Semplificazione amministrativa, coordinamento dell’azione amministrativa e conferenza di servizi
Erminia Falcitelli – Raffaella Porrato1
L’articolo nasce dall’esperienza amministrativa diretta sul tema della semplificazione e dei suoi istituti, in primis la conferenza di servizi, derivante sia dalla partecipazione agli organismi nazionali che intervengono sulla sua disciplina, sia dalla risoluzione quotidiana delle problematiche sorte con riferimento alle diverse fattispecie. Inoltre dalla presentazione di casi tratti dall’ordinaria gestione amministrativa, vengono sviluppate considerazioni generali inerenti l’impatto dell’attuale regolamentazione in materia di semplificazione sulla realtà dei procedimenti e delle imprese.
The article comes from direct experience about administrative simplification and its institutions, primarily the “conferenza di servizi”, a decisional meeting regulated by article 14 of the law 241/1990.
Considerations moves from participation in national bodies acting on its discipline, and from the resolution of everyday problems of the institute . In addition case study are presented, regarding the impact of the simplification regulation on the reality of the processes and businesses.
Sommario: 1. La conferenza di servizi: strumento di coordinamento o strumento di semplificazione? – 2. L'”imperativo” della semplificazione nella regolamentazione della conferenza di servizi. – 3. Esperienze applicative sul tema della semplificazione, con particolare riferimento alla tutela degli interessi sensibili. – 4. Semplificazione, conferenza di servizi e unificazione dei procedimenti.
1. La conferenza di servizi è uno strumento di partecipazione (coordinamento) o di semplificazione? La risposta sembra sempre più ardua, perché le numerose modifiche all’istituto (anche in corso) l’hanno reso un “mostro giuridico” difficile da interpretare e applicare. Certo se il dato positivo fosse dirimente (la sua collocazione toponomastica nella normativa come primo istituto di semplificazione dell’azione amministrativa disciplinato nel capo IV della l. 241/90) potremmo considerare l’istituto uno strumento di semplificazione. La stessa giurisprudenza sembra prevalentemente orientata verso tale direzione2. Tuttavia verremmo presto smentiti dalla Corte Costituzionale3 la quale afferma, che la conferenza di servizi “ha la funzione non solo di accelerare i tempi del procedimento rendendo contestuali le determinazioni spettanti a ciascuna amministrazione, ma anche alla possibilità di consentire dialogo e reciproca interlocuzione, quale strumento idoneo a sviluppare e rendere effettiva la cooperazione in vista di obiettivi comuni”. Anche recentemente la Corte si è espressa in tali termini, pur volendo salvare l’intento primario della semplificazione affermando4, “l’istituto della conferenza di servizi assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico primario e prevalente”.
Il difficile connubio tra funzione di coordinamento e funzione di semplificazione è in re ipsa; la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco richiederebbe la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento complesso (sia per i soggetti, sia per la natura), intesa come partecipazione “effettiva” alle sedute della conferenza, affinché nella dialettica/contraddittorio dei vari organi coinvolti vengano esaminati in un unico contesto i vari aspetti della fattispecie per giungere all’emanazione del provvedimento, che meglio risponde all’interesse pubblico perseguito.
Ma tale finalità nella prassi raramente viene raggiunta, in quanto ordinariamente sono spesso assenti i soggetti che tutelano interessi sensibili (es. ambientali, paesaggistici, tutela della salute e della pubblica utilità), con la conseguenza che è il responsabile del procedimento a decidere quale funzione privilegiare, tra quella di coordinamento (rinviando la conclusione del procedimento per poter avere la presenza del soggetto oggi assente, ma in tal caso allungando i tempi di conclusione dello stesso) e quella di semplificazione (a scapito però della prima funzione), decidendo di concludere il procedimento in assenza del soggetto invitato, in tutti i casi in cui ritiene formata una posizione prevalente, considerando in tal modo acquisito l’assenso dell’amministrazione assente (esclusi i casi in materia di Via, Vas e Aia ai sensi dell’art. 14 ter, co. 7, l. 241/90).
Nella prassi avviene spesso che il responsabile, nonostante le previsioni normative anche sanzionatorie nei propri confronti (art. 14 ter, co. 6 bis), rinvii le sedute per poter almeno acquisire il parere scritto dal soggetto assente preposto alla tutela del c.d. interesse sensibile, ritenendo prevalente l’elaborazione del provvedimento più confacente all’interesse pubblico, quello a cui concorrono tutti i soggetti coinvolti nel procedimento complesso, in ossequio a quell’art. 97 Cost., che richiama la P.A. (e i relativi funzionari) ad assicurare nello svolgimento delle proprie funzioni il buon andamento.
Nella normativa le varie modifiche intervenute, pur mosse dall’intento di introdurre elementi di semplificazione, hanno cercato di assicurare anche la partecipazione (proprio tenendo conto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale), sforzandosi di attuare una “sintesi” forzata e un compromesso impossibile, tra due esigenze che non riescono ad “andare a braccetto”; delineando quella natura ibrida dell’istituto configurata dalla Corte Costituzionale.
Analizziamo alcune modifiche normative.
Notiamo infatti che l’ago della bilancia propende per la semplificazione con la l. 15/05, la quale introduce il criterio delle posizioni prevalenti, sostituendolo a quello della “maggioranza delle posizioni espresse”, per l’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento (co. 6 bis all’art. 14 ter, l. 241/90), finalizzato nella sua accezione decisoria alla più celere formazione di atti complessi, consentendo al responsabile del procedimento di superare eventuali questioni (dissensi) minoritarie di mera opportunità. Mentre con la l. 69/09 oscilla tra partecipazione e semplificazione: vengono introdotti i commi 2 bis e ter all’art. 14 ter stabilendo la partecipazione di alcuni privati, quali i soggetti proponenti il progetto, i concessionari e i gestori di pubblici servizi, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione, seppure solo i primi (i progettisti) abbiano diritto di essere convocati. Anche il contributo di determinati privati, come si era già espressa la giurisprudenza, non pacificamente in passato, viene considerato utile all’interno di un istituto volto anche al coordinamento dell’esercizio delle funzioni amministrative, in quanto il contestuale raffronto tra gli interessi di cui essi siano portatori e gli interessi pubblici viene considerato utile per meglio delineare l’interesse pubblico prevalente, con inevitabile allungamento dei tempi di conclusione del procedimento. Nel contempo l’intento di semplificazione riemerge nel comma 1 dell’art. 14 ter che prevede la possibilità di svolgimento telematico della conferenza.
Il d.l. 78/2010 convertito nella l. 122/2010 modifica nuovamente la conferenza, questa volta nella direzione della semplificazione, forzando, su uno di quegli aspetti che pìù di altri impediscono alla conferenza di assolvere alla sua funzione di semplificazione, la partecipazione alla conferenza ingenerale, compresa la partecipazione di quei soggetti che tutelano valori sensibili: ambiente, paesaggio, patrimonio storico-artistico, salute e pubblica incolumità. Volendo affrontare il problema dell’assenza delle amministrazioni invitate, che spesso provoca rinvii all’infinito delle conferenze, il d.l. 78/10 convertito nella l. 122/10 stabilisce la sanzione della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa a carico degli assenti (nel caso di mancata partecipazione) o, nel caso di ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento, nei confronti del responsabile del procedimento stesso, nonché la valutazione di tali comportamenti ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato (co. 6 bis dell’art. 14 ter). Si considera, inoltre, acquisito l’assenso delle amministrazioni che tutelano i valori sensibili qualora non esprimano definitivamente in conferenza la volontà dell’amministrazione, con la modifica del co. 7 dell’art. 14 (sia in caso di assenza, sia in caso di difetto di legittimazione ). Infine, viene previsto che anche il dissenso delle amministrazioni preposte alla tutela dei valori sensibili deve essere manifestato in conferenza, a pena di inammissibilità, inoltre deve essere congruamente motivato, riferirsi a questioni oggetto di conferenza e recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso (co. 1 dell’art. 14 quater modificato). Sino a qui le modifiche nella direzione della semplificazione.
Riemerge la funzione di coordinamento nella procedura per la risoluzione del dissenso, che dovrà essere oggetto di provvedimento da parte dell’organo collegiale dell’Ente di area più ampia (Consiglio dei Ministri), previa intesa con la Regione o gli Enti locali interessati a seconda dell’ambito di competenza delle amministrazioni fra cui interviene il dissenso (co. 3 dell’art. 14 quater modificato). Tale meccanismo di veto, previsto per la tutela di materie privilegiate (ambiente, paesaggio, beni storici-artistici, salute e pubblica incolumità), peraltro, sottrae radicalmente l’intera funzione propria della conferenza di essere luogo privilegiato di dialogo (ed eventuale accordo), sottraendo contestualmente competenza alle singole amministrazioni; per tale ragione qualcuno ha definito tale meccanismo, a motivo delle conseguenze che provoca sul procedimento: spogliazione sublimante5.
Ma l’intento di semplificazione riemerge nella sua accezione più “radicale” sempre ad opera della l. 122/2010 con l’abrogazione del co. 9 dell’art. 14 ter, che faceva scaturire dal provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva la sostituzione, a tutti gli effetti, di ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti alla conferenza.
Abrogazione a cui ha fatto seguito la modifica del co. 6 bis dell’art. 14 ter che anticipa l’effetto sostitutivo alla determinazione conclusiva del procedimento. Tale modifica introdotta verosimilmente secondo alcuni per evitare una confusione e quindi una duplicazione di atti che la precedente normativa poteva ingenerare, opererebbe solo se il provvedimento finale è ricognitivo; mentre un provvedimento potrà/dovrà essere emesso nei casi in cui la normativa espressamente lo richieda (ad es. in materia di Via, autorizzazione paesaggistica). Questa sembra l’opinione anche della giurisprudenza6 che giustifica comunque la necessità di un provvedimento espresso come momento conclusivo della vicenda soprattutto (ma non solo, in quanto viene tutelata anche l’autonomia del potere provvedimentale dell’autorità procedente) a tutela del complessivo sistema di garanzie e responsabilità previsto dal Capo IV-bis della legge n. 241 del 1990 in caso di provvedimento, a favore del cittadino, con particolare riguardo all’onere di comunicazione, all’acquisto di efficacia e sussistendone le condizioni, al carattere di esecutorietà del provvedimento. Inoltre, aggiunge sarebbe necessario “… che il cittadino interessato al procedimento abbia come referente ed interlocutore il solo responsabile del complessivo procedimento e, quindi, una sola amministrazione, lasciando che il concerto fra le amministrazioni resti all’interno dei processi decisionali7.
Certo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, tendente a rafforzare il ruolo e la responsabilità dell’amministrazione procedente, che deve “sì tener conto delle utili risultanze della conferenza per ciò che può concernere l’apporto conoscitivo di fatto … ma conserva nel merito il suo potere, perché la cura di sua competenza va esercitata con il provvedimento appositamente nominato dall’ordinamento e secondo il suo contenuto tipico”, significa anche conferire un potere unilaterale all’amministrazione procedente, che può, disattendendo le risultanze della conferenza con un provvedimento diverso, snaturare la funzione essenziale della conferenza. Conferenza intesa come luogo di verifica nel contraddittorio di tutte le amministrazioni titolari di funzioni diverse della fattibilità di un determinato progetto o programma, dove essenziale è il confronto simultaneo fra gli Enti, e alla ricerca di un atto finale che non può che essere di compromesso tra le esigenze configgenti8. Ma questo è accaduto soprattutto per tutelare valori sensibili quali ad es. bene paesaggio, pubblica incolumità. La tutela di questi valori costituzionalmente garantiti ha indotto la giurisprudenza, recentemente, ad affermare la possibilità che il dissenso qualificato “espresso fuori e prima della conferenza non è per ciò solo da considerare da parte di un’altra amministrazione come inesistente…” ma anzi “l’amministrazione procedente avrebbe dovuto non prescindere dall’approfondire in tempi adeguati quanto rappresentatole e rinnovare l’invito alla partecipazione effettiva a una successiva seduta della conferenza, per modo che il dissenso potesse essere espresso, dal legale rappresentante … inter praesentes”9.
Da tale breve panoramica dell’istituto risulta che la giurisprudenza configura la conferenza prevalentemente quale strumento di coordinamento dell’azione amministrativa, modulo procedimentale di concertazione per un più efficace soddisfacimento dell’interesse pubblico, nell’ambito del quale la tutela dei beni costituzionalmente protetti assurgono a valore indisponibile e imprescindibile, che non possono essere sacrificati sull’”altare” della semplificazione.
2. Tale tutela non sembra essere sempre presente nella mente del legislatore il quale si sta apprestando ad effettuare ulteriori modifiche alla conferenza di servizi nell’intento di meglio soddisfare le esigenze di semplificazione del privato imprenditore. Ne è un esempio il recente intervento normativo previsto, dall’art. 12 del d.l. 83/2014 convertito nella l. 106/2014, che introduce la possibilità del riesame nei confronti degli atti di assenso rilasciati dalle Soprintendenze, attivabile entro tre giorni dalla ricezione dell’atto da parte delle amministrazioni coinvolte nel procedimento e anche su iniziativa dell’amministrazione procedente, avanti apposite Commissioni di garanzie, e nelle more della loro costituzione, avanti ai Comitati regionali di coordinamento di cui all’art. 19, d.p.r. n. 233/07. Tale procedura è stata estesa anche nelle ipotesi di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 14 quater, co. 1, l. 241/90 (nei casi di valori ambientali, paesaggistico territoriale, patrimonio storico-artistico, tutela della salute e della pubblica incolumità). Ultima modifica in corso è contenuta nel c.d. “Sblocca Italia” (art. 25, co. 3, d.l. 133/2014) che prevede in caso di silenzio del Soprintendente per 60 giorni dalla richiesta, la devoluzione del potere di pronuncia in capo all’amministrazione competente, che decide autonomamente sulla domanda di autorizzazione paesaggistica.
Certo tali interventi sono anche comprensibili, in quanto le Soprintendenze nella prassi non hanno dimostrato spirito di fattiva collaborazione, rivendicando anche attraverso note e circolari10 la specialità della procedura che regola l’emissione dei propri atti rispetto ad ogni normativa, stabilendo la nullità dell’atto emesso senza aver preventivamente attivata la procedura introdotta dall’art. 49, co. 2, lett. a, d.l. 78/2010, che, modificando l’art. 14 ter, co. 2, l. 241/90, sancisce che le amministrazioni procedenti concordino con i Soprintendenti territorialmente competenti il calendario, almeno semestrale, delle riunioni delle conferenze che coinvolgano atti di assenso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. In tal modo, disattendendo la ratio della norma tesa ad assicurare la presenza della Soprintendenza, non certo ad introdurre sanzioni di nullità.
In tale contesto, sembra ancora una volta, come già emerso (e ancora oggi risulta) da una serie di monitoraggi effettuati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, che l’inefficacia degli strumenti di semplificazione dipenda dal mancato coordinamento delle norme e delle relative procedure di semplificazione ad opera del legislatore. Il legislatore affronta tali problematiche anziché introducendo norme di coordinamento, modificando gli istituti di semplificazione all’infinito, spesso con disposizioni poco chiare o difficilmente applicabili nella realtà come notiamo nei confronti della conferenza di servizi.
Nei paragrafi successivi alcune esperienze applicative di semplificazione “malriuscite”.
3. L’esperienza concreta di gestione amministrativa ci porta ogni giorno a confrontarci con quello che efficacemente è stato definitivo11 come l’“imperativo” della semplificazione amministrativa. L’indirizzo di politica legislativa attuale è infatti chiaramente orientato al tema della semplificazione ed ha finito per condizionare pesantemente ogni settore e modalità dell’agire della pubblica amministrazione.
Si tratta di una tematica orizzontale che si è imposta all’attenzione di politici ed amministratori e che ha influenzato la legislazione, i rapporti fra le istituzioni e l’attività amministrativa ai vari livelli.
Tuttavia, come è stato ormai osservato da più parti della dottrina, quando si opera nel campo degli interessi sensibili, l’imperativo della semplificazione mostra tutta la limitazione di un approccio inidoneo ad un’applicazione indifferenziata e acritica a procedimenti amministrativi che sottendono valutazioni di complessità molto differente.
Molte volte le ragioni del fallimento delle politiche semplificatorie risiedono nell’inidoneità del modello, plasmato su fattispecie a complessità ridotta, altre volte nell’incapacità di considerare a livello normativo la realtà nella sua complessità. Così si assiste a provvedimenti normativi12 che in un capo annunciano “semplificazioni in materia di incentivazione energetica delle imprese” e in un altro capo aggravano pesantemente l’iter autorizzativo di quegli stessi impianti, tanto da annullare i benefici in termini di semplificazione e anzi da peggiorare le condizioni di autorizzazione dell’opera.
Certo, nel caso citato non si tratta di irrazionalità del legislatore poiché il procedimento a cui si è fatto da ultimo cenno è imposto in forza di una procedura di infrazione per incorretta trasposizione di una direttiva comunitaria.
Ma, che si tratti di un obbligo nei confronti del sistema europeo o che si tratti di irrazionalità del legislatore, la conseguenza che ne deriva all’impresa è indifferente, ovvero il tanto temuto aggravamento dell’onere amministrativo che gli è imposto per il procedimento autorizzativo.
Ed in effetti pare proprio di trovarsi di fronte ad un periodo in cui il legislatore fatica a tener dietro ad istanze tanto divergenti e disparate, in un’epoca che forse della complessità più che della semplificazione ha fatto il suo tratto caratterizzante.
Ad esempio, sul fronte della complessa problematica del recepimento degli atti comunitari, a poco più di un anno dall’adozione dello strumento legislativo che sembrava destinato a semplificarne il meccanismo, quello stesso strumento manifesta già tutte le criticità e l’inidoneità a corrispondere allo scopo.
Com’è noto infatti, la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea, ha previsto lo sdoppiamento della tradizionale legge comunitaria nella legge di delegazione europea, contenente le deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell’ordinamento nazionale, e nella legge europea, destinata a dare attuazione agli atti europei e ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione.
Questa duplicità di strumenti era stata specificamente pensata in chiave semplificatoria dal legislatore per la risoluzione delle problematiche derivanti dalle lungaggini dei tempi di approvazione parlamentare della legge comunitaria annuale, che avevano determinato l’avvio di numerose procedure di infrazione da parte della Commissione europea.
A poco più di un anno dalla creazione del citato strumento, ci si trova a constatare come esso mostri già i suoi limiti, tanto da costringere il Governo al ricorso alla decretazione d’urgenza (d.l. 91/2014) per porre rimedio alle conseguenze di una procedura di infrazione che si trascina dal lontano 2009.
Ci si riferisce in particolare alle previsioni, nate per porre rimedio alla procedura di infrazione 2009/2086, in materia di valutazione d’impatto ambientale, attualmente inserite nella legge europea bis (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013 bis), che giace nel dibattito parlamentare ma senza speranza, a viste umane, di divenire legge.
Questo a significare come la realtà amministrativa di oggi sia di per sé frutto di una complessità evidente che deriva dall’intreccio di competenze differenti ed anche, come nel caso appena citato, dalle difficoltà di convivenza di due sistemi giuridici, quello comunitario, ispirato agli ordinamenti di common law e quello interno, ispirato al sistema di civil law.
Ma, come è stato osservato13, forse proprio i sistemi di civil law sono quelli che più efficacemente incarnano il principio, anch’esso di derivazione comunitaria, di precauzione, di tutela preventiva e di correzione alla fonte dei danni derivanti all’ambiente.
Nonostante la sopra descritta complessità, ci si incaponisce a voler far entrare realtà complesse in modelli elaborati con riferimento a fattispecie standardizzate che non soddisfano la reale complessità dell’agere amministrativo, soprattutto ove si verta sul tema degli interessi sensibili.
4. La constatazione esposta nel paragrafo precedente in merito all’inidoneità delle attuali politiche semplificatorie ad affrontare tematiche complesse, si riscontra anche con riferimento alle previsioni normative in materia di conferenza di servizi. La norma generale di cui all’articolo 14 quater della l. 241/1990 richiede infatti imperativamente un dissenso costruttivo, ovvero l’indicazione delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso, “intendendo il legislatore evitare la duplicazione di procedimenti amministrativi nonché la stessa insorgenza di contenziosi amministrativi e giurisdizionali, in ossequio ai principi generali di economicità, efficacia e di pubblicità, già enunciati nel testo originario dell’articolo 1 della l. 241/1990, implementati con il richiamo a quelli di imparzialità e trasparenza”14.
La giurisprudenza amministrativa15 ha in varie occasioni censurato l’operato della Pubblica amministrazione proprio per essere venuta meno al dovere dell’indicazione puntuale delle modifiche necessarie per l’assenso, disapprovando, ad esempio nella pronuncia sopraccitata, l’operato di una pubblica amministrazione che si era limitata al diniego, sia pur motivato, ma nel particolare omettendo di proporre una differente localizzazione dei punti di monitoraggio della falda”.
La giurisprudenza finisce così per spingersi in valutazioni che in talune ipotesi sembrano addirittura sconfinare nel merito dell’azione amministrativa, valicando il labile confine fra legittimità e merito, problematico quando si verte in discipline connotate da discrezionalità tecnica elevata.
La realtà quotidiana di osservazione della dinamica della conferenza di servizi mostra inoltre come in fattispecie complesse l’equilibrio in conferenza si raggiunga faticosamente nell’ottica del contemperamento fra interessi diversi, non solo degli interessi contrapposti dell’impresa e dell’amministrazione, ma anche degli interessi di cui è portavoce la stessa P.A., non sempre facilmente armonizzabili. La dialettica della conferenza, ora allargata anche al soggetto privato proponente, mira al raggiungimento di un equilibrio fra l’interesse alla realizzazione dell’opera e quella, diversamente variegata, di cui è portavoce la P.A..
In quest’ottica si comprende bene come l’indicazione delle modifiche progettuali necessarie per l’assenso non può necessariamente essere confinata all’amministrazione dissenziente perché deve chiaramente anch’essa nascere dalla composizione degli interessi propria della conferenza. Per portare un esempio atto a specificare l’assunto, l’indicazione delle modifiche progettuali necessarie per l’assenso da parte dell’amministrazione titolare di competenze paesaggistiche (es: non ubicare impianti sul crinale) potrebbe portare a criticità sotto l’aspetto della sicurezza idrogeologica (perché ad esempio il versante è meno stabile del crinale).
Dunque l’indicazione delle modifiche necessarie per l’assenso deve necessariamente nascere dalla dialettica della conferenza e di essa essere espressione. La conclusione a cui si è giunti mostra in sé la criticità della previsione normativa inerente la necessità di indicazione delle modifiche progettuali necessarie per l’assenso applicata a fattispecie complesse, dove l’indicazione delle modifiche progettuali nasce da una revisione globale delle posizioni espresse, che, quando non porta ad un “nuovo” progetto, e anche questa è una problematica di non facile soluzione all’interno della conferenza e del procedimento in genere, è inconciliabile con la dinamica della conferenza e con il rispetto dei tempi del procedimento. In altri termini, in procedimenti connotati da particolare complessità, dove a fatica si raggiunge una posizione di equilibrio fra gli opposti interessi delle Amministrazioni presenti al tavolo (e purtroppo non sempre presenti, come si è precedentemente osservato), l’indicazione delle modificazioni, quand’anche possibile, comporta la ridiscussione globale del progetto, ovvero una rinnovata istruttoria e un “nuovo” procedimento.
Non che si voglia ora nascondere sotto l’egida dell’oggettiva complessità degli interessi sottesi ad alcuni tipi di procedimento, la naturale riluttanza al cambiamento dell’amministrazione, che indubbiamente fa parte della teoria generale dell’organizzazione delle amministrazioni, nonché la riluttanza di tante amministrazioni a cogestire con altre amministrazioni le proprie competenze, che costituisce un’incontestabile criticità dell’istituto della conferenza16.
Ne sono un chiaro esempio le recenti previsioni in materia di valutazione d’impatto ambientale e di unificazione dei provvedimenti autorizzativi in materia ambientale nell’ambito del provvedimento finale di VIA.
Corollario del principio di semplificazione è infatti quello dell’unificazione dei procedimenti come modalità di riduzione degli oneri all’impresa e dei tempi dei procedimenti amministrativi. Rappresenta una declinazione di tale principio l’articolo 26 del d.lgs. 152/2006, il quale enuncia che il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale sostituisce tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi, comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto.
La norma è stata di fatto fino ad oggi disapplicata, quanto meno con riferimento ai procedimenti di valutazione d’impatto ambientale di competenza ministeriale.
Il legislatore è stato così costretto ad intervenire puntualmente, con riferimento a singole fattispecie autorizzative ambientali, ribadendo il principio che si intendono sostituite dal provvedimento di VIA17.
Con ciò creando, se vogliamo, confusione sotto l’aspetto dell’interpretazione della norma di cui all’articolo 26, quasi depotenziandone la valenza generale.
Quanto poi al predetto principio di accorpamento dei procedimenti autorizzativi, si assiste attualmente al proliferare incontrollato dei procedimenti unici18, al punto che la molteplicità e l’intersecarsi dei medesimi crea ragionevoli dubbi in ordine al procedimento da seguire e alla competenza.
Solo a voler citare i principali che si annoverano nel sistema, possiamo ricordare il procedimento di autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387; l’Autorizzazione unica ambientale, AUA, di cui al d.p.r. d.p.r. 13 marzo 2013, n. 59; il procedimento autorizzativo unico per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, di cui all’articolo 208 del d.lgs. 152/2006; l’autorizzazione unica per gli interventi di bonifica, di cui all’articolo 242 del d.lgs. 152/2006; l’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di cogenerazione di potenza termica uguale o inferiore a 300 MW, di cui all’articolo 8, comma 2 del d.lgs. 20/2007.
Per non citare il generalissimo procedimento unico di cui all’articolo 7 del d.p.r. 7 settembre 2010, n. 160 nell’ambito della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive.
È facile constatare come nella realtà dei procedimenti amministrativi finalizzati all’autorizzazione di opere ed interventi, i vari procedimenti unici si intersechino tra loro in maniera variegata e riservino allo sfortunato destinatario dell’istanza la non facile scelta sul procedimento da applicare.
Decisione non semplice poiché ognuno dei provvedimenti unici citati ha in sé opportunità ed oneri per il privato proponente da attentamente valutare in relazione alla singola fattispecie. Molti dei procedimenti unici citati contengono la previsione della cosiddetta variante automatica, ovvero che, ove le previsioni dello strumento urbanistico non siano conformi, l’approvazione del progetto costituisce variante, in altri casi l’approvazione del progetto costituisce dichiarazione di pubblica utilità, in altri ancora il vantaggio sarà la durata più estesa del titolo autorizzativo, vantaggi da contemperare non infrequentemente con oneri istruttori, garanzie finanziarie da versare, a seconda delle ipotesi.
Districarsi nella giungla delle semplificazioni non è dunque facile e se non lo è per l’amministrazione lo è ancor meno per il privato, molto spesso in difficoltà nell’effettuazione di una scelta consapevole fra le sempre nuove e variegate possibilità offerte dal sistema in termini semplificatori. Per non voler citare la complessa questione per cui la scelta fra l’uno e l’altro procedimento unico comporta differenze anche sul versante delle competenze.
È agevole dunque ribadire (ripetendo quanto già affermato all’inizio) una conclusione scontata, ovvero che, senza una chiarezza delle regole da applicare e senza un coordinamento fra gli strumenti di semplificazione, si delinea un quadro di incertezza generale, che rappresenta la vera costante di quest’ultimo periodo, che rende difficile il reale efficientamento dell’amministrazione e, in ultima analisi, la ripresa del sistema economico nel suo complesso.
18. Vedi diffusamente sul tema delle autorizzazioni uniche M.Clarich, op. cit., p. 257 e ss.