Il ruolo dei dati nell’assunzione delle decisioni pubbliche: una grande questione costituzionale
Enrico Grosso1
Tra i tanti insegnamenti che si possono trarre dall’esperienza della lotta alla pandemia da Covid-19, uno particolarmente prezioso riguarda il ruolo assuntseo interpretazione, nell’assunzione delle decisioni pubbliche. Si tratta di una questione di scottante attualità, che investe prepotentemente i processi democratici e i loro meccanismi di funzionamento.
È di pochi giorni fa la notizia, rimbalzata su tutti i principali quotidiani, che alcuni funzionari della Regione Sicilia avrebbero dolosamente manipolato, in fase di comunicazione alle competenti autorità decisionali, taluni dati concernenti il numero di tamponi effettuati in alcune giornate, il numero di contagiati che a quei tamponi avrebbero dovuto corrispondere, e perfino il numero dei decessi quotidiani. Tale alterazione sarebbe stata compiuta con l’obiettivo di centrare i parametri della c.d. “zona arancione”, scongiurando così il pericolo che la regione fosse posta, per due settimane, in “zona rossa”.
Non è ovviamente questa la sede per valutare se tale notizia sia vera o falsa. Il fatto certo è che la manipolazione dei dati per fini politici fa parte dell’orizzonte delle possibilità. E può capitare che tale possibilità, in talune circostanze, induca in tentazione. Ciò è reso possibile dalla circostanza che un gran numero di decisioni politiche (non soltanto quelle che riguardano la tutela della nostra salute nel pieno di una pandemia, ma la maggior parte delle decisioni che quotidianamente vengono assunte da molteplici autorità pubbliche ad ogni livello di governo) tendono sempre più a tenere conto di – se non ad essere sostanzialmente condizionate da, ed in ogni caso a pretendere di poggiare su – una serie di flussi di dati che alle stesse autorità vengono forniti a getto continuo da soggetti titolari di competenze tecniche idonee ad estrarli, ad ordinarli, ad interpretarli.
La crescente dipendenza dei processi decisionali dall’uso di dati tecnico-scientifici è sotto gli occhi di tutti. I dati sono utilizzati sia ex ante, per guidare la scelta del decisore, sia ex post, per giustificarla. D’altro canto, l’accelerazione della trasformazione digitale che ha caratterizzato gli ultimi anni ha messo a disposizione dei suddetti decisori una mole e una varietà di dati impressionante, in una dimensione e ad una scala assolutamente sconosciuta alle epoche precedenti. E le tecnologie affinate per selezionare, raggruppare, filtrare, elaborare tale impressionante mole di dati – in definitiva offrire di essi una, piuttosto che un’altra, interpretazione – finiscono per condizionare inevitabilmente, e assai pesantemente, sia la scelta, sia la sua successiva giustificazione presso l’opinione pubblica. L’una e l’altra costituiscono due momenti essenziali e imprescindibili del meccanismo di funzionamento dei processi democratici, da cui passa la loro tenuta e la loro accountability.
Con riferimento alle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19, in particolare, le istituzioni politiche di ogni livello (da quello sovranazionale a quello locale) hanno fin da subito tentato di legare l’assunzione, e poi di giustificare la legittimità e talvolta l’assoluta e oggettiva inevitabilità, delle singole decisioni pubbliche, sovente comportanti pesanti restrizioni alle libertà individuali e collettive costituzionalmente garantite ai cittadini, ad una pretesa “oggettività” di dati tecnico-scientifici presupposti. L’obiettivo è stato quello di “spoliticizzare” il più possibile le singole misure, depotenziarle della inevitabile carica polemica che era destinata ad accompagnarle, e presentarle come la mera conseguenza automatica dell’esistenza di talune situazioni “di fatto”, che i dati tecnico-scientifici si sarebbero limitati a misurare e constatare.
È evidente che la questione è assai più complessa, e si presta a macroscopici rischi di mistificazione. E lo è a prescindere dall’eventuale esistenza di situazioni patologiche di dolosa manipolazione di quei dati. Il fatto stesso che, fisiologicamente, la politica si trovi sempre più spesso ad appoggiarsi a dati tecnico-scientifici presupposti, ad adottare di quei dati talune (e non altre) interpretazioni, a utilizzare taluni (e non altri) mediatori di quelle interpretazioni, produce inevitabili trasformazioni nel funzionamento della democrazia. Sia nel caso in cui il (preteso) sostegno dei dati sia stato l’effettivo input che ha prodotto la decisione politica, sia nel caso – altrettanto frequente – in cui esso si sia rivelato soltanto uno strumento di giustificazione ex post della stessa, esso incide inevitabilmente sul rapporto tra governanti e governati.
In primo luogo, il fatto stesso che una certa lettura dei dati tecnici presupposti possa produrre una decisione pubblica avente un impatto decisivo sulla vita e sulle abitudini degli individui, induce questi ultimi a pretendere trasparenza sia dei dati in sé e per sé considerati, sia dei criteri utilizzati per la loro interpretazione. Tanto maggiore è l’impatto che le misure restrittive sono in grado di produrre sull’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, tanto più attenta deve essere la valutazione della proporzionalità di quelle misure rispetto allo scopo perseguito. Ma tale valutazione, in un contesto democratico-pluralista, finisce inevitabilmente per dipendere dalla disponibilità e dalla pubblica consultabilità dei dati presupposti. Ciò a sua volta genera – inevitabilmente – l’alimentarsi di un pubblico dibattito sull’interpretazione dei dati stessi, che non può mai, a sua volta, pretendersi oggettiva. La stessa comunità scientifica, che dell’interpretazione di quei dati dovrebbe essere custode, deve essere libera di confrontarsi e di prospettare in merito argomenti interpretativi anche divergenti tra loro. E lo stesso vale per la costruzione dei diversi “algoritmi” che a partire dai dati grezzi vengono elaborati per renderli utilizzabili. Proprio dal modo in cui i singoli dati sono utilizzati per comporre l’algoritmo dipenderà, in ultima analisi, la “giustificatezza” della decisione finale. E tale “giustificatezza” finirà per essere indissolubilmente legata alla pubblicità e alla trasparenza dell’intero processo, alla sua verificabilità, alla sua confutabilità, alla sua sottoposizione a libera critica scientifica.
Solo a tali condizioni le scelte politiche che saranno alla fine assunte potranno essere oggetto di consapevole controllo democratico. La democrazia è innanzi tutto controllo pubblico delle giustificazioni. Altrimenti si trasforma in un’inammissibile oligarchia dei tecnici, dei pochi sacerdoti cui è affidata la custodia della “ricetta miracolosa”, del giusto “cocktail” tra i dati che essi insindacabilmente decidono di valorizzare. Oppure dei titolari del potere politico che, di volta in volta, degli oracoli pronunciati da quei sacerdoti si faranno usbergo. La vera differenza tra il dispotismo e la democrazia – mi pare che l’esperienza di questi mesi abbia ampiamente insegnato – non passa tanto dal numero e dalla durata delle limitazioni dei diritti nei momenti di emergenza. Essa dipende piuttosto dalla garanzia della messa a disposizione e della pubblica confutabilità dei dati a partire dai quali si pretende di stabilire (e di volta in volta prorogare) quel numero e quella durata temporale.
Su questo tema, che costituisce forse la più grande questione costituzionale del nostro tempo, la rivista Il Piemonte delle Autonomie intende promuovere un pubblico dibattito scientifico, aperto ai contributi di studiosi delle più diverse discipline, con lo scopo di approfondire le diverse declinazioni e le diverse sfaccettature di un orizzonte analitico che appare ampio e complesso. Per questa ragione lanciamo una call for papers, i cui termini sono delineati e precisati nel documento reperibile al link che si trova in calce a questo editoriale.
Nei prossimi numeri, la Rivista ospiterà i contributi che, previa valutazione da parte del Comitato scientifico, saranno selezionati per la pubblicazione, e che – speriamo – alimenteranno ulteriormente una discussione già oggi ampia e feconda.
Call for papers – Il Piemonte delle Autonomie
L’utilizzo dei dati nei processi decisionali alla luce della pandemia da Covid-19
1 Professore ordinario di Diritto Costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.