorità romana e svolgendo le sue funzioni come alto funzionario romano. Il Piemonte non montano, dal tempo di Augusto fino al III secolo d. C., rientrò nella suddivisione dell’Italia in undici Regiones,voluta appunto dal principe: la zona a nord del Po fu compresa nella Regio XI Transpadana che includeva anche parte della Lombardia settentrionale; la zona a sud del Po fu compresa nella Regio IX Liguria che includeva anche l’attuale Liguria. Peraltro la finalità della suddivisione in Regiones appare tuttora poco chiara: si trattò probabilmente di una articolazione territoriale che preludeva a una razionalizzazione del sistema fiscale e censitario, ma certamente le Regioni non operarono mai come enti politici o amministrativi dal preciso profilo istituzionale, né come organismi intermedi fra lo Stato e le città. Le città – per non citare che le principali in Piemonte: nella Regio XI, Augusta Taurinorum (Torino); Augusta Praetoria (Aosta); Eporedia (Ivrea); Vercellae (Vercelli) e Novaria (Novara); nella Regio IX, Alba Pompeia (Alba); Aquae Statiellorum (Acqui Terme); Augusta Bagiennorum (Benevagienna); Carreum Potentia (Chieri); Derthona (Tortona); Forum Fulvii (Villa del Foro); Hasta (Asti); Industria (Monteu da Po); Iria (Voghera); Libarna (Serravalle Scrivia); Pollentia (Pollenza); Vardacate (Casale Monferrato) – rimasero fino all’epoca tardoantica, per l’area pedemontana come per il resto della penisola italica, le uniche strutturate, istituzionalizzate, solide e dinamiche unità amministrative.
1 Professore ordinario di Storia romana presso l’Università degli Studi di Torino.