Abbonamento annuale per la sosta ai residenti e natura della tariffa progressiva: spunti alla luce del ‘modello Torino’

 

STEFANO MARIA RONCO[1]

 

 1. Introduzione

Recenti misure adottate dal Comune di Torino riguardanti la modulazione delle tariffe di alcuni servizi pubblici[2] offrono spunti di interesse sotto il profilo tributario, in quanto ripropongono al centro del dibattito la vexata quaestio della natura del ‘tributo’ e confermano l’impressione di un progressivo ‘scoloramento’ di tale concetto sia a livello normativo che in sede giurisprudenziale[3].

L’esempio del Comune di Torino (nel prosieguo, anche la “‘Città” o il “Comune”) rappresenta, a tale riguardo, un case study meritevole di approfondimento in quanto in tempi recenti la Città si è fatta promotrice di una politica in materia di tariffazione di alcuni servizi pubblici – dalle tariffe per la sosta a pagamento delle automobili per i residenti alle tariffe per gli abbonamenti del trasporto urbano e suburbano – che pone al centro del meccanismo di “commisurazione” e parametrazione del “costo” del servizio l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (nel prosieguo ISEE).

La legittimità dell’adozione dell’ISEE quale parametro rilevante per la determinazione del costo di alcune tipologie di servizi pubblici è questione dibattuta. Ad ogni modo, se l’utilizzo di tale indicatore trova già riscontro da alcuni anni nel contesto di alcuni servizi di interesse pubblico[4], il suo impiego nell’ambito dei servizi pubblici degli enti locali rappresenta, per certi versi, una novità più recente.

Merita, allora, soffermarsi sulle conseguenze dell’estensione “generalizzata” di un meccanismo di contribuzione dei servizi pubblici, quale l’ISEE, improntato su criteri di progressività, nel prisma offerto dai principi costituzionali in materia tributaria, domandandosi se una tale modalità di determinazione  “per scaglioni” del costo del servizio pubblico in funzione del risultato dell’ISEE non immuti radicalmente la natura del contributo richiesto al fruitore del servizio, trasformandolo in una forma “surrettizia” di versamento di matrice tributaria, parificato ad un’imposta vera e propria[5].

A complicare il quadro dell’indagine ricostruttiva vi è, tuttavia, la consapevolezza circa la ”particolarità” dei singoli servizi pubblici, difficilmente riconducibili ad un inquadramento unitario etra loro profondamente diversi anche per la differente rilevanza in ottica costituzionale dei bisogni collettivi cui devono rispondere.

Riconosciuta, allora, l’impossibilità di offrire in questa sede una ricostruzione complessiva del citato fenomeno alla luce delle lenti del diritto tributario, si è scelto di soffermarsi unicamente sull’analisi delle misure di tariffazione per la sosta a pagamento delle automobili per i residenti, adottato dal Comune di Torino nel corso del 2017. Regolamentazione che potrebbe essere suscettibile di ulteriori evoluzioni nel prossimo futuro e che si presta ad offrire spunti di interesse in ottica generale,in quanto la legittimità dei criteri adottati dal Comune per la determinazione della tariffa è stata oggetto di sindacato giurisprudenziale, anche in chiave di costituzionalità, da parte del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (il “TAR Piemonte” o il “Tribunale”)[6].

 

2. Brevi cenni in ordine al meccanismo di funzionamento della tariffa alla luce della pronuncia del TAR Piemonte.

Il TAR Piemonte ha, infatti, avuto modo di pronunciarsi con riguardo alla legittimità della delibera del Consiglio comunale di Torino del 30 marzo 2017, con la quale sono stati modificati i criteri di concessione ai residenti dell’abbonamento annuale per la sosta nella sottozona di residenza, introducendo un meccanismo di tariffazione diversificata, a decorrere dal 1° maggio 2017, basato sul criterio dell’attestazione ISEE, con sentenza del 17 gennaio 2018, n. 90.

In estrema sintesi, sulla base di tale delibera si è previsto che per i titolari di una dichiarazione ISEE non superiore ad Euro 20.000, l’importo del permesso sia pari ad Euro 45; per i titolari di una dichiarazione ISEE compresa tra i 20.000 ed i 50.000 Euro l’importo previsto sia pari ad Euro 90; per i titolari di ISEE non superiore ad Euro 12.000 e possessori di autoveicolo con potenza inferiore ai 100 Kw, il costo dell’abbonamento sia pari ad Euro 10. Infine, per tutti gli altri soggetti, l’importo del permesso è stato fissato in misura pari ad Euro 180.

Significative le differenze rispetto al precedente regime, che prevedeva che l’importo della concessione annuale per la sosta dei residenti nella loro sottozona di riferimento fosse unicamente subordinato alla corresponsione degli oneri d’istruttoria, pari ad Euro 40, successivamente aumentati ad Euro 45[7].

Ebbene, a fronte dell’impugnativa di alcuni residenti, che avevano chiesto l’annullamento della citata delibera, così come dei successivi atti ad essa connessi, il TAR Piemonte ha affermato la legittimità della misura adottata dalla Città.

Il percorso logico-argomentativo del TAR Piemonte ha preso le mosse dall’analisi del dettato dell’art. 7, comma 1, lett. f), Decreto Legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (il “Codice della Strada”), che prevede che i comuni abbiano la facoltà di “stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le aree urbane”.

Al riguardo, il Tribunale ha sottolineato che, per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti comunali che dispongono limitazioni alla circolazione veicolare all’interno dei centri abitati sono espressione “di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco molto esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali contrapposti che devono essere contemperati, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità”[8].

Ciò posto, il Tribunale ha ricordato che l’assoggettamento a tariffa progressiva dell’utilizzo del sedime stradale non può ritenersi una misura di per sé sproporzionata, qualora sia collegata “all’obiettivo di diminuire il numero di automobili che circolano e parcheggiano nel centro abitato cittadino”[9]. Obiettivo che, ad avviso del Tribunale, era effettivamente stato valorizzato dal Comune nel contesto degli indirizzi in materia di gestione e riequilibrio della domanda di trasporto urbano, tra collettivo ed individuale, in vista di una riduzione della congestione del traffico, miglioramento dell’accessibilità degli spazi cittadini, tutela della sicurezza e rispetto dell’ambiente.

Alla luce di tali considerazioni, secondo il TAR Piemonte, il passaggio dal precedente regime gratuito al novellato sistema tariffario, incentrato sulla “capacità reddituale dei cittadini residenti” deve ritenersi espressione di una legittima valutazione discrezionale del Comune, “che trova copertura nella previsione tipizzante della norma”[10].

Peraltro, il TAR Piemonte ha osservato come l’importo massimo della concessione del permesso di sosta annuale, per quanto sensibilmente più elevato di quello precedente, non sia in assoluto “esorbitante”, in quanto corrispondente ad un costo giornaliero pari ad Euro 0,49. Sempre a tale proposito, il Tribunale ha richiamato l’attenzione sul fatto che la tariffa in esame per l’abbonamento dei residenti rimane pur sempre inferiore a tutte quelle in vigore per gli abbonamenti dei non residenti.

In ultimo, il TAR Piemonte ha negato che la rimodulazione della tariffa per la concessione del permesso annuale di sosta auto abbia natura impositiva, sul presupposto che la corresponsione di tale onere sfuggirebbe, in continuità con le indicazioni della Corte costituzionale, “sia alla nozione di tributo che a quella di prestazione patrimoniale imposta”, dovendosi configurare, in realtà, unicamente come “corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi di sosta, di una utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative”[11].

A tale proposito, il Tribunale ha ritenuto, infine, privo di rilievo il fatto che la commisurazione della tariffa sia collegata all’ISEE, in quanto una tale opzione risponderebbe ad “istanze di equità sostanziale”, che consentono di “applicare un onere differenziato in relazione alla condizione economica dell’abbonato, per la compartecipazione al costo della manutenzione della strada e dei servizi pubblici, senza che l’utilizzo del parametro reddituale per ciò solo tramuti la tariffa in un tributo”[12].

 

3. Considerazioni critiche alla luce della pronuncia del TAR Piemonte.

I profili affrontati nella sentenza in esame si palesano, come si anticipava in premessa, estremamente complessi, in quanto riguardano un ambito – quella relativo ai regimi di commisurazione dei prelievi per il finanziamento dei servizi pubblici “locali” da parte degli utenti – nel quale si intersecano discipline tra loro non coordinate e che muovono dalla valorizzazione di principi, anche costituzionali, tra loro non facilmente bilanciabili.

Evidenti sono le difficoltà in cui si trova costretta ad operare la Giurisdizione, considerate, da un lato, le sempre più pressanti esigenze di cassa che spingono molti enti locali a dover individuare nuove strade per massimizzazione le entrate e garantire l’equilibrio dei propri bilanci e, dall’altro, la mancata sistematizzazione da parte del legislatore di un corpus normativo atto a definire in maniera puntuale i rapporti tra fenomeno impositivo in senso stretto e l’ampia categoria delle entrate paracommutative[13].

 

3.1. Il difficile inquadramento sistematico dei meccanismi di finanziamento dei servizi pubblici locali da parte dell’utente.

 Tale ultimo aspetto è di indubbio rilievo, in quanto, come noto, dottrina e giurisprudenza sono state ripetutamente chiamate ad interrogarsi in ordine alla dimensione privatistica oppure autoritativa del concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici locali e circa i confini del modulo impositivo in tale campo.

Si tratta, invero, di una  tematica – su cui in questa sede non ci si può soffermare compiutamente –di vasta portata e che postula, in limine, la comprensione della funzione del tributo[14]; la distinzione tra tributi con carattere prettamente fiscale e tributi con scopo di natura extrafiscale[15] e, prima ancora, la differenziazione tra entrate di tipo tributario ed entrate erariali, spesso riconducibili ad attività iure privatorum, svolte cioè dalla Pubblica amministrazione al di fuori di moduli caratterizzati da coattività[16].

Tale differenziazione, tradizionalmente intesa, permette di distinguere la sfera di imposizione tributaria rispetto al più ampio insieme delle prestazioni patrimoniali imposte, quali “prestazioni dedotte in rapporti obbligatori alla cui costituzione non ha concorso la volontà dell’obbligato e quindi non negoziali, non contrattuali ma istituiti con atti di autorità”[17].

In tale quadro, già complesso, assume particolare importanza la concreta modalità di manifestazione dell’imposizione tributaria, che, a sua volta, può avere le caratteristiche dell’imposta in senso proprio o della tassa.

Al riguardo, e sempre in via di estrema sintesi, secondo un orientamento condiviso in dottrina e giurisprudenza, “la tassa è legata ad un’attività amministrativa riguardante specificamente il contribuente mentre l’imposta colpisce fatti che manifestano la capacità contributiva del soggetto, […] la tassa è causale mentre l’imposta è acausale, [..] la tassa è commutativa mentre l’imposta è contributiva […]”[18].

In altre parole – e sempre per sommi cenni – la distinzione tra tassa ed imposta insisterebbe sul carattere divisibile oppure indivisibile della prestazione in oggetto, tale per cui nell’alveo dell’imposta ricadrebbero tutti quei moduli di matrice fiscale dove l’obbligazione non viene direttamente ricollegata ad un beneficio a favore del contribuente, quanto – piuttosto – parametrata in base al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.[19]. Diversamente, la tassa andrebbe qualificata anch’essa come modalità di prelievo coattivo, che, tuttavia, trova giustificazione causale nell’esistenza di un beneficio a favore del contribuente, che deriva da una controprestazione, economicamente apprezzabile, effettuata dalla Pubblica amministrazione.

La prassi applicativa sviluppata nel tempo ha, tuttavia, dimostrato come queste categorie concettuali, per quanto condivisibili in linea di principio, si prestino a molteplici ambiguità e pongano spesso gli interpreti di fronte alla difficoltà di individuare il corretto regime giuridico di riferimento[20].

Tale stato di cose, che potrebbe apparire – ad una prima impressione – di rilievo solo teorico e privo di ricadute concrete pone, invero, significative problematiche, anche di ordine costituzionale. Basti considerare, come rilevato in dottrina, che l’esclusione di una determinata prestazione patrimoniale dal novero della fattispecie del tributo può consentire “in alcuni casi, al Comune […] di svincolarsi dalla riserva di legge con conseguenze rilevanti che si colgono sul piano della disciplina dell’attuazione nonché della tutela del contribuente”[21].

Evidente, quindi, come la qualificazione da parte del TAR Piemonte del prelievo per la concessione del diritto di sosta ai residenti all’esterno della sfera del ‘tributo’ e, più in generale, dell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, abbia avuto l’effetto di giustificare una significativa limitazione in sede giurisdizionale della portata del sindacato, in chiave costituzionalmente orientata, della misura de qua.

 

3.2. Permesso di sosta ai residenti: considerazioni preliminari in chiave di ragionevolezza e proporzionalità della misura del Comune di Torino. fuga dalle categorie tributarie e ruolo dell’ISEE.

Come si anticipava, la prospettata difficoltà di giungere ad una agevole delineazione dei confini tra tassa ed imposta (nonché, a monte, del riparto tra entrate tributarie ed entrate riconducibili alla più ampia sfera delle prestazioni patrimoniali imposte) costituisce, a ben vedere, il risultato della mancata sistematizzazione di una categoria unitaria di “prezzi pubblici”. Ciò ha determinato, complici le esigenze di cassa e l’accrescersi degli oneri per la gestione ed il funzionamento dei servizi pubblici locali, un fenomeno di progressiva “fuga dalle categorie giuridiche tributarie”[22], il cui rafforzarsi è stato favorito dallo stato frammentario in cui versa la disciplina in punto di servizi locali e l’assenza di principi e norme di portata generale.

È, perciò, in tale contesto problematico che devono analizzarsi le misure adottate dal Comune di Torino con riguardo alla modulazione dei criteri di concessione ai residenti dell’abbonamento annuale per la sosta nella sottozona di residenza.

Come brevemente accennato, tale tariffazione progressiva troverebbe giustificazione nel fatto che l’utente, a fronte della corresponsione dell’importo della tariffa, avrebbe la facoltà di usufruire del sedime stradale, con ciò limitandone l’uso al resto della collettività.

Soprattutto, come risulta dalla pronuncia del TAR Piemonte, il regime adottato dal Comune di Torino troverebbe fondamento nell’obiettivo di diminuire il numero di automobili che circolano e parcheggiano nel centro abitato cittadino.

E’ nostra opinione che tali giustificazioni, poste dall’Amministrazione comunale a fondamento della misura di tariffazione de qua, si prestino a profili di criticità, che avrebbero potuto condurre il TAR Piemonte ad una declaratoria di illegittimità della regolamentazione scrutinata, già alla luce di un’analisi in chiave di bilanciamento tra interessi contrapposti, in ottica di ragionevolezza e proporzionalità.

Ciò considerato, in primo luogo, che la tariffazione progressiva colpisce i residenti, cioè coloro che risiedono nel centro della città e, perciò, dovrebbero avere diritto a poter raggiungere i propri luoghi di residenza senza oneri proporzionalmente più gravosi rispetto ai residenti di altre aree della città. Se, in altre parole, l’obiettivo individuato nella regolamentazione era quello di ridurre il numero di automobili che circolano e parcheggiano nel centro, in un’ottica di bilanciamento tra interessi contrapposti, esso avrebbe potuto essere raggiunto in maniera più proporzionata, aggravando il prelievo nei confronti dei non residenti, oppure estendendo l’orario e l’area della ZTL cittadina[23].

In secondo luogo, sempre in chiave di ragionevolezza complessiva, non può tacersi che le unità immobiliari collocate nel centro sono già soggette ad un carico impositivo, a titolo di Imposta municipale propria (IMU) e Tributo per i servizi municipali indivisibili (TASI), tendenzialmente molto più elevato rispetto ai restanti immobili del Comune di Torino.

Proprio l’esistenza della TASI, a ben vedere, avrebbe dovuto giustificare un più approfondito esame da parte del TAR Piemonte: tale tributo è, infatti, finalizzato alla copertura di quei servizi comunali rivolti alla collettività e per loro natura indivisibili, quali la manutenzione stradale o l’illuminazione comunale. Evidenti, perciò, i profili di contiguità, se non di vera e propria sovrapposizione, tra la tipologia di servizio alla cui copertura finanziaria è finalizzata (in parte) la TASI e quello che giustifica l’imposizione della tariffazione per la sosta ai residenti del Comune di Torino: entrambi tali meccanismi, cioè, paiono volti ad assicurare risorse all’ente locale al fine di mantenere il sedime stradale. Non si comprende, perciò, per quale ragione – diversa dal mero interesse erariale finalizzato ad assicurare maggiori entrate alle casse del Comune di Torino – dovrebbe legittimarsi l’applicazione di una “tariffa” ulteriore, a copertura di costi che già dovrebbero trovare copertura a fronte del gettito derivante dalla TASI.

Né, peraltro, un tale obiettivo, così conformato, pare riconducibile a finalità ambientali in senso proprio, considerato che il meccanismo di tariffazione progressiva non tiene in sostanziale considerazione le caratteristiche e la tipologia di vettura per la quale l’utente richiede il permesso di sosta annuale. Non solo, se l’obiettivo del Comune di Torino fosse effettivamente quello di “decongestionare” il centro cittadino, riducendo l’inquinamento veicolare, avrebbe dovuto tenersi in considerazione, sempre in chiave di ragionevolezza e proporzionalità, la circostanza che il Comune di Torino già adotta meccanismi di “blocco del traffico”, che, qualora inaspriti, possono più efficacemente raggiungere un tale risultato, senza per questo colpire selettivamente una sola classe specifica di contribuenti, rappresentata dai residenti nelle aree centrali della Città.

 

3.3. Permesso di sosta ai residenti: fuga dalle categorie tributarie e ruolo dell’ISEE.

La pronuncia del TAR Piemonte desta, ad ogni modo, perplessità soprattutto per quanto riguarda la qualificazione della misura di tariffazione adottata dal Comune di Torino in termini non tributari.

Da un primo punto di vista, un tale percorso argomentativo non pare tenere nella debita considerazione che, sempre con riguardo alla natura degli oneri per la fruizione del suolo pubblico – quale appunto è il sedime stradale – la disciplina legislativa prevede un apposito regime tributario, rappresentato dalla tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP)[24].

Come noto, la tassa in esame è strutturata tramite apposite tariffe che ne fissano l’ammontare minimo e massimo, in forza di calcoli parametrati sulla base della superficie che risulta occupata e, perciò, sottratta all’uso pubblico[25].

D’altro canto, il presupposto del tributo, enucleato all’art. 38 del D.Lgs. 507/1993, consiste, tra l’altro, nell’assoggettamento alla tassa delle “occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province”.

Da tali elementi si evince, quindi, come la ratio del tributo debba essere ricercata nella volontà di sottoporre ad imposizione quelle occupazioni caratterizzate da una effettiva sottrazione dell’area pubblica all’uso della collettività, per un intervallo temporaneo[26].

Alla luce di tali considerazioni, dalle quali si evincono le significative analogie per quanto riguarda il presupposto di riferimento tra la TOSAP e la tariffazione per la sosta dei residenti del Comune di Torino – in entrambi i casi, cioè, il presupposto è rappresentato dalla fruizione esclusiva e temporanea di un’area del sedime stradale – non si comprende per quali ragioni la sola regolamentazione tariffaria comunale, per come configurata a seguito della delibera del 2017, debba essere esclusa dall’alveo della sfera tributaria.

A militare in quest’ultimo senso è, in secondo luogo, la concreta modulazione della tariffa, contraddistinta da un’applicazione progressiva sulla base dell’ISEE.

Come sottolineato in dottrina, tale meccanismo dovrebbe essere ponderato con cautela, evitando quella tendenza che oggi favorisce una“indiscriminata e generalizzata attribuzione agli ISEE. […] del valore di parametri di commisurazione del finanziamento richiesto a fronte di ogni prestazione pubblica”[27].

In questo senso, merita osservare come l’esigenza di razionalizzare i criteri di fissazione dei parametri di verifica per la fruizione dei servizi pubblici da parte della Pubblica amministrazione non dovrebbe necessariamente estrinsecarsi nel confezionamento di un unico strumento – l’ISEE – ritenuto sempre e comunque valido “ad ogni fine e per ogni tipologia di intervento pubblico”[28].

Tale meccanismo di calcolo, infatti, si basa su una valutazione di carattere globale, non solo reddituale – ma anche patrimoniale – della situazione del contribuente, che risponde al tradizionale e condivisibile obiettivo di scongiurare che prestazioni gratuite che l’ordinamento intende concedere ai bisognosi, finiscano per essere indebitamente fruite da soggetti che dispongono in realtà di beni patrimoniali anche di rilevante valore, malgrado possiedano, in un dato intervallo temporale, di un reddito basso[29].

Se, quindi, il parametro dell’ISEE può trovare validamente applicazione per individuare i presupposti per il godimento di sussidi, provvidenze e prestazioni gratuite, la sua rilevanza deve essere oggetto di rivalutazione critica quando l’utente intende fruire di “un servizio o bene non riservato agli enti pubblici, per soddisfare bisogni che non possono dirsi essenziali per lo sviluppo della persona umana così come disegnato nella Costituzione Repubblicana oppure per soddisfare un proprio bisogno essenziale”[30], quale il permesso di sosta annuale nella sottozona di residenza.

In altre parole, la fruizione della concessione di sosta in misura agevolata sulla base del dato dell’ISEE pare, in tale circostanza, discutibile nella misura in cui assume a riferimento anche la posizione patrimoniale complessiva del contribuente, la cui rilevanza nel contesto della misura in esame appare priva di alcuna significatività.

Non è chi non veda, in conclusione, come l’utilizzo indiscriminato dell’ISEE in una tale circostanza rappresenta, a ben vedere, una modalità particolarmente efficace per limitare in maniera importante la sfera di fruizione del servizio pubblico locale ad un prezzo calmierato, con l’obiettivo ultimo di assicurare un sicuro aumento del gettito complessivo a favore dell’ente locale, “surrettiziamente” giustificato in forza di considerazioni improntate a principi di equità sociale, che, a ben vedere, non paiono trovare giustificazione a fronte della tipologia di servizio concretamente fruito dal cittadino.

 

4. Cenni conclusivi

Come si era avuto modo di anticipare, le questioni sottese alla pronuncia in esame si palesano di non facile risoluzione e demandano all’interprete di “districarsi” in un ambito – quello, appunto, relativo alle modalità di commisurazione dei prelievi per il finanziamento dei servizi pubblici “locali” – nel quale convivono discipline normative spesso non coordinate e che rispondono a differenti interessi, anche di ordine costituzionale.

Ne discende, come pare trasparire anche dall’analisi della motivazione della pronuncia poc’anzi esaminata, la sensazione che in tale frastagliato contesto normativo di riferimento vi sia la tentazione della Giurisdizione, anche altamente specialistica come quella amministrativa, di abdicare ad un suo ruolo “guida”, volto a garantire, in adesione al dettato della norma ed in chiave costituzionalmente orientata, il pieno rispetto dei “confini” tra ambito di regolamentazione tariffaria di “oneri” relativi a servizi pubblici locali – in vista di una doverosa compartecipazione del privato al costo del servizio di cui usufruisce finalizzato al mantenimento dell’equilibrio di bilancio dell’ente locale – ed esercizio di potestà di matrice tributaria, che si estrinseca nell’adozione di “tariffe” e “canoni”, nella sostanza riconducibili all’ampia gamma dei tributi pienamente intesi e tangenti al novero delle prestazioni patrimoniali imposte.

In tale contesto, la funzione della Giurisdizione rischia allora di assumere un ruolo recessivo, che si limita, in ultima analisi, a porre in essere una valutazione “limitata” delle misure scrutinate unicamente secondo i canoni della ragionevolezza e non abnormità, senza addivenire ad una, più approfondita, analisi, in termini sostanziali, in ordine alle caratteristiche dell’istituto preso concretamente in esame, anche alla luce del quadro d’insieme in cui tale misura si colloca e delle sue potenziali implicazioni in chiave di coerenza sistematica.

Tale soluzione lascia un certo grado di insoddisfazione, in quanto idonea a ”favorire” eventuali comportamenti “disinvolti” da parte degli enti locali, finalizzati alla massimizzazione del gettito e, di fatto, tale da rendere impossibile il soddisfacimento di legittime istanze di giustizia da parte dell’utente-contribuente.

Un tale trend è, peraltro, sotto molti profili anche discriminatorio, in quanto porta ad una differenziazione, anche significativa, dei carichi latamente tributari, in un’ottica “a geometria variabile”, a seconda, cioè, della regione o, addirittura, del comune (o quartiere) di residenza.

Sebbene il fenomeno della concorrenza fiscale tra regioni ed enti locali e le sue ricadute sotto il profilo economico costituiscano ancora oggi temi poco approfonditi nella dottrina italiana – e forse non sono, allo stato, decisivi nell’orientare le scelte circa il luogo di residenza dei contribuenti – rimane il fatto che l’estensione di meccanismi informati a criteri di progressività per la determinazione delle modalità di concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici potrebbe, nel medio periodo, mutare tale stato di cose.

In tale contesto, va aggiunto, ad essere probabilmente “premiati” nel lungo periodo sarebbero, da un lato, quegli utenti-contribuenti connotati da una maggiore propensione alla mobilità sul territorio nazionale e, da un altro lato, quegli enti locali che siano in grado di esprimere una maggiore attrattività, grazie ad un più ponderato utilizzo della leva fiscale e “para-tributari” a ed ad una più elevata efficienza e qualità dei servizi resi alla collettività.

 


[1] Dottore di ricerca in Diritto tributario

 

[2] Per una prima introduzione al riguardo si vedano, senza pretesa di completezza, M. Benvenuti, voce Diritti sociali, in Digesto, Disc. pubbl., Aggiornamento V, Torino 2012; G. Corso, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, pp. 756 segg.; M. Luciani, I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117, comma 2, lett. m della Costituzione), in Sanità pubbl., 2002, pp. 1031 segg.; E. Balboni, I servizi sociali, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, III, Bologna 1998, pp. 167 segg.; E. Ferrari, I servizi sociali, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Padova 2000, pp. 598 segg.

 

[3] Su tale concetto si veda, in particolare, L. Del Federico, Il concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici, tra imposizione tributaria e corrispettività, in Rass. trib., 2013, pp. 1222 segg.; Id., Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000.

 

[4] Si pensi ai criteri di commisurazione delle tasse universitarie adottate da molte università italiane.

 

[5]Sul tema dei tributi locali, così come per approfondimenti con riferimento al federalismo fiscale si vedano, ex multis, AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, a cura di F. Amatucci, 2010; F. Gallo, voce Federalismo fiscale, in Enc. giur., Roma, 1996; G. Bizioli, L’autonomia finanziaria e tributaria regionale, Torino, 2012; A. Giovanardi, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005; L. Letizia, Lineamenti dell’ordinamento finanziario delle regioni di diritto comune. Ricostruzione, evoluzione, prospettive, Torino, 2012; AA.VV., Tourism taxation. Sostenibilità ambientale e turismo fra fiscalità locale e competitività, a cura di V. Ficari, G. Scanu, Torino, 2013; C. Sacchetto, G. Bizioli, Può ancora chiamarsi federalismo fiscale una riforma che limita la potestà tributaria delle Regioni, in Dir. prat. trib., I, 2009, pp. 859 segg.; F. Tesauro, Le basi costituzionali della fiscalità regionale e locale, in Fin. loc., 2005, pp. 13 segg.; F. Gallo, Federalismo fiscale e ripartizione delle basi imponibili tra Stato, regioni ed enti locali, in Rass. trib., pp. 2007 segg. M.C. Fregni, Riforma del titolo V della Costituzione e federalismo fiscale, in Rass. trib., 2005, pp. 683 segg.

 

[6] Sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 90.

 

[7] Si vedano le deliberazioni del Consiglio comunale del 28 marzo 2007 e del 13 dicembre 2011.

 

[8] Cfr. la sentenza del TAR Piemonte del 17 gennaio 2018.

 

[9]Ibidem.

 

[10]Ibidem.

 

[11]Ibidem. Tale brano della sentenza del TAR Piemonte costituisce una citazione di un passaggio della sentenza n. 66 del 2005 della Corte costituzionale.

 

[12] Cfr. la sentenza del TAR Piemonte del 17 gennaio 2018.

 

[13] Cfr. L. Del Federico, Il concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici, tra imposizione tributaria e corrispettività, cit., pp. pp. 1228-1229, dove si evidenzia, con particolare riferimento al tema dei prezzi pubblici che”come è noto nel panorama europeo la problematica non è affatto originale, per cui ciò che suscita le più serie perplessità non è tanto l’emergere del fenomeno, quanto piuttosto l’anomalo orientamento del nostro Legislatore. La via italiana alla surrettizia introduzione dei prezzi pubblici, segnata dalla fuga dalle categorie giuridiche tributarie, risulta del tutto insoddisfacente, giacché la mancanza di parametri normativi di riferimento ha finito con il vanificare ogni proficuità della defiscalizzazione perseguita dai contingenti interventi normativi. Invero allo stato attuale la mancanza di un regime giuridico dei prezzi pubblici non lascia alternative: a seconda dei casi prevarrà la connotazione tributaria del prelievo, ovvero la sua natura civilistica (quand’anche caratterizzata da un particolare regime di diritto privato speciale). Soltanto l’elaborazione di un vero e proprio sistema giuridico dei prezzi pubblici potrebbe risolvere quest’impasse. Attualmente il fenomeno dei prezzi pubblici risulta giuridicamente inconsistente, tuttavia non è da escludere che in futuro il Legislatore italiano possa intervenire in modo più adeguato ed incisivo, ispirandosi magari all’esperienza spagnola della legge generale sui “precios publicos”, e quindi spingendosi sino a delineare un vero e proprio sistema dei prezzi pubblici, così da sottrarre tali prelievi al bipolarismo, altrimenti inevitabile, tributo/corrispettivo di diritto privato.

 

[14] G. Petrillo, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., p. 62, dove si evidenzia come “preliminarmente ad ogni altro rilievo è che, quando si parla di tributo, ciò che bisogna innanzitutto analizzare è lo scopo, la funzione del tributo; nelle Costituzioni moderne il tributo assolve una funzione non solo fiscale ma anche (a volte esclusivamente) extrafiscale, ossia una funzione sociale volta a tutelare quei diritti fondamentali dell’uomo previsti dalla Costituzione”.

 

[15]Sulla nozione di tributo con funzione extrafiscale si può fare riferimento alla casistica dei tributi con finalità ambientale nonché al campo dei tributi con finalità di tutela della salute. A tale riguardo si vedano, senza pretesa di completezza, R. Alfano, Tributi ambientali, Torino, 2012; J.E. Milne, M.S. Andersen, Introduction to environmental taxation concepts and research, in AA.VV., Handbook of research on environmental taxation, in J.E. Milne, M.S. Anderson (eds.), Edward Elgar Publishing Limited, 2012; F. Pitrone, Defining environmental taxes: input from the Court of Justice of the European Union, in Bulletin for International Taxation,  2015, pp. 58 segg.; S.M. Ronco, Accisa sui tabacchi tra elusione del giudicato comunitario e principio di non discriminazione, in Rass. trib., 2013, pp. 249 segg.; AA.VV., Alimentazione e Fisco: criticità e sinergie, a cura di M. Scuffi, Milano, 2015.

 

[16] G. Petrillo, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., p. 62.

 

[17] In tale senso si vedano, A. Fedele, voce Tassa, in Enc. giur., XXX, Roma, 1993, p. 79. Si veda anche G. Petrillo, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., p. 65.

 

[18] L. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., p. 87.

 

[19]L. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., p. 87, dove si evidenzia come sarebbe proprio l’elemento dell’applicabilità dell’art. 53 Cost. alle sole imposte la più significativa differenza oggi esistente tra le due categorie. Si veda anche G. Petrillo, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., p. 87.

 

[20] In questo senso, ex multis, si veda A. Fedele, voce Tassa, cit., p. 48, dove si afferma che “per cui il tributo, manifestazione di sovranità, costituisce necessariamente un intervento autoritativo nella sfera patrimoniale dei privati abbia condizionato tutto lo svolgimento della tassa nella dottrina giuridica, riducendo le possibili soluzioni del problema ad una alternativa elementare: o la tassa si realizza in uno schema tipicamente coercitivo (obbligazione di fonte non negoziale), ed allora è un tributo, ma perde di effettiva rilevanza giuridica la sua distinzione dall’imposta, ovvero manca in essa il carattere della coercitività ed allora non è un tributo”. Si veda anche, L. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., p. 87 segg., dove si mettono in luce le difficoltà nel definire i requisiti delle due forme di tributo.

 

[21] In questo senso, G. Petrillo, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, a cura di F. Amatucci, 2010, p. 61.

 

[22] L. Del Federico, Il concorso dell’utente al finanziamento dei servizi pubblici, tra imposizione tributaria e corrispettività, cit., p. 1228.

 

[23] D’altra parte, andrebbe compreso, con apposite analisi statistiche, la frequenza con cui i residenti del centro circolano per il centro stesso a piedi o con i mezzi pubblici rispetto ai non residenti.

 

[24] Per una prima introduzione alla tematica in esame si vedano, ex multis, F. Tesauro, Natura giuridica e coesistenza della tassa, in Riv. sc. fin. dir. fin., I, 1994, pp. 662 segg.; L. Salvini, voce Aree pubbliche (imposta di occupazione di), in Digesto, Disc. priv., sez. comm., I, Torino, 1987, pp. 223-225; G. Marongiu, La tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (1932-1963), in Dir. prat. trib., II,1964, pp. 173 segg.; L. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., pp. 272 segg.; A. Cepparulo, I tributi comunali, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., pp. 166 segg.; R. Succio, TOSAP e imposta sulla pubblicità. Interpretazione e applicazione delle norme, Napoli – Sistemi Editoriali, 2003.

 

[25] R. Succio, TOSAP e imposta sulla pubblicità. Interpretazione e applicazione delle norme, cit., pp. 24 segg. Si veda anche pag. 22, dove si evidenzia, con riferimento alla base imponibile ed alla determinazione del dovuto, che “la tassa va pertanto determinata sulla base dell’importanza dell’area, cioè in base al valore economico che il contribuente ritrae dall’avere detta area nella sua esclusiva disponibilità: la diversa valenza delle aree è fissata dalle tariffe, che quantificano il dovuto”.

 

[26] A. Cepparulo, I tributi comunali, in AA.VV., Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, cit., p. 168.

 

[27] F. Farri, Un Fisco sostenibile per la famiglia in Italia, Padova, 2018, p. 125.

 

[28] F. Farri, Un Fisco sostenibile per la famiglia in Italia, cit., p. 125.

 

[29]F. Farri, Un Fisco sostenibile per la famiglia in Italia, cit.,pp. 128-129.

 

[30]F. Farri, Un Fisco sostenibile per la famiglia in Italia, cit.,p. 119.