Edilizia residenziale pubblica e stranieri. La Regione Piemonte nuovamente condannata per condotta discriminatoria (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 7 marzo 2023)

Francesca Paruzzo[1]

(ABSTRACT)

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto con l’art. 8, co. 1, lett. a) del DPGR n. 2543/94, relativo all’accesso agli alloggi di edilizia agevolata, il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; e costituisce altresì discriminazione la condotta tenuta dalla Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale consistente nell’aver disposto con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”.

Sommario:

1. Premessa. L’ordinanza del Tribunale di Torino – 2. Il diritto alla casa quale diritto inviolabile dell’uomo – 3. Il riconoscimento dei diritti sociali dello straniero in condizioni di uguaglianza. L’esigenza di una causa normativa della differenziazione – 4. Considerazioni conclusive. L’indebita supplenza della giurisprudenza rispetto a politiche discriminatorie

1. Premessa. L’ordinanza del Tribunale di Torino

Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 7 marzo 2023, accogliendo il ricorso presentato ex artt. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011 e 702-bis c.p.c. da parte dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)[2] accerta e dichiara il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto, con l’art. 8, co. 1, lett. a) del DPGR n. 2543 del 1994 – Regolamento per l’esecuzione dei programmi costruttivi di nuove costruzioni e di recupero in regime di edilizia agevolata e convenzionata – il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; costituisce altresì discriminazione, secondo tale Tribunale, la condotta tenuta dall’Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale (ATC), consistente nell’aver previsto, con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte, il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”.

Per la seconda volta in meno di due anni[3] un atto della Regione Piemonte viene censurato in sede giurisdizionale in quanto idoneo a introdurre irragionevoli differenziazioni tra cittadini e stranieri nell’accesso a una prestazione sociale, quale è l’edilizia agevolata, ponendosi così in contrasto con una giurisprudenza di merito e costituzionale ormai consolidata.

In un contesto in cui legislatore e giudici non sembrano più porsi, soprattutto con riferimento a tali tematiche, nella posizione di una complementarietà che rimanda alla tipicità delle funzioni e rispecchia il principio della separazione dei poteri[4], emerge allora l’esigenza di (ri)mettere al centro dell’analisi due fattori: sia la dimensione anti-discriminatoria del principio di uguaglianza, decisiva nel definire lo statuto costituzionale del non cittadino, sia, attraverso il riferimento anche a quest’ultimo della categoria dei diritti sociali, la prospettiva dell’uguaglianza sostanziale e dell’inclusione sociale[5].

Misurarsi con le nuove frontiere delle politiche di esclusione, che le amministrazioni statali e regionali, soprattutto negli ultimi anni, sembrano porre in atto, impone infatti di comprendere come queste finiscano per aggirare i limiti posti dalla Costituzione e di rilevarne le profonde criticità in grado di mettere in discussione l’effettivo godimento dei diritti fondamentali da parte degli stranieri.

2. Il diritto alla casa quale diritto inviolabile dell’uomo

Centrale, nell’ordinanza in commento, è il riconoscimento, per tutti e in condizioni di uguaglianza, di un “diritto alla casa” che, quale diritto sociale, viene posto, insieme ad altri, a fondamento dell’edificio costituzionale[6].

Tale diritto, pur in assenza di una esplicita previsione costituzionale[7], “costituisce [infatti] il punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie costituzionali e si specifica quale componente essenziale (oltre che presupposto logico) di una serie di “valori” strettamente legati a quel pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione pone a base (assieme all’istanza partecipativa) della democrazia sostanziale”[8].

Fondamentali per il riconoscimento del diritto all’abitazione, come noto, sono le sentenze della Corte costituzionale n. 49 del 1987, n. 217 del 1988 e n. 404 del 1988: in tali pronunce, i giudici costituzionali precisano come, nella prospettiva dei pubblici poteri, la disciplina dell’abitazione costituisca un “dovere collettivo”[9] a cui lo Stato non può abdicare, in quanto volto a “impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione”[10]; il diritto alla casa risulta così collocabile “tra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 della Costituzione”[11], dal momento che contribuisce “a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana”[12].

In questo senso si pone la realizzazione di un sistema di edilizia residenziale pubblica, funzionale a incrementare il numero delle abitazioni disponibili, assegnandole a chi si trovi in particolari condizioni di bisogno. Al suo interno si distingue tra (a) edilizia sovvenzionata, ossia quella che “fruisce di contributo diretto dello Stato ed è finalizzata a realizzare alloggi da destinare permanentemente in locazione agli aventi titolo (in base a parametri legati al reddito e alla categoria lavorativa) destinati a ruotare man mano che gli assegnatari escono dai parametri reddituari”; (b) edilizia agevolata, ossia quella “diretta alla proprietà della casa per categorie “protette o corporative” con la previsione di agevolazioni statali circa la copertura degli interessi sui mutui contratti dagli assegnatari”; (c) edilizia convenzionata: è quella “diretta anch’essa alla proprietà della casa e per specifiche categorie che si avvale di prezzi di locazione o di acquisto successivo a prezzi calmierati in base a convenzioni stipulate con i Comuni”[13].

Si tratta tuttavia di un sistema, che, a dispetto delle aspirazioni originarie, ha oggi lentamente esaurito la sua forza programmatoria e redistributiva, lasciando quasi completamente irrisolta la copertura del fabbisogno abitativo di carattere pubblico[14]: invero, in una tensione “tra il riconoscimento di un diritto sociale fondamentale, quello all’abitazione, e la situazione reale”[15], con il passaggio delle principali competenze in materia dallo Stato alle regioni (con il d.lgs. n. 112 del 1998, prima e con la revisione del Titolo V, poi), con il sempre minore investimento pubblico nel settore[16] – passato dal 26% degli investimenti totali negli anni Cinquanta a meno dell’1% negli anni Duemila[17] – e in coerenza con il sempre più stretto rapporto diretto tra esigenze finanziarie e diritti, oggi, quasi il 6% delle famiglie che si trovano in condizioni di disagio abitativo assoluto, non riesce ad accedere all’edilizia residenziale pubblica[18].

È in un quadro di risorse così limitate, che fa sì che l’effettività dei diritti fondamentali entri in concorrenza con (e sia subordinata a) necessarie coperture economiche, con conseguente selettività delle garanzie e limitatezza dei beneficiari, che trova spazio la sperimentazione di “politiche di appartenenza”, come quella realizzata dalla Regione Piemonte, finalizzate a favorire – illegittimamente – coloro che hanno un legame più intenso e duraturo con il territorio nazionale, regionale o locale[19], escludendo gli stranieri dal godimento di quei medesimi diritti fondamentali, attraverso politiche discriminatorie che mettono a dura prova la categoria dei “diritti umani” tout court”[20].

3. Il riconoscimento dei diritti sociali dello straniero in condizioni di uguaglianza. L’esigenza di una causa normativa della differenziazione

I diritti sociali, strettamente attinenti alla protezione di beni essenziali della persona, sono funzionali alla realizzazione di una “premessa ineliminabile di uno Stato essenzialmente democratico”[21]: in attuazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, essi, infatti, consentono di conferire effettività a una solidarietà collettiva funzionale a che ognuno sia libero da situazioni di bisogno[22], qualunque sia la loro natura.

In questo senso, con riferimento alla categoria dello straniero, alla giurisprudenza della Corte Costituzionale è da ascriversi il processo di emancipazione dalla lettera della Costituzione (secondo cui una serie di diritti fondamentali sono riservati al cittadino) che ha portato, attraverso l’affermazione del principio di non discriminazione e il ricorso al canone della ragionevolezza, a poter sostenere che quegli stessi diritti fondamentali siano riconosciuti come spettanti anche allo straniero[23]. Ad essere valorizzato, sin dalla sentenza n. 120 del 1967, è infatti il combinato disposto degli articoli 2 e 10 co. 2 della Costituzione[24], che pone l’accento sul primato costituzionale della persona, precedente a quello del “cittadino” e che porta ad assumere la dignità quale “attributo naturale e intrinseco di tutti gli uomini, che si riflette in tutte le sfaccettature della vita come valore da tutelare in sé, o nelle sue specifiche proiezioni nei più diversi settori”[25]: in questo senso, allora, se “i diritti che la Costituzione proclama come inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”[26], quando la prestazione legislativamente prevista per i cittadini rappresenta “un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di ‘bisogni primari’ inerenti alla sfera di tutela della persona”[27], lo straniero deve essere pienamente equiparato al cittadino.

Per ciò che qui interessa, l’edilizia residenziale pubblica, rientra nell’ambito dei “servizi sociali” di cui agli artt. 1, co. 2 della L. n. 328 del 2000 e 128, co. 2, del D.Lgs. n. 112 del 1998 e riguarda quelle prestazioni non destinate alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro che si trovino in possesso di particolari requisiti di natura essenzialmente economica[28]: il principio del c.d. “universalismo selettivo”[29], cui le prestazioni sociali fanno riferimento, delinea infatti uno schema secondo cui, se ogni individuo ha pari diritto di accedere ai servizi di assistenza, le modalità attraverso cui tale accesso si verifica, nonché l’ordine delle relative priorità, sono subordinate alla valutazione di ulteriori presupposti[30], che devono valere per tutti, in condizioni di uguaglianza; non può trovare legittimazione alcuna, al contrario, l’introduzione di trattamenti differenziati sulla base del possesso di particolari status, tra cui quelli ascrivibili alla valutazione del grado di integrazione del singolo su un determinato territorio[31] o subordinati a diversi – e più gravosi – oneri documentali[32].

In un ordinamento informato a tali principi, l’esito cui giunge l’ordinanza del Tribunale di Torino non può che apparire scontato e di ciò risulta consapevole la stessa Regione Piemonte, che, costituendosi in data 13.1.2023, dichiara di avere piena cognizione dell’esistenza di una giurisprudenza costituzionale e di merito che già aveva riconosciuto la natura discriminatoria di analoghi atti normativi adottati dalla stessa, come da altri enti territoriali[33]. Il richiamo più evidente è infatti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 44 del 2020[34], con cui i giudici costituzionali già si erano pronunciati sull’illegittimità di un’eguale previsione in materia di edilizia residenziale pubblica introdotta dall’art. 22, co. 1, lett. b), della L.R. Lombardia n. 16 del 2016: tale articolo, al pari dell’art. 8 del DPGR n. 2543 del 1994 impugnato, stabiliva che tutti i potenziali beneficiari dell’edilizia residenziale pubblica dovessero soddisfare il requisito della residenza anagrafica o dello svolgimento di attività lavorativa in regione per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda. Secondo i giudici costituzionali, se il legislatore può legittimamente circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali in ragione della limitatezza dei mezzi destinati al loro finanziamento[35], tali scelte, perché possano essere considerate ragionevoli, devono essere giustificate alla luce di una causa normativa della differenziazione[36] , fondata su “una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio”[37]. L’esigenza di un collegamento tra i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali e la funzione del servizio[38], quindi, ben può far risultare incoerente rispetto alla causa normativa della disciplina volta a definire le modalità di accesso all’edilizia pubblica non solo il riferimento alla cittadinanza, ma anche a quelle disposizioni, quali la residenza protratta sul territorio, che, pur non escludendo lo straniero dall’accesso a prestazioni sociali, impongono solo nei suoi confronti requisiti ulteriori.

L’ordinanza del Tribunale di Torino si pone in piena conformità con tale orientamento: se, infatti, la ratio del servizio è da rinvenirsi nel soddisfacimento del bisogno abitativo, la condizione della residenza ultraquinquennale e dell’attività lavorativa stabile non presenta alcuna ragionevole connessione con esso[39], ma si risolve semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’edilizia residenziale pubblica a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente[40]. In alcun modo, poi, secondo il Tribunale torinese, risulta idoneo a superare tale incoerenza l’argomento speso dalla Regione a difesa della norma e secondo cui il requisito della residenza protratta servirebbe “a garantire un’adeguata stabilità nell’ambito della regione prima della concessione dell’alloggio”[41]; prima, cioè, della concessione di un beneficio di carattere continuativo. E’ vero che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 168 del 2014, aveva ammesso che sia “possibile subordinare l’erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata”[42], sicché non è manifestamente irragionevole indirizzare i propri sforzi a favore dei nuclei già attivi da tempo apprezzabile[43], e perciò stesso “parti vitali della comunità”[44]; tuttavia, di nuovo, con la sentenza n. 44 del 2020 (che segna un’evoluzione rilevante rispetto a tali tematiche[45]) i giudici costituzionali sottolineano come l’esclusione di coloro che non soddisfano il requisito della previa residenza quinquennale nella regione finisca per determinare conseguenze incoerenti con la funzione del servizio senza che in alcun modo tale requisito possa essere “rivelatore di alcuna condizione rilevante”: il valore conferito a un condizione del passato (quale la previa residenza ultraquinquennale, così come lo svolgimento di un’attività lavorativa per il medesimo periodo di tempo) non sono di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale[46], ma costituiscono, al contrario, la nuova frontiera della discriminazione[47].

Il medesimo percorso argomentativo – che in questo caso trova riferimento nella sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 2021[48] – è in ultimo utilizzato dal Tribunale di Torino per dichiarare il carattere discriminatorio della previsione, contenuta nel bando di concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte, dell’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune per almeno 10 anni. Tale attribuzione, infatti, risulta in grado di superare qualsiasi situazione di bisogno anche congiuntamente considerato (reddito, presenza di figli a carico, disabilità, disagio abitativo), ossia proprio quella condizione (il bisogno, cioè) a cui il servizio tende a porre rimedio. Di nuovo, affermano i giudici costituzionali (e a essi si conforma il Tribunale di Torino) non è compatibile con la Costituzione un “assetto normativo che tende a “sopravvalutare” una condizione del passato rispetto alle condizioni (soggettive e oggettive) del presente”[49], senza peraltro che “dalla residenza protratta per almeno dieci anni possa trarsi alcun ragionevole indice di probabilità della permanenza nel futuro”[50].

Emerge così, dall’ordinanza in commento – e alla luce dalla giurisprudenza costituzionale cui essa fa rinvio – come sia il pieno sviluppo della persona umana a costituire la bussola che deve orientare l’azione del legislatore e l’amministrazione pubblica, sia statale che regionale, specie quando essi siano chiamati a erogare prestazioni e servizi connessi ai bisogni vitali dell’individuo, come quello abitativo: al centro della valutazione di ragionevolezza vi è solo il bisogno a cui dare risposta e alla legislazione (e conseguentemente all’amministrazione) è chiesto di rendersi coerente con questo obiettivo, senza “indulgere in suggestioni identitarie o localistiche”[51]. Ogni tentativo di far prevalere sulle condizioni soggettive e oggettive del richiedente valutazioni diverse deve essere oggetto di uno stretto scrutinio “che verifichi la congruenza di siffatte previsioni rispetto all’obiettivo di assicurare il diritto all’abitazione ai non abbienti e ai bisognosi”[52].

4. Considerazioni conclusive. L’indebita supplenza della giurisprudenza rispetto a politiche discriminatorie

La questione dell’accesso dei non cittadini alle prestazioni di sicurezza sociale è tra le più delicate della disciplina dell’immigrazione: la difficoltà di creare un largo consenso sui criteri di ripartizione delle risorse è infatti fonte di tensioni, soprattutto allorché si debbano comparare i bisogni di gruppi sociali portatori di interessi potenzialmente confliggenti; a maggior ragione, ciò si verifica quando viene in gioco la categoria dello straniero, rispetto alla quale – si invoca spesso – i cittadini dovrebbero poter vantare sull’intervento dello Stato un diritto di precedenza che è conseguenza immediata e diretta della titolarità dello status civitatis. La rivendicazione di un bisogno di identità – che porta con sé una richiesta di riconoscere e valorizzare le differenze – diventa, così, frutto di un preciso orientamento di politica del diritto che, esaltando un’idea di cittadinanza (e oggi di residenza protratta) come fattore di esclusione, sembra mirata ad attuare ciò che la Costituzione, al contrario, vuole impedire[53]: le norme costituzionali, nel riconoscere e garantire i diritti fondamentali nei confronti di tutti, attraverso la loro portata immediatamente precettiva[54] svolgono infatti un ruolo conformativo dell’ordinamento e chiariscono come non possano trovare spazio interpretazioni formalistiche della normativa di rango inferiore con esse contrastanti.

Indefettibile, in questo ambito, sembra essere oggi il ruolo del giudice, chiamato a contrastare una politica che abdica al suo ruolo fondamentale: quello di garantire effettività a quel principio di uguaglianza tra tutti, cittadini e stranieri, su cui oggi deve maturare il senso di appartenenza di una comunità politica fondata sul principio di solidarietà[55]. È ai giudici che sembra quindi spettare di assicurare la pratica dei diritti fondamentali degli stranieri, a dispetto delle condotte discriminatorie di cui le amministrazioni statali e locali si fanno portatrici, “nascondendosi” dietro la giustificazione della discrezionalità politica[56].

Si tratta tuttavia di un’opera di supplenza che, legittimando l’esistente, persino “laddove risulti deviante dal solco tracciato nella Carta ed anzi a questa frontalmente si opponga”[57], implica la rinuncia alla rimozione del fattore discriminatorio con efficacia erga omnes e si limita, nei fatti, solo a contrastare, volta per volta, un’azione politica che contribuisce a delineare un sistema di tutela dei diritti a carattere fortemente locale, idoneo a pregiudicare non solo la condizione del cittadino straniero, “ma anche quella del cittadino italiano proveniente da un altro comune o da un’altra regione”[58]. In altre parole, i giudici sono chiamati a sviluppare le potenzialità e a correggere le distorsioni del sistema, ma non possono sopperire integralmente “alla mancanza di un progetto più organico e sistematico di tutela che solo l’intervento di un legislatore può delineare”[59], adeguando la propria azione a vincoli di solidarietà derivanti dall’appartenenza a una comunità allargata oltre i limiti della cittadinanza o della residenza protratta[60].

  1. Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.
  2. L’Asgi ha agito nella sua qualità di associazione legittimata, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 215 del 2003, ad introdurre cause di discriminazione collettiva a tutela della generalità dei cittadini stranieri.
  3. Sia consentito, a tal fine, il rinvio a Paruzzo F. (2021), Alloggi pubblici ed emergenza abitativa. Discriminatoria la richiesta di maggiori oneri documentali ai soli stranieri (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 25 luglio 2021), in Il Piemonte delle autonomie, n. 3 e Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, in Piemonte delle autonomie, n. 2.
  4. Silvestri G. (1979), La separazione dei poteri, Milano, Giuffrè.
  5. Pezzini B. (2010), Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, in AA.VV. Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Cagliari 16 -17 ottobre 2009, Napoli, Jovene, p. 218.
  6. Pallante F. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto all’abitazione, in Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, Milano, Franco Angeli, p. 245.
  7. Un’espressa previsione di tale diritto è invece rinvenibile nel diritto internazionale pattizio, che ricostruisce il diritto alla casa nel quadro di un’aspettativa a condurre un’esistenza realmente dignitosa, di cui sarebbero titolari tutti gli esseri umani, quale strumento particolarmente idoneo a combattere l’emarginazione sociale e la povertà. Così, in questo senso, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (art. 25) e il Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali del 1966 (art. 11), la Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965 (art. 5), la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 (art. 14), la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 27) e, nell’ambito del Consiglio d’Europa, la Carta sociale europea del 1961 e 1996 (artt. 30 e 31).
  8. Martines T. (1974), Il “diritto alla casa”, in Lipari N. (a cura di), Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Roma-Bari, Laterza, p. 392.
  9. Corte costituzionale, n. 404 del 1988.
  10. Corte costituzionale, n. 49 del 1987.
  11. Corte costituzionale, n. 404 del 1988.
  12. Corte costituzionale, n. 217 del 1988.
  13. Urbani P. (2010), L’edilizia residenziale pubblica tra Stato e autonomie locali, in Le istituzioni del federalismo, n. 3/4, p. 252 e cfr. Nigro M. (1957), L’edilizia popolare come servizio pubblico, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1, p. 118 e segg. Dall’inizio del Novecento, lo Stato italiano ha direttamente finanziato la costruzione di alloggi pubblici: si è cominciato nel 1903 con la c.d. Legge Luzzati, che ha istituito l’Istituto case popolari (ICP). Nel dopoguerra il piano INA-Casa ha dato avvio alla realizzazione di alloggi in nuovi quartieri, offrendo la possibilità a migliaia di famiglie di migliorare le proprie condizioni abitative. La l. n. 167 del 1962 ha introdotto i PEEP (Piani per l’edilizia economica e popolare), e l’anno successivo è nata la Gestione case per i lavoratori, un fondo destinato alla costruzione e assegnazione di case, subentrato al piano INA-Casa. Negli anni Novanta si apre invece la stagione delle dismissioni degli alloggi popolari, con l’obiettivo di far entrare liquidità nelle casse dello stato e risanare così il debito pubblico: la l. n. 560 del 1993 prevede piani di vendita fino al 75% del patrimonio abitativo pubblico; la l. n. 80 del 2014 stabilisce un nuovo piano di dismissioni destinato a operare ad ampio raggio, anche in deroga alla legge del 1993. L’interesse si sposta gradualmente dall’ERP (edilizia residenziale pubblica) all’ERS (edilizia residenziale sociale o social housing): il ruolo dell’attore pubblico diventa quello di promuovere interventi “socialmente orientati” da parte di attori privati, attraverso incentivi e detrazioni fiscali; contemporaneamente, i privati sono sempre più coinvolti nella definizione delle politiche abitative. Cfr. Facchini A. (2023), La casa è diventata un lusso per pochi: l’emergenza abitativa in Italia, in Valigia Blu, 4 aprile 2023.
  14. Urbani P. (2010), L’edilizia residenziale pubblica tra Stato e autonomie locali, cit., p. 252.
  15. Corte costituzionale, n. 217 del 1988. Si fa propria, in questo senso, una accezione forte del diritto all’abitazione a cui è stata contrapposta, in dottrina, una connotazione più debole quale diritto strumentale ad altre situazioni soggettive riconosciute di bisogno. In questo senso, ad esempio, Modugno F. (1994), I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, p. 58.
  16. Osserva Pallante F. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto all’abitazione, cit., p. 252 che sembra assumere rinnovata attualità la sentenza n. 252 del 1989 (poi ripresa dalla sentenza n. 121 del 1996), in cui la Corte costituzionale afferma che il diritto all’abitazione è “ diritto che tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività; solo il legislatore, misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali”.
  17. Urbani P., L’edilizia residenziale pubblica tra Stato e autonomie locali, cit., p. 251. Dal punto di vista delle risorse, va richiamato il fatto che il d.l.. n. 59 del 2021, relativo agli investimenti complementari al PNRR, convertito con l. n. 101 del 2021, prevede, tra l’altro, la ripartizione delle risorse per la riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica.
  18. Nomisma, Federcasa (2020), Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza covid-19 numeri e riflessioni per una politica di settore, maggio 2020.
  19. Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino, Giappichelli, p. 4-5.
  20. Spadaro A. (2011), I diritti sociali di fronte alla crisi. Necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in Rivista Aic, n. 4, p. 5.
  21. Grassi S. (1980), Il contributo di Giorgio La Pira ai lavori dell’Assemblea costituente, in De Siervo U. (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica, II: Protagonisti e momenti del dibattito costituzionale, Bologna, Il Mulino, p. 189.
  22. Jorio E. (2006), Diritto dell’assistenza sociale, Milano, Giuffrè, p. 27.
  23. Se in un primo tempo era più forte una contrapposizione tra ambiti coperti dai diritti fondamentali e ambiti rimessi alla discrezionalità del legislatore, ora sembra essersi attenuata. La tutela dell’uguaglianza si estende, infatti, ai diritti riconosciuti in generale dall’art. 2, così come a quelli ricavati, attraverso il richiamo operato dall’art. 10 dalle consuetudini o dalle dichiarazioni internazionali. Ex multiis, a livello giurisprudenziale si veda Corte cost., n. 120 del 1967; 104 del 1969; 144 del 1970; 109 del 1974; 244 del 1974; 40 del 1975; 46 del 1977; 54 del 1979; 460 del 1987; n. 62 del 1994; n. 490 del 1988; n. 432 del 2005. In dottrina, si veda Corsi C. (2013), Straniero (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, p. 878.; Luciani M. (1992), Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Rivista critica di diritto privato, p. 214; Grosso E. (1999), Straniero (status costituzionale dello), in Digesto delle discipline pubblicistiche, p. 156 ss.; Dolso G.P. (2005), Cittadini extracomunitari e diritti costituzionali, in AA.VV., Cittadinanza europea, accesso al lavoro e cooperazione giudiziaria, Eut, Trieste, p. 53 ss.; Bascherini G. (2007), Immigrazione e diritti fondamentali, Jovene, Napoli; Ferrajoli L. (1999), Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, pp. 287 ss.; Barile P. (1984), Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, p. 32;  Onida V. (2010), Lo statuto costituzionale del non cittadino, in Aa.Vv., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno Annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti. Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Jovene, Napoli, p. 3-23; Losana M. (2016), «Stranieri» e principio costituzionale di uguaglianza, in Rivista AIC, n. 1, p. 17.
  24. In via generale, il testo unico in materia di immigrazione (art. 2 del d.lgs. n. 286 del 1998) prevede che allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato siano riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
  25. Cfr. Flick G. M. (2008), Dignità umana e tutela dei soggetti deboli: una riflessione problematica, in E. Ceccherini (a cura di), La tutela della dignità dell’uomo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, p. 51.
  26. Corte cost. n. 105 del 2001 e 148 del 2008.
  27. Corte cost. n. 187 del 2010.
  28. Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, cit..
  29. Gualdani A. (2007), I servizi sociali tra universalismo e selettività, Milano, Giuffrè.
  30. Carrozza P. (2010), Riforme istituzionali e sistema di welfare, in Campedelli M., Carrozza P., Pepino L. (a cura di), Diritto di welfare. Manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, Bologna, Il Mulino, p. 220.
  31. Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, cit. e Giorgis A. (2007), Il diritto costituzionale all’abitazione. I presupposti per una immediata applicazione giurisprudenziale, in Questione Giustizia, n. 6, p. 1130, nota 3.
  32. Paruzzo F. (2021), Alloggi pubblici ed emergenza abitativa. Discriminatoria la richiesta di maggiori oneri documentali ai soli stranieri (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 25 luglio 2021), cit.
  33. Conseguentemente, la Regione Piemonte si è rimessa sulla natura discriminatoria della previsione regolamentare impugnata, pur opponendosi alle richieste di risarcimento del danno in considerazione della natura politica delle decisioni assunte dalla Regione Piemonte, in quanto tali non suscettibili di responsabilità risarcitoria (Cass. 23730/2016). Ordinanza, punto 1.2.
  34. Per un commento, Padula C. I. (2020), Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2; Gorlani M. (2020), Le politiche abitative regionali e il requisito della residenza qualificata: un monito della Corte convincente e, in un certo senso, conclusivo, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2; Domenicali C. (2020), Sull’illegittimità del criterio del radicamento territoriale per l’accesso all’edilizia popolare: dalla condizionalità all’universalità dei diritti sociali? in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2; Corvaja F. (2020), Finale di partita. L’incostituzionalità dei requisiti di lungo-residenza previsti dalle leggi regionali quali condizioni di accesso alle prestazioni sociali, in Osservatorio costituzionale, n. 6.
  35. Corte cost., n. 133 del 2013. 
  36. Il riferimento è a Corte Costituzionale, n. 432 del 2005, ma il “test” sull’esistenza di una causa normativa era già descritto in maniera paradigmatica in Corte costituzionale, n. 89 del 1996; cfr. Cuniberti M. (2006), L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, pp. 510 ss.; in questo testo, l’autore sottopone a critica il criterio che limita l’eguaglianza tra cittadino e straniero ai soli diritti fondamentali. Di nuovo, per una più compiuta ricostruzione con riferimento all’accesso alle prestazioni sociali, sia consentito fare riferimento a Paruzzo F. (2020), Modalità di accesso alle prestazioni sociali. Quando differenziare è discriminatorio. Tra azione politica e ruolo della giurisprudenza, in Dirittifondamentali.it, n. 1, pp. 595. 
  37. Corte cost., n. 107 del 2018. Per un commento si veda Belletti M. (2019), La Corte costituzionale torna, in tre occasioni ravvicinate, sul requisito del radicamento territoriale per accedere ai servizi sociali. Un tentativo di delineare un quadro organico della giurisprudenza in argomento, in Forum di Quaderni Costituzionali. Questa affermazione è corroborata dal richiamo a due precedenti: la sentenza n. 168 del 2014, che ha ritenuto illegittimo il requisito di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, previsto dalla legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2013 quale condizione di accesso all’ERP, e la sentenza n. 166 del 2018, che ha dichiarato illegittimo l’art. 11, comma 13, d.-l. n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, che prevedeva, per l’erogazione di contributi per l’affitto previsti a favore dei conduttori in condizione di indigenza, la condizione della residenza sul territorio nazionale o cinque anni sul territorio regionale
  38. Cfr. ex plurimis, altresì Corte cost., n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011.
  39. Si veda altresì Corte cost. n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014; per un commento alla n. 166 del 2018, cfr. Tega D. (2018), Le politiche xenofobe continuano a essere incostituzionali, in Diritti Regionali, n. 2; Corsi C. (2018), La trilogia della Corte costituzionale: ancora sui requisiti di lungo-residenza per l’accesso alle prestazioni sociali, in Le Regioni.
  40. Ciò è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli; cfr. sul punto Corte Cost. n. 107 del 2018, che cita l’art. 2, co. 3, della L. n. 328 del 2000.
  41. Tribunale di Torino, Ordinanza del 7 marzo 2023, punto 3.1, p. 5.
  42. Corsi C., La trilogia della Corte costituzionale: ancora sui requisiti di lungo-residenza per l’accesso alle prestazioni sociali, cit., p. 1171. Nella sentenza n. 168 del 2014, in ogni caso, la corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una disposizione di una legge della Regione Valle d’Aosta che prescriveva il requisito temporale di residenza per otto anni.
  43. Gorlani M. (2020), Le politiche abitative regionali e il requisito della residenza qualificata: un monito della Corte convincente e, in un certo senso, conclusivo, cit., p. 356.
  44. Corte Cost. n. 222 del 2013 e n. 106 del 2018.
  45. Padula C.I. (2020), Uno sviluppo nella saga della doppia pregiudiziale? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, cit., p. 14.
  46. Tribunale di Torino, Ordinanza del 7 marzo 2023, punto 3.1, p. 5.
  47. Guazzarotti A. (2009), Lo straniero, i diritti, l’eguaglianza, in Questione Giustizia, p. 98.
  48. La Corte in questo caso dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1, della L.R. Abruzzo n. 34 del 2019 che inserisce, dopo la lett. c) del co. 2 dell’art. 8 della L.R. Abruzzo n. 96 del 1996, la lett. c-bis), la quale individua un’ulteriore condizione per l’attribuzione di punteggi al fine della formazione della graduatoria di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, consistente nella “situazione connessa all’anzianità di residenza in comuni della Regione Abruzzo”.
  49. Corte cost. n. 9 del 2021.
  50. Tribunale di Torino, Ordinanza del 7 marzo 2023.
  51. Morelli A (2018), Solidarietà, diritti sociali e immigrazione nello Stato sociale, in Giurisprudenza costituzionale, n. 3.
  52. Corte cost. n. 9 del 2021.
  53. Sia consentito un rinvio a Paruzzo F. (2020), Modalità di accesso alle prestazioni sociali. Quando differenziare è discriminatorio. Tra azione politica e ruolo della giurisprudenza, in http://dirittifondamentali.it/, n. 1, p. 616.
  54. Come riconosciuto dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza n. 1 del 1956.
  55. Pace A. (2009), Dalla «presbiopia» comunitaria alla miopia “costituzionale”?, in Giurisprudenza costituzionale, p. 672 ss..
  56. Peraltro inidonea a dar luogo a forme di responsabilità di tipo risarcitorio. L’associazione ricorrente in questo senso aveva richiesto che Regione Piemonte e ATC del Piemonte Centrale fossero condannate a risarcire il danno non patrimoniale derivante dalla discriminazione. Tale domanda è tuttavia stata rigettata sulla base dell’insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative, rispetto alla quale non si registrano segnali difformi nella giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. n. 23730 del 2016; negli stessi termini, SS.UU., n. 10416 del 2014, e, con riferimento anche qui incidentale all’atto da qualificare, per l’ordinamento, come politico, SS.UU., n. 10319 del 2016).
  57. Ruggeri A. (2014), Dal legislatore al giudice, sovranazionale e nazionale: la scrittura delle norme in progress, al servizio dei diritti fondamentali, in Forum di Quaderni Costituzionali, 29 gennaio 2014.
  58. Biondi Dal Monte F. (2012) Lo Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, in Rivista del Gruppo di Pisa, n. 3, p. 45.
  59. Biondi Dal Monte F., Lo stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, cit. p. 65.
  60. Masala P. (2022), L’inclusione sociale degli immigrati e i limiti alle politiche di esclusione: indicazioni dalla giurisprudenza costituzionale, in Rivista Aic, n. 1.