È legittimo negare il porto d’armi per fatti oggetto di procedimenti penali archiviati? La discrezionalità amministrativa nelle sentenze TAR Piemonte, sez. I, 12 aprile 2019, n. 431 e sez. II, 26 aprile 2019, n. 499
Silvia Gimigliano[1]
Sommario: 1. Introduzione. 2. Irrilevanza penale e legittimità del diniego. 3. La motivazione dell’inaffidabilità con riferimento al fatto tenue. 4. Conclusioni.
1. Introduzione.
Come noto, la licenza di porto d’armi è un’autorizzazione amministrativa regolata, in linea generale, dal r.d. 18 giugno 1931, n. 773[2] e dal r.d. 6 maggio 1940, n. 635[3].
Le cause ostative alla concessione della licenza sono stabilite dagli artt. 11[4] e 43 r.d. 773/1931. In particolare, ai sensi dell’art. 43, co. 2, «la licenza può essere ricusata… a chi… non dà affidamento di non abusare delle armi».
La giurisprudenza è costante nell’affermare che le valutazioni svolte in proposito dall’autorità di pubblica sicurezza sono autonome rispetto ad eventuali esiti penali[5]. Il procedimento amministrativo e quello penale «si muovono», infatti, «su due distinti livelli, implicando diversa rilevanza della medesima condotta, che può essere valutata in modo non omogeneo»[6].
Questa autonomia, espressione di discrezionalità amministrativa, appare quasi scontata in presenza di un’archiviazione c.d. “in diritto”[7], pronunciata «quando risulta che manca una condizione di procedibilità, … che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato» (art. 411, co. 1, c.p.p.) [8].
Risulta meno scontata qualora ― come nelle ipotesi in esame ― il procedimento penale sia stato archiviato per infondatezza della notizia di reato (ex art. 408 c.p.p.) o per particolare tenuità del fatto (ex artt. 131-bis c.p. e 411 c.p.p.), perché in queste ipotesi vengono in considerazione vicende che, in sede penale, sono già state oggetto di valutazioni di merito.
Nelle due pronunce che si annotano, il TAR Piemonte giudica la legittimità di altrettanti dinieghi di licenza: essi erano stati motivati dalla Questura sulla base dell’asserita inaffidabilità dei richiedenti, desunta da pregresse condotte di incuria nella gestione delle armi, condotte già oggetto di procedimenti penali.
2. Irrilevanza penale e legittimità del diniego.
Con sentenza n. 431/2019[9], il TAR Piemonte reputa legittimo il diniego di porto d’armi motivato sull’inaffidabilità del richiedente per condotte interessate da un procedimento penale archiviato per infondatezza della notizia di reato.
Nello specifico, dalla ricostruzione della vicenda, contenuta in sentenza, si apprende che (i) alcuni anni prima, il ricorrente aveva subito il furto di una pistola, che teneva «completa di caricatore inserito, all’interno di un cassetto di un comodino posto nella camera da letto, sprovvisto di… sistema di chiusura e situato all’interno» della propria «abitazione anch’essa priva di sistemi di sicurezza attivi e passivi…»; (ii) di conseguenza, era stato indagato per le contravvenzioni di omessa custodia di armi, di cui agli artt. 20 e 20-bis l. 18 aprile 1975, n. 110[10]; (iii) il procedimento penale era stato appunto archiviato per infondatezza della notizia di reato ex art. 408 c.p.p.
Come noto, ai sensi dell’art. 125 disp. att. c.p.p., la notitia criminis risulta infondata quando gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari «non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio»[11]. La dottrina precisa che il giudice per le indagini preliminari, quando emette il provvedimento di archiviazione in parola, «effettua una prognosi sull’esito di un eventuale dibattimento, in quanto ritiene probabile la pronuncia di una sentenza di assoluzione» in ordine al reato ascritto[12].
Nella fattispecie decisa dal TAR, il Questore[13], a fronte dell’esito del procedimento penale, aveva rifiutato per la seconda volta[14] il rilascio della licenza di porto d’armi uso caccia[15] al ricorrente, ritenendolo non pienamente affidabile in considerazione del furto subito.
La discrezionalità amministrativa consiste, notoriamente, nella «potestà affidata alla pubblica amministrazione di ponderare i diversi interessi (pubblici e privati) coinvolti nell’adozione di un determinato provvedimento amministrativo, operando una scelta in vista del perseguimento dell’interesse primario»[16].
Nelle ipotesi in esame, essa si delinea in questi termini:
- concerne l’an della concessione della licenza[17];
- è «negativa», in quanto l’amministrazione «deve valutare se non ricorrono ragioni ostative al rilascio»[18];
- risulta particolarmente ampia: da un lato, può essere valorizzata «ai fini della decisione qualunque circostanza dalla quale si possa desumere l’inaffidabilità dell’interessato»; dall’altro, le relative valutazioni sono censurabili solo in quanto «irrazionali o arbitrarie»[19];
- l’interesse primario[20] perseguito è quello alla tutela preventiva dell’ordine e della sicurezza pubblica[21]. Si può, al riguardo, rilevare una sostanziale coincidenza con la ratio dell’incriminazione dei fatti previsti dagli artt. 20 e 20-bis l. 110/1975, consistente nel prevenire «più gravi reati contro la sicurezza pubblica in generale»[22];
- l’interesse privato ad ottenere la licenza è senz’altro destinato a soccombere in caso di contrasto con l’interesse primario, date la preminenza di quest’ultimo e la «intrinseca pericolosità delle armi»[23]. La giurisprudenza amministrativa chiarisce, invero, che «il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva già inclusa nella sfera giuridica del privato, bensì assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare e detenere armi»[24].
Il TAR giudica il diniego legittimo, ritenendolo (i) provvisto di adeguata motivazione (resa in parte per relationem mediante rinvio al precedente provvedimento di diniego ed alla sentenza n. 856/2016)[25], (ii) non violativo dell’art. 20 l. 110/1975[26] e (iii) non irragionevole[27], in considerazione (iii.1) dell’autonomia delle valutazioni svolte dall’autorità di pubblica sicurezza in materia di porto d’armi, rispetto all’esito di procedimenti penali aventi ad oggetto gli stessi fatti storici, e (iii.2) del rilievo, espresso dal Consiglio di Stato e dallo stesso TAR Piemonte[28], secondo cui «l’omessa custodia delle armi… che ne ha reso possibile il furto» giustifica ex se il provvedimento adottato dalla Questura.
Questa decisione si fonda su una diversa qualificazione della circostanza attinente alla modalità di conservazione della pistola, ritenuta conforme «al parametro dell’ordinaria diligenza» dal GIP[29], ma giudicata «non pienamente rispondente ad un criterio di adeguata diligenza» dalla Questura, le cui argomentazioni sono condivise dal TAR.
L’autonomia della valutazione dell’Autorità di pubblica sicurezza rispetto all’esito archiviativo si esplica, dunque, nel diverso apprezzamento della medesima vicenda: il diniego del porto d’armi è motivato sulla base di un comportamento penalmente irrilevante, per di più considerato in sede penale conforme ai canoni di diligenza.
Tenendo presenti le limitate informazioni, contenute in sentenza, circa il procedimento penale che aveva interessato il ricorrente, questo divario sembra poter essere letto alla luce di tre aspetti.
In primo luogo, la negligenza penalmente rilevante riflette le garanzie offerte dal diritto penale sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato. Un’omissione nella custodia di armi, per integrare la contravvenzione di cui all’art. 20 ovvero 20-bis l. 110/1975, dev’essere sorretta quantomeno da colpa, quale «requisito minimo»[30] imposto dal principio di colpevolezza[31].
L’esito archiviativo indica, allora, l’avvenuta adozione delle cautele che risultavano necessarie ex ante, in base alle circostanze di fatto conosciute o conoscibili dalla persona con l’ordinaria diligenza[32].
Muovendosi sul diverso terreno del diritto amministrativo, la Questura non è tenuta a svolgere indagini di natura soggettiva sul comportamento del richiedente. Si può infatti notare che, nella motivazione del provvedimento impugnato, l’insufficienza delle misure apprestate (e dunque l’inaffidabilità) è fondamentalmente desunta ex post,in ragione del furto avvenuto.
Ed invero, la giurisprudenza ha avuto occasione di chiarire che altro è l’«esclusione della responsabilità penale per assenza dell’elemento soggettivo», altro è l’affidabilità nell’uso delle armi, discrezionalmente apprezzata dall’autorità di pubblica sicurezza[33].
In secondo luogo, sembra variare il parametro secondo cui è valutata la condotta del ricorrente.
Ai fini penali, rileva quello della diligenza ordinaria: segnatamente, «il dovere di diligenza nella custodia di un’arma può dirsi adempiuto quando siano state adottate le cautele che nelle specifiche situazioni di fatto possono esigersi da una persona di normale prudenza secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit»[34].
Il TAR, invece, sia nella pronuncia in esame, sia nella sentenza n. 856/2016, impiega un più rigoroso «criterio di adeguata diligenza», che non può dirsi rispettato quando le modalità di custodia si siano in concreto rivelate inefficaci.
In terzo luogo, si può notare come la giurisprudenza penale e amministrativa offrano una differente interpretazione del rapporto fra il primo e il secondo periodo del co. 1 dell’art. 20 l. 110/1975.
Dal lato penale, la Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire che il «generico» dovere di diligenza stabilito dall’art. 20, co. 1, primo periodo, l. 110/1975 «non va confuso con quello specifico» di adottare efficienti misure antifurto, posto «a carico di particolari categorie di soggetti» dal secondo periodo del medesimo comma[35]. Pertanto, la mancata adozione di tali misure da parte del “comune” possessore di armi non vale a integrare il reato di omessa custodia ex art. 20, co. 1 e 2, l. 110/1975[36].
Il TAR Piemonte, nella pronuncia in commento, puntualizza invece che il dettato dell’art. 20, co. 1, l. 110/1975 non esime «i soggetti che non svolgano, a livello professionale, servizi connessi all’impiego di armi» dal «rispettare criteri di adeguata diligenza ai quali si deve uniformare chiunque voglia detenere un’arma»[37].
La posizione assunta dal Giudice amministrativo si pone in linea con le statuizioni di altri TAR che, chiamati a pronunciarsi su vicende simili, hanno ritenuto il giudizio di inaffidabilità ingiustificato perché (a differenza del caso in esame) le armi venivano custodite in mobili chiusi a chiave[38].
Guardando, poi, alla dottrina penalistica, la tesi del TAR Piemonte risulta conforme all’opinione per cui il dovere imposto dall’art. 20, co. 1, primo periodo l. 110/1975 esigerebbe, nell’ipotesi di arma custodita in casa, l’adozione di cautele ulteriori rispetto a quelle utilizzate per le altre cose ivi presenti, cioè, quantomeno, la collocazione in un luogo chiuso a chiave[39].
3. La motivazione dell’inaffidabilità con riferimento al fatto tenue.
Con sentenza n. 499/2019[40], il TAR Piemonte chiarisce che il diniego di porto d’armi motivato sull’inaffidabilità del richiedente per condotte interessate da un procedimento penale archiviato per particolare tenuità del fatto deve essere supportato da adeguata motivazione.
Nello specifico, dalla ricostruzione della vicenda, contenuta in sentenza, si apprende che (i) in passato il ricorrente, in occasione di un controllo in un locale pubblico, era stato trovato in possesso di un taglierino, abitualmente utilizzato per la propria professione e dimenticato in una tasca chiusa del gilet da lavoro; (ii) in seguito a ciò, era stato indagato per la contravvenzione di «porto di armi od oggetti atti ad offendere», prevista dall’art. 4 l. 110/1975[41]; (iii) l’archiviazione era stata appunto pronunciata per particolare tenuità del fatto ex artt. 131-bis c.p. e 411 c.p.p.
Date le caratteristiche dell’istituto[42], si tratta, evidentemente, di esito meno favorevole rispetto all’archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Sul piano del diritto penale sostanziale, l’art. 131-bis c.p. delinea, invero, una «causa di non punibilità che presuppone un fatto tipico e, pertanto, costitutivo di reato, ma da considerare non punibile in ragione dei principi di proporzione e di economia processuale»[43]. Ne deriva, sul piano procedimentale, che l’archiviazione per particolare tenuità del fatto ― a differenza dell’archiviazione ex art. 408 c.p.p. ― presuppone, in buona sostanza[44], l’accertamento della sussistenza del fatto di reato e della sua commissione da parte dell’indagato[45].
Il Questore aveva negato al ricorrente il rinnovo della licenza di porto d’armi per uso sportivo[46], ritenendolo «non pienamente in possesso dei… requisiti di affidabilità richiesti». Il provvedimento valorizzava l’esito del procedimento penale, precisando che la formula di archiviazione in parola lascia «impregiudicati gli effetti civili derivanti dal reato» e che il fatto tenue ex art. 131-bis c.p. non coincide con il fatto non offensivo[47].
Il TAR accoglie il ricorso, ravvisando il difetto di motivazione dell’atto impugnato. In particolare, argomenta come l’episodio relativo al taglierino non giustifichi il giudizio formulato dall’Autorità di pubblica sicurezza, «tanto più alla luce del carattere isolato[48] del comportamento addebitato all’interessato e della totale assenza, da parte dell’amministrazione, di una valutazione complessiva della personalità» e della pregressa condotta di vita dello stesso.
Il rapporto fra il taglierino e l’attività lavorativa svolta (che sul versante penale non aveva consentito di ottenere una formula archiviativa più favorevole[49]) contribuisce a far propendere il Giudice amministrativo per la non inaffidabilità del ricorrente.
La distanza fra la decisione del TAR e quella del GIP sembra poter essere colta alla luce del rilievo, presente nella giurisprudenza amministrativa e, prima ancora, costituzionale[50], secondo cui la concessione del porto d’armi «costituisce una deroga al generale divieto di portare armi, sancito» proprio dall’art. 4 l. 110/1975[51].
Nello specifico, il porto del taglierino, che dal punto di vista penale integra una (tenue) violazione dell’art. 4 l. 110/1975, è reputato dal Tribunale non ostativo alla concessione della licenza, in deroga allo stesso art. 4.
In margine a quanto finora esposto, si può osservare che la sentenza costituzionale n. 109/2019[52], successiva alle pronunce in commento, dà risalto ― sia pur indirettamente e sotto altro profilo ― all’esito del procedimento penale, a discapito della discrezionalità amministrativa.
Segnatamente, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del previgente[53] art. 43, co. 1, lett. a), r.d. 773/1931 «nella parte in cui prevede un generalizzato divieto di rilasciare il porto d’armi alle persone condannate a pena detentiva per il reato di furto senza consentire alcun apprezzamento discrezionale all’Autorità amministrativa competente»)[54]. Non condividendo la tesi dei rimettenti, che assumevano violato l’art. 3 Cost., ha chiarito che la disciplina non risulta «manifestamente irragionevole»: invero, il delitto di furto «comporta pur sempre una diretta aggressione ai diritti altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle regole basilari della convivenza civile da parte del suo autore».
4. Conclusioni.
Le pronunce in commento offrono alcune precisazioni circa l’autonomia della valutazione del Questore rispetto all’esito archiviativo.
Se il porto d’armi è negato sulla base di fatti oggetto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, l’autonomia si esplica nel diverso apprezzamento delle medesime vicende.
Con sentenza n. 431/2019, il TAR Piemonte chiarisce che un’omissione di custodia, sebbene penalmente irrilevante, è suscettibile di legittimare il diniego, qualora riveli la non totale affidabilità del richiedente. Dalla pronuncia in questione emerge che il livello di diligenza necessario per ottenere la licenza è superiore rispetto a quello che consente di andare esenti da responsabilità ex artt. 20 e 20-bis l. 110/1975.
Diversamente, l’archiviazione per particolare tenuità del fatto può risultare in linea con il giudizio di inaffidabilità formulato dall’autorità di pubblica sicurezza, in quanto presuppone condotte riconducibili a fattispecie di reato. Nondimeno, a conferma dell’autonomia fra i due ambiti, detto giudizio non può essere fondato su una mera valorizzazione dell’esito del procedimento penale.
In questo senso la sentenza n. 499/2019, con cui il TAR Piemonte afferma che il mero possesso di un taglierino non giustifica il diniego della licenza, in assenza di adeguata motivazione del provvedimento.
L’orientamento espresso dal TAR Piemonte nell’affermare l’autonomia delle valutazioni dell’autorità di pubblica sicurezza in sede di esame dell’istanza di rilascio/rinnovo del porto d’armi appare condivisibile.
È infatti evidente che altro è valutare[55] la responsabilità penale di un soggetto, altro è valutare se lo stesso sia affidabile nell’uso di armi. In questa prospettiva, il particolare rigore del giudizio dell’amministrazione è giustificato per la pericolosità delle armi e la delicatezza degli interessi coinvolti. È necessario inoltre tener presente che, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, «il possesso… di un’arma non rientra nello statuto ordinario dei diritti della personalità appartenenti al singolo e non costituisce un fatto ordinario, ma eccezionale»[56].
Un’ulteriore riflessione può riguardare l’asserto del Giudice amministrativo circa l’inadeguatezza della motivazione del diniego che si limiti a sottolineare il carattere penalmente illecito di un fatto tenue. Dall’affermazione sembra derivare, di fatto, un irrigidimento dell’obbligo motivazionale a carico della Questura, suscettibile di incidere sulla sua discrezionalità. Occorre però constatare che la soluzione adottata dal TAR Piemonte si pone in linea con l’enunciata autonomia, mentre la soluzione opposta (ritenere legittimo il diniego così motivato) ne sminuirebbe, in qualche misura, la portata.
[1] Dottoranda di ricerca in “Autonomie, servizi, diritti” presso l’Università del Piemonte Orientale.
[2] Recante «Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza».
[3] Recante «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931-IX, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza».
[4] Riguardante le autorizzazioni di polizia in generale.
[5] Principio ricorrente nella giurisprudenza di riferimento, enunciato, in particolare, nella sentenza TAR Sicilia, sez. I, 16 febbraio 2009, n. 354.
[6] TAR Sardegna, sez. I, sent. 15 luglio 2016, n. 620.
[7] V. A. Bernasconi, Chiusura delle indagini e archiviazione, in A. Scalfati et al., Manuale di diritto processuale penale, 2a ed., Torino, 2017, pp. 522-523, che distingue fra (i) archiviazione “in fatto”, ai sensi dell’art. 408 c.p.p., (ii) archiviazione “in diritto”, ai sensi dell’art. 411, co. 1, c.p.p., (iii) archiviazione per particolare tenuità del fatto, prevista anch’essa dall’art. 411 c.p.p. E (iv) archiviazione quando è rimasto ignoto l’autore del reato, ex art. 415 c.p.p.
Occorre sottolineare che l’archiviazione per particolare tenuità è stata inserita dal legislatore all’art. 411 c.p.p. Nonostante richieda un accertamento fattuale. In dottrina è stato allora osservato come «forse sarebbe stato più opportuno introdurre nel corpus codicistico un nuovo art. 408 bis c.p.p., meglio idoneo a sottolineare l’“eccentricità” della… fattispecie archiviativa» (A. Mangiaracina, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, in www.penalecontemporaneo.it, 28 maggio 2015, p. 4).
[8] Così, ad esempio, il TAR Lombardia ha statuito che in caso di «archiviazione penale per rimessione di querela… l’Autorità di Pubblica sicurezza ha piena facoltà di valutare i fatti compiuti dall’interessato, al… fine di valutare… che il medesimo non possa abusare del possesso di armi» (TAR Lombardia, sez. Staccata di Brescia (sez. II), sent. 4 giugno 2018, n. 533).
[9] TAR Piemonte, sez. I, sent. 12 aprile 2019, n. 431.
[10] V. Artt. 20, co. 1 e 2, e 20-bis, co. 2, l. 110/1975 («Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi»).
[11] P. Tonini, Manuale di procedura penale, 19a ed., Milano, 2018, p. 614. Secondo un’altra opinione dottrinale, gli artt. 408 c.p.p. E 125 disp. Att. C.p.p. Individuerebbero due distinte ipotesi di archiviazione (in tal senso, E. Aprile – P. Silvestri, Le indagini preliminari e l’archiviazione, 2a ed., Milano, 2011, p. 724 ss).
[12] P. Tonini, Manuale, cit., p. 614.
[13] Autorità di pubblica sicurezza competente ai sensi dell’art. 42 r.d. 773/1931.
[14] Il precedente provvedimento amministrativo, di analogo contenuto, era stato oggetto di ricorso al medesimo TAR, che, con sentenza sez. I, 17 giugno 2016, n. 856, aveva respinto il gravame.
[15] La cui disciplina specifica è contenuta nella l. 11 febbraio 1992, n. 157 («Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»).
[16] AA.VV., Discrezionalità amministrativa, in Enciclopedia Garzanti del Diritto, 3a ed., Milano, 2009, p. 550. Una ricostruzione delle diverse teorie sull’argomento è offerta da F. Caringella, Corso di diritto amministrativo. Profili sostanziali e processuali, 5a ed., t. II, Milano, 2008, p. 1311 ss..
[17] Sull’oggetto della discrezionalità amministrativa, v., ex multis, P. Virga, Diritto amministrativo, 5a ed. Aggiornata, vol. II, Atti e ricorsi, Milano, 1999, pp. 7-8, e F. Caringella, Corso, cit.,pp. 1317-1319.
[18] T. Padovani (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, 2007, p. 1299.
[19] Così la pronuncia che si annota.
[20] La distinzione tra interesse primario e interessi secondari, attualmente impiegata dalla dottrina (ex multis, V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, 6a ed., Torino, 2017, pp. 285-287), è stata teorizzata da M.S. Giannini (Diritto amministrativo, 3a ed., vol. II, Milano, 1993, pp. 48-50; ID., Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, 1939, p. 72 ss.), per il quale la discrezionalità «consta di una ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine ad un interesse primario» (ID., Diritto amministrativo, cit., p. 49).
[21] In tal senso le pronunce in commento e, ex multis, Cons. Stato, sez. III, sent. 9 gennaio 2019, n. 203.
[22] Cass. Pen., sez. I, sent. 28 gennaio 2014, n. 3763.
[23] Ex multis, recentemente, Cons. Stato, sez. III, sent. 26 giugno 2019, n. 4403.
[24] Ex multis, recentemente, TAR Campania, sez. V, sent. 28 maggio 2019, n. 2867.
[25] Con il primo motivo di gravame, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 3 l. 241/1990.
[26] Ciò che sosteneva il ricorrente attraverso il secondo motivo di gravame.
[27] Con il terzo motivo di ricorso veniva lamentato «cattivo esercizio del potere discrezionale da parte della P.A. sub specie di… contraddittorietà, irragionevolezza, incongruità e sproporzione dell’azione amministrativa discrezionale».
[28] Il TAR richiama, in proposito, le sentenze Cons. Stato, sez. III, 12 novembre 2014, n. 5581; TAR Piemonte, sez. I, 9 maggio 2014, n. 803; TAR Piemonte, sez. I, 27 giugno 2014, n. 1146; TAR Piemonte, sez. I, 17 giugno 2016, n. 856.
[29] Segnatamente, il GIP aveva ritenuto «in adesione alla richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, che… fossero state adottate cautele di conservazione dell’arma adeguate al parametro dell’ordinaria diligenza» (TAR Piemonte, sez. I, sent. 17 giugno 2016, n. 856).
[30] G. Bellagamba – P.L. Vigna, Armi, munizioni, esplosivi. Disciplina penale e amministrativa, 7a ed., Milano, 2008, p. 128 ss. Sulla colpa penale v., ex multis, D. Petrini, Colpa, in C.F. Grosso – M. Pelissero – D. Petrini – P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., Milano, 2017, p. 349 ss. Sull’elemento soggettivo nelle contravvenzioni v., ex multis, A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, 8a ed., Milano, 2003, pp. 317-318; D. Petrini, Dolo, in C.F. Grosso – M. Pelissero – D. Petrini – P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., Milano, 2017, p. 328.
[31] Su cui v., ex multis, D. Petrini, Principio di colpevolezza, in C.F. Grosso – M. Pelissero – D. Petrini – P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., Milano, 2017, p. 313 ss..
[32] La mancata adozione di tali cautele implica infatti il perfezionamento dell’uno o dell’altro reato in parola, che si pongono in rapporto di specialità fra loro (ex multis, Cass. Pen., sez. I, sent. 5 febbraio 2013, n. 5697 e Cass. Pen., sez. I, sent. 28 gennaio 2014, n. 3763).
[33] In tal senso, ad esempio, TAR Lazio, sez. I-ter, sent. 16 dicembre 2017, n. 12439.
[34] Ex multis, Cass. Pen., sez. Fer., sent. 4 dicembre 2018, n. 54154. Cfr. Cass. Pen., sez. I, sent. 8 maggio 2018, n. 20192 e Cass. Pen., sez. I, sent. 8 ottobre 2018, n. 44964.
[35] Cass. Pen., sez. I, 27 maggio 2004, n. 24271; nel medesimo senso, Cass. Pen., sez. I, sent. 21 gennaio 2000, n. 1868.
[36] Ex multis, Cass. Pen., sez. I, sent. 12 febbraio 2013, n. 6827; Cass. Pen., sez. I, sent. 5 febbraio 2013, n. 5697.
[37] Smentisce così l’impostazione del ricorrente, che, con il secondo motivo di gravame, deduceva la violazione dell’art. 20 l. 110/1975 nella misura in cui non impone «specifiche cautele nella detenzione di armi per i soggetti che non svolgano, a livello professionale, servizi connessi all’impiego di armi».
[38] In tal senso, ad esempio, TAR Sicilia, sez. Staccata di Catania (sez. IV), sent. 18 luglio 2016, n. 1917 (la pronuncia in questione, diversamente da quella in commento, sposa il criterio dell’ordinaria diligenza, così come enunciato dalla giurisprudenza penale di legittimità). Cfr. TAR Calabria, sez. Staccata di Reggio Calabria, sent. 17 dicembre 2018, n. 751.
[39] G. Bellagamba – P.L. Vigna, Armi, cit., p. 190.
[40] TAR Piemonte, sez. II, sent. 26 aprile 2019, n. 499.
[41] V. Art. 4, co. 2 e 3, l. 110/1975. Ai sensi di tale disposizione, il taglierino costituisce, infatti, un’arma impropria (Cass. Pen., sez. II, sent. 28 marzo 1996, n. 5488).
[42] La «non punibilità per particolare tenuità del fatto» è stata introdotta, con finalità deflattiva, dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
[43] M. Pelissero, Fatto tipico e offensività, in C.F. Grosso – M. Pelissero – D. Petrini – P. Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., Milano, 2017, p. 263.
[44] Data la fase in cui interviene, il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto è necessariamente basato su una mera «valutazione di sostenibilità in giudizio della notizia di reato rispetto ai punti relativi alla responsabilità» (G. Biondi, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 14 ottobre 2015, p. 4).
[45] P. Tonini, Manuale, cit., p. 621. Cfr. A. Mangiaracina, La tenuità, cit., pp. 3-5. In giurisprudenza, v. Cass. Pen., sez. I, ord. 6 marzo 2019, n. 9836.
A conferma di ciò, è stabilita dall’art. 411, co. 1-bis, c.p.p. La possibilità per l’indagato (oltreché per la persona offesa) di presentare opposizione alla relativa richiesta del P.M., qualora abbia «interesse ad un proscioglimento ampio» (P. Tonini, Manuale, cit., p. 622).
[46] La cui disciplina specifica è contenuta nella l. 18 giugno 1969, n. 323 («Rilascio del porto d’armi per l’esercizio dello sport del tiro a volo»).
[47] La cui non punibilità è ricavata in via interpretativa dall’art. 49, co. 2, c.p. Sull’argomento, ex multis, M. Pelissero, Fatto, cit., p. 255 ss..
[48] Cfr. Art. 131-bis, co. 1, c.p.: «la punibilità è esclusa quando… il comportamento risulta non abituale».
[49] La contravvenzione di cui all’art. 4, co. 3, l. 110/1975 è appunto integrata «… in presenza di una condotta di detenzione di un’arma fuori dalla propria abitazione o dall’appartenenza di essa in assenza di giustificazione con l’attività lavorativa espletata, unica circostanza in grado di legittimare il possesso di uno strumento da punta o da taglio atto ad offendere altrimenti vietato» (Trib. Ivrea, 7 gennaio 2014 (massima), in banca dati Pluris).
[50] Corte cost., sent. 16 dicembre 1993, n. 440 e sent. 10 febbraio 1981, n. 24.
[51] Ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. 16 gennaio 2017, n. 107.
[52] Corte cost., sent. 9 maggio 2019, n. 109.
[53] l’art. 3, co. 1, lett. E), d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104 ha modificato l’art. 43, co. 2, r.d. 773/1931, aggiungendo un’ulteriore ipotesi di possibile ricusazione della licenza di porto d’armi, concernente i «soggetti di cui al primo comma», rimasto invariato, «qualora sia intervenuta la riabilitazione».
L’intervento ha, pertanto, mitigato «la rigidità della preclusione posta dal primo comma dell’art. 43 nei confronti di chi abbia riportato condanne per i delitti ivi menzionati, ripristinando un potere discrezionale dell’autorità amministrativa nella valutazione dei presupposti della concessione della licenza di portare armi allorché il condannato abbia ottenuto la riabilitazione ai sensi dell’art. 178 del codice penale» (Corte cost., sent. 9 maggio 2019, n. 109).
La Corte ha statuito l’irrilevanza di tale modifica normativa rispetto al giudizio di costituzionalità alla sua attenzione.
[54] Ha smentito, dunque, l’orientamento adottato sul punto dal TAR Piemonte, che aveva superato in via interpretativa la preclusione posta dall’art. 43, reputando che l’amministrazione potesse concedere comunque la licenza in forza dell’attuale affidabilità del condannato (in tal senso, TAR Piemonte, sez. I, sent. 11 gennaio 2018, n. 69; sez. I, sent. 25 maggio 2018, n. 648; sez. II, sent. 29 agosto 2018, n. 976; v. In proposito G. Sobrino, Il divieto di porto d’armi a seguito di condanna penale tra interpretazione conforme, rinvio alla Corte Costituzionale ed intervento del legislatore: un altro «automatismo legislativo» “in caduta”, in Osservatorio costituzionale AIC, 2018, 3, p. 419).
[55] Nel caso del GIP, in chiave prognostica.
[56] TAR Piemonte, sez. I, sent. 5 giugno 2017, n. 701.