Rassegna settembre – dicembre 2020
OSSERVATORIO T.A.R. PIEMONTE
T.A.R. PIEMONTE
AMBIENTE & PAESAGGIO
L’INDIVIDUAZIONE DEL RESPONSABILE DELLA CONTAMINAZIONE AI SENSI DELL’ART. 244 DEL D. LGS. 152/2006: A PROPOSITO DI ENTI PUBBLICI E DI TRASMISSIONE MORTIS CAUSA DELLA RESPONSABILITA’
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 632/2019 e 666/2019 – sent. del 31 ottobre 2020, n. 653
Pres. Salamone, Est. Malanetto
[Comune di Moncalieri c. Città Metropolitana di Torino; Fiat Chrysler Automobiles N. V. (già FIAT s.p.a.) c. Città Metropolitana di Torino]
La vicenda trae origine dall’accertata contaminazione, di natura storica, dell’area cosiddetta “Carpice” sita nel Comune di Moncalieri. A tal proposito, un primo procedimento per l’individuazione del responsabile instaurato ai sensi dell’art. 244 del D. Lgs. 152/2006 aveva individuato come responsabile della contaminazione Fiat Chrysler Automobiles N. V. (già FIAT s.p.a.). Tuttavia, a seguito di plurimi ricorsi dinanzi al TAR Piemonte, il procedimento ex art. 244 conduce la Città Metropolitana di Torino ad individuare il Comune di Moncalieri come corresponsabile. Il Comune, pertanto, impugna il provvedimento con diversi motivi di doglianza. A sua volta, anche Fiat Chrysler Automobiles N. V. (già FIAT s.p.a.) impugna il predetto provvedimento, lamentando in particolare che non tutti i possibili responsabili della contaminazione sarebbero stati individuati dalla Città Metropolitana di Torino (in particolare, gli eredi di soggetti – i signori Ricca e Bordone – che avevano svolto, prima del 1967, un’attività economica nel sito in questione).
Il TAR Piemonte, riuniti i ricorsi, innanzitutto ritiene fondati taluni motivi di ricorso del Comune di Moncalieri, quanto alla affermata responsabilità dell’ente stesso. Infatti, la disciplina dettata dall’art. 244 del D. Lgs. 152/2006 si inquadra in un contesto di responsabilità da attività produttive e d’impresa (o, con il limite esplicito del valore acquisito dal bene dopo la bonifica, del proprietario, quale soggetto che trae comunque una utilità economica dal bene inquinato) e quindi presuppone, prima ed a prescindere dall’analisi degli ulteriori elementi della fattispecie, che i soggetti che vengono a tale titolo chiamati a risponderne lo siano in quanto abbiano svolto in quell’area attività di impresa, produttive o, nei limiti precisati, in quanto proprietari di beni che traggono dagli stessi una utilità economica.
La norma, ricorda il TAR, va infatti contestualizzata nell’ambito della complessiva disciplina, di matrice eurounitaria, cui appartiene, ed è epifania di scelte in ottica di analisi costi-benefici (secondo cui il danno si alloca in capo al soggetto più idoneo a sopportarne il costo) ed ancor più è volta ad indurre l’internalizzazione di costi in capo a chi trae guadagno da attività socialmente dannose dal punto di vista ambientale così da, in un’ottica preventivo-precauzionale, indurlo ad adottare possibilmente alla fonte scelte produttive meno inquinanti.
Il TAR Piemonte, dopo aver ricostruito il contesto della disciplina interna in cui l’art. 244 si colloca, richiama il principio “chi inquina paga” e gli obblighi introdotti dalla Direttiva 2004/35/CE come interpretati anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in particolare, sentenza 4 marzo 2015, causa C-534/13): il principio chi inquina paga si correla inscindibilmente alle attività “degli operatori”, ossia di coloro che traggono utilità dell’esercizio dell’attività economica inquinante e la esercitano essendo titolari di apposita autorizzazione in materia, giammai dei soggetti pubblici chiamati al diverso ruolo di rilasciare le eventuali autorizzazioni, effettuare i controlli e, per quanto ad esempio in specifico concerne l’attività di bonifica, gestire la procedura di bonifica stessa.
Secondo il TAR Piemonte, quindi, tra i possibili responsabili ai sensi dell’art. 244 del D. Lgs. 152/2006 possono annoverarsi solo i titolari di attività produttive o, al più, di un diritto reale sull’area oggetto di bonifica.
Resta ovviamente ben possibile che anche gli enti pubblici, intervenuti o non intervenuti pur essendovi obbligati nella loro attività istituzionale, possano essere chiamati a rispondere in altre sedi e ad altro titolo (responsabilità civile e financo panale dei singoli funzionari); ciò non di meno resta valido che la procedura in questione ha come destinatari i soggetti che hanno svolto l’attività potenzialmente inquinante, traendone profitto.
Il TAR Piemonte annulla dunque il provvedimento nella parte in cui afferma la responsabilità del Comune di Moncalieri per le considerazioni suesposte.
Infine, anche il ricorso di Fiat Chrysler Automobiles N. V. (già FIAT s.p.a.) avverso il provvedimento adottato dalla Città Metropolitana di Torino viene parzialmente accolto nella parte in cui questo ha escluso, in linea di principio ed astrattamente, come corresponsabili gli eredi dei signori Ricca e Bordone, astenendosi dall’indagarne, appunto, gli eventuali profili di responsabilità. Infatti, i signori Ricca e Bordone, essendo deceduti successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 22/1997, avevano maturato una responsabilità ex art. 244 del D. Lgs. 152/2006, posto che, anche secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato (cfr. sentenza Sez. VI, 15 novembre 2007, n. 5283), la responsabilità per inquinamento già prevista dall’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del medesimo D. Lgs., indipendentemente dall’epoca, pure remota, alla quale dovesse farsi risalire il fatto generatore. Tale responsabilità, ancorché accertata in epoca successiva, è poi suscettibile di entrare, quale quota passiva, nell’asse ereditario.
Infatti, l’obbligo di bonifica, essendo obbligo positivo e permanente di ripristinare l’ambiente danneggiato, è trasmissibile mortis causa (essendo assimilabile alla già ritenuta trasmissibilità agli eredi degli obblighi di ripristino in materia edilizia). A tal proposito, puntualizza il TAR Piemonte, se la ratio normativa è di far gravare su colui che ha beneficiato economicamente di una attività nociva i costi del ripristino, risulta anche coerente che gli eredi che beneficiano in via successoria dei profitti tratti con tale attività ne sopportino i costi, potendo detti costi sempre essere circoscritti al limite del loro arricchimento con l’accettazione con beneficio di inventario.
Il ricorso è quindi accolto parzialmente, per quanto affermato dal TAR Piemonte in motivazione.
[V. Cavanna]
SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE AMMINISTRATIVO E TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 666/2020 – sent. del 22 ottobre 2020, n. 627
Pres. Testori – Est. Cattaneo
[C. M. Cupia et al. c. Comune di Suno]
Nel caso di specie, le parti ricorrenti impugnano una deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Suno con cui è stato approvato un progetto esecutivo/definitivo di un canale di raccolta delle acque meteoriche che confluisce in un corso d’acqua naturale, allo scopo di assicurare la messa in sicurezza idraulica ed idrogeologica del territorio del Comune stesso. La sentenza breve resa dal TAR Piemonte ai sensi dell’art. 60 C.P.A. dichiara l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Infatti, il TAR ricorda la previsione di cui all’art. 143 del R. D. n. 1775/1933, che attribuisce, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (Cass. civ., SS. UU., 5 febbraio 2020 n. 2710; Cass. civ., SS.UU., 31 luglio 2017, n. 18976), la giurisdizione di legittimità in unico grado al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nell’ipotesi in cui i provvedimenti amministrativi siano caratterizzati da incidenza diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche e del relativo demanio. Peraltro, la giurisdizione del Tribunale Superiore è affermata non solo quando l’atto impugnato promani da organi amministrativi istituzionalmente preposti alla cura del settore delle acque pubbliche, ma anche quando l’atto, ancorché proveniente da organi diversi, finisca tuttavia con l’incidere immediatamente – e non soltanto in via occasionale – sull’uso delle medesime acque pubbliche, se ed in quanto interferisca con i provvedimenti relativi a tale uso (ad esempio, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi o determinando i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse: Cass. civ., SS. UU., 25 ottobre 2013, n. 24154) o sulla stessa struttura o consistenza dei beni demaniali.
Nel caso di specie, poiché l’atto impugnato ha un’incidenza diretta e immediata sul regime delle acque e – contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti – è solo indirettamente finalizzato alla tutela del territorio dal punto di vista urbanistico e in particolare della viabilità, il TAR Piemonte dichiara l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e indica, quale giudice fornito di giurisdizione, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, innanzi al quale la causa potrà essere riassunta ai sensi dell’art. 11, c. 2, C.P.A. nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
[V. Cavanna]
AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO: A PROPOSITO DELL’ART. 147, C. 2-BIS, LETT. B) DEL D. LGS. 152/2006
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 374/2017 – sent. del 13 ottobre 2020, n. 599
Pres. Testori – Est. Faviere
[Comune Valprato Soana c. Regione Piemonte et al.]
Nella vicenda in esame, il Comune Valprato Soana presenta all’Autorità d’Ambito Torinese 3 (ATO3) una istanza, ai sensi dell’art. 147, c. 2-bis, lett. b) del D. Lgs. 152/2006, per l’applicazione del regime di salvaguardia nella gestione autonoma del servizio idrico. La ATO3 comunica al richiedente il rigetto della predetta istanza, motivando il diniego sulla base dell’inapplicabilità dell’art 147, c. 2-bis, lett. b) nel territorio piemontese, sulla base della considerazione che la lettera b) del menzionato c. 2-bis si applica solo qualora l’ambito territoriale ottimale coincida con l’intero territorio regionale (presupposto che, secondo l’ATO3, non ricorre nella Regione Piemonte).
Il Comune impugna il provvedimento dinanzi al TAR Piemonte, che ritiene il ricorso non fondato nel merito. Innanzitutto, il TAR affronta comunque l’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione sollevata dalla parte resistente, affermando la propria giurisdizione, e non quella del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sulla base di quanto previsto dall’art. 143 del R. D. n. 1775/1933: infatti, se anche astrattamente una controversia sull’applicazione dell’art. 147, c. 2-bis D. Lgs. 152/2006 potrebbe rientrare nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (in particolare laddove sia necessario risolvere questioni attinenti l’organizzazione e la conduzione del servizio idrico integrato), ciò non ricorre nel caso di specie, discutendosi circa la legittimità o meno di atti presupposti all’esercizio di tali facoltà, che implica valutazioni squisitamente giuridiche e che solo indirettamente hanno a che fare con le valutazioni in ordine all’efficiente ed efficace gestione del corpo idrico.
In altre parole, secondo il TAR si versa in una dimensione dell’utilizzo del potere che antecede cronologicamente e logicamente ogni decisione, valutazione e giudizio che possa “direttamente” incidere sul regime delle acque e condizionarne l’intera gestione in termini di efficienza, di efficacia e di economicità. Per tali ragioni sussiste, nel caso di specie, la giurisdizione del giudice amministrativo.Venendo al merito della questione, dopo aver richiamato i lavori preparatori alla stesura dell’art. 147 del D. Lgs. 152/2006, la nota prot. n. 7069 del 18 aprile 2016 del Ministero dell’Ambiente di interpretazione del comma 2-bis della medesima disposizione, nonché precedenti arresti (cfr. TAR Piemonte, sentenze n. 1210/2016, 1227/2016, 1228/2016, 1229/2016 rese in data 5 ottobre 2016), il TAR afferma che il c. 2-bis risulta formulato con esclusivo riferimento agli ambiti territoriali coincidenti con l’intero territorio regionale. Sulla scorta di tali considerazioni, il TAR ritiene che il ricorso non meriti accoglimento e, pertanto, lo respinge.
[V. Cavanna]
DEPOSITO E ABBANDONO ABUSIVO DI RIFIUTI AMBIENTALI: LA SOCIETÀ PROPRIETARIA DELL’AREA INTERESSATA NON È IMPUTABILE PER DOLO O COLPA IN QUANTO LOCATORE DEL COMPENDIO IMMOBILIARE E INVESTITA DALLA GENERICA POSIZIONE FACOLTATIVA NELL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI CONTROLLO.
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 1105/2019 – REG. PROV.COLL. 712/2020 –
sent. del 28 ottobre 2020, pubblicata il 12 novembre 2020
Pres. Salamone, Est. Cerroni
[Magliola Real Estate s.r.l. in Concordato Preventivo c. Comune Santhià, ARPA]
La società ricorrente è proprietaria di un compendio immobiliare costituito da un complesso industriale, prima adibito ad attività di realizzazione e riparazione di veicoli ferroviari. Tale compendio era stato, in passato, concesso in godimento ad una società S.r.l. mediante contratto di locazione ad uso commerciale (poi limitato esclusivamente ai soli immobili dell’area nord del detto compendio), in cui veniva previsto espressamente che il conduttore si obbligasse a provvedere all’esecuzione di eventuali lavori adeguamento, nonchè si mantenesse custode della cosa locata. Dopo aver maturato un ingente ritardo nel ricevere il pagamento dei canoni, la società ricorrente nel caso di specie agiva dapprima in via monitoria nei confronti della società debitrice e, in seguito, presentava istanza per la dichiarazione di fallimento, poi dichiarata, di questa.
Nel corso dello stesso periodo, però, a seguito di esposti presentati dalla cittadinanza residente nei dintorni dell’area, la Procura della Repubblica disponeva il sequestro del compendio immobiliare e, di seguito, intervenivano anche funzionari dell’ARPA e del Nucleo Ambientale della Polizia provinciale: dal luogo emergevano infatti criticità ambientali, poiché vi erano state rinvenute diverse quantità di sostanze liquide e pericolose ed altre, contenute in bidoni aperti da 200 litri, erano esposte alle intemperie e necessitavano una messa in sicurezza urgente. Il Comune, allora, ex art. 192, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, T.U. Enti locali, adottava ordinanza in materia di sanità pubblica per criticità igienico-ambientali per la presenza di rifiuti e intimava alla ricorrente e alla sua debitrice di provvedere ad un’immediata messa in sicurezza dei bidoni, presentando altresì un cronoprogramma per la rimozione e lo smaltimento dei suddetti rifiuti.
La società ricorrente, dunque, si rivolge al T.A.R., impugnando l’ordinanza sindacale e rilevando profili di illegittimità per difetto di istruttoria e insufficiente motivazione nell’estensione degli obblighi di rimozione e ripristino del sito ad essa, nonché l’insussistenza dei presupposti per l’imposizione, in alternativa, delle misure di prevenzione ex art. 245, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, T.U. Ambiente, relative al superamento delle concentrazioni-soglia di contaminazione delle matrici ambientali. Il Collegio, in via preliminare, verificata la non costituzione in giudizio delle controparti, si è espresso favorevolmente sulla riconducibilità dell’ordinanza sindacale al novero dei provvedimenti adottati nell’esercizio dei poteri conferiti dallo stesso art. 192, c. 3, d.lgs. 152/2006, cit.
Ciò premesso, il Giudice Amministrativo richiama il contenuto cui si riferisce la norma relativa al divieto di abbandono di rifiuti, in quanto il contravventore è “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”. Si aggiunge, altresì, che è, per esplicita previsione normativa, competenza del Sindaco disporre, con ordinanza, “le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Il disposto normativo è di lineare interpretazione e non vengono rilevati dubbi in relazione alla sussistenza dell’illecito, anche per omogenea interpretazione giurisprudenziale per la quale la regola di imputabilità a titolo di dolo o colpa non prevede nessuna eccezione, anche nel caso di un’eventuale responsabilità solidale del proprietario dell’area dove si è verificato l’abbandono [si richiama, fra gli altri, anche lo stesso T.A.R. Piemonte, sez. I, 20 giugno 2020, n. 400]. In relazione, invece, alla posizione della società proprietaria ricorrente e a quella della società conduttrice di custode della res locata, il Giudice Amministrativo ricorda che, sebbene non sia configurabile una vera e propria culpa in vigilando in capo alla società proprietaria, la sua posizione di dominus del compendio immobiliare è riconducibile ad un dovere di diligenza, declinato in una più ampia e generica posizione di controllo che, sicuramente, limita i poteri di custodia e vigilanza del proprietario conferendo al locatore la facoltà di accertare, in ogni tempo, se l’affittuario osserva gli obblighi a suo carico.
Nel caso di specie, pertanto, non ricorrono i presupposti per poter onerare la società proprietaria del fondo di un obbligo di ispezione, poiché non è formulabile ex ante un giudizio di prevedibilità dell’evento: di conseguenza, la società ricorrente, non è imputabile a titolo di colpa. L’istruttoria svolta dal comune ha mancato, si rileva, di approfondire i profili di imputabilità soggettiva delle condotte alla società proprietaria, pertanto il vizio di difetto di istruttoria sollevato viene confermato dal T.A.R. in ordine all’imputabilità soggettiva delle condotte contestate alla società proprietaria e va annullato nella parte in cui alla stesa vengono estesi gli obblighi di rimozione e ripristino, di presentazione del piano e di esecuzione delle indagini preliminari, in quanto è mera proprietaria dell’area oggetto del deposito abusivo di rifiuti.
Il Giudice Amministrativo, quindi, accoglie il ricorso e annulla il provvedimento impugnato secondo quanto affermato in motivazione.
[M. Demichelis]
RIMOZIONE DI CEMENTO-AMIANTO IN CONFORMITA’ ALLE LINEE GUIDA REGIONALI. ACCERTATO IL LIVELLO “SCADENTE” DELLA COPERTURA IN ETERNIT E IL DEGRADO “MEDIO” E’ LEGITTIMATA L’ORDINANZA SINDACALE CONTINGIBILE E URGENTE
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 1111/2018 – REG. PROV.COLL. 660/2020 –
sent. del 28 ottobre 2020, pubblicata il 2 novembre 2020
Pres. Salamone, Est. Cerroni
[Flash s.r.l. c. Comune di Trivero, nei confronti di ARPA Piemonte]
La società s.r.l. ricorrente, proprietaria di uno stabilimento industriale, ora dismesso, è destinataria di una comunicazione di avvio del procedimento inviata dal Comune relativamente alla verifica della copertura in cemento-amianto del fabbricato, cui faceva seguito il sopralluogo da parte dell’ARPA. A seguito dell’adempimento di tali procedure, la società ricorrente era destinataria di due ordinanze sindacali di cui una, quella rilevante per il giudizio, preso atto delle risultanze delle verifiche condotte che avevano portato ad indicare come “scadente” lo stato della copertura in eternit dello stabilimento e come “medio” il suo degrado, ordinava alla società di procedere alla bonifica delle coperture in eternit. La società ha quindi impugnato l’ordinanza dinnanzi al T.A.R., previa sospensione cautelare della sua efficacia, il quale ha ordinato un supplemento di istruttoria relativo alle grandi dimensioni dell’immobile, altrimenti esaminato solo limitatamente ad una modesta porzione della sua copertura. Svolta l’ulteriore istruttoria in contraddittorio con le parti per accertare lo stato di degrado e la sussistenza di un pericolo per la pubblica incolumità, si è confermato l’indice di degrado “scadente” per tutte le coperture, rendendosi così giustificata l’ordinanza sindacale. Né il Comune, né l’ARPA si costituiscono in giudizio.
La società ricorrente grava l’ordinanza sindacale articolando tre motivi di ricorso, i primi due esaminabili unitariamente e aventi ad oggetto il vizio di eccesso di potere del provvedimento per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto il primo campionamento non avrebbe rappresentato l’intera copertura del fabbricato ma solo una minima parte, dunque, l’ordine generale di bonifica non sarebbe giustificato. A sostegno di tali affermazioni, la ricorrente richiama una violazione del D.M. Sanità, 6 settembre 1994, Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto, in quanto in esso non viene imposto un obbligo generalizzato di procedere alla rimozione dei manufatti contenenti amianto.
Il Giudice Amministrativo respinge la censura, ponendo l’attenzione sul fatto che il supplemento istruttorio ha confermato il giudizio dato dall’ARPA in sede di primo campionamento e la determinazione sindacale appare correttamente motivata per relationem, facendo anche riferimento dettagliato alle Linee Guida regionali per la valutazione del rischio di esposizione da coperture in cemento-amianto in Piemonte, Delibera di Giunta Regionale, 18 dicembre 2012, n. 40-5094, che contiene, fra il resto, indirizzi tecnico-operativi per semplificare il giudizio sull’indice di degrado e sulla valutazione del rischio per la salute. In riferimento alla presunta violazione del D.M. del 6 settembre 1994, cit., si afferma che essa non sia rilevabile, in quanto la ricorrente travisa il tenore letterale del provvedimento sindacale che ordina la bonifica e non, esclusivamente, la rimozione dei manufatti, potendo quindi la società ricorrente avvalersi di interventi elencati nella gamma di quelli possibili illustrati nelle Linee Guida richiamate, relative all’indice di degrado corrispondente.
Un ultimo motivo di censura presentato è relativo alla falsa applicazione dell’art. 50, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, T.U. Enti locali, il quale attribuisce al Sindaco, rappresentante della comunità locale, il potere di ordinanza contingibile e urgente, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere locale. La società ricorrente non ritiene applicabili tali caratteristiche al caso di specie e rileva la carena del riferimento al concreto e attuale pericolo che deriverebbe dalle coperture.
Il Collegio respinge anche questo motivo di ricorso, facendo riferimento alla potenziale pericolosità dei materiali di amianto e della loro dispersione nell’atmosfera, nonché al pericolo di inalazione delle stesse da parte degli abitanti. Infatti, lo stesso D.M. del 6 settembre 1994, cit., specifica che, se il materiale è identificato in cattive condizioni o altamente friabile, il rischio di aerodispersione è correlato, in via presuntiva, allo stato di degrado del materiale. Acclarato, quindi, che lo stato delle coperture in eternit è scadente, il rischio sopra menzionato è tale da giustificare l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente.
Il Collegio, dunque, alla luce delle predette considerazioni, respinge il ricorso presentato.
[M. Demichelis]
LA RELAZIONE TRA ISTANZA DI ACCESSO MULTIPLA E ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO; LE ECCEZIONI AL DIRITTO DI ACCESSO GENERALIZZATO; LA QUALIFICAZIONE DEL DATO RELATIVO AL TRAFFICO VEICOLARE RISPETTO ALLE INFORMAZIONI AMBIENTALI
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 503/2020– sent. del 12/11/2020, n. 720,
Est. Faviere Pres. Testori
[Comitato Torino Respira c. 5t S.r.l]
La presente sentenza concerne il ricorso per l’accesso a documenti amministrativi (art. 116 c.p.a.) in seguito al silenzio inadempimento e successivo rigetto di 5T Srl – società in house del Comune di Torino, della Regione Piemonte e della Città Metropolitana – a fronte dell’istanza di accesso “multipla” (associata ad una istanza di accesso documentale ex art. 22 della L. 241/90) presentata dal Comitato Torino Respira.
Il ricorrente, il quale promuove iniziative finalizzate a tutelare e migliorare la qualità dell’aria nella Città di Torino e nell’area metropolitana torinese, con istanza del febbraio 2020 richiedeva alla 5T Srl l’accesso alle informazioni relative ai “flussi veicolari su base oraria dedotti dal conteggio dei veicoli transitanti alle sezioni di misura dell’area urbana di Torino, rilevati a mezzo di spire induttive o di sensori aerei, per il periodo 1° gennaio 2017 – 10 febbraio 2020” per tutelare le proprie ragioni in sede processuale.Tuttavia, nel giugno 2020 la società rigettava l’istanza ritenendo che i dati richiesti non fossero direttamente qualificabili come “informazione ambientale” ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. 195/2005 smi. Lett a) n. 3, e che la richiesta non pareva ammissibile ai sensi dell’art. 5, comma 1 del D. Lgs. poiché finalizzata ad acquisire informazioni per tutelare le ragioni del comitato in sede processuale. Anche l’istanza promossa ai sensi dell’art. 22 L. 241/90 veniva respinta in quanto comunque afferente a dati che possono essere ottenuti soltanto mediante elaborazione da altri dati di proprietà di altra amministrazione.
Il TAR Piemonte dichiara parzialmente inammissibile e parzialmente fondato il ricorso, e la decisione offre spunti di riflessione sotto plurimi profili.
Sulla parziale inammissibilità del ricorso va specificato che l’istanza del Comitato fondava la pretesa ostensoria sulle esigenze di tutela legate a un processo pendente in seguito dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Difettando proprio la concretezza ed il nesso di strumentalità con una sostanziale posizione giuridica tutelata, la domanda, a parere del Collegio, non può essere ammessa. Sul tema la giurisprudenza amministrativa afferma che “in materia di accesso agli atti amministrativi il limite della valutazione dell’amministrazione pubblica sulla sussistenza d’un interesse concreto, attuale e differenziato all’accesso (…) si sostanzia nel giudizio estrinseco sull’esistenza di un legittimo e differenziato bisogno di conoscenza in capo colui il quale richiede i documenti” (T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, 22/05/2020, n. 1047).
Sotto il profilo della legittimazione è ormai acquisito il principio secondo cui il diritto di accesso può esercitarsi anche da parte di associazioni e/o comitati legittimati alla cura di un interesse qualificato dell’intera stabile organizzazione (Tali associazioni devono rappresentare un’organizzazione funzionalizzata alla protezione degli interessi di una categoria di soggetti ed avere una struttura in grado di soddisfare esigenze generali.) (cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. III, 16 gennaio 2008, n. 249). Nondimeno, anche quando l’accesso è effettuato da soggetti collettivi, non basta la presenza della astratta tutela di interessi superindividuali ad incardinare l’interesse concreto, attuale e diretto. Ciò in quanto la valorizzazione del principio della massima ostensione non può legittimare un controllo generico e indistinto del singolo sull’operato dell’amministrazione, ma deve essere strumentale alla tutela dell’interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.). Ne discende che la concretezza dell’interesse va determinata entro una prospettiva funzionalistica (T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 19/05/2020, n. 596), configurandosi come “diretto, concreto, attuale e corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, dovendosi così rendersi necessaria una relazione di strumentalità, sia pure attenuata, tra detto interesse e il documento collegato rispetto al quale è chiesto l’accesso medesimo” (Cons. Stato Sez. V, 21.05.2020, n. 3212).
Sotto altro profilo, il Collegio specifica che il Documento di pianificazione e gestione in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione (2018-2020) costituisce un atto amministrativo di natura generale e intrinsecamente normativa. Tali atti non sono per sé immediatamente impugnabili, ma possono diventarlo in quanto atti presupposti contenenti illegittimi precetti che costituiscono il fondamento giuridico di provvedimenti amministrativi. Tali considerazioni restano valide anche con riferimento ai soggetti privati che svolgono funzioni pubbliche laddove un atto avente portata generale condiziona l’operato amministrativo e la gestione concreta di tali funzioni. Ciò vale, fortiori ratione, per il Documento di pianificazione e gestione adottato ai sensi della L. n. 190/2012, che corrisponde al Piano triennale di prevenzione della corruzione adottato annualmente nelle amministrazioni pubbliche, il quale ha ordinariamente natura pianificatoria ed organizzativa ad efficacia interna.
Nel merito, il Collegio afferma che il fatto che l’art. 5 del D. Lgs. n. 33/2013 espliciti finalità “super-individuali” proprie dell’accesso civico (ed in particolare quelle di controllo diffuso sull’esercizio delle funzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche) non significa che, nel contesto di una richiesta “multipla” il riferimento ad un interesse specifico diverso da tali finalità generali snaturi l’istanza di accesso civico.Sul tema, la giurisprudenza più recente ha avuto modo di precisare che il solo imprescindibile presupposto di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato consiste nella sua strumentalità alla tutela di un interesse generale.La nota sentenza n. 10/2020 dell’Adunanza Plenaria ha chiarito che, quanto ai presupposti ed ai limiti delle varie forme di accesso, la pubblica amministrazione ha il dovere di risponderesulla sussistenza o meno dei presupposti per riconoscere l’una e l’altra forma di accesso “laddove essi siano stati comunque, e sostanzialmente, rappresentati nell’istanza. A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo, di cui oltre si tratterà, del c.d. public interest test”.
Partendo da queste considerazioni il TAR Piemonte sostiene che la declinazione di interessi diretti e concreti in una istanza multipla dev’essere prioritariamente riferita alla tipologia di accesso che ne richiede l’indicazione, incardinando l’onere dell’amministrazione di interpretare la richiesta secondo il principio della prevalenza dell’interesse conoscitivo, associando la presenza dei diversi requisiti di ammissibilità alle tipologie di accesso più pertinenti.
In una istanza di accesso multipla, quindi, la sola indicazione di un interesse individuale esplicativo di finalità strumentali alla tutela di diverse posizioni giuridiche non basta di per sé ad escludere l’ammissibilità dell’accesso civico.
Con riferimento all’accesso in materia ambientale, il TAR Piemonte condivide la doglianza di parte ricorrente affermando che i dati sul traffico veicolare rientrerebbero a pieno titolo tra le “informazioni ambientali” di cui all’art. 2 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 195/2005.La norma dispone infatti che per “informazione ambientale” si intende “qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: (…) fattori quali (…) le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente”. Lo stesso legislatore nell’individuare tali fattori menziona gli “scarichi”, le “emissioni” ed i “rilasci”, ossia informazioni che possono essere desunte da molteplici fonti, tra cui i dati sul traffico veicolare. Tale informazione costituisce dunque un fattore dall’incidenza sufficientemente prossima al rapporto causa-effetto che lega i fattori e l’elemento ambientale.Tale interpretazione estensiva delle potenzialità oggettive del diritto di accesso ambientale (che ha il proprio corollario nel principio di tassatività e stretta interpretazione dei casi di esclusione) è oramai consolidata in giurisprudenza che ne individua le possibilità di limitazione solo in casi estremi che non presentino alcuna connessione con il dato ambientale. (Si cfr. in particolare T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 22.11.2019, n. 5511).
Passando poi all’esame della domanda di condanna all’ostensione dei documenti e dei dati richiesti, parte resistente argomentava le proprie difese sostenendo che il dato relativo ai “flussi veicolari su base oraria dedotti dal conteggio dei veicoli transitanti alle sezioni di misura dell’area urbana di Torino, rilevati a mezzo di spire induttive o di sensori aerei, per il periodo 1° gennaio 2017-10 febbraio 2020” non esiste in quanto tale nel proprio patrimonio informativo, e che la sua produzione richiederebbe una lavorazione ulteriore e questo implicherebbe altresì la necessità di coinvolgere gli enti “titolari” del dato (in particolare il Comune di Torino).Il TAR Piemonte, riconoscendo che il ricorso ex art. 116 comma 4 del d. lgs. n. 104 del 2010 pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante (Cons. Stato Ad. Plen. N. 10/2020, conformi Cons. Stato, sez. VI, 9.05.2002, n. 2542, Cons. St., sez. V, 19.06.2018, n. 3956) chiarisce che laddove non sussista la certezza sull’esistenza dei dati così come richiesti non può ordinarne l’ostensione. Ciò non toglie che l’informazione, pur disaggregata, è disponibile sotto forma di “impulsi” provenienti dalle spire induttive e, a parere del Tribunale, è ragionevole che tale informazione possa essere raccolta e rappresentata senza per questo giungere a necessarie, ulteriori e complesse operazioni di elaborazione.
Quanto alle possibilità di prevedere in via regolamentare diverse ipotesi di diniego, le Circolari Ministeriali n. 2/2017 e 1/2019 nonché l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10/2020 hanno ribadito che la disciplina delle eccezioni al diritto di accesso generalizzato è coperta d riserva di legge (desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost.).Tale riserva assoluta richiede una interpretazione stretta delle eccezioni di cui al comma 1 dell’art. 5-bis, d. lgs. n. 33 del 2013, in quanto, in questi casi, la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, dei presupposti di fatto relativi alla ipotesi escludente.
Diversamente, le eccezioni relative al comma 2 dell’art. 5-bis richiedono un bilanciamento in concreto tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test) che preservi gli interessi pubblici e privati in gioco dimostrando l’alta probabilità di pregiudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. N. 10/2020). Ciò significa che spetta all’amministrazione effettuare un bilanciamento degli interessi coinvolti di volta in volta, non potendosi giungere a cristallizzare valutazioni ex ante in norme regolamentari interne che trasformino in maniera surrettizia un potere discrezionale in uno vincolato importando, di fatto, nuove ipotesi di eccezione assoluta.Le previsioni Regolamentari, pertanto, non possono costituire ostacolo all’ostensione oggetto della presente pronuncia nella misura in cui vengono interpretate come sottrazione generale all’accesso.
Per tali ragioni il TAR Piemonte accoglie la domanda di condanna all’ostensione dei documenti con riferimento alle informazioni quantitative sul traffico veicolare costituite dagli “impulsi registrati dalle spire induttive che afferiscono direttamente ai controllori di zona (SPOT)” limitatamente a quanto possa essere direttamente fornito mediante estrazione e riproduzione, senza l’obbligo di alcuna attività di elaborazione successiva, rimettendo al prudente apprezzamento della società le modalità tecnico-operative di assolvimento.
[V. Vaira]
APPALTI
IN CASO DI CONCESSIONE CIMITERIALE PERPETUA IL COMUNE NON PUÒ INVOCARE IL RINNOVO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 91/2019 – sent. del 22 dicembre 2020 n. 899,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[O. Radicati Di Primeglio e altri c. Comune di Buriasco]
Con sentenza n. 899/2020, il TAR Piemonte si pronunciava sul ricorso presentato da O. Radicati Di Primeglio e altri, contro il Comune di Buriasco, per l’annullamento dell’art. 61, co. 5, del regolamento di polizia mortuaria dell’ente locale, come inserito con delibera del consiglio comunale, nonché dell’avviso affisso sulla tomba di famiglia, non comunicato ai ricorrenti, con richiesta di accertamento della validità della concessione cimiteriale perpetua.
In particolare, l’art. 61, co. 5, del regolamento comunale disponeva che “per le concessioni stipulate anteriormente all’entrata in vigore del DPR n. 803/1975 e ss. mm.ii. con la dicitura perenni si intendono equiparate a tutti gli effetti giuridici ed economici a concessioni di anni 99. Salvo i casi espressamente previsti di revoca, sarà concessa facoltà di rinnovo alle condizioni determinate al momento del rinnovo”.
In applicazione della suddetta previsione, sulla tomba di famiglia dei ricorrenti veniva affisso un avviso con cui si dichiarava scaduta la concessione, invitando la parte concessionaria al rinnovo, tramite la stipula di una nuova concessione con validità di novantanove anni, in caso contrario, il Comune avrebbe ritenuto la tomba abbandonata, recuperandone il possesso.
La difesa dell’amministrazione comunale eccepiva come i ricorrenti non fossero titolari di concessione, pertanto, non sarebbero stati lesi dall’art. 61, co. 5, del regolamento di polizia mortuaria, né dalla richiesta di regolarizzazione della concessione.
Il Collegio ritiene l’eccezione sollevata infondata, poiché il provvedimento oggetto di impugnazione era stato adottato sul presupposto dell’esistenza della concessione perpetua, considerata scaduta. Con l’atto, anzi, il Comune di Buriasco non chiedeva la regolarizzazione della situazione fattuale, ma il rinnovo della concessione. Pertanto, ad avviso del TAR Piemonte, in sede processuale non può essere messa in discussione l’esistenza della concessione perpetua – circostanza posta a fondamento del provvedimento adottato dall’ente – senza violare contestualmente il divieto di venire contra factum proprium. Del resto, dell’esistenza della concessione le parti ricorrenti avevano fornito elementi di prova in giudizio, con deposito di atti e attraverso il richiamo di episodi in cui l’amministrazione aveva pacificamente trattato i ricorrenti come concessionari.
Riguardo la legittimità dell’art. 61 del regolamento di polizia mortuaria, parti ricorrenti deducevano il contrasto con l’art. 93 del regolamento governativo approvato con d.P.R. n.803/1975 (come recepito dall’art. 92 del d.P.R. n. 285/1990). Tale disposizione, in riferimento alle concessioni di durata superiore ai novantanove anni rilasciate in precedenza, prevede il potere di revoca da parte dell’amministrazione comunale qualora sussistano determinati presupposti quali il superamento di cinquanta anni dall’ultima tumulazione e la grave carenza nel cimitero e l’istituto della decadenza in caso di inosservanza degli obblighi gravanti sul concessionario. Non sussisterebbe quindi per il Comune, secondo i ricorrenti, altra possibilità di incidere in modo unilaterale sul rapporto concessorio.
Il Collegio ritiene il motivo di ricorso fondato, aderendo all’orientamento della giurisprudenza maggioritaria secondo cui “il venir meno della natura perpetua delle concessioni, con l’entrata in vigore dell’art. 93 del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 non toglie valore, ma anzi rafforza la considerazione che fino al un certo momento storico le concessioni potevano essere rilasciate sine die” (in tal senso, Consiglio di Stato sez. IV, 28/09/2017, n.4530; sez. V, 08/02/2011, n. 842; Tar Basilicata, sent. n. 757/2019). Nell’ipotesi di concessione perpetua, osserva il Consesso, il Comune non può dunque imporre un rinnovo ma, nell’ambito dell’esercizio di autotutela, può revocare l’atto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, mutamento della situazione di fatto non prevedibile, per una nuova valutazione dei presupposti di fatto preesistenti, purché alle condizioni di cui all’art. 21-quinquies, della l. n. 241/1990. Prima con il regolamento, poi con il provvedimento attuativo, l’amministrazione comunale non aveva esercitato il potere di autotutela, ma aveva invocato il rinnovo che “in quanto tale è applicabile ai soli rapporti di durata sottoposti a termine, evenienza, questa, che non ricorre stante la natura perpetua della concessione”.
Il TAR Piemonte conclude quindi per la fondatezza del ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.
[S. Matarazzo]
I REQUISITI C.D. DI ORDINE GENERALE DEVONO ESSERE POSSEDUTI DAL CONSORZIO, DALLE IMPRESE CONSORZIATE ESECUTRICI DEL CONTRATTO, NON ANCHE DALLE IMPRESE CONSORZIATE RIMASTE ESTRANEE ALLA GARA
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 417/2020 – sent. del 29 dicembre 2020 n. 908,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[C.F.C. – Consorzio Fra Costruttori Soc. Coop., c. Comune di Torino]
Il consorzio C.F.C. adiva il TAR Piemonte contro il Comune di Torino, per l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla procedura aperta per l’affidamento dei lavori di “Rinforzo strutturale e risanamento conservativo dei ponti cittadini – anno 2019”, della relazione del responsabile del procedimento e di ogni altro atto connesso.
Il consorzio era stato escluso dalla procedura aperta indetta dal Comune di Torino, in quanto ritenuto colpevole, ai sensi dell’art. 80, c. 5, del d.lgs. n. 50/2016, di gravi illeciti professionali, a causa di due risoluzioni contrattuali per grave ritardo e inadempimento nell’esecuzione di lavori. Con il ricorso, parte ricorrente impugnava il provvedimento per ottenere la rimozione del giudizio negativo espresso dall’amministrazione sulla relativa affidabilità, non essendo interessata all’aggiudicazione della gara, in considerazione dell’intervenuto ribasso.
Per quanto concerne le specifiche censure, parte ricorrente contestava anzitutto un difetto di istruttoria, affermando di non essere una società, come erroneamente indicato nel provvedimento, ma un consorzio tra imprese artigiane in forma di cooperativa, in quanto tale ammesso a partecipare alle procedure di affidamento pubbliche ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016. Sostiene in proposito che la verifica sul possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 del codice degli appalti, qualora concernente un consorzio, dovrebbe essere rivolta soltanto alle consorziate individuate per l’esecuzione dell’appalto, essendo irrilevante la carenza dei richiamati requisiti in capo alle altre consorziate, ai fini del giudizio di affidabilità del consorzio.
Il TAR Piemonte considera la censura fondata, non avendo l’amministrazione tenuto conto della natura dell’operatore, consorzio tra imprese artigiane di cui all’art. 6 della l. n. 443/1985, a cui si applicano gli artt. 47 e 48 del d.lgs. 50/2016.
Da tali disposizioni, la giurisprudenza ha concluso che la verifica sul possesso dei requisiti di ordine generale riguardi soltanto le imprese che siano state individuate per l’esecuzione dell’appalto. E’ solo con riferimento alle stesse, invero, che occorre evitare il meccanismo sostitutivo, restando al contrario irrilevante l’eventuale carenza dei requisiti di ordine generale in capo alle altre consorziate rimaste estranee alla esecuzione dell’appalto, non designate (così, Tar Campania, sez. I, sent. n. 3231/2019; Cons. Stato, sez. V, sent. n. 2387/2020).
Diversamente, se si attribuisse rilievo alle vicende riguardanti le imprese consorziate rimaste estranee alla gara, si contrasterebbe con l’intento perseguito dalla costituzione di tali consorzi, di favorire la partecipazione di imprese artigiane che singolarmente non sarebbero in possesso dei requisiti. Il Collegio, per le argomentazioni suesposte, conclude per la fondatezza del ricorso e annulla il provvedimento di esclusione dalla gara di parte ricorrente.
[S. Matarazzo]
SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI CONCESSIONE E REVOCA DEI CONTRIBUTI E DELLE SOVVENZIONI PUBBLICHE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 529/2020 – Sent. del 15 settembre 2020, n. 536
Pres. Testori, Est. Faviere
[Associazione C.I.P.A. – A.T.C. Regione Piemonte]
Il procedimento giurisdizionale si instaurava a seguito del ricorso proposto dall’associazione CIPA-AT avverso la Determinazione Dirigenziale DD-A17 328/2020 della regione Piemonte che sanciva la decadenza totale dal finanziamento regionaleche lo stesso ente territoriale avrebbe dovuto erogare all’associazione. La decadenza dal contributo è giustificata dalle risultanze dei controlli amministrativi sulle dichiarazioni della ricorrente; i controlli hanno messo in luce anomalie tali da inficiare la genuinità dei dati auto-dichiarati ex art. 47 del D.P.R. 445/2000.
Si costituiva in giudizio la regione Piemonte che, oltre a controdedurre i tre motivi di doglianza della CIPA-AT nel merito, eccepiva il difetto di giurisdizione. Il difetto di giurisdizione discende dalla qualificazione della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio: in particolare, la CIPA-AT non adempieva l’obbligo di fornire dichiarazioni vere al fine di poter accedere al finanziamento. Il TAR afferma che per poter risolvere la problematica è necessario tenere distinte due fasi della procedura. La prima concerne il riconoscimento e quindi l’ammissione del contributo, la seconda attiene all’allegazione documentale per ottenere la materiale liquidazione. La prima è una fase pubblicistica, ammantata di potere amministrativo e della relativa discrezionalità che determina la concessione del beneficio al titolare di un interesse legittimo; nella seconda, ove l’esercizio del potere è oramai spirato, il beneficiario è titolare di un diritto soggettivo. Nella prima fase si avrà giurisdizione del giudice amministrativo, nella seconda del giudice ordinario. La difesa dell’associazione CIPA-AT sostiene invece che la posizione di interesse permane anche dopo l’ammissione al beneficio in quanto solo con l’erogazione materiale del finanziamento, e quindi con la sua definitività, vi sarebbe una posizione di diritto soggettivo. Tale impostazione però non trova conforto né nella giurisprudenza di legittimità né in quella amministrativa.
È infatti consolidato l’orientamento che distingue la fase procedimentale di valutazione della domanda – nella quale la P.A. ha il potere di riconoscere il beneficio – da quella esecutiva, di natura prettamente sinallagmatica, ove non viene in rilievo alcun potere pubblicistico poiché l’amministrazione si limita a liquidare la somma già riconosciuta in capo all’ente (Cass., Sez. U., 30 marzo 2018, n. 8049; Cons. Stato, ad. plen., 29 gennaio 2014, n. 6). Inoltre, sono stati stabiliti i seguenti principi di diritto in materia.
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando: a) il finanziamento è stabilito direttamente dalla legge con un automatismo che non contempla un apprezzamento discrezionale sull’an, quid e quomodo dell’erogazione; b) la revoca, decadenza o risoluzione dal contributo dipenda da un comportamento inadempiente del beneficiario delle condizioni/obbligazioni assunte per la concessione e l’erogazione del contributo; c) in generale, la controversia attenga alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass., sez. un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776, cit.).
Al contrario, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nei casi in cui: a) la controversia riguarda la fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio; b) il provvedimento discrezionale di concessione del beneficio è stato annullato/revocato per vizi di legittimità o contrasto con il pubblico interesse (Cass., sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, ad. Plen., 29 luglio 2013, n. 17, cit.).Ciò posto, Il TAR ritiene che la fattispecie concreta appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario e rientri, in particolare, nell’ipotesi sub b). Pertanto, riconosce una situazione di diritto soggettivo in capo all’associazione, dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione e rinvia la causa al giudice ordinario.
[S. Mallardo]
SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE AMMINISTRATIVO E GIUDICE CONTABILE IN MATERIA DI CONCESSIONE DI SERVIZI (ACCERTAMENTO E RISCOSSIONE)
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 846/2019 – Sent. del 14 novembre 2020, n. 724
Pres. Salamone – Est. Cerroni
[I. S.r.l. c. Comune di Monteu Da Po e Ader – Agenzia delle Entrate – R.]
La I. S.r.l. – concessionaria per affidamento diretto del servizio di accertamento e riscossione dei tributi IMU-TASI-TARI del Comune di Monteu Da Po – impugnava innanzi al TAR la determina con la quale l’ente locale risolveva il contratto pubblico di concessione (ex artt. 108, 175 e 256 d.lgs. n. 50/2016) a causa del superamento della soglia prevista ex-lege di 40.000 € (art. art. 36 d.lgs. 50/2016); somma che il Comune avrebbe dovuto riconoscere a titolo di corrispettivo alla I. S.r.l. La I. S.r.l. adduceva cinque motivi di impugnativa a cui l’ente locale replicava con le proprie controdeduzioni; inoltre, con una successiva memoria, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice contabile in quanto la res in iudicio deducta avrebbe natura di giudizio di conto avente ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere.
Il TAR afferma che l’eccezione è priva di pregio: analizzando le deduzioni della società ricorrente è possibile configurare una posizione di interesse legittimo. Infatti, la causa petendi attiene alla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla I. S.r.l. nei confronti del Comune di Monteu Da Po che avrebbe illegittimamente cessato la concessione ed affidato il servizio alla “Ader”. Pertanto, alla luce della causa petendi la (ex) società concessionaria non opera in qualità di agente contabile bensì in qualità di operatore economicoed il Tribunale specifica che vi sarebbe giurisdizione del giudice contabile solo ove il giudizio avesse ad oggetto le poste contabili attive e passive o i rapporti di dare e avere e il risultato finale di tali rapporti intercorrenti tra la società incaricata alla riscossione e l’ente impositore (Cass. Civ. sez. un., 28 febbraio 2020, n. 5595).
Infine, il TAR afferma la propria giurisdizione sottolineando il fatto che le doglianze del concessionario ineriscono la legittimità e la correttezza dell’esercizio del potere di scelta del contraente: materia nella quale è pacifica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
[S. Mallardo]
EDILIZIA & URBANISTICA
I VINCOLI PREVISTI NELLE CONVENZIONI STIPULATE EX ART. 35, L. N. 865/1971 COSTITUISCONO ONERI REALI
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 64/2017 – sent. del 16 dicembre 2020 n. 847,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[S. Alvarez e altri c. Comune di Torino]
S. Alvarez e altri, in qualità di proprietari di alcune unità abitative site in Torino, realizzate a seguito di intervento di edilizia residenziale pubblica ai sensi della l. n. 865/1971, ricorrevano contro il Comune per ottenere l’annullamento della nota predisposta dal direttore dell’area edilizia residenziale pubblica sulla convenzione stipulata tra le parti, nonché per l’accertamento dell’intervenuta perdita di efficacia dei vincoli in quest’ultima stabiliti. Nello specifico, la menzionata convenzione prevedeva che gli immobili in questione fossero, in caso di vendita, gravati dalle limitazioni previste dall’art. 35, c. 15-19, della l. n. 865/71.
Parti ricorrenti, in considerazione della avvenuta abrogazione, ad opera dell’art. 23 della l. n. 179/1992, del richiamato art. 35, presentavano apposita istanza al Comune di Torino, asserendo il venir meno del vincolo secondo cui, trascorso un periodo ventennale dal rilascio della licenza di abitabilità, il proprietario avrebbe potuto alienare il bene versando all’ente locale una determinata somma. Pertanto, un’eventuale alienazione non sarebbe più stata, ad avviso dei ricorrenti, soggetta ad alcuna corresponsione di tipo economico in favore del Comune. Con nota successiva, il Comune di Torino dava riscontro negativo all’istanza, richiamando in proposito alcune deliberazioni adottate in attuazione dell’art. 31, c. 48, l. n. 448/98, che aveva riconosciuto la facoltà di sostituire le convenzioni stipulate prima della l. n. 179/92, con la previsione di un corrispettivo calcolato secondo i criteri più favorevoli, come individuati dalla normativa sopravvenuta. Per verificare la permanenza dei vincoli contenuti nella convenzione stipulata tra le parti, anche a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 179/1992, il TAR Piemonte premette come la materia delle convenzioni urbanistiche finalizzate alla realizzazione di alloggi di edilizia popolare sia stata, negli anni, oggetto di diverse modifiche legislative, che hanno generato un contrasto giurisprudenziale.
Sul punto, ricorda il Collegio, è tuttavia intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 18135 del 16 settembre 2015, secondo cui “i vincoli connessi alle convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 35, l. n. 865/1971 non sono affatto soppressi automaticamente a seguito del venir meno del divieto di alienare e, in assenza di convenzione di rimozione ex art. 31, c. 49 bis, L. n. 448 del 1998, seguono il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita”. La tesi sostenuta dalle Sezioni Unite trova fondamento, afferma il giudice amministrativo, sul d.l. n. 70/2011, che condiziona la rimozione dei vincoli sulla determinazione del prezzo massimo di cessione contenuti nell’ambito di una convenzione di edilizia residenziale pubblica, al ricorrere di tre presupposti: il decorso di almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, la richiesta del proprietario, la determinazione, da parte del Comune, del corrispettivo calcolato secondo parametri legali. L’intento del legislatore, infatti, è di garantire una casa alle persone meno abbienti e di impedire operazioni speculative di rivendita. Ne discende che la clausola negoziale che indichi un prezzo difforme da quello vincolato risulta viziata da nullità parziale e va sostituita di diritto, ai sensi degli artt. 1419, c. 2 e 1339 c.c., con altra clausola che prevede il prezzo massimo fissato in convenzione (Cass. civ., ss. uu., 16 settembre 2015, n. 18135; parimenti, Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2017, n. 30951; Id., 28 maggio 2018, n. 13345).
Tale orientamento, sostiene il TAR, è stato accolto anche dalla prevalente giurisprudenza che ritiene le limitazioni al trasferimento di cui all’art. 35, l. n. 865/1971 applicabili per le convenzioni stipulate fino all’entrata in vigore dell’art. 23, della l. n.179/1992, nonché per le convenzioni successive che hanno richiamato testualmente i limiti (così, Cons. Stato, sez. II, 4959/2019; sez., V, sent. n. 6974/2020; Tar Lazio, Roma, sez. II, sent. n. 9842/2019). Pertanto, la cessione risulta liberata dai vincoli di cui si tratta, non in maniera automatica, ma in via subordinata alla stipula di una nuova convenzione che modifichi quella originaria, spettando al Comune la definizione degli elementi di calcolo della misura del corrispettivo da versare (Cons. Stato, sez. IV, 10 settembre 2018 n. 5300). Il Collegio quindi, respingendo il ricorso e recependo l’orientamento di cui sopra, conclude nel senso che l’art. 23 della l. n. 179/1992, pur abrogando la disciplina di cui all’art. 35, c. 15 e ss., della l. n. 865/1971, nulla dispone sulla relativa applicazione retroattiva alle convenzioni edilizie antecedenti, come confermato dalla circostanza, tra l’altro, che le stesse sono state oggetto di successivo intervento legislativo, con l’art. 31 della l. n. 448 del 1998 (in questi termini, anche Tar Toscana, sez. I, sent. n. 1803/2012).
[S. Matarazzo]
ENTI LOCALI
LA REALIZZAZIONE SOLO PARZIALE IMPUTABILE A INADEMPIENZE DEL SOGGETTO ATTUATORE HA UN RIFLESSO OGGETTIVO SUL QUADRO ECONOMICO COMPLESSIVO DELL’OPERA E NE LEGITTIMA IL DE-FINANZIAMENTO.
TAR Piemonte, Sez. I– R.G. 613/2016 – sent. del 06/10/2020, n. 587,
Est. Cerroni, Pres. Salamone
[Comune di Borgo Vercelli c. Regione Piemonte et al.]
La presente controversia concerne la legittimità del de-finanziamento di un progetto ascrivibile all’Accordo di Programma Quadro (APQ) per la tutela delle acque e la gestione integrata delle risorse idriche nella Regione Piemonte e, segnatamente, del progetto di adeguamento dell’impianto depurazione del Comune di Borgo Vercelli al d.lgs. 152/1999. In seguito a circostanze che hanno portato alla parziale esecuzione dei lavori oggetto di finanziamento e a fronte degli inadempimenti del Comune rispetto agli obblighi previsti nell’ambito delle attività di monitoraggio periodico dello stato di attuazione del progetto, la Regione, con determina n. 90 del 2016 revocava parte dei finanziamenti concessi procedendo al recupero degli acconti già erogati.
A fronte di tale revoca, il Comune insorgeva avverso la predetta determina regionale deducendo cinque profili di censura con richiesta di pronuncia caducatoria dell’atto.
Il Collegio respinge il ricorso affermando, in primo luogo, che non sussiste violazione del principio generale del legittimo affidamento. Ciò in quanto tale posizione giuridica ha ad oggetto la fondata aspettativa di conservazione di una situazione di vantaggio scaturente da un provvedimento dell’Amministrazione che si assume in buona fede legittimo e si va consolidando con il decorso del tempo. Tuttavia, nel caso di specie, l’accordo di programma delineava un preciso quadro di diritti e correlati obblighi immanenti alla concessione dei benefici economici. Ne consegue che l’invocato affidamento non può farsi valere a fronte di una condotta inadempiente dell’Amministrazione beneficiaria. La reazione provvedimentale impugnata, infatti, si può assimilare più correttamente ad una decadenza, piuttosto che ad una revoca in senso tecnico, correlata alla circostanza oggettiva della incompleta realizzazione dell’opera. Di interesse è il parere del Collegio in ordine al terzo profilo di ricorso, il quale censura di manifesta irragionevolezza l’iter argomentativo regionale nell’apparentare il danno lamentato dal Comune resistente nei confronti della ditta appaltatrice inadempiente alla stregua di una “economia di progetto” sul relativo intervento.
Sul punto, l’Amministrazione ricorrente osserva che il danno è cosa ontologicamente diversa dall’economia di progetto essendo l’uno riconducibile ad un risultato non conseguito o smarrito, l’altra ad un vero e proprio risparmio: una circostanza operativa e/o tecnica ex se idonea a consentire il conseguimento del risultato voluto ad un costo inferiore rispetto a quello preventivato. I meccanismi di co-finanziamento dei progetti ammessi agli accordi di programma quadro prevedono che la quota di finanziamento regionale venga erogata in una prima tranche, a titolo di acconto, nella misura del 50% dell’importo risultante dal quadro economico, al netto del ribasso di asta e sulla base dell’atto di aggiudicazione dei lavori. Al contrario, le erogazioni successive e il saldo avvengono a consuntivo su presentazione del certificato di collaudo o di regolare esecuzione dei lavori, dunque sulla base della spesa effettivamente sostenuta per lavori realizzati a regola d’arte. Nel caso di specie, si è assistiti all’esecuzione solo parziale dei lavori di un lotto: l’ammontare del conto finale dell’intervento sul lotto è risultato pari a 309.359,06 ma gli inadempimenti contrattuali oggetto di contestazione ammontavano a euro 132.316, tant’è che il certificato di regolare esecuzione parziale attestava un ammontare pari a soli euro 177.043,06.
Secondo il TAR Piemonte va dunque tenuto distinto il piano dei rapporti tra i due Enti da quello tra l’Ente comunale e i soggetti appaltatori responsabili della concreta esecuzione dell’opera: ciò che nel secondo fascio di rapporti si atteggia a danno risarcibile secondo i consueti canoni della responsabilità contrattuale, si rifrange attraverso il prisma dei rapporti tra Regione e Comune assumendo in tal caso i contorni di un’economia di progetto, giacché la realizzazione solo parziale imputabile a inadempienze e ritardi del soggetto attuatore ha un riflesso oggettivo sul quadro economico complessivo dell’opera, compiuta solo parzialmente, con minori costi che arrivano ad essere coperti dalla sola quota comunale e conseguente riallocazione delle risorse regionali oggetto di de-finanziamento. Tale prospettiva è corroborata dall’art. 21 dell’Accordo quadro, il quale prevede che la revoca del finanziamento non pregiudica l’esercizio di eventuali pretese risarcitorie nei confronti del soggetto cui sia imputabile l’inadempimento contestato per i danni arrecati.
[V. Vaira]
SCUOLA & UNIVERSITA’
ILLEGITTIMA PER VIOLAZIONE DELLE NORME SPECIALI COVID-19 LA BOCCIATURA DI UN ALUNNO PER INSUFFICIENTE RENDIMENTO SCOLASTICO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 540/2020 – sent. del 14 settembre 2020, n. 533,
Pres. Testori, Est. Caccamo
[Omissis c. Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca]
I genitori dell’alunno omissis hanno impugnato il provvedimento con cui, al termine dell’anno scolastico 2019/2020, il consiglio di classe di una scuola secondaria di Io grado ha disposto la non ammissione dell’alunno alla classe successiva. Secondo quanto prospettato nel ricorso introduttivo, la decisione del consiglio di classe sarebbe viziata da violazione di legge, per difetto di motivazione, nonché da eccesso di potere, per contraddittorietà. Nello specifico, i ricorrenti lamentano che la decisione del consiglio di classe si ponga in violazione rispetto a quanto previsto dall’ordinanza del ministro dell’istruzione del 16 maggio 2020, n. 11, la quale ha introdotto una disciplina normativa a carattere speciale a seguito della sospensione delle lezioni in presenza dovuta alla pandemia di COVID-19.
Il TAR ha dichiarato il ricorso fondato. Con riguardo all’anno scolastico 2019/2020, l’ordinanza ministeriale sopraccitata ha previsto che, in generale, gli alunni devono essere ammessi alla classe successiva anche quando essi abbiano ottenuto dei voti insufficienti (inferiori a 6/10) in una o più discipline. Rimane possibile disporre la non ammissione esclusivamente quando il consiglio di classe non possiede alcun elemento valutativo relativo all’alunno perché questi – già prima della sospensione delle lezioni in presenza avvenuta nel marzo 2020 – non ha frequentato, o ha frequentato soltanto sporadicamente, le attività didattiche.
Alla luce di questo quadro normativo, l’esclusione dell’alunno dalla classe successiva è illegittima perché disposta in violazione dell’ordinanza ministeriale n. 11/2020. Nel caso di specie, come emerge dagli atti, l’alunno non è stato ammesso alla classe successiva a causa dell’insufficienza del suo rendimento scolastico e dallo scarso impegno dimostrato nello studio individuale. Tuttavia, affermano i giudici, l’ordinanza «non consente affatto di ritornare all’applicazione dell’ordinario criterio del profitto scolastico ai fini della valutazione degli alunni, né autorizza la non ammissione alla classe successiva in presenza di risultati complessivamente insufficienti».
[R. Medda]
I CRITERI DI VALUTAZIONE IN UN CONCORSO A PROFESSORE ORDINARIO SONO SINDACABILI SOLTANTO IN PRESENZA DI GRAVI VIZI DI ILLEGITTIMITA’
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 859/2019 – sent. del 14 ottobre 2020, n. 608,
Pres. Salamone, Est. Risso
[Omissis c. Politecnico di Torino]
Il ricorrente omissis ha impugnato gli atti relativi a una procedura concorsuale indetta dal Politecnico di Torino per la selezione di due professori ordinari presso il Dipartimento di ingegneria dell’ambiente, del territorio e delle infrastrutture.
Secondo quanto prospettato nel ricorso introduttivo, la valutazione dei candidati effettuata dalla commissione giudicatrice nelle varie fasi della procedura sarebbe viziata da violazione di legge e da eccesso di potere. Nello specifico, il ricorrente lamenta che in ciascuna fase dell’articolata procedura concorsuale la commissione giudicatrice abbia adoperato delle modalità di valutazione viziate da illegittimità: per un verso, i criteri di valutazione in concreto adoperati sarebbero tanto generici da rendere non intellegibili i punteggi assegnati ai candidati; per un altro verso, le valutazioni sarebbero arbitrarie perché non compatibili con i criteri desumibili dal bando di concorso e dalla disciplina normativa nonché, più in generale, dagli standard di valutazione della ricerca comunemente in uso nella comunità scientifica.
Non accogliendo le censure prospettate, il TAR ha dichiarato il ricorso infondato. In prima battuta, i giudici richiamano un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, nei concorsi pubblici, la commissione giudicatrice è titolare di un’ampia discrezionalità tecnica nella valutazione comparativa tra i candidati. In altri termini, tanto nella predeterminazione dei criteri di valutazione quanto nell’attribuzione dei punteggi ai candidati, la commissione beneficia di un esteso margine di autonomo apprezzamento.
Per questa ragione, i giudici amministrativi possono sindacare la valutazione comparativa della commissione soltanto in misura limitata. A tal proposito, afferma il TAR che: «Né il Giudice, né, tantomeno, il candidato insoddisfatto possono pretendere di sostituire e sovrapporre le proprie valutazioni a quelle a cui collegialmente e motivatamente sia pervenuto un autorevole consesso di studiosi, quale, nella specie, la Commissione giudicatrice, formata da tre professori ordinari esperti nel settore scientifico di interesse». Questo risultato è dovuto alle specificità dell’attività di valutazione del merito scientifico: «le valutazioni di carattere tecnico-scientifico sul valore di titoli e pubblicazioni» – afferma ancora il TAR Piemonte – «sono per definizione opinabili e, dunque, soggette alle fisiologiche criticità proprie di ogni giudizio che, per sua natura, non può pervenire ad un risultato “matematico” e incontrovertibile».
In conclusione, soltanto in presenza di valutazioni vistosamente irragionevoli, illogiche, arbitrarie o viziate da travisamento dei fatti, è possibile per i giudici amministrativi sindacare la valutazione discrezionale dei candidati effettuata dalla commissione. Una situazione che non si applica al caso di specie: per il TAR Piemonte, infatti, le articolate censure avanzate dal ricorrente non sono riuscite a provare la presenza di gravi vizi nella valutazione dalla commissione.
[R. Medda]
TRASPORTI
IL PRINCIPIO DI PARI E ADEGUATA VISIBILITÀ E ACCESSIBILITÀ PER I VIAGGIATORI NON È GENERALIZZABILE ALLE STAZIONI IN CUI L’OPERATORE NON SVOLGE IL SERVIZIO FERROVIARIO NÉ SETTORIALIZZABILE A SPECIFICI SEGMENTI DI MERCATO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 01057/2019 – sent. del 28/12/2020, n. 901,
Est. Caccamo, Pres. Testori
[Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A. c. Autorità di Regolazione dei Trasporti]
Il TAR Piemonte respinge il ricorso con cui Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A. impugnava la Delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti in data 30 settembre 2019 n. 130 recante le modalità di assegnazione alle imprese ferroviarie di spazi in stazione per l’offerta di servizi di biglietteria (automatica e non), accoglienza e assistenza ai passeggeri, nonché per l’ubicazione di desk informativi.
In ossequio all’art. 13 del D.lgs. n. 112/2015 (D.lgs. 15 luglio 2015, n. 112 “Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico (Rifusione)”, in GU Serie Generale n.170 del 24.07.2015), che disciplina le “condizioni di accesso ai servizi” in aderenza ai contenuti della Direttiva sullo spazio ferroviario europeo unico (Direttiva 2012/34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico, GU L 343 del 14.12.2012, p. 32.) e del relativo Regolamento di esecuzione (Regolamento di esecuzione (UE) 2017/2177 della Commissione, del 22 novembre 2017, relativo all’accesso agli impianti di servizio e ai servizi ferroviari (C/2017/7692), OJ L 307, 23.11.2017, p. 1–13.) sull’accesso agli impianti di servizio e ai servizi ferroviari (Sul tema si cfr. M. Intini, V. Larosa, L. Tangari, Regolazione ferroviaria tra gestione pubblica e liberalizzazione: lo stato dell’arte in Europa e in Italia, in Rivista di economia e politica dei trasporti 2/2020, 1 ss.), la Delibera impugnata prevede misure finalizzate a garantire un accesso equo e non discriminatorio ai servizi accessori da parte degli operatori. La stessa prevede poii criteri di risoluzione di conflitti fra diverse richieste, compresa la possibilità di presentare reclamo all’Autorità di regolazione (ART) nel caso di rifiuto di accesso. In riferimento a quest’ultimo punto si dispone che, nell’esame del reclamo, l’ART prende in considerazione, ove pertinenti, elementi suppletivi quali l’ubicazione, l’estensione ed il grado di utilizzo di spazi già eventualmente assegnati al richiedente nella stessa stazione e quelli ivi assegnati ad altre imprese operanti nei servizi di trasporto passeggeri ferroviari; nonché il numero e l’estensione di spazi richiesti e ottenuti in altre stazioni sul territorio nazionale ed il grado di utilizzo degli stessi.
Con un primo ordine di censure Italo S.p.a. lamentava una discriminazione indiretta, ove il principio di pari e adeguata visibilità e non discriminazione nell’assegnazione degli spazi e dei servizi accessori in stazione sarebbe di fatto vanificato dai criteri individuati per la risoluzione delle controversie tra imprese ferroviarie. Secondo la ricorrente, l’impiego di criteri di assegnazione degli spazi meramente quantitativi e rigidamente proporzionali aprirebbe, in sede di esame di reclamo, un “incontrollato margine di discrezionalità”. Il TAR Piemonte fa un’esegesi teleologico-sistematica della norma osservando che la disposizione in questione, in quantovolta a tipizzare dati che, in aggiunta a quelli posti dalla normativa euro-unitaria, possono entrare nelle nell’ambito dell’esercizio della funzione di dispute resolution dell’ART,attiene alla disciplina dell’esercizio della funzione giustiziale assegnata all’ART.Di qui la seconda considerazione sulla natura meramente suppletiva dei criteri – nonesclusivi né prevalenti – richiamabili ove utili nella risoluzione del caso concreto.
Per tali ragioni il Collegio afferma che i criteri in parola si pongono in linea di sostanziale contiguità con il principio di “pari e adeguata visibilità e accessibilità per i viaggiatori”.
In riferimento alle ulteriori censure sul rigetto della richiesta di recepimento delle osservazioni presentate dalla ricorrente in sede di istruttoria preliminare all’adozione della delibera si evidenzia, in primo luogo, che non ricade in capo all’Autorità di regolazione alcun obbligo di recepire nei propri provvedimenti le osservazioni svolte dagli operatori nel corso del procedimento istruttorio, essendo esse espressione di un apporto partecipativo non vincolante. In secondo luogo e sul piano sostanziale, la proposta di estendere il principio di pari e adeguata visibilità e accessibilità anche alle stazioni non servite dall’impresa ferroviaria pare sproporzionata rispetto alla garanzia di una concorrenza effettiva nel settore. Ciò in quanto il principio di pari e adeguata accessibilità e visibilità non può essere generalizzato e trovare automatica applicazione anche nelle stazioni in cui l’operatore non svolge, o non ha programmato, servizi di trasporto ferroviario.
Infine, parte ricorrente lamentava che la ripartizione degli spazi in stazione tra le imprese ferroviarie dovrebbe avvenire sulla base di un criterio di proporzionalità direttamente rapportato al segmento di traffico – dunque al settore di mercato – nel quale opera ciascuna di esse, e non al numero totale di tutti i passeggeri in tutti i segmenti del servizio ferroviario. Nondimeno, ad oggi non esiste nelle stazioni alcuna suddivisione degli spazi attribuibili alle imprese ferroviarie in relazione allo specifico servizio offerto (e, dunque, al correlato segmento di mercato). Pertanto, risulta impossibile individuare settori o aree separate specificamente dedicate al servizio alta velocità nell’ambito delle quali è possibile diversificare l’accesso ai servizi in base al criterio di proporzionalità direttamente rapportato al predetto segmento di traffico. Parimenti, la richiesta della ricorrente di declinare il principio di pari e adeguata visibilità per ciascun segmento di mercato e in aree appositamente individuate, ove applicato, finirebbe per settorializzare la portata di un principio di carattere generale, volto alla garanzia di un accesso equo e non discriminatorio agli spazi per servizi accessori. Tale garanzia va intesa in un’ottica di effettivo utilerispetto alla stazione nel suo complesso, così da consentire lo sviluppo di una effettiva concorrenza tra tutti gli operatori del settore,indipendentemente dalle caratteristiche specifiche del servizio reso.
[V. Vaira]
SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE AMMINISTRATIVO E GIUDICE ORDINARIO IN MATERIA DI DINIEGO DI RILASCIO DEL NUOVO TITOLO ABILITATIVO DI GUIDA (PATENTE)
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 732/2020 e 866/2020 – Sentenze del 18 novembre 2020 e del 4 dicembre 2020, nn. 740 e 795
Pres. Testori – Estensori Caccamo (740) e Faviere (795)
[OMISSIS c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero dell’Interno]
Entrambe le controversie originano dal ricorso presentato da due cittadini per l’annullamento del provvedimento di diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida (o rigetto dell’istanza di rilascio nulla osta al conseguimento di nuovo titolo abilitativo alla guida). Il diniego veniva motivato sulla base della mancanza dei requisiti morali per ottenere il rilascio del titolo abilitativo ai sensi dell’art. 120 comma 1 d.lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada).
Nel primo caso il richiedente era stato condannato con sentenza passato in giudicato per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 in materia di stupefacenti; nel secondo caso invece risultava sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Ambedue i soggetti non avevano fatto richiesta di riabilitazione.
Il TAR afferma la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in quanto i provvedimenti basati sui rilievi ostativi di cui all’art. 120 hanno natura vincolata. La posizione giuridica soggettiva del privato è da qualificarsi di diritto soggettivo poiché non vi sarebbe alcuna spendita di poteri discrezionali da parte dell’Amministrazione (Cass., Sez. Un., n. 22491/2010).
In conclusione, il giudice amministrativo di primo grado, specifica che non bisogna confondere il provvedimento di diniego del rilascio del titolo abilitativocon il provvedimento di revoca della patentepoiché il secondo presuppone l’esercizio di una potestà amministrativa di natura discrezionale a fronte della quale si configura una posizione di interesse legittimo tutelabile innanzi al giudice amministrativo, mentre il primo presuppone un’attività di accertamento di carattere vincolato rilevando una posizione di diritto soggettivo tutelabile innanzi al giudice ordinario.
Per queste ragioni il TAR dichiarava entrambi i ricorsi inammissibili per difetto di giurisdizione trattandosi di diritti per i quali è competente il giudice ordinario.
[S. Mallardo]
PUBBLICO IMPIEGO
SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA GIUDICE AMMINISTRATIVO E GIUDICE ORDINARIO IN FUNZIONE DI GIUDICE DEL LAVORO IN MATERIA DI CONCORSI PUBBLICI
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 837/2020 e 809/2020 – Sentenze del 4 dicembre 2020, nn. 796 e 801
Pres. Testori – Estensori Faviere (796) e Testori (801).
[M.D.B. c. Ministero Dell’Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Uff. V Ambito Territoriale Torino; M.P. e E.B. c. Ministero Dell’Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Uff. V Ambito Territoriale Torino.]
I ricorrenti adivano il TAR per ottenere l’annullamento dei decreti (e dei provvedimenti collegati) con i quali venivano pubblicate le graduatorie provinciali per le supplenze (GPS) di I e II fascia. Essi lamentavano l’attribuzione di un punteggio inferiore a quello che avrebbero dovuto ottenere –tramite la presentazione dei titoli – comportando la loro esclusione dalla graduatoria o comunque una posizione inferiore all’interno della stessa. I ricorrenti deducevano il malfunzionamento e l’illegittimità del modus operandi della piattaforma informatica predisposta dall’Amministrazione per la redazione delle graduatorie.
Il Collegio sollevava d’ufficio la questione di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione. Il TAR richiama la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria n. 11/2011 secondo la quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nelle procedure concorsuali ove vi siano i seguenti elementi caratterizzanti: un bando, una valutazione comparativa dei candidati al fine di apprezzarne discrezionalmente le competenze professionali e una graduatoria che stabilisca i vincitori. Senza un bando, una procedura di valutazione e l’approvazione di una graduatoria che stabilisca i vincitori, non si ha una procedura concorsuale.
Le graduatorie “GPS” sono sussumibili nel secondo caso poiché vi è una procedura che non contempla posti messi a concorso da coprire, non vi sono prove preselettive, scritte o orali e, quindi, non è prevista nemmeno una graduatoria con dei vincitori su base meritocratica.È contemplata solamente una valutazione per titoli “meccanica” ricognitiva del possesso dei requisiti con conseguente attribuzione automatica di un punteggio da parte della piattaforma informatica. Tale automatismo non è configurabile come attività autoritativa; esso rappresenta un atto vincolato di gestione del rapporto privo di qualsivoglia margine valutativo discrezionale, atto che ricade tra le capacità e i poteri del datore di lavoro privato di fronte al quale sono configurabili diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario (Cass. Civ. SS.UU., 8 febbraio 2011, n. 3032).
[S. Mallardo]