Annotazione redazionale Sent. n. 125 del 2021 – Libera concorrenza
E’ illegittima la previsione da parte del legislatore regionale di vincoli procedimentali al libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale… anche in tempi di pandemia
Mario Calvo[1]
(Corte costituzionale, sent. 17 giugno 2021, n. 125, Pres. Coraggio, Red. Sciarra)
Con la pronuncia in oggetto è stato definito il giudizio di legittimità costituzionale relativo agli artt. 23, comma 2, 52, 61, 62 e 79 della legge della Regione Piemonte 29 maggio 2020, n. 13 (Interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l’emergenza da Covid-19), in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 97, 117, secondo comma, lettere e), m), e s) terzo comma, e 120 della Costituzione, promosso in via principale dal Governo.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri lamentava anzitutto l’illegittimità dell’art. 23, comma 2, della citata legge regionale, nella parte in cui prevedeva la concessione da parte della Regione di contributi a favore di consorzi e società consortili per la realizzazione di campagne promozionali volte al rilancio e al riavvio economico del comparto turistico in Piemonte. A detta del ricorrente, tali misure sarebbero state lesive della competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza, là dove non subordinavano l’erogazione dei contributi in favore delle suddette società all’osservanza delle prescrizioni poste dal legislatore statale (in particolare all’adempimento degli specifici oneri procedimentali previsti dall’art. 45, comma 1, della legge n. 234 del 2012 e dalle condizioni di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 175 del 2016).
Altro profilo di contestazione da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato riguardava l’art. 52 della medesima legge regionale, ossia la previsione della sospensione – dal 29 maggio 2020 al 31 gennaio 2021 – della presentazione delle domande per il rilascio di autorizzazioni per una nuova apertura di centri, per il trasferimento di sede, per l’ampliamento di superficie delle grandi strutture di vendita, di cui all’art. 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Gli ulteriori profili di contestazione riguardavano, infine, gli artt. 61, 62 e 79 della legge Regione Piemonte n. 13/2020. Secondo la difesa statale, l’art. 61 cit. legge, stabilendo unilateralmente una significativa riduzione dei termini inerenti al procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale (PPR), avrebbe comportato una violazione del principio di leale collaborazione e, in specie, dell’impegno di disciplinare congiuntamente con il Ministero dei beni e delle attività culturali (MiBAC) le modalità di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale.
Secondo la difesa statale, anche l’art. 62 cit. legge avrebbe comportato una lesione del principio di leale collaborazione e della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente in quanto avrebbe previsto una «riduzione unilaterale dell’ambito oggettivo delle varianti (…) e, di riflesso, un ampliamento delle varianti parziali (…), sottraendo una serie di interventi al necessario processo di conformazione dell’intero strumento urbanistico comunale al PPR, a cui deve partecipare il MiBAC». Infine, la previsione dell’art. 79 della legge reg. Piemonte n. 13/2020 sarebbe stata in contrasto con i principi fondamentali della materia del governo del territorio poiché avrebbe introdotto una nuova fattispecie di intervento edilizio, in deroga agli strumenti urbanistici esistenti (nella specie, i Comuni, sulla base di apposite convenzioni con privati, avrebbero potuto consentire l’utilizzazione temporanea di immobili pubblici, privati, o parti di essi, dando luogo a mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, secondo modalità lasciate interamente all’autonomia negoziale delle parti).
Come correttamente rilevato dalla Corte, le disposizioni impugnate dalla difesa statale «incidevano su ambiti diversi» e, pertanto, essa ha svolto un esame separato delle relative questioni. Anzitutto, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2 della normativa regionale in esame, il Giudice delle leggi ha dichiarato estinto il processo, sulla base della rinuncia parziale al ricorso deliberata dal Consiglio dei ministri, data la «natura satisfattiva dell’intervenuta abrogazione» del medesimo articolo nelle more del procedimento, accompagnata dalla non applicazione «nel breve periodo di vigenza della norma regionale impugnata».
Alla medesima soluzione è giunta la Corte in relazione alla censura promossa nei confronti dell’art. 79, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto «il sopravvenuto mutamento della normativa statale invocata come normativa interposta, per effetto dell’introduzione dell’art. 23-quater del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (…), ha prodotto un sostanziale riallineamento della normativa regionale impugnata alle indicazioni del legislatore statale».
Non fondate, invece, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61 e 62 cit. legge, promosse in riferimento agli artt. 3, 5, 9, 97, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la disciplina di «formazione e approvazione del piano regolatore generale comunale e delle sue varianti generali e strutturali (…) rientra nella competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio». I giudici della Consulta, dopo un’approfondita ricostruzione dell’intera materia, hanno stabilito che la normativa regionale oggetto dell’impugnazione non contrasta «con la normativa statale e con le esigenze di protezione dei valori paesaggistici e ambientali da essa garantite», in quanto «il complesso e articolato procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica» da essa delineato, non è tale da «compromettere il coinvolgimento degli organi ministeriali». Tale coinvolgimento si manifesta «non solo in una molteplicità di sedi (…) e in tutte le fasi del procedimento, ma anche nel particolare rilievo assegnato alla valutazione espressa dal MiBAC, il cui parere è vincolante».
Discorso analogo anche per quanto riguarda le asserite violazioni di cui all’art. 62, cit. legge. Secondo la Corte costituzionale «la disciplina del procedimento di approvazione del PRG comunale e delle sue varianti, proprio perché inerente a uno dei principali strumenti urbanistici, costituisce espressione della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.». Nella specie, il legislatore regionale «ha esercitato tale competenza, dettando (…) la specifica regolamentazione delle varianti al piano generale (…) entro il perimetro dei princìpi fondamentali fissati dal legislatore statale, in specie dall’art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e successive modifiche». Quanto previsto dalla normativa piemontese non si sottrae, dunque, «al rigoroso rispetto delle prescrizioni del PPR e (…) alle necessarie verifiche ambientali, stabilite dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, (…) competenza, quest’ultima, che funge da limite a quelle regionali, in quanto strumentale a garantire la primaria protezione dei valori paesaggistico-ambientali».
A una conclusione totalmente differente è, invece, giunta la Corte con riguardo alla questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 52 della legge Regione Piemonte n. 13 del 2020. La difesa regionale aveva chiesto che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla base del fatto che: a) la norma aveva cessato di produrre i suoi effetti, poiché era spirato il termine ultimo della sospensione ivi prevista; b) nel breve periodo di vigenza, la stessa non aveva avuto nessuna applicazione. Questa tesi è stata bocciata in toto dalla Corte costituzionale la quale, richiamando numerosi precedenti giurisprudenziali, ha affermato che: «La cessazione della materia del contendere, a seguito di una modifica o dell’abrogazione delle norme impugnate, può dichiararsi solo quando si verifichino, nel contempo, entrambe le seguenti condizioni, ossia il carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e il fatto che la disposizione censurata non abbia avuto medio tempore applicazione». Nel caso di specie, «la generica dichiarazione della difesa regionale, secondo cui la norma in esame non avrebbe avuto applicazione nel periodo della prevista sospensione delle istanze, non è sostenuta da alcun elemento, anche considerato che essa non richiedeva l’adozione di ulteriori atti per essere efficace».
Esaminando il merito, la Consulta ha ricostruito «l’itinerario riformatore» che ha coinvolto l’intero settore del commercio, a partire dal d.lgs. n. 114/1998. Tale processo ha tra i suoi punti fondamentali l’attuazione del «principio di liberalizzazione (…) che è stato affermato dal legislatore statale all’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici)». Tale disposizione, prevista principalmente a beneficio dei consumatori, «deve essere ricondotta all’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. in materia di tutela della concorrenza. Quest’ultima costituisce limite anche alla competenza regionale residuale in materia di commercio».
Sulla base di questo ragionamento, la Corte è giunta pertanto a dichiarare l’illegittimità costituzionale del citato art. 52 in quanto «nell’impedire per otto mesi la presentazione di istanze per aprire, ampliare o trasferire una grande struttura di vendita, ha posto in essere un ostacolo effettivo alla libera concorrenza nella Regione Piemonte, sotto il duplice profilo interregionale e intra-regionale. Da un lato, gli operatori che avessero inteso svolgere liberamente l’attività commerciale nel territorio della Regione si sono trovati nell’impossibilità di farlo (e cioè di trasferire la sede, di ampliare la superficie di vendita o addirittura di aprire), rispetto agli operatori economici di altre Regioni, anche limitrofe. Dall’altro lato, all’interno della stessa Regione, agli aspiranti nuovi esercenti è stata opposta una barriera all’entrata che ha impedito loro di competere con chi già svolgeva l’attività commerciale».
A parere di scrive, la pronuncia in esame pare condivisibile. Essa si pone, infatti, nel solco di una consolidata giurisprudenza costituzionale in tema di liberalizzazioni che ha quale ratio la tutela del consumatore, mediante la creazione di un mercato sempre più dinamico e aperto all’ingresso di nuovi operatori. Pur volendo eccepire che le restrizioni previste dal legislatore piemontese riguardavano un limitato periodo di tempo, caratterizzato dall’emergenza dovuta alla pandemia, non pare che la previsione dei suesposti vincoli di natura procedimentale potesse essere ragionevolmente giustificata da esigenze connesse alla tutela della salute dei cittadini.
- Dottorando di ricerca in Diritti e Istituzioni dell’Università degli Studi di Torino. ↑