(Ancora) discriminazione? Trattamento differenziato tra cittadini e stranieri mediante l’adozione di un atto amministrativo (nota a Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149)
Laura Restuccia[1]
ABSTRACT (ITA)
La condotta tenuta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti configura discriminazione in quanto ha previsto, con apposito decreto interministeriale, che il “buono patenti autotrasporto” di cui all’art. 1 del d.l. n. 121 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 156 del 2021, sia riservato ai soli “cittadini italiani ed europei”, escludendo da tale prestazione gli stranieri. Di conseguenza, oltre a ordinare all’amministrazione di eliminare il riferimento al requisito della cittadinanza italiana o europea, il Tribunale di Torino dispone che sia i soggetti esclusi, sia coloro che non abbiano provato a ottenere il bonus debbano essere «rimessi nelle condizioni di potere partecipare all’erogazione del finanziamento previsto in condizioni di parità con i cittadini italiani e comunitari» attraverso una riapertura dei termini di presentazione delle domande.
ABSTRACT (EN)
The conduct of the Ministry of Infrastructure and Transport is discriminatory in that, by means of a specific interministerial decree, it has provided that the ‘”transport licence voucher” referred to in Article 1 of Legislative Decree no. 121 of 2021, converted with amendments by Law no. 156 of the same year, is reserved only for “Italian and European citizens”, excluding foreigners from this benefit. Accordingly, the Court of Turin, in addition to ordering the administration to remove the reference to the requirement of Italian or European citizenship, ordered that both the excluded persons and those who did not try to obtain the bonus be «restored to the position of being able to participate in the disbursement of the funds provided for on an equal footing with Italian and European citizens» by reopening the application deadlne.
Sommario:
1. Cenni introduttivi: la sentenza del Tribunale di Torino – 2. Le questioni processuali e sostanziali – 3. Alcune annotazioni conclusive: i poteri del Giudice ordinario di fronte all’atto amministrativo discriminatorio
1. Cenni introduttivi: la sentenza del Tribunale di Torino
La sentenza n. 8149 resa dal Tribunale di Torino il 20 marzo 2024 porta ad interrogarsi nuovamente intorno al forte legame esistente tra «vicende dell’ordine dei poteri» (legislativo, giurisdizionale e altresì politico) e «vicende del godimento dei diritti»[2]; un intreccio reso evidente, da ultimo, anche dalla recente pronuncia della Corte costituzionale n. 15 del 2024, non a caso ampiamente richiamata[3]. Le questioni processuali e sostanziali portate all’attenzione del Tribunale di Torino non sono nuove e si inseriscono all’interno di una lunga serie di decisioni di merito e costituzionali aventi ad oggetto la legittimità di politiche pubbliche comportanti l’esclusione di cittadini stranieri dalla possibilità di accedere a determinate provvidenze pubbliche (attraverso, ad esempio, l’introduzione del criterio del radicamento territoriale)[4]. Nemmeno nel percorso argomentativo attraverso il quale i Giudici torinesi giungono ad accertare e a dichiarare il carattere discriminatorio della condotta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è presente un revirement giurisprudenziale rispetto al passato[5]. Ciò che sembra distinguere questa pronuncia dalle precedenti decisioni del Giudice di merito e che ne rende interessante l’esame è altro. All’interno del già articolato scenario che vede le scelte legislative regionali e statali misurarsi con quanto sancito dalla “Costituzione vivente”[6], infatti, si inserisce un ulteriore aspetto di complessità: la natura dell’atto con il quale si sarebbe perpetrata la condotta discriminatoria, ossia un decreto interministeriale attuativo di un atto avente forza di legge che prevede l’erogazione di sostegni economici ai soli “cittadini”[7].
In sintesi, la decisione ha ad oggetto il ricorso presentato ex artt. 28 del d.lgs. 150 del 2011 e 281-decies c.p.c. da parte dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione (ASGI) per il presunto carattere discriminatorio della condotta tenuta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, consistente nell’avere previsto, con il decreto interministeriale n. 201 del 30 giugno 2022[8], che il “buono patenti autotrasporto” di cui all’art. 1 del d.l. n. 121 del 2021[9], sia riservato ai soli “cittadini italiani ed europei” escludendo dalla prestazione gli altri cittadini stranieri: nel decreto si stabilisce, infatti, che «ferma restando la necessità di possedere ogni altro requisito previsto dal codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, possono beneficiare del programma i cittadini italiani ed europei che, nel periodo tra il 1° marzo 2022 e il 31 dicembre 2026, abbiano un’età compresa tra i diciotto e i trentacinque anni, e che intendano conseguire uno dei titoli di cui all’art. 4, comma 2»[10].
2. Le questioni processuali e sostanziali
Nell’affrontare le eccezioni processuali avanzate dalla resistente, il Tribunale di Torino non si discosta dai principi di diritto sanciti, anche recentemente, dalla Corte di Cassazione[11]: la posizione vantata dalla ricorrente è quella di un diritto soggettivo assoluto, di conseguenza il ricorso è stato correttamente proposto dinanzi al Giudice ordinario[12]. Inoltre, anche nella recente decisione della Corte costituzione n. 15 del 2024, la Consulta evidenzia la peculiarità del giudizio antidiscriminatorio, dove la pienezza della protezione speciale costruita dal Legislatore si estende sino a consentire al Giudice ordinario di pronunciare sentenze di condanna nei confronti della pubblica amministrazione per avere adottato atti discriminatori, dei quali può ordinare la rimozione: «la scelta legislativa è, dunque, quella di accordare una tutela particolarmente incisiva, che consenta un efficace e immediato controllo sull’esercizio del potere anche da parte del Giudice ordinario, senza che ciò impedisca al Giudice amministrativo, ove venga a conoscere dei medesimi atti, di procedere all’annullamento degli stessi, con l’efficacia erga omnes che gli è propria»[13]. Una tutela che si articola in un concorso di rimedi – demolitori e risarcitori – che possono svolgersi in più momenti successivi e che possono essere attivati anche nel caso in cui intervenga la revoca del provvedimento che ha perpetrato il comportamento asseritamente discriminatorio[14].
Non sembrano destabilizzanti nemmeno le conclusioni alle quali perviene il Tribunale relativamente alle questioni sostanziali avanzate dall’ASGI. La disposizione che individua i soggetti beneficiari della prestazione, secondo la ricorrente, sarebbe «illegittima per violazione delle norme nazionali e sovranazionali che impongono parità di trattamento tra italiani e stranieri»[15] per due ordini di ragione. In primo luogo, il “bonus patenti” sarebbe sia un bene offerto al pubblico, sia un incentivo per l’accesso all’occupazione destinato ai giovani, dunque, la sua limitazione comporterebbe una violazione delle lettere b) e c) dell’art. 43, comma 2, del TU Immigrazione (TUI). In secondo luogo, vi sarebbe stata un’errata applicazione del d.l. n. 121 del 2021, dove l’espressione “cittadini” sarebbe stata utilizzata «come sinonimo di persone o di consociati» e non di soggetti titolari di uno status diverso dallo straniero.
Dopo aver fornito una definizione generale di discriminazione[16], l’art. 43 del TUI offre altresì una lista di comportamenti discriminatori tipici. Nella decisione presa ad esame verrebbero in rilievo le condotte indicate alle lett. b) e c): l’imposizione di condizioni più svantaggiose ovvero il rifiuto di fornire rispettivamente «beni o servizi offerti al pubblico» o «l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali» allo straniero regolarmente soggiornante in Italia «soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità». Il Tribunale di Torino ritiene che l’oggetto della previsione normativa censurata – ossia un buono erogato per il conseguimento della patente per la guida dei veicoli destinati all’esercizio dell’attività di autotrasporto di persone e di merci – possa essere qualificato come «un contributo finalizzato ad agevolare l’accesso dei cittadini più giovani ad un bene ed un servizio pubblico quale è, appunto, quello che consente di acquisire la patente di guida»[17]. D’altronde, esaminando l’espresso fine della norma istitutiva dell’incentivo (coadiuvare la formazione di nuovi autotrasportatori), ai Giudici di merito appare chiaro che il contributo in oggetto oltre che rientrare nell’ambito dei beni e servizi offerti al pubblico (lett. b) è «finalizzato ad agevolare l’attività di autotrasporto» così costituendo un mezzo per facilitare l’accesso al lavoro (lett. c)[18].
Un secondo punto preso in considerazione dai Giudici di merito riguarda l’annosa questione delle modalità di esecuzione degli atti legislativi e, in particolare, il rapporto intercorrente tra le scelte di politica legislativa compiute con il d.l. n. 121 del 2021 e la relativa attuazione svolta con il decreto interministeriale n. 201 del 2022. Nella sua difesa, il Ministero sostiene di non aver commesso alcuna discriminazione, ma di aver unicamente recepito le indicazioni contenute nella normativa statale, che include proprio il riferimento ai soli “cittadini”. Ed è proprio l’esegesi del termine “cittadini” che diviene centrale nel percorso argomentativo che conduce il Tribunale a non accogliere l’eccezione avanzata dall’Avvocatura. Secondo i Giudici torinesi il decreto interministeriale non si è limitato a recepire il contenuto del decreto-legge. Attraverso la formulazione adottata (“cittadini italiani ed europei”) ha effettuato una specificazione che comporta «una limitazione che va oltre il dettato della legge di cui lo stesso costituisce attuazione»; “cittadini”, infatti, sarebbe un «termine generico, non necessariamente riferibile ai soli cittadini italiani o comunitari». I Giudici di merito ricordano in tal senso quanto previsto da ultimo dalla decisione n. 67 del 2022 della Corte costituzionale in merito alla Direttiva n. 109 del 2003[19]: l’obbligo di non differenziare il trattamento riservato ad un cittadino di un Paese terzo rispetto a quello dei cittadini degli Stati dell’Unione è un vincolo imposto «in modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale dotato di effetto diretto»[20]. Inoltre, è centrale in questo ambito la copiosa giurisprudenza costituzionale, la quale arriva ad affermare che «il testuale riferimento dell’art. 3, primo comma, ai soli cittadini non esclude, in effetti, che l’eguaglianza davanti alla legge sia garantita agli stessi stranieri, là dove si tratti di assicurare la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo»[21]. Per i Giudici costituzionali, infatti, il cittadino ha con lo Stato «un rapporto di solito originario e comunque permanente», mentre lo straniero «ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo»[22]. Questa distinzione può giustificare la «ragionevolezza di un certo grado di scostamento della disciplina dello straniero da quella del cittadino»[23], ma non può mai giungere a differenziazioni irragionevoli e sproporzionate[24]. Invero, tale «interpretazione del termine “cittadini” appare, nel caso di specie, l’unica possibile proprio al fine di ritenere la stessa armonizzabile con i principi di non discriminazione stabiliti dal citato TU Immigrazione, conformemente agli stessi principi costituzionali e comunitari»[25].
3. Alcune annotazioni conclusive: i poteri del Giudice ordinario di fronte all’atto amministrativo discriminatorio
La decisione in commento – che si inserisce all’interno della giurisprudenza costituzionale e di merito in materia di discriminazione basata sulla cittadinanza – sembra mostrare l’irrimediabile inconciliabilità con l’assetto costituzionale della previsione del requisito della cittadinanza per l’accesso alle provvidenze pubbliche. In ragione della limitatezza delle risorse finanziarie, infatti, la giurisprudenza non esclude a priori qualsiasi criterio volto a circoscrivere la sfera dei beneficiari; ad esempio, è stata persino ammessa l’adozione del criterio della residenza protratta, purché i vantaggi riconosciuti non siano riconducibili a quelli volti a soddisfare un bisogno primario delle persone e sempre che siano perseguiti interessi pubblici variamente correlati al territorio[26]. Nel caso qui esaminato, al contrario, i Giudici di merito ritengono discriminatorio l’uso del criterio selettivo della cittadinanza, ma, invece di sollevare questione di legittimità costituzionale, scelgono una strada diversa: adottano un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1 del d.l. n. 121 del 2021 e, nello specifico, leggono il termine “cittadini” come un «termine generico, non necessariamente riferibile ai soli cittadini italiani o comunitari». Anche alla luce delle conclusioni alle quali è pervenuta la Corte costituzionale recentemente in riferimento ad una questione simile (nella già citata decisione n. 15 del 2024), infatti, il Giudice ordinario non avrebbe nemmeno potuto ordinare la modifica del decreto interministeriale riproduttivo di una norma di legge perché «l’esercizio di un siffatto potere è subordinato all’accoglimento da parte di questa Corte [ossia la Corte costituzionale] della questione di legittimità costituzionale sulla norma legislativa che il Giudice ritenga essere causa della natura discriminatoria dell’atto regolamentare»[27] o – si aggiunge – dell’atto amministrativo.
Infine, la pronuncia pare interessante per un ultimo aspetto sul quale in verità i Giudici torinesi non si soffermano. In specie, il contenuto e l’estensione degli effetti della sentenza del Giudice ordinario nei confronti dell’atto amministrativo discriminatorio. Il Tribunale in virtù della tutela rafforzata accordata dall’art. 44 del TUI afferma che limitare il riconoscimento del beneficio ai singoli cittadini non comunitari che hanno presentato la domanda (come sostenuto dall’amministrazione statale) non possa essere ritenuto praticabile «in ragione del fatto che il limite di cittadinanza posto dalla norma può avere legittimamente disincentivato tutti coloro che non erano in possesso della cittadinanza italiana o europea a formulare la richiesta per cui non potrebbe ritenersi in alcun modo giustificato limitare il beneficio solo a coloro che nonostante non potessero farlo tentarono, comunque, di proporre la domanda di rilascio del buono»[28]. Siamo dinanzi ad un giudizio che finisce per riconoscere anche alla «potenziale vittima delle discriminazioni, una specifica posizione di diritto soggettivo, e specificamente un diritto qualificabile come “diritto assoluto” in quanto posto a presidio di una area di libertà e potenzialità del soggetto, rispetto a qualsiasi tipo di violazione della stessa»[29]. Ed è proprio in ragione del fondamentale diritto da tutelare che il «contenuto e l’estensione delle tutele conseguibili in giudizio present[a]no aspetti di atipicità e di variabilità in dipendenza del tipo di condotta lesiva che è stata messa in essere»[30]. Di conseguenza, oltre a ordinare all’amministrazione di eliminare il riferimento al requisito della cittadinanza italiana o europea, il Tribunale di Torino dispone che sia i soggetti esclusi, sia coloro che non abbiano proprio provato a ottenere il bonus debbano essere «rimessi nelle condizioni di potere partecipare all’erogazione del finanziamento previsto in condizioni di parità con i cittadini italiani e comunitari» attraverso una riapertura dei termini di presentazione delle domande.
- Dottoranda di ricerca in Law and Pluralism presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. ↑
- Luciani M. (2023), Ogni cosa al suo posto, Milano, Giuffrè, p. 114. ↑
- Con la Corte cost., sent. n. 15 del 2024, sono stati decisi un conflitto di attribuzione promosso dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Udine. Per un commento si v. Scarcello O. (2024), Un altro passo nel processo di riaccentramento del sindacato di costituzionalità eurounitario. Nota a Corte cost., sentenza n. 15 del 2024, in Osservatorio AIC, n. 2, pp. 280-295; Tomasi L. (2024), Diretta applicazione del diritto UE e incidente di costituzionalità nel giudizio antidiscriminatorio: la sentenza n. 15 del 2024 della Corte costituzionale, in Lavoro Diritti Europa, n. 2, pp. 1-12. ↑
- Tra le sentenze più significative, si ricorda, in particolare, Corte cost., sent. n. 44 del 2020, punto 3.1 del Considerato in diritto. Nella decisione si affermano due importanti principi di diritto. Si rileva che la «previa residenza ultraquinquennale non è di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità». Inoltre, si osserva che «lo stesso “radicamento” territoriale, quand’anche fosse adeguatamente valutato (non con riferimento alla previa residenza protratta), non potrebbe comunque assumere importanza tale da escludere qualsiasi rilievo del bisogno». In sintesi, si sancisce la centralità del “bisogno” rispetto a qualsiasi altro criterio che limiti l’accesso alle prestazioni sociali. Per un commento si v. Corvaja F. (2020), Finale di partita. L’incostituzionalità dei requisiti di lungo-residenza previsti dalle leggi regionali quali condizioni di accesso alle prestazioni sociali, in Osservatorio AIC, n. 6, pp. 431-455; Gorlani M. (2020), Le politiche abitative regionali e il requisito della residenza qualificata: un monito della Corte convincente e, in un certo senso, conclusivo, in Le Regioni, n. 3, pp. 584-598; Domenicali C. (2020), Sull’illegittimità del criterio del radicamento territoriale per l’accesso all’edilizia popolare: dalla condizionalità all’universalità dei diritti sociali?, in Le Regioni, n. 3, pp. 628-640. La pronuncia è ripresa da due decisioni del 2023: la n. 77 del 2023, nello specifico il punto 3.1 del Considerato in diritto (con la quale i Giudici costituzionali dichiarano l’incostituzionalità dell’art. 5, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria n. 10 del 2004, recante la previsione del requisito di 5 anni di residenza in Regione per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica – gli ERP) e la n. 145 del 2023, in particolare il punto 5 del Considerato in diritto (dove la Corte ha dichiarato incostituzionale la legge reg. Marche n. 36 del 2005 che prevedeva un requisito di almeno cinque anni di residenza continuativa nella Regione per accedere alle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari). Sulla stessa linea si pongono anche le decisioni aventi ad oggetto l’accesso ad altre provvidenze sociali come l’assegno di maternità (Corte cost., sent. n. 54 del 2022, punto 13.1 del Considerato in diritto, commentata da Pistorio G. (2022), Il diritto integrato, “figlio” del dialogo tra Corti. Nota alla sentenza n. 54 del 2022 della Corte costituzionale, in Nomos, n. 1, pp. 1-17), il reddito di cittadinanza e/o di inclusione (Corte cost., sent. n. 42 del 2024, punto 5.1 del Considerato in diritto) e il mutuo agevolato (Corte cost., sent. n. 53 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto). ↑
- L’introduzione di irragionevoli differenziazioni tra cittadini italiani e stranieri nell’accesso a prestazioni sociali già in passato aveva portato alla censura della normativa della Regione Piemonte. In merito si rinvia ai contributi presenti in questa rivista di Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, in Piemonte delle autonomie, n. 2; Id. (2021), Alloggi pubblici ed emergenza abitativa. Discriminatoria la richiesta di maggiori oneri documentali ai soli stranieri (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 25 luglio 2021), in Il Piemonte delle autonomie, n. 3; Id. (2023), Edilizia residenziale pubblica e stranieri. La Regione Piemonte nuovamente condannata per condotta discriminatoria (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 7 marzo 2023), in Il Piemonte delle autonomie, n. 2. ↑
- Come noto, “Costituzione vivente” rinvia all’idea di una Costituzione che si evolve per opera dell’interpretazione dei giudici. Si v. l’interessante saggio di Bartole S. (2023), Living constitution v. costituzione vivente. Una rassegna tra dottrina americana e dottrina italiana, in Diritto pubblico, n. 1, pp. 3-38 e l’opera collettanea Delli Priscoli L. (a cura di) (2023), La Costituzione vivente, Milano, Giuffrè. ↑
- In merito al tema delle modalità di esecuzione degli atti legislativi che si inserisce all’interno della più ampia questione della trasformazione del sistema delle fonti si rinvia, senza pretesa di esaustività, a Cartabia M., Il Governo “Signore” delle fonti?, in Cartabia M., Lamarque E., Tanzarella P. (2011), Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e giudici, Atti del Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Università degli Studi Milano Bicocca, 10-11 giugno 2011, Torino, Giappichelli, IX; Giannelli M. (2019), I decreti “di natura non regolamentare”. Un’analisi a partire dalla prassi della XVI e XVII legislatura, in Osservatorio sulle fonti, n. 2, pp. 1-25; Rivosecchi G. (2019), Considerazioni sparse in ordine alle attuali tendenze della produzione normativa, in Osservatorio AIC, n. 1-2, pp. 78-105; Cecchini S. (2023), La circolare del Ministero dell’Interno n. 63/2022 tra (in)certezza anagrafica e tendenze ordinamentali, in Diritto pubblico, n. 3, pp. 893-924. ↑
- L’art. 1, comma 5-ter, del d.l. n. 121 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 156 del 2021, prevede che «con decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i termini e le modalità di presentazione delle domande per la concessione del beneficio di cui al comma 5-bis, nonché le modalità di erogazione dello stesso, anche ai fini del rispetto del limite di spesa». ↑
- L’art. 1, comma 5-bis, del d.l. n. 121 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 156 del 2021, istituisce un fondo denominato “Programma patenti giovani autisti per l’autotrasporto” «con una dotazione pari a 3,7 milioni di euro per l’anno 2022 e a 5,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026, finalizzato alla concessione, per il periodo dal 1° luglio 2022 al 31 dicembre 2026, di un contributo, denominato “buono patente autotrasporto”, pari all’80 per cento della spesa sostenuta e comunque di importo non superiore a 2.500 euro, in favore dei cittadini di età compresa fra diciotto e trentacinque anni per il conseguimento della patente e delle abilitazioni professionali per la guida dei veicoli destinati all’esercizio dell’attività di autotrasporto di persone e di merci». ↑
- Art. 3 del decreto interministeriale n. 201 del 2022. ↑
- Si ricordano Cass., Sez. Un. civili, sentenza del 30 marzo 2011, n. 7186, cons. 4. Nella decisione in commento si riprende anche Cass. civile, sentenza dell’8 maggio 2017, n. 11166, cons. 8: «in ogni caso, può essere osservato sul punto che la tutela antidiscriminatoria invocata con la domanda è garantita sul piano civilistico attraverso il conferimento della dignità di diritto soggettivo pieno alla posizione tutelata. Il diritto alla non discriminazione deve essere considerato un diritto fondamentale di rilievo costituzionale primario ed assoluto che non può soffrire compressioni di fronte all’azione amministrativa. La circostanza che, nella fattispecie, il comportamento che si assume lesivo del diritto fosse riconducibile all’applicazione di un atto amministrativo non vale a mutare la natura della posizione soggettiva azionata, che non può essere degradata ad interesse legittimo neppure in conseguenza dell’emanazione di un atto da parte di un’autorità amministrativa» e più di recente Cassazione civile, sentenza del 2 febbraio 2021, n. 3842, cons. 5, nella quale si afferma nuovamente che l’azione contro la discriminazione prevista dall’art. 44 del TUI può essere esperita anche quando il comportamento pregiudizievole sia posto in essere da un ente pubblico mediante l’adozione di un atto amministrativo. ↑
- Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149, p. 8. Inoltre, è quanto previsto altresì dall’art. 44 del TUI: «1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione. 2. Alle controversie previste dal presente articolo si applica l’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150». ↑
- Corte cost., sentenza n. 15 del 2024, cons. 6 del Considerato in diritto. ↑
- In merito alla normativa concernente la tutela antidiscriminatoria italiana ed europea si rinvia a Barbera M., Guariso A. (a cura di) (2019), La tutela antidiscriminatoria: fonti, strumenti, interpreti, Torino, Giappichelli; Bello B.G. (2020), Un anniversario da festeggiare? Riflessioni sociologicogiuridiche sulle disposizioni antidiscriminatorie dell’Unione europea a vent’anni dalla loro emanazione, in DPCE Online, n. 2, pp. 1053-1090; Marino D. (2021), Il diritto antidiscriminatorio nella giurisprudenza delle Corti, in Lavoro e diritto, n. 2, pp. 399-416. ↑
- Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149, p. 6. ↑
- Art. 43, comma 1, del TUI: «Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica». ↑
- Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149, p. 9. ↑
- Ibidem. ↑
- Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, il cui art. 11 stabilisce: «Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: a) l’esercizio di un’attività lavorativa subordinata o autonoma, purché questa non implichi nemmeno in via occasionale la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri, nonché le condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e di retribuzione […] f) l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, nonché alla procedura per l’ottenimento di un alloggio». ↑
- Corte cost., sent. n. 67 del 2022, punto 12 del Considerato in diritto. Per un commento si v. Nascimbene B., Anrò I. (2022), Primato del diritto dell’Unione europea e disapplicazione. Un confronto tra Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Corte di giustizia in materia di sicurezza sociale, in Giustizia Insieme; Cozzi A.O. (2022), Per un elogio del primato con uno sguardo lontano (Note a Corte cost. n. 67 del 2022), in ConsultaOnline, n. 2, pp. 410-422; Catalano S. (2022), Quando la forma prevale sulla sostanza. Note critiche alla sentenza n. 67 del 2022 della Corte costituzionale, in Osservatorio AIC, n. 4, pp. 189-207. ↑
- Corte cost., sent. n. 54 del 1979, punto 6 del Considerato in diritto. In precedenza, anche in Corte cost., sentt. nn. 120 del 1967, 104 del 1969, 144 del 1970. ↑
- Corte cost., sent. n. 104 del 1969, punto 4 del Considerato in diritto. Analogamente, ex multis, si v. sentt. nn. 120 del 1967; 144 del 1970; 177 e 244 del 1974; 54 del 1979; 62 del 1994; 203 del 1997; 105 e 252 del 2001; 432 del 2005; 324 del 2006; 148 e 306 del 2008; 187 del 2010; 61 e 245 del 2011; 172 del 2012; 2, 40, 172, 309 del 2013; 22, 119 e 230 del 2015; 166 del 2018 (commentata, ex multis, da Tega D. (2018), Le politiche xenofobe continuano a essere incostituzionali, in Diritti Regionali, n. 2, pp. 1-18; Corsi C. (2018), La trilogia della Corte costituzionale: ancora sui requisiti di lungo-residenza per l’accesso alle prestazioni sociali, in Le Regioni, n. 5-6, pp. 1170-1187); 186 del 2020 (commentata, ex multis, da Salerno A.R. (2020), Poteri, diritti e conflitti intorno alla sentenza n. 186/2020 sul “decreto sicurezza”, in Nomos, n. 3, pp. 1-15; Rossi S. (2020), Declinazioni della dignità sociale. L’iscrizione anagrafica nella sentenza n. 186/2020 della Corte costituzionale, in Federalismi.it, n. 26, pp. 142-165; Morselli C. (2020), La Consulta boccia l’art. 13 d.l. 113/2018 (c.d. decreto Sicurezza) sul veto di iscrizione anagrafica del richiedente asilo, ma lo scrutinio ablativo risulta monopolizzato dal parametro dell’art. 3 C. (in un cono d’ombra l’art. 10, co. 3, C.), in Federalismi.it, n. 26, pp. 109-142). ↑
- Biondi Dal Monte F., La condizione giuridica dello straniero. Alcune chiavi di lettura, in Id., Rossi E. (a cura di) (2020), Diritti oltre frontiera. Migrazioni, politiche di accoglienza e integrazione, Pisa, Pisa University Press, pp. 21-60, spec. p. 24. ↑
- Non è questa la sede per trattare esaustivamente il tema dell’accesso degli stranieri alle prestazioni del sistema di welfare nazionale, basti ricordare Biondi Dal Monte F., Rossi E. (2022), Diritto e immigrazione. Percorsi di diritto costituzionale, Bologna, Il Mulino, spec. cap. VII e Giubboni S. (2022), La Corte situazionista. Brevi note sulla recente giurisprudenza costituzionale in tema di accesso degli stranieri alla sicurezza sociale, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, n. 2, pp. 229-252. ↑
- Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149, p. 10. ↑
- Corte cost., sentenza n. 53 del 2024, punto 7.2 del Considerato in diritto. ↑
- Corte cost., sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.2 del Considerato in diritto. ↑
- Tribunale ordinario di Torino, sentenza del 20 marzo 2024, n. 8149, p. 11. ↑
- Cass., Sez. Un. civili, sentenza del 30 marzo 2011, n. 7186, cons. 4. ↑
- Ibidem. ↑