Carcere e Regioni: l’avvio di una strada di dialogo interistituzionale con particolare riferimento alle competenze in materia di tutela della salute
Laura Scomparin[1]
(ABSTRACT) ITA
Il tema dell’interazione fra carcere e ruolo delle Regioni non è particolarmente consueto nei dibattiti che riguardano il sistema penitenziario, né in quelli dedicati alle molteplici competenze che il sistema regionale possiede in relazione alla tutela della salute. L’interlocuzione con le Regioni, tuttavia, costituisce un aspetto non residuale nell’attività istituzionale di un Provveditorato, perché moltissime delle competenze in materie rilevanti per il “trattamento rieducativo” dei detenuti (dal lavoro, alla sanità, all’assistenza sociale, alla formazione professionale) sono ormai di competenza regionale.
(ABSTRACT) EN
The issue of the interaction between incarceration and the role of the Regions is not particularly usual in debates concerning the prison system, nor in those devoted to the multiple competencies that the regional system possesses in relation to health protection. Interlocution with the Regions, however, constitutes a non-residual aspect in the institutional activity of a Provveditorate, because a great many of the competencies in matters relevant to the “re-educational treatment” of prisoners (from labor, to health care, to social assistance, to vocational training) are now under regional competence.
Sommario:
1. Premessa: Regioni e Provveditorati interregionali – 2. Il ruolo delle Regioni: managerialità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa – 3. Le peculiarità del contesto penitenziario – 4. Spunti di riflessione per concrete pratiche di collaborazione interistituzionale
1. Premessa: Regioni e Provveditorati interregionali
Il tema dell’interazione fra carcere e ruolo delle Regioni non è particolarmente consueto nei dibattiti che riguardano il sistema penitenziario, né in quelli dedicati alle molteplici competenze che il sistema regionale possiede in relazione alla tutela della salute. La pubblicazione degli atti di questa giornata di studio credo dunque sia fondamentale perché le suggestioni e gli stimoli che ne discendono devono rappresentare un punto di partenza non solo per la ricerca di un dialogo, ma anche per una profonda riflessione politica rispetto agli interventi che possono e devono essere messi in atto.
Il mio contributo a questa riflessione parte da un ricordo, quello delle parole di uno degli ultimi Capi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che aveva auspicato un radicale ripensamento dei Provveditorati dell’Amministrazione penitenziaria[2]. La scelta di un loro accorpamento con attribuzione di competenze su base pluriregionale è stata fondata infatti su un’esigenza legata essenzialmente al contenimento della spesa e specificamente, anche, ai tagli dei posti di funzione di dirigenza generale. Una spending review che non ha in realtà portato significativi risultati; probabilmente fu un risparmio modestissimo, ma certo ha cambiato in modo rilevante le regole del gioco, perché ha costretto e costringe i Provveditori a interfacciarsi spesso con più realtà regionali, ossia con interlocutori istituzionali diversi che hanno, oltre che “colori” politici, programmi molto diversi e volontà politiche anche assai diverse. Come è normale e giusto che sia, peraltro. L’interlocuzione con le Regioni, però, non è certo un aspetto residuale nell’attività istituzionale di un Provveditorato, perché moltissime delle competenze in materie rilevanti per il “trattamento rieducativo” dei detenuti (dal lavoro, alla sanità, all’assistenza sociale, alla formazione professionale) sono ormai di competenza regionale. Questa competenza interregionale ha così complicato enormemente il lavoro dei Provveditorati e il parere del Capo del DAP che richiamavo evocava proprio questa difficoltà, in un contesto, in realtà, nel quale l’efficace funzionamento dei Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria è uno dei presupposti fondamentali per la stessa funzionalità del sistema penitenziario. Sono affermazioni che condivido pienamente, ma credo che – così come è rimasto inascoltato l’auspicio ad un ripensamento della matrice interregionale dei Provveditorati – anche la necessità di un funzionamento efficace dei Provveditorati sia un tema abbastanza inconsueto nei tavoli o nei seminari di studio dedicati al sistema penitenziario.
2. Il ruolo delle Regioni: managerialità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa
Sul versante dell’Ente territoriale, per restare sempre su un piano molto generale, la capacità operativa di una Regione in materia penitenziaria mi pare condizionata da due fattori su cui è importante, a livello politico ma anche tecnico, fare alcuni ragionamenti. Sono consapevole di introdurre, anche in questo ambito, termini e approcci un po’ inconsueti. Credo tuttavia che un elemento che condiziona significativamente l’efficacia dell’intervento delle Regioni sul sistema carcerario sia il livello di managerialità che le Regioni riescono a realizzare, in generale e in questo specifico contesto. Può essere superfluo premettere, ma non posso esimermi dal farlo, che la disponibilità di risorse per le pubbliche amministrazioni è quasi sempre insufficiente rispetto ai bisogni di intervento. È tuttavia altrettanto vero che la concreta attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha insegnato soprattutto a chi – come molti di noi – lavora nel settore pubblico che sta diventando sempre più importante essere in grado di soddisfare adeguatamente l’esigenza di utilizzo delle risorse e di ottimizzazione nella loro “amministrazione”. E questo sia nel momento della programmazione, sia in quello dell’organizzazione e della realizzazione degli interventi, fino a quello del controllo dei servizi erogati. Si tratta di una sfida fondamentale, non solo per rispondere alle esigenze del cittadino/utente/destinatario degli interventi in termini di efficacia (qualità dei servizi forniti) sia esso un cittadino/utente/destinatario libero o ristretto, ma anche in termini di efficienza (ottimizzazione delle risorse impiegate).
Quindi se è vero che esiste un problema di scarsità di risorse, dobbiamo anche riconoscere che abbiamo oggi delle opportunità di finanziamento, che sono spesso da pensare e gestire in chiave interistituzionale; e questo non solo pone sul tavolo la centralità della collaborazione tra istituzioni, ma anche l’aumento, innegabile, della complessità del loro utilizzo che discende dal dover ricercare e realizzare, sempre più spesso, un dialogo efficace tra vari soggetti pubblici (e talvolta anche privati).
Il tema della managerialità degli enti pubblici e delle amministrazioni pubbliche o, se si volessero utilizzare termini più giuridici che economico-ingegneristici, della efficacia dell’azione amministrativa, è in generale un profilo abbastanza delicato, ma credo che sia cruciale ragionarci approfonditamente. La suggestione per farlo, e per proporre una riflessione con questo oggetto anche nella giornata di studio di oggi, mi è venuta in particolare all’esito di un’audizione della Commissione sanità della Regione Piemonte, che, nel quadro di una assai lodevole iniziativa, ha proceduto ad interpellare diversi attori istituzionali, esperti, stakeholders, e persone a vario titolo coinvolte nel mondo penitenziario[3]. In una di quelle audizioni, è stato ricordato come ogni anno, regolarmente, arrivino alla Regione Piemonte circa 16 milioni da destinare quasi esclusivamente al personale da inserire all’interno delle carceri. Ora: 16 milioni non sono tanti, ma non sono certamente pochi. Quello che però vale certamente la pena di fare, e che è ancora da fare, è un approfondimento rispetto alle strade di utilizzo che questi fondi hanno, alle modalità con cui vengono impiegati e alle modalità con cui le diverse Aziende sanitarie sul territorio li valorizzano. Un’altra suggestione, sempre a proposito di risorse, riguardava i circa 12 milioni di euro attribuiti alla Regione Piemonte nel 2012 per la realizzazione delle REMS. Con la legge n. 81 del 2014 se ne è ammesso un utilizzo non soltanto per la costruzione delle REMS, ma anche per il rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale. Quei fondi, è stato detto dal CORIPE in occasione dell’audizione[4], risultano fermi al Ministero dell’Economia e aspettano un progetto per essere utilizzati. Oltre alle risorse in conto capitale ci sono poi le risorse di parte corrente per il superamento degli OPG, che vengono assegnate regolarmente ad ogni Regione per il funzionamento delle strutture. Queste risorse ammontano intorno ai 4 milioni all’anno; forse anche in questo caso paiono relativamente contenute, ma ricordiamo che nelle REMS del Piemonte è ospitato un numero abbastanza ridotto di persone.
Sono numeri che certamente rappresentano uno stimolo. Non solo un’urgenza per la classe politica, ma anche la forte necessità di un coordinamento fra chi esercita un ruolo politico all’interno della Regione e i tecnici, ossia chi deve fornire ai rappresentanti politici un quadro prezioso di supporto di dati, di numeri, di elementi conoscitivi perché queste risorse possano essere utilizzate ed ottimizzate nel modo migliore.
C’è poi un altro tema che ritengo importante affrontare, sempre in quest’ottica di necessità di una maggiore managerialità. È il tema del monitoraggio degli interventi.
Chi si occupa di appalti sa che la fase più carente nella gestione degli appalti pubblici è quella del controllo della stazione appaltante sull’esecuzione del contratto. Traducendo questa riflessione nel contesto di cui ci stiamo occupando, credo che andrebbe significativamente rivisto (per non dire costituito in molti casi) un sistema di monitoraggio sull’andamento generale delle azioni progettuali regionali poste in essere con le risorse impiegate. In questi anni, sono stati fatti degli interventi importanti in materia di sanità penitenziaria, con il ricorso a più ampi strumenti di mediazione culturale o per il supporto psicologico non solo a favore dei detenuti, ma anche del personale della polizia penitenziaria. Sono state realizzate molte sperimentazioni, a volte in risposta a specifici bandi. Ma per ottimizzare le risorse a disposizione è indispensabile fare una puntuale verifica dei risultati raggiunti, probabilmente non tanto nell’ottica del controllo rispetto alla corretta rispondenza tra proposte ed effettiva realizzazione di quanto progettato, ma nell’ottica di verifica dei risultati che si sono prodotti. Alcune esperienze potrebbero meritare di essere potenziate, ad esempio con una loro implementazione a livello regionale, altre magari necessitano di essere migliorate o perfezionate, alcune anche coraggiosamente abbandonate. E certamente, quelle importanti previsioni contenute nel Modello organizzativo per l’implementazione dei servizi di telemedicina della Regione Piemonte[5] non possono e non devono aspettare ad essere attivate nelle parti dedicate agli istituti penitenziari perché laddove si sono iniziati percorsi analoghi se ne sono tratti benefici effetti, sia per l’umanizzazione della pena, sia per l’ottimizzazione delle sempre limitate risorse a disposizione[6].
3. Le peculiarità del contesto penitenziario
L’approccio fin qui illustrato, da ultimo con la sottolineatura dell’importanza di una adeguata verifica dell’impatto degli interventi, credo sia essenziale così come quello della perfetta consapevolezza da parte del decisore politico del contesto nel quale ricadono le proprie scelte, perché nessun ambito della pubblica amministrazione vede uno iato maggiore tra teoria e pratica rispetto a quanto accade nell’istituzione penitenziaria. Per farlo, una necessità prodromica rispetto ad ogni altra è quella di avere piena conoscenza degli istituti, di come funzionano e di come si vive all’interno di essi. Considerato che al centro del dibattito odierno c’è il ruolo delle Regioni come attori del sistema penitenziario, ritengo importante sottolineare che tutti i Consiglieri regionali dovrebbero visitare gli istituti del proprio territorio, e non per verificare soltanto le cose che funzionano, ma per conoscere le realtà sulle quali devono investire per assicurare tutti quei servizi che appartengono alla competenza regionale. Perché anche i detenuti sono “cittadini regionali”, ossia sono persone sulle quali incidono le politiche che si vogliono perseguire e i servizi che si intendono realizzare sul territorio.
4. Spunti di riflessione per concrete pratiche di collaborazione interistituzionale
Un ultimo spunto di riflessione per questo tavolo di confronto è quello a cui ho già avuto modo di accennare a proposito della necessità di una sempre più forte e piena collaborazione interistituzionale.
L’apertura al dialogo delle Commissioni consiliari su questi temi è certamente un segno tangibile di quello stile (che io riconosco tipico del nostro territorio) di estrema disponibilità a collaborare in chiave interistituzionale. Questa apertura, unita alla volontà di collaborazione che ha trovato ampie disponibilità, deve a mio parere essere nel prossimo futuro incardinata più compiutamente in termini non solo di stabilità ma anche di concretezza.
Prendendo spunto proprio dalle riflessioni di oggi in materia di sanità penitenziaria e dal ruolo che l’Università può svolgere in questo ambito, penso sarebbe utile avviare un percorso operativo con investimenti assolutamente minimi per intraprendere azioni volte al raggiungimento di due obiettivi rispetto ai quali l’Accademia può svolgere un ruolo importante: il primo è quello di affrontare la spesso segnalata carenza di specifica formazione del professionista sanitario che opera negli istituti di pena, il secondo quello di fare in modo che, rispetto all’assegnazione agli istituti penitenziari del personale sanitario, ci sia per i professionisti una maggiore appetibilità.
Sul primo fronte, il deficit di formazione non è ovviamente da intendersi sul piano generale, ossia relativamente alle competenze professionali che ogni medico o infermiere porta con sé come bagaglio nel momento di ingresso in carcere, ma riguarda la formazione su che cosa questo professionista si trova di fronte nel momento in cui opera in un istituto detentivo, quindi sulla specificità delle patologie, sulla specificità del rapporto con il paziente (un rapporto che è necessariamente diverso – è inutile nasconderselo – da quello che un sanitario può avere con i pazienti “liberi”), sulla capacità di capire e di conoscere le dinamiche dell’istituzione penitenziaria, per poter agire più efficacemente nel contesto in cui opera. Sotto questo punto di vista, ci sono alcuni temi che si potrebbe iniziare a mettere sul tavolo rispetto ai quali il coinvolgimento di altri attori istituzionali è indispensabile e va attivato. La formazione dei medici e degli infermieri potrebbe essere, anche a livello di ECM, più specificamente orientata verso alcuni corsi che riguardano le peculiarità del mondo penitenziario. Questo sortirebbe due effetti: il primo è di portare all’interno del carcere, indipendentemente dalla quantità di risorse, persone che hanno piena consapevolezza del contesto in cui operano; il secondo, un valore culturale, perché, anche in questo caso è inutile negarlo, per i professionisti in generale, ma anche specificamente per i professionisti sanitari, il servizio intramurario non è certo una destinazione ambita.
La seconda questione, che dal punto di vista della formazione riterrei importante sottolineare, è che bisognerebbe individuare, fin dai percorsi universitari delle professioni sanitarie (mediche e infermieristiche), alcuni momenti e alcuni crediti formativi, anche a scelta libera dello studente, destinati specificamente al contesto carcerario, che mirino a far conoscere la realtà penitenziaria, in sé e come luogo nel quale tali professioni si esercitano e hanno un’importanza cruciale per la salute degli individui. Sono convinta che da parte dei Direttori delle Scuole di Medicina ci sia una buona disponibilità a fare un ragionamento in questo senso, così come da parte degli ordini professionali ad affrontare in modo strutturato questi temi nell’ambito dell’offerta didattica sulla formazione permanente.
Solo investendo sulla formazione e sulla cultura delle nuove generazioni, dalle quali usciranno i futuri medici e i futuri infermieri possiamo sperare che il carcere diventi un luogo di cura dove anche i professionisti scelgono e non sono “costretti” ad operare.
Le istituzioni del territorio piemontese danno certamente la loro piena disponibilità a cooperare. C’è però bisogno di lavorare su progettualità, magari piccole, ma comunque molto concrete, con risorse certe ma anche con la volontà di monitorare i progetti, una volta realizzati, per migliorarli e implementarli e, se del caso, anche dolorosamente ma coraggiosamente abbandonarli. Per metterci davvero alle spalle l’impressione, che ogni tanto tutti noi abbiamo, anche gli attori della Regione, che sul carcere, a volte anche generosamente, si investe, ma che siamo ancora lontani da lavorare su una progettualità pensata e realizzata in chiave di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
- Professoressa ordinaria di diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Torino. ↑
- C. Renoldi (2022), Appunti per un carcere secondo la Costituzione, in https://www.sistemapenale.it/it/articolo/renoldi-stampa-carcere-costituzione. ↑
- Consiglio Regionale del Piemonte, IV Commissione, Riunione n. 70 del 3.04.2023: http://www.consiglioregionale.piemonte.it/infoint/dettaglioSeduta.do?azione=showVerbale&id_verbale=2125 ↑
- Consiglio Regionale del Piemonte, IV Commissione, Riunione n. 70 del 3.04.2023, ibidem. ↑
- Deliberazione della Giunta Regionale 6 novembre 2023, n. 20-7658. Approvazione del modello organizzativo per l’implementazione dei servizi di Telemedicina della Regione Piemonte. ↑
- Per un recente quadro di sintesi v. M. Mattone (2024), Telemedicina garante di inclusione e diritto alla salute, in https://www.healthtech360.it/telemedicina/telemedicina-in-carcere/ ↑