L’analisi dei fabbisogni ed il regime vincolistico della spesa per il personale nel settore sanitario
Massimo Bellin[1]
(ABSTRACT) ITA
Nell’ambito della spesa pubblica, notoriamente la componente relativa al personale rappresenta una quota di particolare significatività, che l’ingravescente crisi economica degli ultimi decenni ha indotto a ridurre, mediante l’adozione di varie misure di contenimento.
Tra esse si collocano le norme riguardanti l’obbligo della programmazione delle assunzioni, nonché quelle che impongono vincoli di spesa per il personale.
Il contributo sistematizza la normativa in materia, con particolare riferimento alla spesa per il personale del settore sanitario.
(ABSTRACT) EN
In the context of public spending, the personnel component is known to represent a particularly significant share, which the worsening economic crisis of recent decades has led to reducing, through the adoption of various containment measures.
These include the rules regarding the obligation to plan hiring, as well as those that impose constraints on personnel spending.
The contribution systematizes the relevant legislation, with particular reference to spending on personnel in the healthcare sector.
Sommario:
1. La programmazione dell’attività assunzionale – 2. i vincoli di spesa per il personale sanitario
Nell’ambito della spesa pubblica, notoriamente la componente relativa al personale rappresenta una quota di particolare significatività, che l’ingravescente crisi economica degli ultimi decenni ha indotto a ridurre, mediante l’adozione di varie misure di contenimento.
Tra esse si collocano le norme riguardanti l’obbligo della programmazione delle assunzioni, nonché quelle che impongono vincoli di spesa per il personale.
1. La programmazione dell’attività assunzionale
Il sistema della programmazione risale all’art. 39 Legge n. 449/1997[2], secondo il quale gli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche sono tenuti alla programmazione triennale del fabbisogno di personale, al fine di assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il miglior funzionamento dei servizi, compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio.
Per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, fatto salvo quanto previsto per il personale della scuola, il numero complessivo dei dipendenti in servizio è valutato su basi statistiche omogenee, secondo criteri e parametri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Per effetto del consolidamento della normativa che si è via via succeduta, il testo originario dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. “Testo Unico sul Pubblico Impiego”, TUPI) prevedeva che la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche fossero determinate in funzione anche della finalità di razionalizzare il costo del lavoro, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica – secondo il rinvio effettuato all’art. 1, comma 1, lett. b), TUPI – previa verifica degli effettivi fabbisogni.
Il successivo comma 3 stabiliva che per la ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche si procedesse periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché ove fosse risultato necessario a seguito di riordino, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni. Ogni amministrazione avrebbe proceduto adottando gli atti previsti dal proprio ordinamento.
Infine, il comma 4 prevedeva che le variazioni delle dotazioni organiche già determinate fossero approvate dall’organo di vertice delle amministrazioni in coerenza con la programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’art. 39 Legge n. 449/1997 e con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale.
In seguito, è sopravvenuta la c.d. Riforma Madia[3] e, segnatamente, il D.Lgs. n. 75/2017[4] il quale, intervenendo sul T.U. Pubblico Impiego, ne ha modificato l’art. 6 ed ha inserito l’art. 6-ter.
In particolare, il novellato art. 6 statuisce sempre che le amministrazioni pubbliche definiscono l’organizzazione degli uffici – per la finalità anche di razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica – adottando gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti, aggiungendo però che ciò avviene in conformità al piano triennale dei fabbisogni[5].
Allo scopo di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, le amministrazioni pubbliche adottano il piano triennale dei fabbisogni di personale, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della suddetta performance, nonché con le linee di indirizzo emanate ai sensi dell’art. 6-ter. Il piano triennale indica le risorse finanziarie destinate alla sua attuazione, nei limiti di quelle quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.
In sede di definizione del piano, ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati e secondo le linee di indirizzo di cui all’art. 6-ter, nell’ambito del potenziale limite finanziario massimo della medesima, garantendo la neutralità finanziaria della rimodulazione[6].
Nelle amministrazioni statali il piano adottato annualmente dall’organo di vertice è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Per le altre amministrazioni pubbliche il piano triennale dei fabbisogni è approvato annualmente secondo le modalità previste dalla disciplina dei propri ordinamenti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale sono fatte salve le particolari disposizioni dettate dalla normativa di settore[7].
L’art. 6-ter prevede che con decreti di natura non regolamentare adottati dal Ministro per la pubblica amministrazione di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono definite, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, linee di indirizzo per orientare le amministrazioni pubbliche nella predisposizione dei rispettivi piani dei fabbisogni di personale.
Con riguardo alle regioni, agli enti regionali, al sistema sanitario nazionale ed agli enti locali, i decreti sono adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata; inoltre, relativamente alle aziende ed agli enti del Servizio sanitario nazionale, i decreti sono adottati di concerto anche con il Ministro della salute.
La scelta di utilizzare decreti di natura non regolamentare discende dal fatto che le norme contenute nella c.d. Legge Madia le quali impongono obiettivi di contenimento delle assunzioni costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica, come evidenziato dalla Conte costituzionale[8]; quest’ultima materia è attribuita alla competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.
Come noto, a norma dell’art. 117, comma 6, Cost. la competenza regolamentare spetta allo Stato esclusivamente con riferimento alle materie di competenza legislativa esclusiva, essendo riservata alle regioni per ogni altra materia.
Il decreto ministeriale non avente natura regolamentare rappresenta uno strumento giuridico alquanto controverso, poiché si ritiene possa costituire un mezzo per aggirare il limite della competenza dello Stato nelle materie in cui quest’ultimo risulti privo del potere normativo secondario[9]; l’utilizzo di detto strumento atipico – che è stato ricondotto al concetto di “fuga dal regolamento” – è stato criticato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[10], soprattutto ove la norma che attribuisce il potere normativo nulla disponga in ordine alla possibilità di utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare, tipizzato dall’art. 17 Legge n. 400/1988[11].
La dottrina[12] ha evidenziato uno degli aspetti più delicati riguardanti la validità di tali atti: la legge che ne autorizza l’adozione in espressa deroga alla norma da ultimo citata potrebbe essere oggetto di sindacato costituzionale per eccesso di potere legislativo, in quanto appare riconducibile ad uno sviamento della funzione tipica della legge, la quale diviene così strumento di illecita elusione delle competenze costituzionalmente assegnate.
A sua volta, il decreto potrebbe essere impugnato in sede di conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni ovvero in quello tra poteri dello Stato, disapplicato dal giudice ordinario ove contrario alla legge ovvero alla Costituzione, oppure annullato dal giudice amministrativo in sede di sindacato di annullamento, sebbene quest’ultimo non risulti propriamente adatto al controllo di validità degli atti normativi (con riferimento alla sussistenza del requisito dell’immediata lesività dell’atto impugnato).
Acquisita l’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 21 dicembre 2022, con Decreto 9 gennaio 2023 del Ministero della Salute, di concerto con il MEF, è stata adottata la metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, applicabile in via sperimentale per gli anni 2022, 2023 e 2024.
Con l’art. 5, comma 2, D.L. n. 73/2024 è stato confermato che, a decorrere dal 2025, ai fini della determinazione della spesa per il personale delle aziende e degli enti del SSN delle regioni, nell’ambito del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario regionale, con uno o più decreti del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, è adottata una metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del SSN. I piani dei fabbisogni triennali per il Servizio sanitario regionale predisposti dalle regioni sulla base della predetta metodologia sono approvati con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del riscontro di congruità finanziaria.
Peraltro, tale norma è stata impugnata davanti alla Corte costituzionale dalla Regione Toscana[13] poiché, prevedendo l’approvazione dei piani in esame in capo all’Amministrazione statale, determinerebbe l’attribuzione allo Stato del potere di interferire con scelte organizzative che, invece, competono alle regioni.
Nel frattempo, è intervenuto il D.L. n. 80/2021[14], il cui art. 6 stabilisce che entro il 31 gennaio di ogni anno le pubbliche amministrazioni con più di cinquanta dipendenti – con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative – adottino il Piano Integrato di Attività ed Organizzazione (c.d. PIAO).
Il Piano ha durata triennale, viene aggiornato annualmente e definisce, tra l’altro, compatibilmente con le risorse finanziarie riconducibili al piano triennale dei fabbisogni di personale di cui all’art. 6 TUPI, gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse.
Il comma 5 della disposizione in commento aggiunge che entro il 31 marzo 2022, con uno o più decreti del Presidente della Repubblica, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 2, Legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 9, comma 2, D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sarebbero stati individuati ed abrogati gli adempimenti relativi ai piani assorbiti dal Piao.
Il D.L. n. 36/2022[15] ha aggiunto all’art. 6 in commento il comma 7-bis, il quale stabilisce che, per quanto attiene alle aziende ed agli enti del Servizio sanitario nazionale, le regioni adeguano i rispettivi ordinamenti ai principi di cui al medesimo art. 6, nonché ai contenuti del Piano tipo.
Con il D.P.R. 24 giugno 2022, n. 81[16] sono stati soppressi, per le amministrazioni pubbliche con più di cinquanta dipendenti, gli adempimenti inerenti al Piano dei fabbisogni, in quanto assorbiti nell’apposita sezione del Piano Integrato di Attività e Organizzazione.
Al riguardo il Consiglio di Stato[17] ha ricordato che l’abrogazione espressa del Piano dei fabbisogni disposta dall’art. 1, comma 1, lett. b) del suddetto regolamento ha ad oggetto le sole previsioni di cui all’art. 6, commi 1, 4 e 6, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, concernenti le sue modalità di approvazione, mentre sopravvivono le disposizioni dedicate ai suoi contenuti.
Resta da chiarire se e fino a che punto il Piano conserverà non solo il nomen, ma anche la struttura che lo ha sin qui connotato, con la conseguenza che l’unica innovazione sia la sua collocazione all’interno del Piao.
Infine, con il D.P.C.M. 30 giugno 2022, n. 132 sono stati definiti il contenuto del Piano Integrato di Attività e Organizzazione (c.d. Piano tipo), nonché le modalità semplificate per la sua adozione da parte delle pubbliche amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti.
Per inciso, nel succitato parere il Consiglio di Stato stigmatizza anche la natura quantomeno ambivalente della normativa con riferimento al “Piano tipo”: da un lato, si dispone l’adozione solo di un modello di piano “a supporto delle amministrazioni”, che sembrerebbe non essere vincolante e, a queste condizioni, non possedere valore normativo; dall’altro, si dispone, col medesimo D.L. n. 80/2021, la definizione di “modalità semplificate” per le amministrazioni con meno di 50 dipendenti e, pertanto, si conferiscono al medesimo atto contenuti necessariamente normativi.
2. I vincoli di spesa per il personale sanitario
I vincoli di spesa discendono dalle finalità di contenimento della spesa pubblica e di coerenza con la programmazione economico-finanziaria dell’UE, i cui obiettivi sono oggi espressi anche a livello costituzionale negli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost.; pertanto, le previsioni normative dirette a contenere la spesa per personale della PA si considerano espressione del principio generale di coordinamento della finanza pubblica, di cui al citato art. 117, comma 3, Cost[18].
Relativamente al personale sanitario dipendente, il tetto di spesa è stato inizialmente introdotto nel 2004: l’art. 1, comma 98, Legge 30 dicembre 2004, n. 311[19] prevedeva che, ai fini del concorso al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, per gli enti del Servizio sanitario nazionale fossero fissati criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005-2007, tali da realizzare economie di spesa lorde non inferiori a 215 milioni di euro per l’anno 2005, a 579 milioni di euro per l’anno 2006, a 860 milioni di euro per l’anno 2007 ed a 949 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.
Fermo restando il conseguimento delle suddette economie di spesa, con l’art. 1, comma 198, Legge 23 dicembre 2005, n. 266[20] l’anno successivo venne stabilito che gli enti del Servizio sanitario nazionale avrebbero concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale – al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP – non superassero per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004, diminuito dell’1%. A tal fine si sarebbero dovute considerare anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che avesse prestato servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni.
Per inciso, va ricordato che l’art. 1, commi 166 e 167 della medesima Legge finanziaria 2006 ha introdotto il controllo sulla gestione degli enti locali da parte della Corte dei conti, stabilendo che, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria trasmettono alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo.
A tal fine, la Corte dei conti definisce unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della suddetta relazione, che, in ogni caso, deve dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’art. 119, ult. comma, Cost. e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione[21].
Il successivo comma 170 stabilisce che le suddette disposizioni si applichino anche agli enti del Servizio sanitario nazionale, precisando che, nel caso questi ultimi non abbiano rispettato gli obblighi in questione, la Corte trasmette la propria segnalazione alla regione interessata, per i conseguenti provvedimenti[22].
L’art. 1, comma 565, lett. a), Legge 27 dicembre 2006, n. 296[23] sostituì le misure recate in materia dalle leggi finanziarie relative ai due anni precedenti, stabilendo che gli enti del Servizio sanitario nazionale concorressero alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando iniziative necessarie a garantire che le spese del personale non superassero, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4%, considerando anche le spese per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni.
La Corte costituzionale[24] ha precisato che tale norma va qualificata come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost., e che la sostituzione dei vincoli di contenimento della spesa pubblica già previsti dall’art. 1, comma 98, Legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dall’art. 1, commi da 198 a 206, Legge 23 dicembre 2005, n. 266 non è di per sé irragionevole ed è anzi determinata dalla necessità di rispettare i vincoli alla spesa pubblica derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione Europea.
In seguito, l’art. 2, comma 71, Legge 23 dicembre 2009, n. 191[25] stabilì che gli enti del Servizio sanitario nazionale concorressero alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando, anche nel triennio 2010-2012, misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’imposta regionale sulle attività produttive, non superassero, per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, il corrispondente ammontare dell’anno 2004, diminuito dell’1,4%, considerando sempre anche le spese per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni.
La Corte costituzionale ha ribadito in più occasioni che l’art. 1, comma 565, Legge n. 296/2006, e l’art. 2, comma 71, Legge n. 191/2009 contengono principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica[26].
Con l’art. 17, comma 3, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 – emanato durante la c.d. “emergenza finanziaria dell’estate 2011” – il suddetto limite di spesa riferito all’anno 2004 venne esteso anche agli anni dal 2013 al 2020.
Con l’art. 11, comma 1, D.L. 30 aprile 2019, n. 35[27] è stato definito il nuovo parametro relativo alla spesa del personale, stabilendo che – nell’ambito del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e ferma restando la compatibilità finanziaria, sulla base degli indirizzi definiti da ciascuna regione ed in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale – a decorrere dall’anno 2019 la spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale di ciascuna regione non superasse il valore della spesa sostenuta nell’anno 2018 o, se superiore, il valore della spesa prevista dall’art. 2, comma 71, Legge 23 dicembre 2009, n. 191[28]; ciò, al fine di non penalizzare le Regioni più virtuose.
La spesa considerata riguarda il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa e di personale che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni, al netto degli oneri derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro successivi all’anno 2004, per personale a carico di finanziamenti comunitari o privati e relativi alle assunzioni a tempo determinato ed ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca finanziati ai sensi dell’art. 12-bis D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Nel suo testo originario, la norma in commento prevedeva altresì che i predetti valori sarebbero stati aumentati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente.
A partire dall’anno 2021, tale incremento di spesa del 5% sarebbe stato subordinato all’adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale; tale termine è stato poi differito all’anno 2022 dall’art. 4, comma 4, D.L. 31 dicembre 2020, n. 183.
Nel frattempo, l’art. 45 D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 (come modificato in sede di conversione dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157) ha aumentato al 10% l’incremento di spesa, sebbene limitatamente al triennio 2019-2021.
Inoltre, il suddetto decreto-legge ha aggiunto la possibilità che, per il medesimo triennio, qualora nella singola regione fossero emersi oggettivi ulteriori fabbisogni di personale rispetto alle facoltà assunzionali consentite, venisse concessa alla regione un’ulteriore variazione del 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario regionale.
L’art. 1, comma 269, Legge 30 dicembre 2021, n. 234[29] ha reso permanente l’aumento dal 5% al 10% dell’incremento della spesa già previsto soltanto per il triennio 2019-2021; per inciso, ciò ha determinato una distonia tra il secondo ed il terzo periodo del comma 1 dell’art. 11 Decreto Calabria, poiché viene effettuata una pleonastica differenza tra l’aumento annuale – ora previsto in via generale nella misura del 10% – e quello specificamente consentito nel triennio 2019-2021, già fissato nel 10%.
Inoltre, è stata soppressa la limitazione al solo triennio 2019-2021 della possibilità di ottenere l’ulteriore incremento del 5% del Fondo sanitario regionale, ove emergano oggettivi ulteriori fabbisogni di personale rispetto alle facoltà assunzionali concesse, ma subordinatamente all’adozione della metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale.
Con Decreto Ministeriale 9 gennaio 2023 del Ministero della Salute di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze è stata adottata la suddetta metodologia – applicabile in via sperimentale per gli anni 2022, 2023 e 2024 – per la definizione del fabbisogno del personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, allo scopo di fruire dell’ulteriore variazione del 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente.
Con l’art. 5 D.L. n. 73/2024[30] viene stabilito – al comma 1 – che, a decorrere dall’anno 2024 i valori della spesa per il personale delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale delle regioni autorizzati per l’anno 2023 ai sensi dell’art. 11 D.L. n. 35/2019 sono incrementati annualmente a livello regionale, nell’ambito del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, del 10% dell’incremento del fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente e, su richiesta della regione, di un ulteriore importo sino al 5% del predetto incremento, per un importo complessivo fino al 15% del medesimo incremento del fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente, fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario regionale e compatibilmente con la programmazione regionale in materia di assunzioni.
Tale previsione vale fino alla data di adozione dei decreti ministeriali che adotteranno una metodologia per la definizione del fabbisogno di personale degli enti del SSN, a decorrere dall’anno 2025; il comma 3 del medesimo articolo aggiunge che, fino all’adozione della metodologia suddetta, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 11 D.L. n. 35/2019.
ci si è chiesti se il limite di spesa previsto dall’art. 11 D.L. n. 35/2019 e successive modificazioni dovesse essere rispettato da ciascun singolo ente del Servizio sanitario nazionale ovvero dalla regione nel suo complesso: negli anni successivi la questione è stata interpretata in via amministrativa dalla Ragioneria Generale dello Stato[31], nel senso che esso sia da riferirsi al livello regionale; tuttavia, nella giurisprudenza contabile si registrano entrambi gli orientamenti, a favore dell’una ovvero dell’altra tesi[32].
Altro limite alla capacità di spesa per il personale riguarda specificamente i rapporti di lavoro c.d. flessibile; esso è stato introdotto con la precipua finalità di limitare l’utilizzo di tali strumenti contrattuali, a cui si era iniziato a fare ricorso in maniera crescente, per fronteggiare la carenza di personale determinata dal blocco delle assunzioni a tempo indeterminato.
L’art. 9, comma 28, D.L. 31 maggio 2010, n. 78[33] stabilisce che a decorrere dall’anno 2011 le Amministrazioni pubbliche possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009; anche la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio non può essere superiore al 50% di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009.
I suddetti limiti non si applicano, anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità ed ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione europea; nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti.
Il mancato rispetto dei limiti suddetti costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.
Viene precisato che per le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale le disposizioni in commento costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica, a cui esse sono chiamate ad adeguarsi[34].
Al fine di garantire il pieno raggiungimento degli obiettivi della Missione 6 del PNRR, l’art. 44-ter D.L. 2 marzo 2024, n. 19[35] – come modificato in sede di conversione dalla L. 29 aprile 2024, n. 56 – ha innovato l’art. 9, comma 28, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, stabilendo che le limitazioni ivi previste non si applicano agli enti del Servizio sanitario nazionale, con riferimento al personale della dirigenza medica ed al personale non dirigenziale appartenente ai profili sanitario e socio-sanitario[36], nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e nel rispetto della disciplina in materia di spesa per il personale. Resta fermo che, comunque, la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009.
Inoltre, la novella prevede che per ciascun anno del triennio 2024-2026 la spesa complessiva per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale – sempre con riferimento al personale della dirigenza medica ed al personale non dirigenziale appartenente ai profili sanitario e sociosanitario – non possa comunque essere superiore al doppio di quella sostenuta per la stessa finalità nell’anno 2009.
Ponendo fine ad un’incertezza interpretativa, la disposizione suddetta ha poi chiarito che, per gli enti del Servizio sanitario nazionale, il limite in questione opera a livello regionale.
Nella prassi è accaduto che le aziende ospedaliere universitarie avessero ritenuto di non includere nel calcolo del limite di spesa in questione il personale universitario che presta attività ospedaliera in virtù di specifica convenzione ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. n. 517/1999, recante la disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università; ciò, poiché sarebbe sostanzialmente impossibile distinguere la parte di attività assistenziale rispetto a quella formativa e di ricerca svolta dal personale interessato e, comunque, si tratterebbe di spesa incomprimibile, essendo condizionata dalle modalità della didattica accademica.
Tale interpretazione è smentita dalla giurisprudenza contabile, la quale non ritiene di ravvisare deroghe alla normativa vincolistica in esame[37].
D’altra parte, la Consulta ha sottolineato come «nonostante l’attività di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica, che il personale medico-docente è destinato a svolgere, siano poste in un rapporto di stretta compenetrazione e legate dal nesso funzionale – come, da tempo, ha avuto modo di chiarire questa Corte (fra le molte, sentenze n. 71 del 2001, n. 136 del 1997, n. 126 del 1981 e n. 103 del 1977) e come previsto dalla stessa normativa di settore, ossia dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419) – esse non sono riconducibili ad unità sul piano materiale e concettuale»[38].
Negli ultimi anni, al fine di sopperire alla carenza di personale sanitario si è fatto ricorso alle esternalizzazioni, onde superare le limitazioni della disciplina vincolistica, in quanto il relativo costo viene contabilmente imputato nel bilancio delle Aziende sanitarie alla voce beni e servizi anziché a quella del personale.
Una prima tipologia adottata è quella del contratto di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 7, comma 6, D.Lgs. n.165/2001, secondo il quale, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria[39].
L’art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001 richiede la sussistenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;
b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione.
La medesima disposizione stabilisce che il ricorso ai contratti in questione per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei soggetti incaricati come lavoratori subordinati è causa di responsabilità dirigenziale ed erariale per il dirigente che abbia stipulato i medesimi contratti e questi ultimi sono nulli[40].
Peraltro, l’art. 1, comma 173, L. n. 266/2005, nel combinato disposto con il comma 9 dello stesso articolo, prevede che debbano essere trasmessi alla Corte dei conti, per il successivo controllo sulla gestione, gli atti di spesa – tra l’altro – relativi ad incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei alle amministrazioni pubbliche.
Tuttavia, va segnalato il precedente rappresentato dalla delibera n. 54/2021 della Sezione di controllo per il Piemonte della Corte dei conti, con la quale è stato stabilito che «il conferimento di incarichi di prestazione d’opera di natura sanitaria, aventi ad oggetto mansioni tipiche dei dirigenti medici e degli altri professionisti del ramo (infermieri, biologi, ostetrici, tecnici di laboratorio, ecc…) non possa di per sé collocarsi nell’ambito degli incarichi di “studio-ricerca-consulenza” menzionati dai commi 9 e 10 dell’articolo unico della L. n. 266/2005 e risulti quindi non soggetto agli obblighi di comunicazione a questa Sezione ai sensi del comma 173».
Il Giudice contabile ha aggiunto che «n effetti tale tipologia di incarico contrattuale non può assimilarsi alla fattispecie delineata dall’articolo 7 comma 6 del D. Lgs n. 165/2001 in quanto non è destinata a fornire supporto conoscitivo-esperienziale all’amministrazione conferente, in vista di decisioni da assumere o di progetti da realizzare, bensì a coprire necessità di prestazioni personali sanitarie di cui l’ente ravvisa la necessità manifestata dall’utenza.
Paiono poi difettare, nel caso di specie, i requisiti previsti dalla normativa alle lettere b) e c) del comma 6 sopra citato: infatti non potrebbe sostenersi l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane interne, giacché personale medico e sanitario è già in forza alla struttura e l’impiego di soggetti esterni è orientato ad aumentare l’erogazione di prestazioni assistenziali da punto di vista quantitativo, al fine di non sottoporre l’utenza ad attese insostenibili; inoltre in tali situazioni non è ravvisabile tanto un “progetto”, quanto una necessità di sopperire a carenze numeriche di personale qualificato, della stessa tipologie di quello già alle dipendenze dell’azienda sanitaria».
Una modalità alternativa di reperimento di personale sanitario è rappresentata dal ricorso ai servizi di fornitura di personale sanitario, normalmente offerto da cooperative oppure, in alcuni casi, da agenzie di somministrazione di lavoro, mediante i cc.dd. “gettonisti”, cioè professionisti non legati da rapporto contrattuale diretto con la struttura sanitaria, che prestano la propria opera su chiamata delle strutture sanitarie pubbliche e vengono remunerati ad ore, in proporzione delle presenze[41].
Il fenomeno è stato parzialmente normato mediante l’art. 10, D.L. 30 marzo 2023, n. 34, il quale, nel suo testo originario, prevedeva:
“1. Le aziende e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), per fronteggiare lo stato di grave carenza di organico del personale sanitario, possono affidare a terzi i servizi medici ed infermieristici solo in caso di necessità e urgenza, in un’unica occasione e senza possibilità di proroga, a seguito della verificata impossibilità di utilizzare personale già in servizio, di assumere gli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, nonché di espletare le procedure di reclutamento del personale medico e infermieristico autorizzate.
2. I servizi di cui al comma 1 possono essere affidati esclusivamente nei servizi di emergenza-urgenza ospedalieri, per un periodo non superiore a dodici mesi, ad operatori economici che si avvalgono di personale medico ed infermieristico in possesso dei requisiti di professionalità contemplati dalle disposizioni vigenti per l’accesso a posizioni equivalenti all’interno degli enti del Servizio Sanitario Nazionale e che dimostrano il rispetto delle disposizioni in materia d’orario di lavoro di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.
3. Al fine di favorire l’economicità dei contratti e la trasparenza delle condizioni di acquisto e di garantire l’equità retributiva a parità di prestazioni lavorative, con decreto del Ministro della salute, sentita l’ANAC, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono elaborate linee guida recanti le specifiche tecniche, i prezzi di riferimento e gli standard di qualità dei servizi medici ed infermieristici oggetto degli affidamenti di cui ai commi 1 e 2.
4. La stazione appaltante, nella decisione a contrarre, motiva espressamente sulla osservanza delle previsioni e delle condizioni fissate nei commi 1 e 2 e sulla durata dell’affidamento.
5. L’inosservanza delle disposizioni previste nei commi 1, 2 e 4 è valutata anche ai fini della responsabilità del dirigente della struttura sanitaria appaltante il servizio per danno erariale.
6. Il personale sanitario che interrompe volontariamente il rapporto di lavoro dipendente con una struttura sanitaria pubblica per prestare la propria attività presso un operatore economico privato che fornisce i servizi di cui ai commi 1, 2 e 4 in regime di esternalizzazione, non può chiedere successivamente la ricostituzione del rapporto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale”.
In sede di conversione[42] la norma di cui al comma 2 è stata modificata, espungendo la limitazione dell’affidamento dei soli servizi di emergenza-urgenza ospedalieri.
Sempre in sede di conversione all’articolo in commento è stato aggiunto il comma 5-bis, contenente una disciplina transitoria[43] che consente di non applicare la normativa sopravvenuta nei casi di: affidamenti in atto, ovvero dei contratti in corso di esecuzione; procedure di appalto in corso di svolgimento; procedure di affidamento per le quali la determina a contrarre, o altro atto equivalente, sia adottata entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Con Decreto del Ministro della Salute del 17 giugno 2024[44] sono state adottate le linee guida di cui al suddetto comma 3.
Il comma 7 dell’articolo in commento aggiunge che, al fine di reinternalizzare i servizi appaltati, le aziende sanitarie avviano procedure selettive per il reclutamento del personale da impiegare per l’assolvimento delle funzioni precedentemente esternalizzate, prevedendo la valorizzazione, anche attraverso una riserva di posti non superiore al 50% di quelli disponibili, del personale impiegato in mansioni sanitarie e socio-sanitarie corrispondenti nelle attività dei servizi esternalizzati che abbia garantito assistenza ai pazienti per almeno sei mesi di servizio. Non possono partecipare alle procedure selettive coloro che in precedenza si siano dimessi da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il Servizio sanitario nazionale.
Tali procedure debbono essere adottate in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale; inoltre, la norma impone comunque il rispetto del vincolo di spesa di cui all’art. 11, D.L. n. 35/2019.
Va detto che una norma analoga era già contenuta nell’art. 1, comma 268, lett. c), della succitata L. n. 234/2021.
Quanto al riferimento esplicito alla responsabilità per danno erariale contenuto nel comma 5, occorre considerare che sempre più spesso, negli ultimi anni, e anche di recente, il Legislatore ha inserito nell’ordinamento varie norme che tendono a tipizzare specifiche forme o ipotesi di responsabilità innanzi al Giudice contabile: sono state introdotte molte fattispecie le quali, senza collegarvi specifiche sanzioni, prevedono che determinati comportamenti, ritenuti senz’altro illeciti, costituiscano automaticamente fonte di responsabilità erariale.
Tuttavia, la Corte dei conti in sede nomofilattica[45] ha statuito che nelle numerose ipotesi in cui una norma di legge si limita a prevedere che una data azione o attività “determina responsabilità erariale”, o espressioni simili, ma senza comunque stabilire sanzioni precise e non derogabili, deve necessariamente ritenersi che ricorra una fattispecie ordinaria di responsabilità amministrativa e non di c.d. “responsabilità sanzionatoria”[46].
L’unica peculiarità consiste nella circostanza che la previsione di tale astratta ipotesi di responsabilità, sotto il profilo dell’esistenza di un illecito, è operata direttamente dal Legislatore, e dunque non v’è bisogno, per l’interprete, di verificare l’esistenza o meno di tale profilo nel caso di specie; ciò nondimeno resta ferma la necessità di dimostrare che ricorrano, in concreto, tutti gli elementi essenziali indicati in via generale dalla normativa in materia per l’addebito di un danno erariale al soggetto agente (ossia: vi sia stato quel comportamento che il Legislatore ha qualificato come illecito e sussistano altresì la colpa grave, come pure un conseguente danno erariale ingiusto ed il nesso di causalità tra azione illecita ed evento dannoso).
L’art. 6, comma 1, del D.D.L. n. S1241 presentato il 23 settembre 2024[47] prevede che, al fine di ridurre le liste di attesa, di contrastare il fenomeno dei cosiddetti “gettonisti” e di reinternalizzare i servizi sanitari affidati a cooperative, secondo quanto previsto dall’art. 10 D.L. n. 34/2023, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e gli enti del Servizio sanitario nazionale possono reclutare il personale del comparto e della dirigenza medica e sanitaria nonché delle professioni sanitarie attraverso forme di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, in deroga all’art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 165/2001.
- Magistrato della Corte dei conti. ↑
- Rubricata “Legge di stabilizzazione della finanza pubblica”. ↑
- Legge 7 agosto 2015, n. 124. ↑
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- Villamena S. (2022), Il Piano triennale dei fabbisogni di personale nella prospettiva del «diligente amministratore pubblico», in Ceridap, fasc. 2/2022, 125. ↑
- Monaco M.P. (2019), Fabbisogno di personale e dotazione organica: i nuovi scenari della c.d. Riforma Madia, in Dir. merc.lav., 140. ↑
- Neri S. (2018), Il reclutamento nel pubblico impiego alla luce dei recenti interventi normativi, in Federalismi.it, n. 19/2018, 9. ↑
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- Ricorso n. 35/2024, in G.U., 1a serie spec.,16 ottobre 2024, n. 42. ↑
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- Recante “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”. ↑
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- Sull’argomento si veda: Centrone D. (2018), Il controllo delle sezioni regionali sui bilanci degli enti locali, in Aa.Vv., I controlli della Corte dei conti sugli enti territoriali e gli altri enti pubblici, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 45-198. ↑
- Sull’argomento si veda: Centrone D. (2018), Il controllo sui conti degli enti del Servizio sanitario, in Aa.Vv., I controlli della Corte dei conti sugli enti territoriali e gli altri enti pubblici, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 293-382. ↑
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- rubricato “Superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario”. ↑
- R.G.S., nota 7 aprile 2023, prot. n. 67058. ↑
- Si tratta di un limite di spesa a livello regionale per C. conti, Sez. contr. Veneto, 13 marzo 2023, n. 84 ed a livello aziendale per Corte conti, Sez. contr. Lombardia, 10 ottobre 2023, n. 219. ↑
- Per un commento alla norma si rinvia a: Giuzzardi R. (2012), I limiti di spesa 2009 – 2012 sui rapporti di lavoro flessibile, in Azienditalia -Il personale, 10, 45. ↑
- Ex pluribus, Corte cost., 8 luglio 2021, n. 145. ↑
- Con riferimento all’utilizzo della decretazione d’urgenza in tale ambito, Iannotti della Valle A. (2024), Il decreto-legge ai tempi del PNRR: verso una ordinaria straordinarietà, in Federalismi.it, n. 24/2024, 156. ↑
- nonché alle regioni ed agli enti locali in regola con l’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui all’art. 1, commi 557 e 562, L. 27 dicembre 2006, n. 296, ss.mm.ii.. ↑
- Corte conti, Sez. contr. Piemonte, 22 dicembre 2023, n. 99; Corte conti, Sez. contr. Piemonte, 22 dicembre 2023, n. 98; Corte conti, Sez. contr. Piemonte, 28 giugno 2022, n. 92; Corte conti, Sez. contr. Piemonte, 29 aprile 2021, n. 74. ↑
- Corte cost., 25 giugno 2021, n. 132. ↑
- Ai sensi dell’art. 7, comma 6, secondo periodo, D.Lgs. n. 165/2001, si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. ↑
- Secondo il combinato disposto degli artt. 7, comma 6, 36, comma 5-quater, e 21 D.Lgs. n. 165/2001. ↑
- Sull’argomento l’ANAC ha elaborato uno specifico rapporto nel mese di febbraio 2024. ↑
- nella Legge 26 maggio 2023, n. 56. ↑
- Sull’interpretazione della disciplina transitoria contenuta nell’art. 10, comma 5-bis, D.L. n. 34/2023 è intervenuta l’ANAC con il parere in funzione consultiva n. 35 del 24 giugno 2024. ↑
- Pubblicato in G.U., serie gen., 25 ottobre 2024, n. 251. ↑
- Corte conti, Sez. riun., 3 agosto 2011, n. 12/2011/QM. ↑
- Sulle differenze tra responsabilità erariale risarcitoria e sanzionatoria si veda Canale A. e Longavita F.M. (2019), La responsabilità sanzionatoria pecuniaria, in Aa.Vv., La Corte dei conti, responsabilità, contabilità, controllo, Milano, Giuffré, 417-422. ↑
- recante “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie e altre disposizioni in materia sanitaria”. ↑