La recente riforma delle circoscrizioni di decentramento nell’ordinamento del Comune di Torino
Maria Pia Genesin1
Sommario: 1. Le circoscrizioni comunali: origini e declino nella legislazione statale. – 2. Il decentramento amministrativo nell’ordinamento del Comune di Torino. – 3. Il volto partecipativo del decentramento circoscrizionale torinese: le consulte di quartiere e i laboratori tematici. – 4. Le circoscrizioni di decentramento comunale nel quadro dell’ordinamento metropolitano torinese alla luce della l. n. 56/2014. – 5. Considerazioni conclusive.
1. Le circoscrizioni comunali: origini e declino nella legislazione statale
L’origine della disciplina statale in materia di circoscrizioni di decentramento comunale risale alla l. n. 278/1976 rubricata “norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione del Comune”2. Il legislatore statale dell’epoca, legittimando espressamente soluzioni organizzative nate da iniziative spontanee delle comunità locali3, aveva riconosciuto ai Comuni la facoltà di suddividere il territorio in circoscrizioni, individuate in modo da ricomprendere uno o più quartieri/frazioni contigui; l’articolazione interna era basata sulla presenza indefettibile di due organi: Consiglio circoscrizionale e Presidente. Al Consiglio circoscrizionale era attribuita – con formula ricorrente anche nella legislazione successiva – la funzione di rappresentare le esigenze della popolazione della circoscrizione nell’ambito dell’unità del Comune4.
La configurazione dei Consigli circoscrizionali era duplice per quanto riguardava le funzioni assegnate. Alle amministrazioni comunali era rimessa la scelta fra Consigli circoscrizionali con soli poteri consultivi e Consigli con poteri sia consultivi che deliberativi; l’opzione per tale ultimo modello presupponeva una data dimensione demografica (popolazione superiore ai 40.000 abitanti). La differente estensione dei poteri dei Consigli rifletteva la diversa modalità di elezione dei relativi membri: elezione a suffragio universale e diretto, nel caso di assegnazione di entrambi i poteri; elezione da parte del Consiglio comunale, nel caso di titolarità di soli poteri consultivi5.
La legge di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, l. n. 142/1990, art. 13, nell’abrogare la previgente l. n. 278/1976, ha reso obbligatoria l’articolazione del territorio comunale in circoscrizioni per i Comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti6; facoltativa per i Comuni con popolazione compresa fra i 30.000 ed i 100.000 abitanti; vietata nei Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti. La l. n. 142/1990 ha coerentemente ricondotto all’autonomia comunale statutaria e regolamentare la disciplina dell’organizzazione e delle funzioni delle circoscrizioni, definite quali organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal Comune.
La disciplina generale di riferimento per le circoscrizioni è successivamente confluita nell’art. 17 del d.lgs. n. 267/2000, testo unico sull’ordinamento degli enti locali (t.u.e.l.). Nella versione originaria dell’art. 17 sono stati riprodotti i contenuti dell’art. 13 della l. n. 142/1990, per come da ultimo modificati dalla l. n. 265/1999, con la conferma, in particolare, dei tratti fondamentali e caratterizzanti il regime di tali istituti: gli organi della circoscrizione rappresentano le esigenze della relativa popolazione e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento, senza obbligo di adottare la formula dell’elezione diretta; lo Statuto comunale e il regolamento del decentramento disciplinano l’organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni; i Comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti hanno facoltà di prevedere, in sede statutaria, particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale. La disciplina statale delle circoscrizioni di decentramento riconosce, dunque, ampio margine di espressione all’autonomia comunale nella configurazione di tali organismi con un apprezzabile risultato in termini di applicazione del principio di differenziazione, di cui all’art. 118 Cost.
Il favore legislativo per le circoscrizioni entra in netto declino con la legislazione finanziaria del periodo 2007 – 2009 finalizzata a fronteggiare la crisi economica dilagata in quel torno di anni. La l. n. 244/2007, l. finanziaria per il 2008, art. 2, comma 29, innalza la soglia demografica a cui corrisponde la necessaria istituzione delle circoscrizioni: essa deve essere superiore ai 250.000 abitanti. Conseguentemente, viene innalzata anche la soglia demografica corrispondente al carattere facoltativo delle circoscrizioni: tra 100.000 e 250.000 abitanti, con una popolazione media delle circoscrizioni non inferiore ai 30.000 abitanti. Al di sotto della soglia di popolazione dei 100.000 abitanti le circoscrizioni non possono essere istituite; si inaugura con tale legislazione un connubio, persistente negli anni a venire, fra obiettivi di contenimento della spesa pubblica e contrazione degli organismi di partecipazione e decentramento. Il nesso si spiega in ragione dei costi che, inevitabilmente, l’istituzione delle circoscrizioni porta con sé dovendo corrispondere all’esercizio di funzioni sul duplice fronte della partecipazione e del decentramento una adeguata struttura organizzativa in termini di uffici, mezzi e personale.
La disciplina attualmente vigente è il frutto di due ulteriori interventi normativi.
Dapprima, la l. n. 191/2009 (l. finanziaria per il 2010), art. 2, comma 186, lett. b), ha imposto ai Comuni, a seguito della riduzione del contributo ordinario, la soppressione delle circoscrizioni di decentramento senza eccezioni, nel quadro di un più generale intervento di ridimensionamento dell’organizzazione del Comune volto, ad es., a ridurre il numero del Consiglieri e ad eliminare la figura del difensore civico.
In seguito, l. n. 42/2010, di conversione con modificazioni del d.l. n. 2/2010, ha previsto che, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, i Comuni debbano sopprimere le circoscrizioni di decentramento tranne nel caso di soglia demografica comunale superiore ai 250.000 abitanti; in quest’ultimo caso i Comuni hanno la facoltà, e non l’obbligo, di articolare il loro territorio in circoscrizioni la cui popolazione media non può essere inferiore ai 30.000 abitanti. Entro tali limiti resta salva l’ampia autonomia organizzativa comunale in materia di circoscrizioni e la previsione di più accentuate forme di decentramento per i Comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti prevista dall’art. 17, comma 5, t.u.e.l.7
Le ragioni dell’accantonamento, da parte del Legislatore statale, del modello organizzativo delle circoscrizioni non sono solamente di ordine economico, ma risentono anche di una certa delusione sul fronte dell’attitudine reale delle circoscrizioni a divenire sedi istituzionalizzate di partecipazione civica nonché del disincanto generato dalla riproduzione, nei Consigli circoscrizionali in quanto organi elettivi, delle dinamiche più perverse del sistema partitico proprie dei Consigli comunali8.
La partecipazione non istituzionalizzata nell’articolazione circoscrizionale, per quei Comuni la cui popolazione non raggiunge le soglie previste per istituire le circoscrizioni, può avvenire a livello di quartiere o di frazione, secondo quanto statuito dall’art. 8 t.u.e.l., ai sensi del quale il Comune è chiamato a valorizzare le libere forme associative e a promuovere organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale proprio utilizzando siffatte articolazioni interne del territorio comunale9. L’autonomia organizzativa comunale può, dunque, dare vita – con scelta statutaria e nel rispetto dei vincoli finanziari – a sedi stabili di partecipazione popolare attraverso appositi organismi di decentramento alternativi alle circoscrizioni, quali, ad es., le consulte o i consigli di quartiere o di frazione. Occorre notare che gli organismi di partecipazione di cui all’art. 8 t.u.e.l. sono a disposizione, ovviamente, anche dei Comuni maggiori articolati in circoscrizioni come strumento finalizzato a rafforzare e rendere più capillare la partecipazione popolare al governo dell’ente.
2. Il decentramento amministrativo nell’ordinamento del Comune di Torino
Il Comune di Torino, con una popolazione superiore a 870.000 abitanti10, soddisfa appieno le soglie demografiche richieste dalla legislazione statale per il ricorso alle circoscrizioni di decentramento e può anche introdurre, in sede statutaria, particolari e più accentuate forme di decentramento, ai sensi dell’art. 17, comma 5, d.lgs. n. 267/2000.
Lo Statuto della Città di Torino individua, fra i criteri guida della propria azione (art. 3, comma 1, lett. h), il decentramento dell’amministrazione e della propria organizzazione, considerandone strumento privilegiato di attuazione le circoscrizioni.
Il Titolo V dello Statuto (artt. 54 e ss.) è interamente dedicato alla disciplina delle circoscrizioni. Per questa parte lo Statuto è stato oggetto di modifiche nell’ottobre 2020, complessivamente finalizzate a valorizzare il ruolo e le responsabilità gestionali delle circoscrizioni; a seguito delle modifiche apportate, si è reso necessario, altresì, aggiornare i contenuti del Regolamento del decentramento11.
Lo Statuto definisce le circoscrizioni quali organismi dotati di autonomia funzionale ed organizzativa preordinati a perseguire obiettivi di decentramento, partecipazione, consultazione, gestione di servizi di base, promozione di volontariato e di sussidiarietà orizzontale, esercizio di funzioni delegate dal Comune. Si conferma, in tal modo, il duplice volto della circoscrizione sul piano delle funzioni: da un canto, l’immancabile – anche se non sempre del tutto efficace – dimensione partecipativa, di consultazione e di informazione della cittadinanza; dall’altro, la qualificante funzione di gestione di servizi di base e di esercizio di funzioni amministrative delegate dal Comune12.
Il modello organizzativo prescelto dallo Statuto della Città di Torino per l’organizzazione delle circoscrizioni è caratterizzato da una triade di organi di governo – Consiglio, Presidente, Giunta – che ricalca, sul piano della ripartizione delle funzioni, quanto previsto dal d.lgs. n. 267/2000 per il Comune.
Il Consiglio circoscrizionale è composto da 25 componenti eletti a suffragio universale diretto contemporaneamente al Consiglio comunale e resta in carica per la durata del Consiglio; Presidente e Giunta sono eletti dal Consiglio nel proprio seno. La soppressione, in occasione della recente riforma, del comma 1 bis dell’art. 56 dello Statuto ha implicato il superamento del previgente sistema elettorale basato su collegi plurinominali. Il Consiglio è l’organo rappresentativo della collettività della circoscrizione, nell’ambito dell’unità del Comune; è titolare, in via ordinaria, delle funzioni di indirizzo e controllo su tutte le materie di competenza delle circoscrizioni; approva gli atti fondamentali della circoscrizione (bilancio, conto consuntivo), i provvedimenti di natura programmatoria, tutti gli atti di indirizzo e i pareri richiesti alla circoscrizione dagli Assessorati del Comune.
Il/la Presidente della circoscrizione, fra le altre funzioni connesse al ruolo di organo che rappresenta tale organismo e sovraintende agli uffici e ai servizi, svolge le funzioni delegate dal/la Sindaco/a anche nella sua qualità di ufficiale del Governo (ex art. 54, comma 10, t.u.e.l.)13, è titolare delle funzioni relative alla partecipazione e alle Consulte di quartiere ed ha la facoltà – funzione aggiuntiva rispetto al passato e di significativa importanza (art. 58 Statuto e art. 26, comma 3, Regolamento del decentramento) – di delegare la partecipazione e il coordinamento delle Consulte di quartiere ad una o più persone scelte fra Coordinatrici e Coordinatori membri della Giunta circoscrizionale.
La Giunta circoscrizionale è titolare delle funzioni esecutive degli indirizzi consiliari e degli atti di programmazione della circoscrizione.
Sul fronte delle competenze delle circoscrizioni, accanto a quelle finalizzate ad un maggiore coinvolgimento della popolazione nelle attività decisionali del Comune attraverso istituti partecipativi variamente declinati, l’art. 61 dello Statuto delinea un quadro di ampio decentramento amministrativo, prevedendo funzioni di programmazione, organizzazione e gestione dei servizi di base, qualificate come competenze “proprie” della circoscrizione da parte del Regolamento del decentramento (art. 42); funzioni di amministrazione attiva e gestionale delegate; funzioni espressione di decentramento burocratico; funzioni consultive.
Ampio il novero dei settori individuati dallo Statuto attualmente vigente per l’esercizio delle competenze di gestione dei servizi di base: sociale e sociosanitario; scolastico e parascolastico; sport; biblioteche decentrate; lavori pubblici; cultura e tempo libero; commercio; ambiente; viabilità e mobilità; gioventù; pianificazione territoriale; lavoro. L’operato delle circoscrizioni in tali settori avviene nel rispetto degli atti di indirizzo del Consiglio comunale aventi natura regolamentare. La specificazione degli atti/attività di competenza della circoscrizione in ciascun settore individuato dallo Statuto è contenuta nell’elenco allegato al Regolamento del decentramento e rappresenta un profilo di grande importanza per la concreta perimetrazione del ruolo delle circoscrizioni nei rapporti con l’amministrazione centrale del Comune, con soggetti terzi, con la popolazione locale.
Per quanto concerne le competenze delegate, il Consiglio comunale, con apposite convenzioni-quadro, può delegare l’esercizio di funzioni amministrative comunali, definendo gli strumenti patrimoniali e di altra natura necessari per il loro esercizio. Nell’ambito delle competenze delegate rientra anche la delega della gestione di specifici progetti.
Rilevante è il ruolo delle circoscrizioni sul piano consultivo, attraverso l’espressione di pareri obbligatori; di particolare interesse la funzione consultiva in relazione all’esercizio delle funzioni di pianificazione urbanistica del Comune e agli insediamenti infrastrutturali con superficie territoriale occupata superiore ai 20.000 mq in relazione ai quali lo Statuto impone all’amministrazione comunale precisi adempimenti procedurali in caso di parere sfavorevole del Consiglio circoscrizionale o in caso di mancata condivisione, da parte dell’amministrazione centrale, del contenuto del parere espresso. I pareri facoltativi possono essere richiesti dalla Giunta comunale e dal Consiglio comunale, in relazione ai propri provvedimenti, ogniqualvolta lo ritengano utile; il Consiglio circoscrizionale può, inoltre, esprimere pareri e proposte di propria iniziativa su tutte le materie di competenza del Consiglio comunale.
Infine, occorre ricordare, con riferimento all’art. 64 dello Statuto, il potere delle circoscrizioni, attraverso i propri Consigli circoscrizionali, di presentare al Consiglio comunale una proposta di deliberazione, che deve riportare il voto favorevole dei 2/3 dell’insieme dei membri dell’organo e che deve essere iscritta all’ordine del giorno entro 30 giorni dalla presentazione; di presentare interpellanze all’amministrazione comunale, a cui deve essere data risposta entro 30 giorni. Innovativa l’ulteriore previsione, inserita con le modifiche del 2020, del potere dei Consigli circoscrizionali, con voto favorevole dei 2/3 dei componenti, di presentare ordini del giorno all’amministrazione comunale da discutere in Commissione consiliare comunale con gli assessori competenti entro 90 giorni.
L’obiettivo di razionalizzazione della spesa pubblica derivante dall’attività delle circoscrizioni è perseguito dallo Statuto prevedendo che tali organismi godano di autonomia di spesa da esplicarsi attraverso un piano di investimento e di spesa nell’ambito dello stanziamento complessivo deliberato annualmente per ogni circoscrizione nel bilancio comunale; lo stanziamento è deliberato ogni anno in sede di bilancio preventivo comunale in base a criteri oggettivi da esplicitare nella relazione di accompagnamento al bilancio stesso. Il Consiglio di circoscrizione deve approvare ogni anno il piano preventivo di spesa in cui devono essere individuati, con cadenza annuale, le tipologie di spesa, i limiti di importo di acquisti, forniture e lavori di specifica competenza della circoscrizione in relazione al normale funzionamento dei servizi. Vale, infine, la regola che, almeno 30 giorni prima del termine fissato per l’approvazione del rendiconto del Comune, la circoscrizione approvi il rendiconto delle attività svolte.
Delineato nei suoi tratti essenziali il regime delle circoscrizioni come strumento di decentramento amministrativo alla luce dello Statuto del Comune di Torino, occorre rivolgere attenzione alla disciplina attuativa contenuta nel Regolamento del decentramento n. 374/2015. Il Regolamento del decentramento, unitamente allo Statuto, individua le materie e le modalità attraverso le quali si esplica l’autonomia funzionale ed organizzativa delle circoscrizioni; definisce l’estensione e la delimitazione territoriale delle circoscrizioni tenendo conto, senza esserne vincolato, della tradizionale presenza storica dei quartieri torinesi; fissa le procedure per la modificazione delle circoscrizioni, prevedendo eventuali forme di consultazione popolare diretta.
Il Regolamento cristallizza la ripartizione del territorio comunale in 8 circoscrizioni, ponendo termine al progetto di riduzione del numero delle circoscrizioni da 10 a 5 entro il 2021 inaugurato dalla riforma del decentramento varata nell’autunno 2015, incentrata su obiettivi di contenimento della spesa pubblica comunale14; alla luce di tale riforma il numero delle circoscrizioni è passato ad 8 nel 2016 con l’obiettivo di ridurlo ulteriormente negli anni successivi.
Particolare rilevanza assumono, all’interno del Regolamento, le disposizioni dedicate a precisare i rapporti fra gli organi di governo della circoscrizione e il relativo riparto delle competenze non riconducibili alla sfera delle funzioni di gestione riservate ai dirigenti15; a definire soluzioni organizzative per una corretta gestione dei rapporti fra gli organi di governo della circoscrizione e gli organi di governo del Comune; a specificare gli strumenti della partecipazione civica e i diritti/doveri di informazione a livello circoscrizionale e nei rapporti con l’amministrazione comunale centrale; a dettagliare le competenze delle circoscrizioni nei settori ad esse assegnati.
3. Il volto partecipativo del decentramento circoscrizionale torinese: le consulte di quartiere e i laboratori tematici
Lo Statuto del Comune di Torino sottolinea in modo evidente il nesso fra circoscrizioni e decentramento amministrativo (art. 3, lett. h), cit.); meno evidente, almeno a livello di enunciazioni di principio sui criteri di azione dell’ente, è la dimensione partecipativa che connota, necessariamente, le circoscrizioni secondo quanto statuito dall’art. 17 d.lgs. n. 267/2000. Pur essendo enunciato a livello statutario l’obiettivo di favorire la partecipazione della cittadinanza alle scelte politiche ed amministrative dell’ente, le circoscrizioni non sono presentate come lo strumento di elezione a tal scopo; d’altro canto, proprio questo rappresenta da sempre il fronte debole del regime delle circoscrizioni16. Questa osservazione preliminare non dispensa, tuttavia, dal valutare più a fondo la disciplina delle circoscrizioni alla luce della recente riforma torinese per comprendere quale ruolo si sia effettivamente inteso riconoscere alla cittadinanza, attraverso l’intermediazione delle circoscrizioni, nella gestione della vita politico-amministrativa dell’ente.
Preliminarmente occorre segnalare – al di là della varietà semantica del termine partecipazione e ferma restando la disciplina sulla partecipazione ai procedimenti amministrativi stabilita dalla legge n. 241/1990 e, nel rispetto di questa, ulteriormente declinata dallo Statuto e dal regolamento sulla partecipazione17 – che la partecipazione popolare nella dimensione circoscrizionale si esprime a due livelli, fra loro interconnessi: partecipazione diretta della popolazione locale alle attività istituzionali della circoscrizione; partecipazione della circoscrizione, attraverso i propri organi di governo, alle scelte politico-amministrative del Comune. La seconda tipologia di partecipazione richiama modalità quali proposte di deliberazione, interpellanze e ordini del giorno all’amministrazione comunale che il Consiglio di circoscrizione può presentare ai sensi dell’art. 64 dello Statuto e ai sensi del Regolamento del decentramento; la prima richiama modalità quali le assemblee dei titolari di diritti di partecipazione individuale e collettiva per contribuire attivamente al processo di formazione di provvedimenti a carattere generale; le consultazioni di categorie o settori della popolazione della circoscrizione su problemi o provvedimenti di specifico interesse; le proposte di deliberazione che duecento titolari di diritti di partecipazione possono presentare al Consiglio circoscrizionale nelle materie di competenza propria della circoscrizione; le istanze e petizioni che cittadine/i residenti e/o domiciliati nel quartiere, o che nel quartiere esercitino la propria attività prevalente di lavoro o di studio e che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, possono rivolgere agli organi di governo della circoscrizione (Presidente, Consiglio) per richiedere particolari e dettagliate informazioni su specifici oggetti dell’attività della circoscrizione (istanze) oppure per segnalare necessità rilevanti per la collettività circoscrizionale (petizioni).
Lo Statuto vigente, nella parte dedicata alla disciplina delle circoscrizioni, valorizza le dinamiche partecipative in misura maggiore rispetto a quanto statuito nella versione risalente alla riforma statutaria del 2011. All’epoca, lo Statuto (art. 66) si limitava ad enunciare che le circoscrizioni promuovono la partecipazione degli aventi diritto e che il Consiglio della circoscrizione deve disporre specifiche consultazioni della popolazione nella fase di predisposizione di progetti di interesse della circoscrizione stessa; le circoscrizioni devono, altresì, promuovere il coinvolgimento di associazioni e di organismi di partecipazione e del volontariato nella gestione dei servizi di base e, in generale, nella attività della circoscrizione in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Attualmente, a seguito anche del rafforzamento della partecipazione istituzionalizzata a livello di circoscrizione da parte della riforma del 2015, l’art. 66 dello Statuto intende garantire la partecipazione individuale e collettiva a livello informativo, consultivo e deliberativo; a tal fine sono previste, disciplinate e procedimentalizzate dal Regolamento del decentramento (art. 5 e capo VI) le modalità di partecipazione bottom up precedentemente richiamate (assemblee, consultazioni popolari, proposte di deliberazione di iniziativa popolare, istanze e petizioni). Lo Statuto prevede, inoltre, che possano essere stipulate convenzioni con soggetti esterni all’ente finalizzate a sperimentare nuove progettualità partecipative in attività quali le scelte di bilancio o altre scelte fondamentali per l’attività della circoscrizione aventi impatto diretto sul territorio e/o sulla cittadinanza.
Il rafforzamento della partecipazione attiva della cittadinanza è culminato, nella riforma del decentramento del 2020, nell’istituzione delle consulte di quartiere, in luogo delle precedenti commissioni di quartiere non più previste, aventi lo scopo di assicurare “una più larga ed incisiva partecipazione delle cittadine e dei cittadini nella condivisione di problematiche di interesse pubblico locale” (art. 66)18; le consulte di quartiere esprimono nella realtà comunale italiana attuale un modello di partecipazione democratica strutturata ricorrente soprattutto nei Comuni che, per dimensione demografica, non possono dotarsi delle circoscrizioni19. L’istituzione delle consulte di quartiere, sul fronte della partecipazione civica, rappresenta un profilo qualificante della recente riforma del decentramento torinese ed è espressione del compito di promozione di organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale assegnato ad ogni Comune, a prescindere dalle dimensioni demografiche, dall’art. 8 t.u.e.l.
Il Regolamento del decentramento definisce le consulte di quartiere – art. 29-bis – quale “strumento primario di coinvolgimento dei cittadini e delle cittadine” nei processi decisionali e nella realizzazione delle politiche territoriali. La disciplina specifica delle modalità di composizione, attività e funzionamento delle consulte di quartiere è contenuta in apposito allegato al Regolamento del decentramento (Allegato B bis); le consulte di quartiere sono ivi definite “organismi volontari, espressione della comunità locale dei diversi quartieri cittadini” con l’obiettivo di promuoverne la partecipazione attiva attraverso l’esercizio di funzioni consultive e di proposta nei confronti della circoscrizione di riferimento. Le attività delle consulte di quartiere, volontarie e gratuite, “sono esclusivamente rivolte all’interesse collettivo ed ai valori partecipativi di ambito circoscrizionale”. Il numero e l’ambito territoriale di riferimento delle consulte di quartiere è deciso dal Consiglio della circoscrizione di appartenenza, tenendo conto delle specificità del territorio e delle richieste che provengono dai territori di riferimento; le consulte di quartiere devono rappresentare un numero adeguato di cittadini. A tal fine assumono rilevanza le articolazioni territoriali interne alla circoscrizione – quali quartieri, borgate e zone – in quanto “aggregati affini per continuità spaziale e/o caratteristiche sociodemografiche, urbanistiche e di gravitazione viabilistica e di servizi idonei a costituire centri di interesse per l’attivazione della partecipazione popolare” (art. 3 Allegato B bis).
Le consulte di quartiere non hanno natura elettiva e sono composte da cittadine/cittadini residenti e/o domiciliati nel quartiere o che nel quartiere esercitano la propria attività prevalente di lavoro o di studio e che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età; la partecipazione alla consulta è soggetta a previa registrazione. Il/la Presidente della circoscrizione o le persone delegate partecipano di diritto alle consulte di quartiere; possono partecipare le Consigliere/i Consiglieri della circoscrizione. Le consulte di quartiere sono titolari di funzioni consultive e di proposta nei confronti del Consiglio e della Giunta circoscrizionali, i quali devono rispondere entro 30 giorni; possono produrre proposte o richieste – per il tramite del/la Presidente di circoscrizione o di persona delegata – da trattare nella Commissione consigliare competente entro 30 giorni; hanno il compito di individuare annualmente una tematica prioritaria per il territorio di riferimento in ordine alla quale elaborare una proposta da indirizzare al/alla Presidente di circoscrizione o alla persona delegata, che deve, a propria volta, sottoporla, entro 30 giorni, al Consiglio circoscrizionale, con successiva discussione e votazione entro 15 giorni. La deliberazione del Consiglio circoscrizionale è trasmessa all’Assessore/a al decentramento che deve attivare, di concerto con il/la Presidente di circoscrizione o con la persona delegata, il laboratorio tematico. Il laboratorio tematico costituisce uno strumento di partecipazione popolare ulteriore e rafforzativo rispetto alle consulte di quartiere. Si ricorda, infine, che le consulte di quartiere possono audire e avvalersi del parere delle consulte comunali.
L’istituzione dei laboratori tematici risponde alla finalità di “creare spazi di relazione e interazione fra amministrazione e cittadinanza per l’attivazione e gestione di processi di co-progettazione su specifici quartieri”; in capo ai laboratori tematici si concentra l’importante funzione di co-progettazione e concretizzazione delle proposte elaborate dalle consulte di quartiere di riferimento. Il laboratorio tematico è composto da non meno di dieci persone suddivise fra cittadine e cittadini residenti e/o domiciliati nel quartiere o che nel quartiere esercitano la propria attività prevalente di lavoro o di studio e che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età; i componenti sono estratti a sorte, per il 70%, fra coloro che abbiano offerto la propria disponibilità in tal senso e, per il restante 30%, fra le cittadine/i cittadini residenti nel territorio di riferimento.
Nel complesso, le funzioni attribuite alle consulte di quartiere, congiuntamente all’istituzione dei laboratori tematici, manifestano la volontà politica del Comune di Torino di attribuire maggiore forza alla partecipazione attiva al governo dell’ente della cittadinanza radicata, per ragioni di residenza/domicilio, lavoro/studio, nei quartieri; in questo senso la riforma del decentramento varata nel 2020 segna un cambio di passo positivo rispetto alle precedenti commissioni di quartiere, le cui funzioni erano sostanzialmente incentrate sulla elaborazione di un piano di sviluppo annuale contenente proposte sugli interventi prioritari per il quartiere. Si auspica possa far seguito a tale riforma la sua effettiva implementazione da parte degli organi di governo delle circoscrizioni con il contributo effettivo della collettività.
4. Le circoscrizioni di decentramento comunale nel quadro dell’ordinamento metropolitano torinese alla luce della l. n. 56/2014
La realtà torinese, per quanto concerne il decentramento, presenta una sua specificità derivante dal fatto che accanto al Comune di Torino, il quale, per dimensione demografica, ha a propria disposizione lo strumento istituzionalizzato delle circoscrizioni, si pone la Città metropolitana di Torino, la quale ha a propria disposizione l’istituto delle zone omogenee, previste, come facoltative, dalla l. n. 56/2014, recante disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni, c.d. l. Delrio20.
La l. n. 56/2014 prevede (art. 1, comma 11) che lo Statuto della Città metropolitana, su proposta o, comunque, previa intesa con la Regione, possa articolare il territorio metropolitano in “zone omogenee, per specifiche funzioni e tenendo conto delle specificità territoriali, con organismi di coordinamento collegati agli organi della Città metropolitana, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. L’eventuale mancata intesa con la Regione può essere superata con decisione della Conferenza metropolitana a maggioranza dei 2/3 dei componenti.
Le zone omogenee, in linea di principio, costituiscono, uno strumento atto a soddisfare esigenze di decentramento – più che di partecipazione – e di cooperazione all’interno del territorio metropolitano; la definizione della relativa struttura organizzativa, la specificazione delle funzioni, le modalità di collaborazione con l’amministrazione centrale della Città metropolitana sono rimesse all’autonomia organizzativa dell’ente di area vasta.
Le zone omogenee assumono, però, rilevanza anche da un altro punto di vista, alla luce di quanto disposto dall’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014, che fissa le condizioni necessarie affinché il Sindaco e il Consiglio metropolitano possano essere eletti direttamente dal corpo elettorale, in luogo del sistema ordinario di identificazione del Sindaco metropolitano nel Sindaco del Comune capoluogo e di elezione di secondo grado del Consiglio21. A tal proposito, stabilito che il sistema elettorale debba essere determinato con legge statale, conformemente a quanto statuito dall’art. 117 Cost., e che l’elezione diretta debba essere prevista dallo Statuto, viene introdotto un regime a doppio binario, che differenzia le Città metropolitane con popolazione superiore ai tre milioni di abitanti (Roma, Milano, Napoli) dalle altre.
Nelle Città metropolitane con popolazione superiore ai tre milioni di abitanti il passaggio all’elezione diretta è subordinato alla circostanza che lo Statuto della Città metropolitana preveda la costituzione delle zone omogenee e che il Comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa in coerenza con lo Statuto della Città metropolitana. L’istituzione delle zone omogenee – articolazioni del territorio della Città metropolitana – e delle zone dotate di autonomia amministrativa – articolazioni del territorio del Comune capoluogo – è, dunque, obbligatoria a tal fine.
Il decentramento nei Comuni capoluogo metropolitano, con riguardo alle sole realtà metropolitane a più elevata consistenza demografica (oltre i tre milioni di abitanti), assume, dunque, la forma, non ulteriormente specificata dal Legislatore statale, delle zone dotate di autonomia amministrativa. Si può affermare, in assenza di una specifica disciplina contenuta nella l. Delrio, che l’art. 17 t.u.e.l. detti il quadro normativo di riferimento per il decentramento – obbligatorio – nei Comuni capoluogo di cui in oggetto. In ragione di ciò, le circoscrizioni di decentramento comunale, di cui all’art. 17 t.u.e.l, si prestano a costituire la base di partenza su cui costruire le zone dotate di autonomia amministrativa, come ben esemplificato dallo Statuto della Città metropolitana di Roma Capitale che identifica tali zone nei Municipi (circoscrizioni) in cui è articolato il territorio di Roma Capitale. Gli ampi spazi di espressione dell’autonomia comunale riconosciuti dal t.u.e.l. in ordine alla disciplina delle circoscrizioni, sia sul piano organizzativo, ivi compreso il sistema elettorale, che funzionale, ben si prestano a configurare le zone dotate di autonomia amministrativa cui fa riferimento l’art. 1, comma 22, della l. n. 56/201422.
In generale, si può notare che gli adempimenti procedurali richiesti dalla l. n. 56/2014 per le Città metropolitane con maggiore dimensione demografica al fine di introdurre l’elezione diretta di Sindaco e Consiglio non siano particolarmente complessi e siano caratterizzati dall’obiettivo di realizzare un decentramento all’interno dell’area vasta coordinato con il decentramento all’interno del Comune capoluogo. Quest’ultimo mantiene la propria identità unitaria e l’azione delle relative circoscrizioni viene integrata nell’azione della Città metropolitana. In tal modo il ruolo delle circoscrizioni è valorizzato in una dimensione sovracomunale perseguendo l’obiettivo di favorire rapporti di collaborazione fra Comune capoluogo, attraverso le proprie articolazioni di governo territoriali, e Città metropolitana.
Particolarmente esemplare della integrazione delle circoscrizioni fra le articolazioni territoriali della Città metropolitana è, nuovamente, pur nella sua peculiarità, l’ordinamento della Città metropolitana di Roma Capitale, il cui Statuto qualifica i Municipi di Roma, unitamente alle zone omogenee, ai Comuni, alle Unioni di Comuni e alle Comunità montane, “organismi amministrativi” della Città metropolitana, in quanto tali destinatari delle norme che lo Statuto destina alle forme di collaborazione fra organismi del territorio metropolitano ed ente di area vasta23. Espressamente lo Statuto (art. 31) statuisce che i Municipi “concorrono all’azione amministrativa della Città metropolitana” secondo quanto previsto anche dall’ordinamento di Roma Capitale. I Municipi possono assumere iniziative sugli atti di competenza del Consiglio metropolitano e particolare valore è attribuito al “ruolo di coesione territoriale” svolto dai Municipi confinanti con altri Comuni della Città metropolitana; in tale ottica la Città metropolitana promuove, previo parere favorevole del Consiglio, la sottoscrizione di accordi o intese fra i Municipi e i Comuni confinanti.
Nelle Città metropolitane con popolazione inferiore ai tre milioni di abitanti – delle quali fa parte la Città metropolitana di Torino – il passaggio all’elezione diretta di Sindaco e Consiglio si rivela più complesso essendo necessario che, entro la data di indizione delle elezioni, si sia proceduto ad articolare il territorio del Comune capoluogo in più Comuni attraverso un procedimento che ha generato numerosi problemi interpretativi sul piano della compatibilità costituzionale – dal punto di vista della estrema complessità del procedimento di scorporo, della irragionevole diversità di trattamento fra Città metropolitane con più di tre milioni di abitanti e Città metropolitane con minore consistenza demografica, della violazione della competenza del Legislatore regionale in ordine alle variazioni territoriali dei Comuni ai sensi dell’art. 133, comma 2 Cost.24; le perplessità interpretative si sono riflesse sul piano operativo, come ampiamente dimostrato dalla tormentata vicenda della separazione di Mestre dal Comune di Venezia.
Il caso da ultimo menzionato è riconducibile ad un’ipotesi di scorporo del Comune capoluogo metropolitano (Venezia) in due Comuni (Venezia e Mestre) in un contesto che non appare, però, finalizzato all’introduzione dell’elezione diretta del Sindaco metropolitano. La peculiarità della fattispecie ha generato due differenti orientamenti interpretativi: l’uno volto ad escludere l’applicabilità dell’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014 a favore dell’applicazione dell’art. 133, comma 2, Cost. in ragione della mancanza di un nesso fra mutamento dei confini comunali e mutamento del sistema di elezione del Sindaco del capoluogo metropolitano; l’altro volto, al contrario, a ritenere l’art. 1, comma 22, unica disciplina di riferimento per ogni ipotesi di scorporo di Comune capoluogo metropolitano25. Tale radicale contrapposizione ha condotto ad un conflitto di attribuzione sollevato dallo Stato nei confronti della Regione Veneto a difesa delle prerogative statali e dell’applicazione del procedimento delineato dalla l. n. 56/2014 in materia di separazione territoriale di Comune capoluogo metropolitano; conflitto di attribuzione risoltosi in un nulla di fatto a seguito di rinuncia al ricorso da parte dello Stato stesso26.
La questione interpretativa relativa all’ambito di applicazione dell’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014 è, però, stata espressamente affrontata dal Consiglio di Stato, a propria volta coinvolto nella vicenda a seguito di impugnazione, da parte del Comune di Venezia e della Città metropolitana di Venezia, della delibera della Giunta regionale del Veneto di indizione del referendum consultivo previsto dalla normativa regionale di applicazione dell’art. 133, comma 2, Cost. In tale occasione, il supremo consesso amministrativo ha avuto modo di chiarire che l’art. 1, comma 22, cit. costituisce “norma d’eccezione – dunque di stretta interpretazione – perché finalizzata, attraverso una complessa e difficile serie di passaggi, alla costituzione di un sistema di rappresentanza non più di secondo livello all’interno dell’area metropolitana”; l’estensione dell’ambito di applicazione della norma alle altre fattispecie di modifica dei confini del capoluogo metropolitano appare “ultronea, senza titolo e senza giustificazione”27. Il risvolto pratico più immediato di tale restrittiva interpretazione riguarda l’individuazione della popolazione da coinvolgere nella consultazione referendaria: la sola popolazione interessata, in caso di applicazione dell’art. 133, comma 2, Cost.; tutta la popolazione dell’area metropolitana, in caso di applicazione dell’art. 1, comma 22, l. n. 56/201428.
Lo statuto della Città metropolitana di Torino, così come, in generale, quelli delle altre Città metropolitane con popolazione inferiore ai tre milioni di abitanti, non ha previsto l’elezione diretta del/la Sindaco/a e del Consiglio. La scelta del Legislatore statale di imporre l’articolazione del Comune capoluogo in più Comuni ha una sua logica nell’ottica di evitare che la scena politica a livello locale sia occupata da due differenti figure forti della legittimazione popolare – Sindaco del Comune capoluogo e Sindaco della Città metropolitana – riproducendo il binomio Sindaco del Comune capoluogo/Presidente della Provincia del passato. Tuttavia, trattasi di soluzione poco praticabile sia per la complessità del procedimento sia, soprattutto, per l’assenza di disponibilità da parte dei Comuni capoluogo ad essere articolati in Comuni più piccoli.
La Città metropolitana di Torino – come, in generale, le altre Città metropolitane – si è avvalsa, invece, della facoltà di articolare il territorio metropolitano in zone omogenee, prevedendone 11, frutto dell’aggregazione dei Comuni sulla base di criteri geografici, storici, economici, sociali e tenendo conto dell’organizzazione dei servizi pubblici. L’art. 27 dello Statuto della Città metropolitana ha previsto che le zone omogenee siano caratterizzate da contiguità territoriale e abbiano una popolazione non inferiore a 80.000 abitanti; le zone omogenee sono istituite dal Consiglio metropolitano, sentiti i Comuni interessati e sentita la Conferenza metropolitana della quale le zone medesime costituiscono articolazione operativa. Le zone omogenee esprimono pareri sugli atti del Consiglio metropolitano che le riguardano specificatamente e partecipano alla formazione condivisa del Piano strategico e del Piano territoriale metropolitano; costituiscono articolazione sul territorio delle attività e dei servizi decentrabili della Città metropolitana; sono ambito ottimale di organizzazione in forma associata dei servizi comunali e di esercizio delegato di funzioni di competenza metropolitana. La struttura organizzativa della zona omogenea è caratterizzata dall’Assemblea dei Sindaci dei Comuni inclusi nella zona e dal Collegio dei portavoce che riunisce i Sindaci nominati portavoce da ogni assemblea, con funzioni di coordinamento con la Città metropolitana29. La disciplina statutaria appare finalizzata a promuovere processi di unione nonché di fusione tra Comuni della zona omogenea; in particolare, il trasferimento di specifiche funzioni della Città metropolitana alle zone omogenee è subordinata alla condizione che queste ultime costituiscano e rendano operativa una sola Unione di Comuni che coinvolga la totalità del territorio interessato oppure che federino l’intero territorio mediante convenzione fra Unioni di Comuni e/o singoli Comuni.
La configurazione della zona omogenea, come articolazione organizzativa interna alla Città metropolitana, con funzioni di decentramento e di partecipazione dei Comuni in funzione di condivisione delle scelte di governo dell’ente di area vasta, ne consente la riconduzione ad un genus comune a quello delle circoscrizioni di decentramento comunale previste dal t.u.e.l. Non sembra fuori luogo affermare che le istanze di decentramento trovino espressione istituzionalizzata, nel disegno legislativo statale, in relazione alle realtà caratterizzate da una maggiore consistenza demografica – Comuni sopra i 250000 abitanti e Città metropolitane – nelle forme delle circoscrizioni, di cui al t.u.e.l., e delle zone omogenee, di cui alla l. Delrio. Spetta alla potestà statutaria – del Comune e della Città metropolitana – prevedere le modalità di reciproca collaborazione delle due tipologie di organismi per la realizzazione di un modello di governance condivisa a livello di area metropolitana.
Si può, altresì, notare che ove si dovesse procedere alla scomposizione del Comune capoluogo in più Comuni ai fini dell’elezione diretta del Sindaco metropolitano, ciò non resterebbe privo di conseguenze per quanto riguarda il decentramento a livello comunale, imponendo un ripensamento dell’articolazione delle circoscrizioni funzionale all’individuazione delle nuove entità comunali30.
5. Considerazioni conclusive
La riforma del decentramento circoscrizionale recentemente varata dal Comune di Torino ha attirato attenzione soprattutto per il profilo riguardante il numero delle circoscrizioni; la scelta politica di arrestare il cammino intrapreso nel 2015 di contrazione numerica, a fronte di un processo di accorpamento volto ad avere circoscrizioni più grandi in minor numero, ha assunto il colore univoco di un segnale di rafforzamento del decentramento cittadino. Non bisogna, però, dimenticare che si prospetta, per il futuro, la necessità di una revisione dei confini delle circoscrizioni, che potrebbe portare anche ad una riduzione ulteriore del numero delle medesimein funzione dell’ampliamento dei relativi confini31. Tale soluzione potrebbe risultare compatibile con un processo di valorizzazione delle circoscrizioni laddove non si traduca in un mero accorpamento, ma sia il frutto dell’applicazione di parametri oggettivi e misurabili quali, ad es., densità di popolazione, numero di residenti, edifici pubblici, strade ed elementi legati alla sfera sociologica, culturale, storica del territorio cittadino. La ridefinizione dei confini circoscrizionali deve basarsi sulla pianificazione urbanistica comunale e deve coinvolgere Circoscrizioni e cittadini; questo è l’impegno che la riforma del decentramento varata nel 2020 affida all’amministrazione futura.
Sullo sfondo resta il nodo irrisolto dei rapporti fra risparmio di spesa e rappresentanza dei cittadini: si può conseguire l’uno senza attenuare l’altro? Risultano adatti alla promozione della partecipazione e del decentramento grandi accorpamenti di realtà cittadine fra loro storicamente, socialmente, economicamente e culturalmente differenti? Risulta corretto focalizzare l’attenzione sulle circoscrizioni come fattore di costo?
In occasione della riforma dello Statuto varata nel 2015 fu sottolineata la necessità di ridurre il numero delle circoscrizioni per perseguire finalità di razionalizzazione istituzionale ed organizzativa, essendo preferibile una “articolazione più snella e semplificata, con grandi realtà organizzative” più adatta a razionalizzare la programmazione economico-finanziaria complessiva32. In quel periodo, d’altro canto, la legislazione statale appariva orientata, come si è avuto modo di sottolineare, nella direzione di limitare l’autonomia organizzativa dei Comuni sul piano del decentramento circoscrizionale, consentendo alle sole realtà demograficamente più rilevanti (superiori ai 250.000 abitanti) di optare per tale soluzione. Nell’autunno 2020, nel porre mano all’ulteriore riforma del decentramento, si è formalmente constatato che la riduzione da 10 a 8 del numero delle circoscrizioni non ha prodotto rilevanti risparmi e ha, per contro, generato problemi organizzativi ed una significativa diminuzione della rappresentanza politica nei territori.
Occorre, peraltro, notare che fu la riforma del 2015 a delineare l’assetto istituzionale ed organizzativo delle circoscrizioni che la disciplina attuale ha mantenuto sostanzialmente inalterato, pur introducendo elementi di novità finalizzati a realizzare forme più accentuate di decentramento ai sensi dell’art. 17 t.u.e.l., comma 5. Risalgono alla riforma del 2015: la specificazione delle competenze degli organi di governo dell’amministrazione decentrata; l’attribuzione alla Giunta – attualmente composta dal/la Presidente e 6 Coordinatori – di una rilevanza non meramente interna; la disciplina della sfiducia costruttiva per il caso in cui, nel corso del mandato, il rapporto fiduciario fra Consiglio e Presidente sia posto in crisi; l’ampliamento significativo dei settori rientranti nella competenza propria della circoscrizione di programmazione, organizzazione e gestione dei servizi di base33; una più attenta disciplina dei rapporti fra Consiglio circoscrizionale e amministrazione centrale con riguardo all’esercizio della funzione consultiva da parte del primo; l’attribuzione a ciascun Consiglio di circoscrizione del potere di presentare al Consiglio comunale una proposta di deliberazione con il voto favorevole dei 2/3 dei consiglieri e del potere di presentare interpellanze all’amministrazione centrale; una disciplina delle funzioni di programmazione e rendicontazione delle circoscrizioni più attenta ad obiettivi di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.
La riforma del decentramento risalente al 2015 non presenta carattere univoco; accanto ad indubbi elementi di rafforzamento del ruolo delle circoscrizioni e di razionalizzazione dell’uso delle risorse pubbliche, si pongono elementi di depotenziamento delle medesime – primo fra tutti la riduzione del numero sino al preventivato dimezzamento. Proprio quest’ultimo aspetto ha costituito il perno della riforma del 2020 che sembra aver, invece, imboccato in modo univoco la strada della valorizzazione delle circoscrizioni, fissandone il numero ad 8 ed evitandone l’ulteriore accorpamento. Tuttavia, l’elemento numerico, certamente importante per comprendere la fisionomia del decentramento comunale istituzionalizzato, non può, in sé stesso, esaurire in modo risolutivo la complessità dell’ordinamento circoscrizionale che, per funzionare correttamente, necessita di risorse economiche, strutture e personale adeguati. In assenza di tali fondamentali prerequisiti le circoscrizioni, pur numericamente adeguate, non possono esplicare pienamente la propria funzione di avvicinamento della comunità cittadina all’amministrazione centrale. Su questi aspetti si incentrano le perplessità di quanti temono che le risorse necessarie per un decentramento all’altezza delle aspettative possano venire a mancare tenuto conto della situazione economica del Comune di Torino.
La valorizzazione delle circoscrizioni dipende, dunque, non solo dal fattore numerico, ma anche dalla qualità delle funzioni attribuite, dalla presenza di meccanismi procedurali che consentano agli organi di governo delle circoscrizioni di far sentire effettivamente la propria voce all’interno dell’amministrazione comunale centrale, dalle risorse assegnate. Su quest’ultimo punto gravano, certamente, interrogativi non di poco peso, ma sugli altri due fronti la riforma varata nella seconda metà del 2020 pare corrispondere adeguatamente ad un obiettivo di promozione della circoscrizione nel suo duplice volto di organismo di decentramento amministrativo e di decentramento partecipativo.
Dal punto di vista, in particolare, del decentramento in funzione partecipativa, la valorizzazione dei quartieri e delle borgate attraverso l’istituzione delle consulte di quartiere appare una soluzione nella giusta direzione, anche in ragione della maggiore incisività delle funzioni loro assegnate rispetto alle precedenti commissioni di quartiere. La riforma mette a disposizione strumenti utili per rafforzare la partecipazione popolare al governo della Città partendo dal livello più vicino alla collettività, il quartiere; si pensi, in tale ottica, anche alle potenzialità connesse ai laboratori tematici. Spetterà agli organi di governo della circoscrizione e a quelli dell’amministrazione centrale mostrarsi sensibili alle istanze partecipative della comunità stanziata sul proprio territorio, consentendo e stimolando un proficuo utilizzo degli strumenti previsti dallo Statuto e dal Regolamento del decentramento; spetterà alla collettività cittadina dimostrarsi attenta ed interessata allo sviluppo delle potenzialità partecipative insite nella recente riforma.
In una prospettiva di più ampio raggio si prospetta la necessità di concepire le circoscrizioni avendo presente la dimensione metropolitana in cui il Comune di Torino, Comune capoluogo, è inserito. L’opportunità di reinterpretare il ruolo delle circoscrizioni in una dimensione collaborativa, partecipativa e di decentramento sovracomunale potrà portare ad un’ulteriore evoluzione delle medesime che tenga conto di un sistema di gestione di interessi pubblici di rilevanza comune all’area vasta non costretto entro i limiti territoriali degli enti che ne fanno parte. Questo percorso potrebbe portare ad una maggiore integrazione delle circoscrizioni, soprattutto, ma non solo, di quelle di confine, nell’azione delle zone omogenee sfruttando ulteriormente gli spazi di autonomia rafforzata previsti dall’art. 17 t.u.e.l. Non è dato intravedere ad ora quali riflessi tale processo proietterà sulle dimensioni delle circoscrizioni e, conseguentemente, sul loro numero.
L’orizzonte futuro potrebbe essere segnato, anche, dalla transizione della Città metropolitana di Torino verso l’elezione diretta del/la Sindaco/a e del Consiglio metropolitano; in questo caso – per quanto improbabile esso sia – l’attuale articolazione delle circoscrizioni dovrebbe essere ripensata proprio in vista dell’articolazione del Comune capoluogo in più Comuni34.
1 Ricercatore confermato in Diritto amministrativo, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.
2 Sull’importanza della l. n. 278/1976 v. F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, Milano, 2019, p. 147, in cui si sottolinea che tale legge “ha costituito la prima riforma di un certo rilievo dell’ordinamento comunale dal dopoguerra”. Per ulteriori approfondimenti su tale originaria disciplina si rinvia a F. Massarenti, Le circoscrizioni di decentramento in Italia. L’evoluzione normativa, i fattori di crisi e le prospettive future, in Istituzioni del federalismo, n. 1/2017, p. 251 ss.; L. De Lucia, Problemi del decentramento comunale, in Scritti in onore di G. Palma, Torino, 2012, p. 653 ss.; U. Allegretti, Modelli di partecipazione e governance territoriale. Prospettive per i processi partecipativi nei Comuni “dopo” le circoscrizioni, in Istituzioni del federalismo, n. 2/2011, p. 195 ss.
3 Sulle problematiche interpretative derivanti dalla assenza di un fondamento normativo legittimante soluzioni organizzative caratterizzate dall’attribuzione di ambiti di autonomia decisionale alle articolazioni di decentramento e partecipazione di livello infracomunale, si veda F. Massarenti, Le circoscrizioni di decentramento in Italia. L’evoluzione normativa, i fattori di crisi e le prospettive future, in Istituzioni del federalismo, cit., p. 256 ss. Sulle origini del modello circoscrizionale si veda A. Ardigò, Giuseppe Dossetti e il Libro bianco su Bologna, Bologna, 2014.
4 Come affermato da F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 149, il Consiglio circoscrizionale doveva essere inteso – e così anche attualmente – come organo del Comune. Più in generale, le circoscrizioni non costituiscono un’ulteriore tipologia di ente locale, ma sono strutture organizzative dell’ente Comune, articolate su base territoriale, i cui organi di governo, titolari di poteri di indirizzo politico-amministrativo, nei limiti delle funzioni conferite dai Comuni, possono compiere atti giuridici a rilevanza esterna. Per un riscontro v. F. Migliarese Caputi, Diritto degli enti locali. Dall’autarchia alla sussidiarietà, Torino, 2016, p. 205.
5 Come osservato da L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, Bologna, 2015, p. 79, la duplicità di schemi organizzativi – sia per le funzioni che per il tipo di elezione dei Consigli – ha rappresentato una deroga “al principio di uniformità e, al tempo stesso, al criterio altrettanto consolidato che negava al Comune ogni spazio di decisione in ordine al proprio assetto fondamentale”. Sulle problematiche connesse alla scelta legislativa di replicare, in sede circoscrizionale le assemblee elettive anziché privilegiare il ricorso a strumenti di democrazia diretta, v. le osservazioni di F. Pizzolato, Dopo le circoscrizioni, i quartieri, in Amministrare, n. 2/2014, p. 284, per il quale “spesso le circoscrizioni si sono trasformate in “parlamentini”, caratterizzati dalla riproposizione in piccolo, e dunque in forma ancora più grottesca, di riti del potere”.
6 Nel testo originario dell’art. 13 della l. n. 142/1990 erano inclusi anche i Comuni capoluogo di Provincia; successivamente tale riferimento è stato tolto ad opera della l. n. 81/1993.
7 Si ricorda, per ragioni di completezza, che il decentramento a livello locale trova ulteriore espressione nel t.u.e.l. attraverso i municipi, previsti dall’art. 16 con riguardo ai Comuni istituiti mediante fusione di Comuni contigui. L’istituzione dei municipi è facoltativa, può riguardare tutti o solo alcuni dei territori delle comunità di origine e lo Statuto comunale può prevedere anche organi eletti a suffragio universale. Come precisato da F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 154, “il municipio – al pari della circoscrizione – non rappresenta un nuovo ente locale, bensì un organismo di decentramento privo di autonoma personalità giuridica: strutture, mezzi, personale e finanziamenti saranno a carico del Comune”. Il t.u.e.l. prevedeva organismi di decentramento anche a livello provinciale attraverso i circondari, disciplinati dall’art. 21; l’istituzione dei circondari – sulla cui base organizzare uffici e servizi e la partecipazione dei cittadini – era prevista come facoltativa. La l. n. 191/2009, art. 2, comma 185-bis, lett. a) ha soppresso i circondari provinciali.
8 Sulle ragioni del superamento di tale modello organizzativo v. L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, cit., pp. 80-81. Nel senso che la tendenza legislativa alla soppressione delle circoscrizioni non sia imputabile esclusivamente ad un’esigenza di risparmio di spesa v., altresì, F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 155.
9 Sulla opportunità di considerare quartieri e frazioni come perno della partecipazione civica istituzionalizzata nei Comuni che non possono dotarsi di circoscrizioni v. le osservazioni di U. Allegretti, Modelli di partecipazione e governance territoriale, cit., p. 195; F. Pizzolato, Dopo le circoscrizioni, i quartieri, cit., p. 289. Evidentemente il Legislatore, precludendo alla maggior parte dei Comuni il ricorso al decentramento circoscrizionale, ha optato per un modello di decentramento partecipativo e non amministrativo, come affermato da F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 157.
10 Il dato pubblicato sul sito della Città metropolitana di Torino (www.cittametropolitana.torino.it), aggiornato ai dati ISTAT 2020, indica una popolazione di 870952 abitanti.
11 Lo Statuto è stato oggetto di modifica, per quanto qui di interesse, da parte della delibera del Consiglio comunale del 12 ottobre 2020, n. 75, avente ad oggetto la “Riforma del decentramento e della partecipazione”; il Regolamento del decentramento, risalente alla riforma statutaria del 2015, è stato modificato con delibera del Consiglio comunale del 16 novembre 2020.
12 Nel senso di una “doppia anima” delle circoscrizioni, al contempo “partecipativa ed amministrativa”, v. F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 155.
13 Si ricorda, per inciso, che non sono delegabili le funzioni del Sindaco in qualità di ufficiale del Governo relative all’emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti, ai sensi di quanto statuito dall’art. 54, comma 10, t.u.e.l. Si ricorda, altresì, che laddove non siano istituite circoscrizioni, il Sindaco può conferire la delega ad un consigliere comunale per l’esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.
14 La scelta di ridurre il numero delle circoscrizioni si inserisce in un più generale orientamento all’accorpamento delle medesime in atto nel periodo richiamato nel testo. In proposito v. F. Massarenti, Le circoscrizioni di decentramento in Italia. L’evoluzione normativa, i fattori di crisi e le prospettive future, cit., p. 273.
15 A questo proposito è bene ricordare – con le parole di F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 156 – che “per quello che concerne il versante del decentramento amministrativo, un fattore limitativo dell’incidenza effettiva delle circoscrizioni comunali anche in questo ambito è stato il parallelo (ed “irresistibile”) processo di separazione fra politica ed amministrazione, che ha allocato in capo ai dirigenti la responsabilità per attività operative e gestionali, in passato almeno in parte poste in essere dai consiglieri e specialmente dal presidente circoscrizionale. Ciò ha richiesto un serio ripensamento del bilanciamento fra funzioni accentrate comunali e funzioni decentrate alle circoscrizioni, che non sempre sembra avere trovato un corretto punto di equilibrio”.
16 Cfr. U. Allegretti, Modelli di partecipazione e governance territoriale, cit., p. 198.
17 Sulla pluralità di significati della partecipazione – nel linguaggio politico, sociologico, giuridico, ecc. – si veda, per tutti, U. Allegretti (a cura di), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze, 2010. Con riguardo alla partecipazione procedimentale si veda, per tutti, S. Foà, Il procedimento amministrativo e la partecipazione, in C.E. Gallo (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2020, p. 193 ss.; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo. Un profilo critico, in Dir. amm., 2017, p. 209 ss. Per un quadro degli istituti partecipativi a livello locale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 8 t.u.e.l., si veda L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, cit., p. 225 ss.
18 Rafforzare la partecipazione a livello di circoscrizioni può essere un rimedio a quanto messo in evidenza da autorevole dottrina (U. Allegretti, Modelli di partecipazione e governance territoriale, cit., p. 198) per la quale “gli organismi di decentramento non sono stati né sono normalmente forma di partecipazione, ma al massimo “luoghi” dove la partecipazione è resa possibile in misura un poco maggiore che nel Comune unitariamente considerato e privo di articolazione territoriale”.
19 Le soluzioni organizzative adottate dai Comuni in alternativa alle circoscrizioni per garantire la partecipazione popolare al governo dell’ente sono molteplici e non rispondono ad un modello comune per quanto concerne la composizione degli organismi e l’incisività delle funzioni partecipative. Talora si nota una riproduzione del modello delle circoscrizioni, epurata delle funzioni di decentramento amministrativo. Per un riscontro v. F. Massarenti, Le circoscrizioni di decentramento in Italia. L’evoluzione normativa, i fattori di crisi e le prospettive future, cit., p. 270 ss.; F. Pizzolato, Dopo le circoscrizioni, i quartieri, cit., p. 286 ss. Sul ruolo dei quartieri v. U. Allegretti, I quartieri tra decentramento comunale e autonomia di base, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, p. 194 ss.
20 Per un approfondimento si rinvia a F. Pizzetti, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove Province e unioni di Comuni, Milano, 2015; L. Vandelli (a cura di), Città metropolitane, province, unioni e fusioni di Comuni. La legge Delrio, 7 aprile 2014, n. 56 commentata comma per comma, Rimini, 2014. Per un quadro aggiornato v. M. De Donno, La riforma del governo locale nella legge Delrio: qualche riflessione cinque anni dopo, in Federalismi.it, n. 7/2019. Con specifico riguardo alle Città metropolitane v. C. Tubertini, Il punto sullo stato di attuazione delle Città metropolitane, in Giorn. dir. amm., n. 1/2019, p. 44 ss.; A. Simoncini, G. Mobilio, L’identità delle Città metropolitane attraverso i loro Statuti: sintomi di una sindrome “bipolare”?, in Le Regioni, n. 4/2016, p. 669 ss.
21 Per una valutazione della l. Delrio come “comunicentrica” in ragione dell’identificazione nelle medesime persone degli organi di governo dei Comuni e di quelli delle Città metropolitane e delle Province v. F. Manganaro, Evoluzione e sviluppo del policentrismo autonomistico fino al tempo del regionalismo differenziato, in Istituzioni del federalismo, n. 4/2019, p. 1008, il quale sottolinea la nuova modalità di leale cooperazione insita in tale innovativa soluzione.
22 Per un riscontro v. F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 157, secondo cui le circoscrizioni comunali “possono costituire quelle zone “ad autonomia amministrativa” nell’ambito del Comune capoluogo necessarie per optare per la elezione diretta del sindaco metropolitano”.
23 Si attua in tal modo un meccanismo di governo del territorio “per interessi ed obiettivi comuni, superando la ripartizione per enti” come posto in evidenza da F. Manganaro, Evoluzione e sviluppo del policentrismo autonomistico fino al tempo del regionalismo differenziato, cit., p. 1010.
24 In relazione all’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014 si veda Corte cost. 26 marzo 2015, n. 50, in particolare, per quanto qui di interesse, p. n. 3.4.4. della motivazione in cui, respingendo le censure di incostituzionalità, si afferma, con riguardo al sindaco metropolitano, che “la sua individuazione nel sindaco del Comune capoluogo di Provincia … non è irragionevole in fase di prima attuazione del nuovo ente territoriale (attesi il particolare ruolo e l’importanza del Comune capoluogo intorno a cui si aggrega la Città metropolitana), e non è, comunque, irreversibile, restando demandato … allo statuto di detta città di optare per l’elezione diretta del proprio sindaco”. Con riferimento più specifico al comma 22 dell’art. 1 della n. 56/2014, la Corte afferma che l’articolazione territoriale del Comune capoluogo in più Comuni “non viola l’art. 133, secondo comma, Cost., non comprimendo in alcun modo le prerogative del Legislatore regionale e non eliminando il coinvolgimento, nel procedimento, delle popolazioni interessate, atteso che la “proposta del Consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum fra tutti i cittadini della città metropolitana sulla base delle rispettive leggi regionali” né contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., essendo il presupposto, di cui si discute … riconducibile alla competenza statale esclusiva in materia di “legislazione elettorale … di … città metropolitane”. A commento di questa sentenza v., fra gli altri, S. Bartole, Legislatore statale e Corte costituzionale alla ricerca della Città metropolitana, in Giur. cost., 2015, p. 456 ss.; L. Vandelli, La legge “Delrio” all’esame della Corte: ma non meritava una motivazione più accurata?, in Quad. cost., n. 2/2015; C. Tubertini, La riforma degli enti locali dopo il giudizio di legittimità costituzionale, in Giorn. dir. amm., n. 4/2015; G.M. Salerno, La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neo-centralismo repubblicano di impronta statalistica?, in Federalismi.it., n. 7/2015; A. Lucarelli, La sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015. Considerazioni in merito all’istituzione della Città metropolitana, in Federalismi.it, n. 8/2015. Si veda, altresì, Corte cost. 20 luglio 2018, n. 168, che qualifica “le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella l. n. 56 del 2014 … come norme fondamentali delle riforme economico-sociali”, come tali vincolanti anche le Regioni a Statuto speciale; la Corte trae argomentazioni a favore dell’importanza da attribuirsi, nell’ottica del Legislatore statale, alla previsione degli enti di area vasta come enti di secondo grado – “aspetto-cardine del nuovo sistema – proprio dalle “numerose e gravose condizioni” poste dall’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014. Sulle Città metropolitane nelle Regioni a statuto speciale v. C. Tubertini, Il punto sullo stato di attuazione delle Città metropolitane, cit.
25 Si ricorda che, ai sensi dell’art. 133, comma 2, Cost. “la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”. Ai sensi dell’art. 1, comma 22, l. n. 56/2014, l’articolazione del Comune capoluogo metropolitano in più Comuni deve essere deliberata dal Consiglio comunale del medesimo Comune capoluogo; “la proposta del Consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della Città metropolitana, da effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti al voto. È altresì necessario che la Regione abbia provveduto con propria legge all’istituzione dei nuovi Comuni e alla loro denominazione ai sensi dell’art. 133 Cost.”.
26 V. Corte cost., ord., 19 luglio 2018, n. 165. Per una compiuta ricostruzione della vicenda – sfociata nello svolgimento, il 19 dicembre 2019, del referendum per la separazione dei due territori senza, tuttavia, il raggiungimento del quorum di validità previsto dalla normativa regionale a causa della scarsa adesione da parte della popolazione interessata – v. G. Menegus, Note sparse sul quinto referendum per la separazione tra Mestre e Venezia, in Le Regioni, n. 3/2020, p. 703 ss.; Id., Profili di incostituzionalità e problemi interpretativi dell’art. 1, comma 22, legge “Delrio” alla luce del referendum per la separazione tra Venezia e Mestre, in Federalismi.it, n. 9/2019.
27 Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2019, n. 6236, in www.giustizia-amministrativa.it
28 Sulla nozione di “popolazioni interessate”, ai sensi dell’art. 133, comma 2, Cost., v. G. Menegus, Le “popolazioni interessate” nelle variazioni territoriali dei Comuni: una questione di ragionevolezza, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 2/2020, nota a commento di Corte cost. 25 settembre 2019, n. 214.
29 Per una lettura in chiave critica della disciplina delle zone omogenee nell’ordinamento della Città metropolitana di Torino – caratterizzato da uno squilibrio fra il ruolo dominante del Comune capoluogo, accentuato proprio dalla coincidenza fra Sindaco/a metropolitano e Sindaco/a del Comune capoluogo, e il ruolo degli altri Comuni, più di 300, fortemente disomogenei fra loro quanto a dimensione demografica, caratteristiche orografiche del territorio, vocazione produttiva – v. G. Boggero, S. Matarazzo, M. Orlando, La Città metropolitana di Torino. L’approvazione del Piano strategico nel perdurante predominio del Comune capoluogo, in Federalismi.it, n. 1/2018, p. 11 ss., in cui si sottolinea, con riguardo, in particolare, alla struttura organizzativa delle zone omogenee, la necessità di un potenziamento del ruolo del Collegio dei portavoce al quale sono genericamente attribuite, in sede statutaria e regolamentare, funzioni di coordinamento fra le zone omogenee e gli organi di governo della Città metropolitana.
30 Sul punto v. F. Massarenti, Le circoscrizioni di decentramento in Italia. L’evoluzione normativa, i fattori di crisi e le prospettive future, cit., p. 276. Con riguardo, più nello specifico, alle possibili prospettive evolutive della realtà torinese in caso di scorporo del Comune capoluogo, v. G. Boggero, S. Matarazzo, M. Orlando, La Città metropolitana di Torino. L’approvazione del Piano strategico nel perdurante predominio del Comune capoluogo, cit., p. 15 ss.
31 Si veda il testo della delibera del Consiglio comunale del 12 ottobre 2020, n. 75.
32 Deliberazione del Consiglio comunale del 19 novembre 2015, n. 112 avente ad oggetto “Riforma del decentramento e della partecipazione – Modifiche allo Statuto della Città”. Lo Statuto, oggetto di modifica, era stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale del 7 febbraio 2011, n. 14 in sostituzione dello Statuto approvato con deliberazione del Consiglio comunale del 27 marzo 2001, n. 76.
33 Lo Statuto del 2011 recava un elenco limitato di settori: socio-assistenziale, scolastico e parascolastico, sport e tempo libero, biblioteche decentrate, manutenzione ordinaria dei lavori pubblici, gestione del patrimonio edilizio. L’elenco attuale, contenuto nell’art. 61 dello Statuto, corrisponde a quello introdotto nel 2015.
34 In tale ottica, come affermato da F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, cit., p. 157, le attuali circoscrizioni potrebbero essere considerate “embrioni dei futuri Comuni”.