La necessaria cooperazione tra le Istituzioni nella tutela dei diritti. Il punto di vista del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

Emilia Rossi[1]

(ABSTRACT) ITA

Nel corso dei sette anni dalla nascita del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà si è costruito un sistema integrato di Autorità di garanzia, fondato sulla collaborazione e il coordinamento con il Garante nazionale della rete dei Garanti regionali e territoriali, che costituisce, oggi, un elemento essenziale e solido dell’assetto istituzionale del Paese. Si è affermato, così, il principio per cui uno Stato di diritto e democratico debba contenere al proprio interno figure istituzionali di controllo, indipendenti e autonome rispetto al potere politico, esecutivo e amministrativo, che vigilano sul rapporto che si instaura tra individui e Stato nel momento in cui questo esercita la sua funzione contenitiva o repressiva.

(ABSTRACT) EN

In the seven years since the birth of the National Guarantor of the Rights of Persons Deprived of their Liberty, an integrated system of Guarantee Authorities has been built, based on the collaboration and coordination with the National Guarantor of the network of regional and territorial Guarantors, which constitutes, today, an essential and solid element of the country’s institutional structure. Thus, the principle has been affirmed that a rule of law and democratic state must contain within it institutional figures of control, independent and autonomous with respect to political, executive and administrative power, who oversee the relationship that is established between individuals and the state at the moment when the latter exercises its restraining or repressive function.

Sommario:

1. La rete delle Autorità di garanzia in un sistema integrato di cooperazione istituzionale – 2. La situazione attuale delle carceri italiane – 3. Le criticità principali e il ruolo delle Regioni – 4. L’assistenza sanitaria in carcere – 5. Formazione, lavoro, reinserimento sociale

1. La rete delle Autorità di garanzia in un sistema integrato di cooperazione istituzionale

Nel corso dei sette anni dalla nascita del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà[2] si è costruito un sistema integrato di Autorità di garanzia, fondato sulla collaborazione e il coordinamento con il Garante nazionale della rete dei Garanti regionali e territoriali, che costituisce, oggi, un elemento essenziale e solido dell’assetto istituzionale del Paese.

Si è affermato, con questo, il principio che uno Stato di diritto e democratico debba contenere al proprio interno figure istituzionali di controllo, indipendenti e autonome rispetto al potere politico, esecutivo e amministrativo, che vigilano sul rapporto che si instaura tra individui e Stato nel momento in cui questo esercita la sua funzione contenitiva o repressiva, attraverso la lente del rispetto dei diritti che ogni persona mantiene anche in stato di privazione della libertà.

La costruzione di questo sistema e l’affermazione di questo principio sono certamente i risultati più importanti che ha conseguito il Garante nazionale nel suo primo mandato, perché ineriscono all’assetto istituzionale e ai suoi valori portanti.

La cooperazione istituzionale vive anche di momenti di riflessione comune come questo del Festival delle Regioni ed è un segnale importante, di cui ringrazio il Garante regionale del Piemonte, Bruno Mellano, che l’ha pensato e voluto, che vi sia stato inserito un focus sulla situazione del carcere.

Si tratta di un tema tutt’altro che eterogeneo rispetto a quelli che investono il ruolo delle Regioni, la loro autonomia e al contempo la necessità della loro collaborazione: il carcere è un’Istituzione di disciplina e riferimento nazionali ma vive anche con l’impegno e la partecipazione degli enti territoriali e, in prima battuta, essenzialmente, delle Regioni.

Ancora una volta, lo specchio della società che è costituito dal mondo chiuso del carcere fornisce l’indicazione di come funzioni il modello integrato del rapporto tra lo Stato e le Regioni, di come possano funzionare le cose quando le Istituzioni ai diversi livelli dialogano e operano, possibilmente nella stessa direzione.

2. La situazione attuale delle carceri italiane

Ogni riflessione sul carcere deve partire dalla constatazione dei dati di fatto, per avere chiarezza del quadro con cui ci si confronta, rispetto al quale si intendono prospettare interventi di incisione dei profili critici.

E la situazione della detenzione in Italia al momento attuale è segnata indubitabilmente dal sovraffollamento progressivo degli Istituti penitenziari.

Oggi ci troviamo di fronte a 59.000 persone presenti in carcere a fronte di poco più di 47.000 posti disponibili[3]: un’eccedenza di circa 12.000 presenze che determina un tasso di affollamento intorno al 125%.

Il dato di maggiore allarme, tuttavia, è rappresentato dall’andamento costante della crescita della popolazione detenuta: una crescita progressiva, senza nessun cenno di flessione, di circa 400 presenze al mese, che hanno portato dalle 53-54.000 persone detenute del 2022 alle attuali 59.000.

Nel 2023 la popolazione detenuta è aumentata di 4000 presenze rispetto al 2022: un aumento maggiore del doppio rispetto a quello registrato nell’anno precedente[4].

Un quadro, quello che ci si presenta, che è un campanello d’allarme, considerato che la densità della popolazione detenuta è prossima a quella che ha determinato nel 2013 la sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo[5].

Il sovraffollamento, peraltro, non significa soltanto la ristrettezza degli spazi detentivi, la diminuzione dello spazio vivibile all’interno delle stanze di pernottamento, determinata dalla convivenza di più persone di quante vi dovrebbero essere regolarmente essere collocate, che può rischiare di diventare inferiore al limite dei 3 mq per persona per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha indicato la forte presunzione di trattamento inumano, in violazione dell’articolo  3 della  Convenzione EDU.

Il sovraffollamento significa anche e soprattutto riduzione se non assenza di spazi e di risorse – umane ed economiche – destinati alle attività di risocializzazione: dai corsi di studio, alla formazione professionale, alle attività sportive e culturali, agli interventi di sostegno psicologico e di consapevolizzazione, alla promozione di interventi esterni che consentano di offrire opportunità concrete di rientro nella vita in libertà.

Comporta, quindi, la compressione in concreto dei percorsi trattamentali e, in definitiva, dei diritti delle persone detenute e, prima di ogni altro, di quello della destinazione della pena alla finalità riabilitativa, sancito dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione.

Il carcere sovraffollato assume necessariamente, quindi, la connotazione esclusiva di un luogo di restrizione e di contenimento, in cui il tempo delle persone diventa tempo vuoto e inutile, da far scorrere fino alla conclusione della detenzione. Una parentesi all’interno della vita, contraddistinta esclusivamente da privazioni.

3. Le criticità principali e il ruolo delle Regioni

Oltre ai dati che forniscono la fotografia dello stato attuale della detenzione in Italia, ce ne sono altri che danno indicazione precisa delle criticità più rilevanti, spesso drammatiche, su cui è necessario intervenire con urgenza.

Un primo dato emerge dalle segnalazioni e dai reclami indirizzati al Garante nazionale dalle persone detenute, dai loro riferimenti affettivi o sociali, dalle associazioni e dagli altri soggetti della società civile che si occupano della privazione della libertà: l’assistenza sanitaria è al primo posto tra le criticità che vengono lamentate.

Come è noto, il Garante nazionale è destinatario, insieme ai Garanti regionali, territoriali e ad altre figure istituzionali, di queste diverse forme di segnalazioni: l’estensione del suo mandato a tutto il territorio nazionale ha determinato la formazione di un osservatorio che più di altri fornisce dati estremamente indicativi.

Nell’anno 2022, sulle 829 segnalazioni pervenute al Garante nazionale, 230 hanno riguardato la salute[6], confermando la priorità nella classifica delle criticità segnalate registrata anche negli anni precedenti.

Come sanno bene tutti coloro che operano all’interno degli Istituti e nei ruoli di responsabilità dell’Amministrazione penitenziaria, la situazione della sanità in carcere è la situazione critica per eccellenza degli Istituti penitenziari.

Un ulteriore dato riguarda il Piemonte: è tra i primi posti in classifica nella criticità dell’area sanitaria.

Le segnalazioni in materia di salute provenienti dagli Istituti piemontesi vedono questa Regione, dal 2021 al 2023, al terzo posto dopo il Lazio – Abruzzo- Molise[7] e la Lombardia.

Se l’assistenza sanitaria rappresenta, quindi, un’area critica rispetto alla quale è decisivo l’intervento delle Regioni, esiste un ulteriore campo d’azione in cui esso è determinante: la costruzione della rete sociale all’interno e all’esterno degli Istituti penitenziari, essenziale alla realizzazione delle condizioni che consentono la restituzione della persona detenuta alla società esterna.

4. L’assistenza sanitaria in carcere

La criticità dell’area sanitaria e, di conseguenza, della tutela della salute, è la criticità principale nei nostri Istituti penitenziari, come il Garante nazionale ha rilevato sia attraverso le visite nelle strutture, sia trattando le segnalazioni e i reclami di cui è stato destinatario.

Le carenze sono determinate principalmente dalla mancanza delle risorse necessarie e, innanzitutto, da quella del personale sanitario.

In primo luogo, le figure assenti ormai diffusamente sono quelle dei medici di base, che assicurino una presa in carico continuativa con l’assistito detenuto, e dei medici di guardia: è praticamente scomparso ovunque il servizio medico H24, sostituito dal servizio del 118.

Una sostituzione, questa, che soprattutto per le strutture lontane dal presidio ospedaliero, non è sufficiente ad assicurare l’immediata assistenza necessaria.

Si è complessivamente ridotta, nei numeri e nelle tipologie, anche la medicina specialistica: una carenza particolarmente grave per le Case di Reclusione, dove sono detenute persone che scontano pene lunghe e che quindi, invecchiando nel corso della detenzione, hanno le esigenze sanitarie tipiche delle patologie connesse all’età. Il fatto che in questi Istituti in particolare manchino gli specialisti della geriatria e dell’odontoiatria, per citare due servizi essenziali, dà il segno dello stato di criticità del complessivo servizio predisposto a tutela della salute in carcere.

Ormai è un dato acquisito che il carcere è patogeno: alle patologie preesistenti si aggiungono quelle generate dalla privazione della libertà e, spesso, dalle condizioni materiali degli ambienti in cui si vive la detenzione.

Un servizio sanitario stabile, efficace e funzionale è, quindi, elemento determinante per assicurare la dignità della vita della persona detenuta, oltre che la sua integrità.

Va infine considerato che le carenze dell’area sanitaria ricadono inesorabilmente sull’Amministrazione penitenziaria e, prima di tutto, sulla direzione degli Istituti, non soltanto in termini di responsabilità della tutela del diritto alla salute, ma anche per gli interventi cui necessariamente essa deve provvedere.

Ne costituiscono un esempio, tutt’altro che isolato, le conseguenze che derivano dalla mancanza dei medici specialisti in carcere: la necessità di visite specialistiche comporta, ogni volta che essa si presenti, la predisposizione del servizio di traduzione della persona detenuta in Ospedale.

Si tratta di una macchina complessa che richiede l’impegno di diverse unità di personale che vengono prese, spesso, da un organico già sottodimensionato. La situazione assume tratti di maggiore gravità quando si ha a che fare con sedi penitenziarie molto lontane dai centri cittadini in cui si trovano i presìdi ospedalieri, come nel caso di Istituti collocati in territori insulari.

Amministrazione penitenziaria e Sanità sono coinvolte insieme in questa forte area di criticità e, quindi, lo sono lo Stato e le Regioni, considerati il passaggio al Servizio sanitario nazionale della medicina in carcere dal 2008[8] e l’attribuzione di competenza della materia alle Regioni.

Il punto centrale del problema è, di tutta evidenza, la mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la destinazione stabile e continuativa di personale medico negli Istituti penitenziari.

I servizi sanitari in carcere sono generalmente ritenuti ‘sedi disagiate’ dal personale sanitario. Senza volere entrare nel merito di questa rappresentazione, va preso atto del fatto che, come si è riscontrato correntemente nel corso delle visite, il corpo delle aree sanitarie degli Istituti è spesso costituto da medici specializzandi che prestano il servizio per pochi mesi e lo lasciano appena iniziano la specializzazione, privando gli Istituti della possibilità di una medicina di base continuativa e le persone assistite del rapporto fiduciario che si instaura tra paziente e medico.

E, quindi, che, in definitiva, la destinazione al servizio sanitario in carcere è poco appetibile per il personale medico.

La questione, pertanto, assume i tratti, magari crudi ma efficaci, dell’economia: quella che indirizza a rendere economicamente appetibile una sede disagiata.

È necessario, in sintesi, un investimento maggiore da parte delle Regioni nel servizio sanitario del carcere.

Proprio per il perseguimento di questo obiettivo il Garante nazionale si è rivolto formalmente in più occasioni ai Presidenti delle Regioni, evidenziando la necessità che gli Istituti penitenziari siano trattati come un qualsiasi quartiere, di una qualsiasi città, dove non si può far mancare il presidio medico continuativo per 24 ore al giorno.

Purtroppo le risposte pervenute sono state di arrendevolezza a fronte della dichiarata mancanza di fondi.

È necessario, allora, che una indicazione prescrittiva di investimenti potenziati venga dalla Conferenza Stato-Regioni, presso la quale può essere importante l’attivazione forte della rete regionale dei Garanti, perché l’impegno di assicurare condizioni adeguate alla tutela della salute in carcere è responsabilità condivisa, a livello nazionale e regionale.

5. Formazione, lavoro, reinserimento sociale

L’altro campo d’azione in cui è determinante il ruolo delle Regioni riguarda gli interventi destinati a creare quella rete sociale necessaria a consentire il reinserimento nella società esterna delle persone detenute, partendo dai percorsi di risocializzazione praticabili in carcere per arrivare alle opportunità offerte all’esterno: si tratta, essenzialmente, di offrire formazione e lavoro.

Alla data attuale abbiamo in Italia 1.437 persone che sono in carcere per scontare una pena inflitta, non residua, inferiore a un anno; 2.828 tra un anno e due anni; 4.542 tra due e tre anni. Se si considera il dato delle pene residue, sono 7.685 le persone che devono scontare meno di un anno.

Numeri che ci indicano l’ampiezza della popolazione detenuta destinata a tornare a breve alla vita in libertà e che allo stesso tempo fanno riflettere sull’utilità, in termini di riabilitazione sociale, di quei tempi di detenzione così brevi da non permettere nemmeno l’avvio dei percorsi di accompagnamento verso l’esterno.

Mentre corrono le riflessioni sulle strutture detentive che potrebbero accogliere le persone che devono scontare pene brevi e brevissime e si prospettano progetti edilizi che in ogni caso richiedono anni per la loro realizzazione, l’urgenza dettata dallo stato di sovraffollamento degli Istituti e l’attenzione alla resa concreta della finalità risocializzante della pena devono e possono portare a soluzioni immediatamente praticabili ed efficaci, oltre che conformi al principio costituzionale sancito dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione.

Tra queste, la predisposizione di strumenti che rendano effettivamente accessibili le misure alternative alla detenzione in carcere: la mancanza di un’abitazione e di un’occupazione lavorativa è per molte di quelle persone che si trovano a scontare pene brevi, l’ostacolo per essere ammesse alle misure alternative che hanno queste condizioni come presupposti ineliminabili.

Ci troviamo di fronte, insomma, a una forma di ‘ostatività sociale’.

Le Regioni possono fare molto in questo campo: in termini di offerta lavorativa con le cooperative e i diversi enti convenzionati e sostenuti dalle Regioni, in termini di offerta abitativa, con la sollecitazione dei Comuni a utilizzare una parte del patrimonio immobiliare destinato alle ‘case popolari’.

Se ci si pensa, non si tratta di grandi numeri, distribuiti sul territorio nazionale e, quindi, tra le Regioni.

Si tratterebbe, invece, di un grande risultato, ottenuto con l’impegno integrato delle Istituzioni nazionali e regionali, quello di tradurre in fatti il principio di eguaglianza e di riabilitazione sociale di chi ha sbagliato.

  1. Avvocata del Foro di Torino, Componente del Collegio dei Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nel mandato 2016-2024.
  2. Istituito con il decreto-legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito in Legge 21 febbraio 2014 n.10, il Garante nazionale si è insediato con la nomina del primo Collegio, il 1° marzo 2016.
  3. Il numero dei posti disponibili tiene conto della riduzione determinata dai posti non agibili sulla capienza regolamentare di 51.187 posti.
  4. Alla data della redazione di questo articolo (marzo 2024) la consistenza della popolazione detenuta è aumentata secondo la linea progressiva registrata nel mese di ottobre 2023: al 5 marzo 2024 sono 60.981 le persone detenute presenti negli Istituti penitenziari. Dall’inizio dell’anno si sono registrati, a questo momento, 21 casi di suicidio in carcere (fonte Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria).
  5. Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013.
  6. Garante nazionale dei diritti delle persone private personale, Relazione al Parlamento 2023, Mappe, Sezione 2, Tabella 2.3, pag.145.
  7. Le tre Regioni del Lazio, Abruzzo e Molise sono comprese in un unico Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria.
  8. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 aprile 2008 (GU Serie Generale n.126 del 30-05-2008).