Weekend nei centri commerciali tra chiusure “giustificate” e decisione “posticipate”. Nota al decreto cautelare T.A.R. Piemonte n. 792/2020
Mario Calvo1
Sommario: 1. Premessa. – 2. I fatti di causa. – 3. Il bilanciamento di interessi e le questioni sottese. – 4. Il raffronto con altre pronunce di segno simile. – 5. Considerazioni conclusive.
1. Premessa.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Torino, prima sezione, si è trovato a esprimersi in merito al bilanciamento fra la tutela della salute, sia individuale sia pubblica, e il diritto alla libera iniziativa economica, in un contesto emergenziale caratterizzato dall’adozione di misure fortemente limitative di diritti e libertà fondamentali previste dalla Costituzione.
La pronuncia in commento si inserisce nel complesso dibattito sulla normativa emergenziale scaturito in seguito alla pandemia da Covid-19 e sembra essere soltanto l’ennesima goccia di un mare sempre più oscuro e burrascoso.
2. I fatti di causa.
Il TAR Piemonte, con decreto cautelare monocratico del 30 ottobre 2020, ha rigettato la domanda di concessione delle misure cautelari ex art. 56 c.p.a. proposta da alcuni centri commerciali e dalle relative associazioni di categoria nell’ambito di un ricorso per l’annullamento del Decreto del Presidente della Giunta Regionale del Piemonte del 26 ottobre 2020, n. 120, avente ad oggetto “Disposizioni attuative per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica. Revoca dei DD.P.G.R. n. 111 del 20 ottobre 2020 e n. 114 del 22 ottobre 2020”.
Nello specifico, la norma è stata impugnata nella parte in cui prevede che «nelle giornate di sabato e domenica è disposta la chiusura delle grandi strutture di vendita, di cui all’articolo 1, comma 1, lettera f, del d. lgs. n. 114/1998, superiori a metri quadri 1.500 nei Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti e superiori a metri quadri 2.500 per i Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, nonché dei centri commerciali, aventi la superficie di vendita della grande struttura di vendita, ivi inclusi gli esercizi commerciali a prescindere dalla loro superficie di vendita presenti al loro interno, fatte salve le strutture presenti in zone commerciali A1; sono fatti salvi la vendita di generi alimentari, di alimenti e prodotti per animali, di prodotti per l’igiene della casa e della persona, piante e fiori e relativi prodotti accessori, servizi alla persona, edicole e rivendite di monopoli, i pubblici esercizi e le stazioni di rifornimento carburanti, (…)».
I ricorrenti avevano impugnato tale ordinanza, previa richiesta di sospensione della sua efficacia, asserendo in particolare: a) il contrasto con il principio di libera iniziativa economica garantito dall’art. 41 Cost; b) il non rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità della misura; c) la grave e irreparabile lesione al settore del commercio. Secondo le dichiarazioni2 rese in una nota da uno dei principali ricorrenti – il Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali – tale provvedimento in primo luogo sarebbe stato adottato sottovalutando enormemente i danni all’economia nazionale e locale, stante i considerevoli cali di fatturato che avrebbe causato (stimati per ogni weekend in circa il 30% del fatturato settimanale) con evidenti ripercussioni sulle migliaia di posti di lavoro del settore. In secondo luogo sarebbe ingiustificato e sproporzionato rispetto alla sua ratio, considerando che i centri commerciali non solo operano nel rispetto dei protocolli emanati dal Governo e dalle Regioni, ma hanno anche elaborato, volontariamente con l’ausilio di esperti, protocolli specifici ancora più stringenti al fine di garantire un livello di sicurezza molto elevato sia per il pubblico che per il personale delle strutture commerciali. Inoltre tale misura graverebbe solo ed esclusivamente su una porzione di esercenti commerciali, determinando un maggiore rischio di affollamento presso quelli che vendono i medesimi prodotti e rimangono aperti. Infine una simile disposizione accentuerebbe ancor più le disparità di trattamento rispetto al settore delle vendite “on line”.
Argomentazioni prevalentemente di natura economica bocciate in toto dal Giudice amministrativo piemontese, il quale ha preliminarmente richiamato le fonti statali che legittimano la misura impugnata. Invero, l’art. 1 del decreto legge n 19/2020, convertito in legge n. 35/2020, dispone che «Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate (…) una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 gennaio 2021, termine dello stato di emergenza, e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus». Proprio il citato comma 2, al punto u) legittima l’eventuale «limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio, a eccezione di quelle necessarie per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità». Il successivo art. 3, comma 1, stabilisce poi che «nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (…) e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, (…) esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Successivamente il decreto legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito con modificazioni dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, all’art. 1, comma 14, ha confermato tale facoltà per le regioni, precisando che «le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità» e che in ogni caso «la Regione, informando contestualmente il Ministro della Salute, può introdurre misure derogatorie, ampliate o restrittive ulteriori rispetto a quelle di sopra elencate».
Secondo il TAR Piemonte affinché tale potere regionale possa essere legittimamente esercitato occorre la presenza di tre specifiche condizioni: a) gli interventi regionali devono essere destinati ad operare nelle more dell’adozione di un nuovo DPCM; b) detti interventi devono essere giustificati da situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario proprie della Regione interessata; c) le misure ulteriormente restrittive devono riguardare attività sociali e produttive esercitabili nella Regione.
Nella fattispecie in esame, a detta del TAR Piemonte, ricorrerebbero tutte le predette condizioni: le limitazioni non sarebbero in contrasto con il quadro normativo statale poiché non determinerebbero «un effetto distorsivo della libera concorrenza fra imprese che operano all’interno del medesimo segmento di mercato, dal momento che riguardano tutti gli esercizi commerciali con medesime caratteristiche»; esse non si porrebbero in contrasto con il quadro normativo statale dal momento che «è fondamentale che la popolazione eviti tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie»; tutto ciò tenendo conto che, al momento della pronuncia, il Piemonte aveva un «indicatore Rt pari a 2,15, con classificazione di rischio moderata per aumento di trasmissione, bassa per impatto di Covid-19 sui servizi assistenziali e con alta probabilità di progressione nel complesso». Proprio tale ultimo dato sarebbe stato dirimente in quanto avrebbe posto «la Regione Piemonte tra quelle a maggiore rischio della diffusione dell’epidemia, circostanza questa che giustificherebbe in ambito locale misure di contenimento più rigorose rispetto a quelle disposte in ambito nazionale».
Alla luce di queste brevi considerazioni il TAR Piemonte ha concluso che «con riguardo ai profili di danno grave ed irreparabile, nel bilanciamento degli interessi appare giustificabile il sacrificio imposto ai ricorrenti (come del resto anche ad altri titolari di attività commerciali) a tutela della salute pubblica che si pone nel rango dei diritti fondamentali ad un livello superiore a tutti gli altri» rigettando così la richiesta di concessione della misura cautelare di cui all’art. 56 c.p.a..
Successivamente al suddetto decreto presidenziale monocratico è stata fissata in camera di consiglio l’udienza pubblica di discussione per il giorno 27 gennaio 2020 quando, con molta probabilità, la normativa oggetto del giudizio avrà già esaurito i propri effetti e sarà stata superata da nuovi provvedimenti.
3. Il bilanciamento di interessi e le questioni sottese.
La vicenda in esame, oltre a suscitare un certo interesse mediatico, desta non poche perplessità sotto diversi profili giuridici. Anzitutto pare opportuna qualche riflessione circa il corretto bilanciamento degli interessi operato dal Giudice amministrativo piemontese. Come è stato evidenziato di recente da autorevole dottrina3 la Costituzione italiana, a differenza di quelle di altri paesi4, non contiene vere e proprie disposizioni che definiscono l’assetto e la distribuzione dei poteri per far fronte a situazioni emergenziali5; il fondamento costituzionale dell’emergenza è stato così individuato nel ragionevole bilanciamento tra i diritti e i doveri, nella consapevolezza della preponderanza dei tradizionali principi del primum vivere e della salus rei publicae6. Una complessa operazione ermeneutica nella quale diventa fondamentale la corretta applicazione del principio di precauzione, «elemento conformativo dell’intero modo di concepire il diritto costituzionale»7, nonché vera e propria stella polare del decisore pubblico nella pianificazione di risposte efficaci all’emergenza. Un elemento che dev’essere considerato anche alla luce del principio di proporzionalità, data «l’intima connessione»8 sussistente tra i due principi, più volte ribadita sia dalla giurisprudenza costituzionale9 sia da quella amministrativa10. Ai fini di una corretta applicazione del principio di precauzione risulta dunque indispensabile effettuare un test di proporzionalità, il quale si articola a sua volta su tre livelli di giudizio: idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto11. «Il primo valuta l’attitudine della misura adottata a realizzare gli obiettivi di interesse pubblico attesi; il secondo è volto ad accertare se la misura sia la meno lesiva di altri interessi in conflitto tra quelle astrattamente idonee a produrre il medesimo obiettivo pratico ed il terzo si sostanzia in una valutazione comparativa dei beni e degli interessi coinvolti dalla misura stessa»12. In relazione a quest’ultimo profilo tanto la giurisprudenza europea13 quanto quella costituzionale14 e amministrativa15 sono concordi nel ritenere che il test di proporzionalità «richieda di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi»16. Ne discende che «qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si dovrà ricorrere a quella meno gravosa» fermo restando, in ogni caso, che «gli inconvenienti causati non dovranno essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti»17.
Ciò premesso, occorre rilevare che, nella fattispecie in esame, tra i vari diritti oggetto del bilanciamento vi è il peculiare diritto alla salute, caratterizzato da una struttura dicotomica18 che «postula il necessario contemperamento del diritto del singolo (…) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività»19 e che dev’essere analizzato alla luce del complesso tessuto costituzionale in cui altri beni e interessi costituzionalmente protetti possono legittimamente limitarne la portata20. Non solo: alla complessità della predetta operazione va aggiunto un ulteriore elemento – che accomuna le moltissime pronunce sulla normativa emergenziale di questi ultimi tempi – consistente nell’elevato grado di incertezza della scienza21 nei confronti di un virus pressoché sconosciuto sino a dieci mesi fa. Invero, secondo il Consiglio di Stato «l’attuazione del principio di precauzione comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche»22. Ne discende che, se nel tempo ordinario l’incertezza del dato scientifico pervade il principio di precauzione e richiede «di adottare ogni cautela in vista di danni ipoteticamente possibili»23, in una fase emergenziale come quella che stiamo attraversando, essa può comportare «il sacrificio disproporzionale di interessi e valori stante l’urgenza di tutelare il bene ritenuto primario»24.
Alla luce di queste considerazioni, la pronuncia in esame non sembra affatto anacronistica; tuttavia, a parere di chi scrive, occorre evidenziarne talune criticità. Anzitutto l’interpretazione circa la preminenza del diritto alla salute fornita dal TAR Piemonte non sembra tenere conto della presenza di un’altra tesi ben consolidata, elaborata dalla dottrina25 e poi riprodotta – seppur in maniera non sempre fedele – dalla giurisprudenza costituzionale, in forza della quale la necessaria coesistenza di valori e principi su cui si fonda la Costituzione richiede che ciascuno di essi sia assunto in una valenza non assoluta, bensì compatibile con quelli con i quali deve convivere. Tesi consacrata dalla Consulta nella famosa sentenza n. 85 del 2013 sul caso Ilva, laddove è stato affermato che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono nel loro insieme, espressione della dignità della persona»26.
Pur non rientrando nelle finalità del presente contributo l’analisi dettagliata del vivace dibattito scaturito all’indomani della citata sentenza sul caso Ilva, che ha già trovato ampia trattazione da parte di autorevole dottrina27, occorre rilevare che una presa di posizione così tranchant come quella operata dal TAR Piemonte avrebbe dovuto essere suffragata, a parere di chi scrive, da un’esposizione ben più articolata del percorso logico-argomentativo sottostante, anziché limitarsi a una mera enunciazione di principio, facilmente contestabile nei termini sopra descritti.
4. Il raffronto con altre pronunce di segno simile.
Le criticità sin qui rilevate emergono con maggiore evidenza dal raffronto con un’altra pronuncia28 simile sia dal punto di vista del petitum sia del decisum. A distanza di pochi giorni infatti, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione III quater, ha respinto la domanda cautelare presentata dai legali di un noto centro commerciale nell’ambito di un ricorso per l’annullamento di un’ordinanza analoga emanata dal Presidente della Regione Lazio. Il TAR capitolino, pur restando entro i confini della cognizione presidenziale monocratica di cui all’art. 56 c.p.a. – ossia di una cognizione limitata alla sola valutazione della sussistenza del pregiudizio grave e irreparabile, con esame del merito riservato alla sede collegiale – ha fornito una motivazione ben più articolata e convincente. Il TAR Lazio ha mostrato anzitutto di tenere conto «dell’affermata tesi del giudice costituzionale sulla insussistenza di un interesse tiranno, vale a dire di un interesse che sia sempre e comunque prevalente sugli altri interessi in gioco, dovendosi invece valutare caso per caso quale esso sia alla luce delle circostanze» per poi giungere a stabilire che «la sezione, nella valutazione comparata del pregiudizio dedotto, di carattere economico e per definizione ristorabile, e di carattere sanitario, ha costantemente affermato la prevalenza dell’interesse pubblico alla tutela della salute». Secondo la ricostruzione del Giudice amministrativo regionale del Lazio «il fondamento comune, di tutti i provvedimenti – di natura e finalità diverse – sin qui adottati da autorità politiche governative, nazionali, territoriali e tecniche, è stato, ed è anche nel caso in esame, quello di assicurare, secondo il principio di massima precauzione, la salute dei cittadini, in quanto valore costituzionale primario e non negoziabile, tanto da comprimere – nei limiti e modi di volta in volta ritenuti indispensabili – anche l’esercizio di diversi diritti o libertà dei cittadini (…) e quindi il parametro cui la valutazione di legittimità (…) si deve conformare, non può che essere anzitutto il diritto alla salute». Proprio alla luce di tale diritto fondamentale devono essere necessariamente esaminate le ulteriori e diverse «posizioni di interesse e diritto anch’esse costituzionalmente rilevanti, quale la libera iniziativa economica privata in regime di piena concorrenza».
Pur giungendo alla medesima soluzione, la pronuncia del TAR Lazio pare dunque maggiormente condivisibile in quanto contraddistinta da argomentazioni che, seppur con i limiti imposti dalle regole processuali proprie della cognizione cautelare, hanno sviluppato in maniera chiara e lineare i vari passaggi del percorso logico-giuridico del decisore.
5. Considerazioni conclusive.
Da quanto ricostruito, risulta evidente la volontà di entrambi i TAR di privilegiare nettamente, in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti, il diritto fondamentale alla salute rispetto ad altri diritti di natura economica. Soluzione che, ad avviso di chi scrive, sembra tutt’altro che anacronistica: tra la scelta di mantenere chiusi i grandi circuiti di vendita al dettaglio durante il fine settimana e la maggior parte dei provvedimenti adottati da Stato e Regioni dall’inizio dell’emergenza a oggi, vi è un’idem ratio costituita dalla volontà di limitare il più possibile le occasioni di contagio in attesa di trovare cure adeguate contro il Covid-19.
Al contrario, una diversa soluzione – consistente nella concessione delle misure cautelari chieste dai ricorrenti – avrebbe determinato il rischio di un “assembramento di ricorsi” da parte di tutti quei soggetti economici di volta in volta colpiti dalle restrizioni. Decisioni di segno opposto, inoltre, avrebbero potuto rendere assai più difficoltosa, in futuro, l’adozione di analoghe misure di contrasto alla pandemia, con il risultato di esacerbare ancor più i già difficili rapporti tra Stato e Regioni e incrementare la situazione di forte stress che sta attanagliando l’intero sistema.
Dal confronto tra le due diverse pronunce dei Tribunali amministrativi regionali del Piemonte e del Lazio è tuttavia emerso che, onde evitare la possibile “tirannia” di un interesse costituzionalmente tutelato rispetto a tutti gli altri, è compito del buon decisore esplicitare compiutamente le ragioni di diritto sottese alle proprie decisioni, a maggior ragione nei casi in cui i giudizi vertano su provvedimenti destinati a esaurire la propria efficacia prima che si addivenga alla relativa pronuncia di merito. Alla luce di queste considerazioni pare dunque maggiormente condivisibile la soluzione prospettata dal TAR Lazio.
Sullo sfondo della questione restano i molteplici dubbi sul merito delle scelte operate dal Governo per fronteggiare questa c.d. “seconda ondata” pandemica. Infatti, se nella c.d. “fase 1” le numerose critiche «sull’opportunità che determinate decisioni pubbliche venissero assunte, sulla loro ragionevolezza, sulla loro pratica utilità e financo sulla loro concreta applicabilità»29 sono state in larga misura superate da uno spontaneo sentimento di adesione da parte dei consociati per fronteggiare una «minaccia esiziale e diffusa alla vita e alla salute individuale e collettiva»30, ora non è più così. Le ragioni di questo diverso atteggiamento da parte dei consociati sono svariate e spesso comprensibili: la popolazione dopo quasi un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, oltre all’immenso dramma che sta vivendo per i tanti lutti subiti, è sempre più sfibrata, lacerata dalle profonde disuguaglianze sociali e completamente disorientata di fronte al continuo protrarsi dell’emergenza. In un simile contesto è indispensabile che i governanti mettano in atto scelte largamente condivise dal corpo politico, razionali rispetto allo scopo, trasparenti, frutto di un dibattito pubblico serio, costruttivo e inclusivo.
Ancora una volta ci attende «un cammino aspro, irto di ostacoli»31 nel quale siamo chiamati a dare prova di essere quel «popolo probo ed eroico»32 al quale si rivolgevano le nostre madri e i nostri padri costituenti quando costruivano le fondamenta della res publica.
1 Dottorando di ricerca in Diritti e Istituzioni dell’Università degli Studi di Torino.
2 Chiusura centri commerciali e divieto di vendita dell’extra alimentare: un danno per il Paese, in www.repubblica.it, 4 dicembre 2020.
3 B. Caravita, L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, in www.federalismi.it, 18.3.2020. L’autore afferma che il bilanciamento tra diritti e doveri costituisce la prima chiave di lettura dell’equilibrio costituzionale, sottolineando che l’art. 2 Cost., a fianco del riconoscimento e della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, richiede «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». V. Baldini, Emergenza costituzionale e Costituzione dell’emergenza. Brevi riflessioni (e parziali) di teoria del diritto, in www.dirittifondamentali.it/, fasc. 1/2020, pp. 883 ss. (citando C. Mortati, voce Costituzione, in Enciclopedia del diritto, XI, Milano, 1962, p. 192) afferma che nella Costituzione si rivengono criteri e regole cogenti da osservarsi, rebus sic stantibus, nella gestione dell’emergenza, a partire dall’organo titolare dei poteri gestionali per finire all’osservanza del criterio di stretta proporzionalità nella sospensione delle tutele costituzionali. A. Venanzoni, L’innominabile attuale. L’emergenza Covid-19 tra diritti fondamentali e stato di eccezione, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 1/2020, pp. 490 ss., sottolinea che la Costituzione prevede rimedi eccezionali ed anche estemporanei per far fronte a situazioni del tutto fuori controllo, ma che questa sospensione deve essere sempre connessa ad un requisito logico di ragionevolezza, di proporzionalità e soprattutto di temporaneità. E. Grosso, Legalità ed effettività negli spazi e nei tempi del diritto costituzionale dell’emergenza. È proprio vero che “nulla potrà più essere come prima”?, in www.federalismi.it, n. 16/2020. Secondo l’autore ritiene «La verità è che l’emergenza non sta affatto “fuori” dalla Costituzione, e dunque non vi è alcuna necessità di normarla più dettagliatamente. Essa è dalla Costituzione non soltanto presupposta, ma contemplata». Inoltre, le misure limitative dell’ordinario svolgimento della democrazia costituzionale «sono dalla Costituzione ammesse in quanto sorrette da proporzionalità e soprattutto da temporaneità».
4 Ne costituiscono un esempio le Costituzioni di Francia, Spagna e Germania.
5 G. Silvestri, Covid-19 e Costituzione, in www.unicost.eu, del 10.4.2020.
6 M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in www.giurcost.org, cit., p. 4.
7 G. Zagrebelsky (2012), Decidere noi della scienza, in www.repubblica.it.
8 F Scalia., Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, in www.federalismi.it, n. 32/2020.
9 Ex multis Corte cost., sentenza n. 85 del 2013. su cui ci si soffermerà infra, e Corte cost., sentenza n. 116/2006.
10 Cons. St., sez. III, 9.3.2020, n. 1692.
11 M. Cartabia, (2013), I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in www.cortecostituzionale.it
12 F. Scalia, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, cit..
13 Corte di giustizia UE, sentenza n. 1130 del 1988.
14 Corte cost., sentenza n.1 del 2014.
15 Cons. St., sez. III, 9.3.2020, n. 1692.
16 C. cost., sentenza n. 56 del 2020.
17 Ibidem.
18 Talvolta la dottrina ha utilizzato la metafora del Giano bifronte. Si vedano, ad esempio, R. Ferrari, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, in R. Ferrari. (a cura di), Salute e sanità; S. Rodotà – P. Zatti (diretta da), Trattato di biodiritto, vol. IV, Milano, p. 21; A. Anzon (1979), L’altra “faccia” del diritto alla salute, in Giurisprudenza costituzionale, 1, p. 656. Altre volte l’immagine utilizzata è stata quella del Tridente di Posidone, dal momento che «la norma costituzionale esprime una posizione giuridica soggettiva complessa e tripartita, fondata essenzialmente sul riconoscimento della salute come valore sociale, che attribuisce al singolo la titolarità sia di un diritto sociale (pretesa alle prestazioni e all’attività pubblica in campo sanitario), sia di un diritto di libertà (pretesa di astensione da ogni interferenza illegittima nella sfera di autodeterminazione del singolo e diritto ad un ambiente salubre) e, correlativamente, gli impone un dovere (che è sostanzialmente quello di concorrere, anche attraverso limitazioni della sua libertà, a preservare la salute pubblica)». Per un maggiore approfondimento si veda, in particolare, B. Pezini (1983), Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e Società, 1, p. 31, poi ripreso da F. Scalia, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, cit..
19 In questo senso si esprime la Corte cost. nella sentenza n. 5 del 2018 in materia di obblighi vaccinali.
20 M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Conferenza trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013.
21 Secondo quanto afferma K. Popper, in Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, «La scienza non posa su un solido stato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o ‘data’; il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza solidi da sorreggere la struttura».
22 cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525 e sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495.
23 In questo senso si è espresso il Cons. St., 27 maggio 2019, n. 2033, in materia di divieto di installazione di antenne per la telefonia mobile, tutela della salute pubblica e principio di precauzione.
24 F. Scalia, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, cit..
25 G. Zagrebelsky (1992), Il diritto mite, Torino, pp. 11-17.
26 Corte cost., sentenza n. 85 del 2013, punto 9.
27 L. Geninatti Satè (2013),“Caso Ilva”: la tutela dell’ambiente attraverso la rivalutazione del carattere formale del diritto, in www.forumcostituzionale.it/wordpress/ M. Boni, Le politiche pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e «ragionevole» compressione dei diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte costituzionale sul caso Ilva (n. 85/2013), in www.federalismi.it, n.3/2014; M. Mezzanotte, Il “sistema normativo ambientale” nella sentenza Ilva, tra scelte discrezionali e bilanciamento dei diritti, in Rassegna parlamentare, 2013, n.3; R. Romboli, Nota a Corte cost., sent. n. 85/2013, in Il Foro italiano, 2014; V. Onida (2013), Un conflitto tra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente, in www.rivistaaic.it/it/
28 Tar Lazio, sez. III quater, 23 novembre 2020, n. 7265.
29 E. Grosso, Legalità ed effettività negli spazi e nei tempi del diritto costituzionale dell’emergenza. È proprio vero che “nulla potrà più essere come prima”?, in www.federalismi.it/, n. 16/2020, cit..
30 Ibidem.
31 G. Saragat (Partito Socialdemocratico Italiano), Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 26 giugno 1946.
32 U. Terracini (Partito Comunista Italiano), Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 4 marzo 1947.