A dieci anni dalla “legge Delrio”, una riflessione sul decentramento piemontese

Marco Orlando[1]

(ABSTRACT) ITA

Uno dei pilastri della Riforma Delrio di dieci anni fa era il tentativo di generare interdipendenza di indirizzo politico e creare capacità relazionali tra i Comuni e gli Enti di area vasta, mediante il riordino delle funzioni non fondamentali già devolute dalle Regioni ai due livelli di governo, a partire dalle esigenze dei territori ed applicando i principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. L’articolo punta a fare un bilancio del tentativo di costruire una visione nuova ed unitaria del decentramento infra-regionale, evidenziandone alcune cause del fallimento che porta ad osservare, in Piemonte, una stagione di marcato neo-centralismo regionale, come esito ultimo della riforma.

(ABSTRACT) EN

The attempt to create interdependence of political direction and build relational capacity between municipalities and wide-area bodies (provinces/metropolitan cities) was one of the pillars of the reform introduced by the Law 56/2014, so called “Riforma Delrio” in italy. It should have gone through the reorganization of non-core administrative competencies, devolved anytime from the regions to the two levels of local government, starting from the local needs and identities and, also, applying subsidiarity, differentiation and adequacy constitutional princples. The article aims to take stock of the attempt to build a new and unitary vision of intra-regional decentralization, highlighting some of the causes of the failure that leads to observe, in Piedmont, a season of marked regional neo-centralism, as the ultimate outcome of the reform.

L’otto aprile di dieci anni fa entrava in vigore la legge n. 56/2014, meglio nota per il nome del Ministro Graziano Delrio, di cui molto si è discusso – soprattutto per gli effetti che essa ha prodotto sul cd. “governo di area vasta” delle Province e delle Città Metropolitane nelle regioni a statuto ordinario. Nell’ambito della riforma, di minore interesse è stato invece l’effetto, parimenti prodotto, sul cd. “governo di prossimità”, vale a dire sul complesso delle funzioni amministrative di competenza comunale ed intercomunale, nonché sul rapporto interno tra i due livelli dell’autonomia locale.

Senza indulgere in una ricostruzione completa della ratio o dei pilastri concettuali di quel processo riformatore, vale qui rammentare un aspetto saliente delle intenzioni della legge: realizzare l’auspicata interdipendenza tra i Comuni e le aree vaste, che avrebbe dovuto essere compiuta nell’ambito di un complessivo ridisegno delle funzioni non fondamentali, ad opera delle Regioni. Un processo che avrebbe dovuto essere improntato al rafforzamento del livello comunale e della cooperazione intercomunale, in corrispondenza del depotenziamento funzionale delle “vecchie” Province.

A dieci anni di distanza, possiamo affermare che – almeno in Piemonte – questa intenzione del Legislatore non si è realizzata, né sul piano del rafforzamento in sé dell’autonomia comunale, e nemmeno sul piano del potenziamento della cooperazione. Se è vero, infatti, che si è generata l’interdipendenza tra prossimità ed area vasta per quanto attiene alla composizione degli organi elettivi provinciali, per altro verso l’indirizzo politico dei due livelli di governo non si è mai adeguato all’esigenza di armonizzarsi dentro una visione unica del decentramento infra-regionale.

Per il governo di area vasta, l’indirizzo politico è infatti rimasto ancorato ad un catalogo – già ristretto all’origine [2] – di funzioni amministrative fondamentali e di un catalogo residuale di funzioni conferite, al netto di quelle poi riordinate verso una gestione centralizzata di tipo regionale.

Al pari, le funzioni comunali ed intercomunali, insieme al rispettivo indirizzo politico, sono rimaste ancorate al proprio catalogo “provvisorio” dettato dalla normativa antecedente alla legge 56/2014 [3], oltre ad un insieme minimo di competenze di decentramento regionale. Nei fatti, quindi, i due livelli di governo sono rimasti separati e largamente indipendenti – a dispetto della raggiunta omogeneità della classe politica, basata sulla comune derivazione comunale degli amministratori.

Provando ad analizzare le ragioni di questa specifica débâcle della Riforma Delrio, va senza dubbio messo al primo posto il processo di impoverimento economico e riduzione delle professionalità subìto dagli enti di area vasta, a partire dalla quasi coeva legge 23 dicembre 2014, n. 190 e fino almeno a tutto il 2017 [4].

Senza risorse finanziarie ed umane, l’elaborazione di un indirizzo politico capace di riorganizzare le funzioni amministrative a partire dalle esigenze locali è stata plasticamente frenata dalla predominante esigenza di “salvare il salvabile”, concentrandosi fin dall’inizio su quelle funzioni “storiche” e “fondamentali” derivate dalla legislazione statale [5], e su quelle poche funzioni “non fondamentali” che la Regione non ha poi sottratto per riportarle alla propria gestione [6].

La seconda evidente ragione di fallimento dell’obiettivo di una. nuova visione integrata del decentramento risiede, tuttavia, proprio nella progressiva ricentralizzazione presso la gestione regionale delle funzioni assegnate agli enti locali dalla legislazione antecedente al 2014.

In quest’ultimo decennio, infatti, si sono registrati più di 20 interventi correttivi alle due leggi-pilastro del decentramento piemontese: la l.r. 44/2000 e la l.r. 23/2015, rispettivamente frutto – la prima – della “Riforma Bassanini” di fine anni ‘90 e – la seconda – dell’accordo di regionalizzazione del riordino stabilito in Conferenza Unificata l’11 settembre 2014, dopo l’entrata in vigore della Riforma Delrio.

Alcuni di tali interventi hanno assunto propriamente le caratteristiche di legge di riordino di intere materie [7], non limitandosi soltanto alla riallocazione delle competenze. È questo il caso, ad esempio, della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 1, che ha previsto l’ampliamento dell’operatività dell’Agenzia per la mobilità metropolitana a tutto l’ambito regionale, pur mantenendo la forma di consorzio per l’esercizio in forma obbligatoriamente associate delle funzioni degli enti territoriali in materia di TPL. [8]

Altrettanto si è fatto in materia agricola, con la legge regionale 22 gennaio 2019 n. 1, che ha completato la regionalizzazione delle funzioni già di competenza delle province stabilita fin dalla legge di riordino del 2015 [9].

Infine, la più recente legge 24 novembre 2023, n. 32 che ha operato il definitivo riordino delle funzioni in materia di lavoro, orientamento e formazione professionale, anch’esso tratteggiato all’indomani della riforma del 2015.

Il combinato effetto della sottrazione di risorse e della ri-centralizzazione di funzioni e strutture amministrative ha quindi prodotto l’effetto d’impedire che la riforma Delrio sviluppasse, nella sua attuazione decennale, alcuni meccanismi virtuosi di maturazione delle identità locali, che avrebbero potuto mettere in gioco anche il fenomeno dell’associazionismo intercomunale, entrato in piena recessione negli ultimi tempi [10].

La mancanza di un indirizzo politico combinato tra prossimità ed area vasta ha prodotto pertanto un classico “gioco a perdere”, nel quale – una volta persa la funzione di perequazione territoriale svolta dalle vecchie Province elettive – è venuta meno anche la presenza di idonee sedi di concertazione sulle politiche regionali, delle quali soprattutto il livello di governo dei Comuni avrebbe potuto beneficiare.

Oggi, invece, sopravvivono numerosi organi di consultazione delle autonomie locali istituiti dalle diverse leggi regionali, ma il contributo di Comuni e Province alla programmazione regionale non è quasi mai diretto, poiché viene organizzato sulla base di rappresentanze di secondo grado o, addirittura, di “categoria” mediante la mera consultazione delle loro associazioni.

E del resto, pare svanita la stessa esigenza di concertare poiché – nelle materie “riordinate” dalla legislazione successiva al 2015 – i Comuni e gli enti di area vasta sono prevalentemente destinatari non già di intere funzioni di decentramento bensì di mere attività endo-procedimentali di natura istruttoria o di data-entry. Le decisioni sulle politiche, così come le attività di finanziamento delle stesse restano, invece, nelle mani della Regione e delle sue numerose agenzie, costituite con funzioni di supporto tecnico all’indirizzo ed alla programmazione regionale.

Da un simile assetto si osserva la tendenza della Regione, dopo dieci anni dalla legge Delrio, a comportarsi anche come una “grande Provincia”: oltre all’attività legislativa e di programmazione, la Regione ha assunto una quantità sempre crescente di attività gestionali, evidentemente funzionali a compensare la frammentazione comunale, tenuto anche conto dell’arretramento di ruolo subito dalle province e da uno sviluppo tutt’altro che compiuto della Città Metropolitana [11].

Guardando al decennio 2014-2024, il neocentralismo regionale è quindi un fatto assodato almeno per il Piemonte; tuttavia, non è detto che il fenomeno debba essere a priori stigmatizzato [12]. Spingendosi ancora più indietro di altri tre lustri, infatti, si può osservare come la precedente stagione di decentramento – sostanzialmente coincisa con il periodo delle riforme ordinamentali e costituzionali concluse nel 2001 – si reggesse su un quadro di finanza pubblica ben diverso da quello che si è poi realizzato a partire dalla crisi del 2007-2008, e che ha inevitabilmente comportato una contrazione generale delle risorse dell’intero sistema locale [13].

La sostanziale e costante riduzione della capacità operativa e transazionale delle amministrazioni locali va quindi iscritta in un contesto di cambiamento epocale, nel quale è difficile immaginare “facili” soluzioni per un nuovo revirement. Di certo, la sola riabilitazione della rappresentatività politica diretta delle province e della Città Metropolitana non sposterebbe di molto i termini del problema [14], così come pare impensabile un nuovo decentramento delle funzioni e del personale che la Regione ha ripreso presso di sé dopo il 2015.

Come autorevolmente affermato [15], è invece necessario portare a compimento una riforma organica del Testo Unico degli Enti Locali, che ridefinisca anzitutto il perimetro alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. La necessità di tradurre in regole l’esigenza di un assetto più semplice e chiaro di compiti e responsabilità in particolar modo per i Comuni è reale, e si avverte soprattutto in una regione come il Piemonte, in cui il livello di fragilità amministrativa è tuttora molto alto. Ma semplificare il corpo normativo serve anche a dare agli operatori stabilità di comportamenti e superare l’incertezza causata dalle tante, troppe incursioni della legislazione speciale nel Testo Unico.

Posta la necessità di intervenire, su questo occorre tuttavia essere molto chiari: la potestà dello Stato nel definire ed aggiornare le funzioni fondamentali degli enti locali non deve essere confusa con l’autonomia differenziata delle regioni, poiché confondere il piano dell’identità degli enti locali con l’ampiezza del potere legislativo regionale significherebbe determinare la rottura dell’unità politico-amministrativa del tessuto repubblicano, creando venti diversi sistemi regionali dell’autonomia comunale.

L’adeguamento del TUEL deve quindi restare nelle mani dello Stato ed il processo di riforma deve essere inserito ed armonizzato al quadro dei progressi nell’attuazione del Titolo V che, negli ultimi vent’anni, sono stati comunque compiuti.

  1. Direttore A.N.C.I. Piemonte.
  2. La deliberata volontà della legge 56/2014 di individuare un nucleo ristretto e stabile di funzioni fondamentali alle province, in previsione della loro de-costituzionalizzazione, è stata poi contraddetta dall’esito del referendum costituzionale del 2016, che ha reso anche questo catalogo di funzioni intrinsecamente provvisorio, poiché definito all’interno di una “legge-ponte” a cui è venuto a mancare…il pilone di arrivo.
  3. Le funzioni fondamentali dei Comuni sono ancora quelle individuate dall’art. 19, comma 1 lett. a) del d.l. n. 95/2012, a sua volta modificativo di un’altra norma di epoca emergenziale, cioè l’articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
  4. Cfr. Boggero G. (2016), Le Province piemontesi debbono poter disporre di risorse adeguate all’esercizio delle funzioni loro conferite, in questa Rivista, n. 1/2016. Per un’analisi recente sullo stato dell’autonomia finanziaria degli enti locali, si v. la Deliberazione 29 luglio 2024, n. 13/SEZAUT/2024/FRG della Corte dei conti – Sezione delle autonomie.
  5. Sia consentito citare Orlando M. (2015), Le funzioni fondamentali delle nuove Province: genesi storica, contenuti operativi e questioni interpretative ancora aperte, in Studi per l’Accademia dell’Autonomia, Roma.
  6. In merito al <<…momento di evidente incertezza e provvisorietà nel quale viene, del tutto ovviamente, ad ambientarsi>> il periodo di prima attuazione in Piemonte della Riforma Delrio, si v. in particolare Ferrara R. – Poggi A. (2016), La Legge Delrio e l’ordinamento regionale: il caso della Regione Piemonte, in questa Rivista, n. 2
  7. Cfr. Boggero G. (2018), Il riordino delle funzioni provinciali e metropolitane, in: M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Torino, Si v. anche i contributi di Falcitelli e Servetti (2015) su questa Rivista.
  8. La legge è intervenuta in modifica del precedente corpus normativo rappresentato dalla L.R. 1/2000, costruendo un modello di governance del settore atto a consentire <<oltre che una coordinata ed unitaria gestione dei servizi…anche un risparmio delle risorse, derivante da economie di scala ed efficienza generate dalla gestione aggregata.>>. Nei fatti, la riforma ha spostato sull’Agenzia regionale l’insieme delle attività di programmazione e la sede dell’intesa con lo Stato, facendo salvo un parere meramente consultivo in sede di Conferenza Permanente Regione-Autonomie locali. Nella stessa Agenzia sono stati quindi incardinati anche i compiti negoziali, relativi alla sottoscrizione dei contratti di servizio.
  9. Nell’ambito del complessivo riordino della materia (consistente nell’armonizzazione di ben 35 leggi previgenti), la riforma ha abrogato la legge regionale di decentramento 8 luglio 1999, n. 17, reintroducendo forme organizzative della funzione amministrativa esistenti nel quadro antecedente (L.R. 39/1980), con strutture regionali decentrate e personale in organico della stessa Regione.
  10. Nel passaggio da una fase “espansiva” delle Unioni di comuni, che in Piemonte possiamo collocare tra la legge regionale 11/2012 e la legge Delrio, all’attuale fase recessiva, non va dimenticato il ruolo giocato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 4 marzo 2019.
  11. Con D.G.R.8-341/2024/XII dell’8 novembre 2024, pubblicata sul Bollettino Ufficiale n. 45 s. 6 del 11 novembre 2024, la Regione ha adottato la Carta delle Forme associative del Piemonte – Quattordicesimo stralcio, nella quale sono inserite 86 Unioni, di cui 51 Unioni montane e 35 Unioni di Comuni, in costante diminuzione almeno dal 2018.
  12. Cfr. Sterpa A. (2022), “Le città (metropolitane) invisibili”: perché non possono coesistere due modelli diversi di area vasta? A proposito della sentenza n. 240 del 2021 della Corte costituzionale, in Federalismi.it, 3/2022. Si v. anche, nell’ambito specifico della Città Metropolitana di Torino, Boggero, Matarazzo e Orlando (2018), La Città metropolitana di Torino. L’approvazione del Piano strategico nel perdurante predominio del Comune capoluogo, in Federalismi.it, 1/2018.
  13. Usando la felice immagine offerta da Sterpa (cit.), si può dire che nell’arco dei 25 anni l’azione combinata di sussidiarietà e adeguatezza abbia prodotto l’effetto di portare l’ascensore delle funzioni prima al piano delle autonomie locali, per poi riportarlo al piano di fermata superiore, quello cioè della Regione.
  14. Cfr. De Donno M. (2019), La riforma del governo locale nella legge Delrio: qualche riflessione cinque anni dopo, in Federalismi.it n. 7/2019.
  15. Sebbene invocata da più parti politiche e caldeggiata anche dalla sent. C. Cost. n. 240 del 2021, sulla quale si v. De Donno, in Federalismi.it 3/2022 (https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=46637).
  16. Sul percorso “carsico” della riforma del TUEL, si v. in particolare Meloni G. (2021), Revisione del Tuel e attuazione delle norme costituzionali sugli enti locali, in Amministrazione in cammino.