Edilizia sociale in Piemonte (nota a Corte costituzionale, sentenza n. 147/2024 e osservazioni sulla l.r. 2/2024)

Fabiana Santarsiero[1]

(ABSTRACT) ITA

Prendendo le mosse dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 147/2024, il presente contributo intende soffermarsi sulla discriminatorietà dei requisiti cd. di lungo residenza, più volte sancita dalla Corte stessa, per poi prendere in analisi la l.r. Piemonte 2/2024, che ha apportato modifiche alla l.r. 3/2010 (Norme in materia di edilizia sociale) e, conseguentemente, ad alcuni regolamenti attuativi della medesima legge (Regolamenti 10/R, 11/R e 12/R del 4/10/2011). Ci si soffermerà sulle principali novità introdotte dalla l.r. 2/2024 ponendo l’attenzione, in particolare, sui punteggi aggiuntivi previsti per chi ha risieduto in via continuativa sul territorio regionale per un certo numero di anni e sul requisito dell’obbligo lavorativo per i cittadini extra-UE. Di tale ultima previsione verrà, nello specifico, evidenziato il possibile contrasto con l’art. 40, co. 6, del d.lgs. 25/7/1998, n. 286 (Testo Unico Immigrazione), oltre che con alcune disposizioni di diritto dell’Unione Europea.

(ABSTRACT) EN

Taking as a starting point the ruling of the Constitutional Court no. 147/2024, this contribution intends to dwell on the discrimination of the long-term residence requirements, several times sanctioned by the Court itself. It will then be taken into account the Piedmontese r.l. 2/2024, which made changes to the r.l. 3/2010 (Rules on social housing) and, consequently, to some implementing regulations of the same law (Regulations 10/R, 11/R and 12/R of 4/10/2011). The article will focus on the main innovations introduced by r.l. 2/2024, focusing mainly on the additional points required for those who have resided continuously on the regional area for a certain number of years and the employment obligation requirement for non-EU citizens. Of this last forecast will be, in particular, highlighted the possible contrast with art. 40, co. 6, of Legislative Decree. 25/7/1998, n. 286, as well as with some provisions of European Union law.

Sommario:

1. Sentenza 147/2024: la Corte Costituzionale si pronuncia ancora sull’illegittimità dei requisiti di lungo-residenza per l’accesso all’edilizia sociale – 2. L.r. 2/2024: il Piemonte modifica la l.r. 3/2010 in senso difforme rispetto all’ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale – 3. L’ambiguità della nuova formulazione dell’art. 3, co. 1, lett. a) della l.r. 3/2010: contrasto con il Testo Unico Immigrazione? – 4. Brevi considerazioni conclusive

1. Sentenza 147/2024: la Corte Costituzionale si pronuncia ancora sull’illegittimità dei requisiti di lungo-residenza per l’accesso all’edilizia sociale

Facendo seguito ad alcune pronunce degli ultimi quattro anni[2] aventi ad oggetto previsioni analoghe contenute in altre disposizioni regionali, con la sentenza 147/2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, co. 1, lett. b), della legge della Regione Piemonte 17/2/2010, n. 3, nella parte in cui prevedeva, quale requisito per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale[3], il fatto di «avere la residenza anagrafica o l’attività lavorativa esclusiva o principale da almeno cinque anni nel territorio regionale, con almeno tre anni, anche non continuativi, all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali».

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza del 10 novembre 2023[4] nell’ambito del procedimento vertente tra l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), la Regione Piemonte e il Comune di Torino. Il ricorso presentato dall’ASGI aveva ad oggetto due diverse disposizioni della l.r. 3/2010, ossia il citato art. 3, co. 1, lett. b) ma anche la lett. c) dello stesso comma, nella parte in cui prevede che i componenti del nucleo richiedente l’accesso agli alloggi pubblici non debbano essere titolari di diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione, ad eccezione della nuda proprietà, su un alloggio ubicato in qualsiasi comune del territorio nazionale o all’estero, non esentando da tale previsione i titolari dello status di rifugiato politico o del permesso per protezione sussidiaria con riferimento all’eventuale abitazione in proprietà nel paese di origine. Su questa seconda fattispecie, tuttavia, il giudice torinese si è pronunciato con sentenza di rigetto[5], ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. Nello specifico, la motivazione della sentenza evidenzia la non condivisibilità del percorso argomentativo operato dall’associazione ricorrente per ciò che concerne la ricostruzione di alcune precedenti pronunce della Consulta[6] che non sarebbero, invece, assimilabili al caso di specie. In secondo luogo, il provvedimento sottolinea la minore restrittività della disposizione normativa piemontese rispetto a quelle oggetto di censura nei precedenti invocati dall’ASGI, facendo riferimento solo ad un alloggio «adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del decreto ministeriale 5 luglio 1975», e prevedendo «una serie di cause di esclusione della rilevanza della titolarità dell’immobile, suscettibili di interpretazione analogica e idonee, pertanto, a consentire di tener conto in concreto anche di peculiari situazioni dei titolari di protezione internazionale»[7].

Tornando alla pronuncia in analisi, va in prima battuta rilevato come il giudice delle leggi non perda occasione per ribadire il fondamentale ruolo rivestito dal diritto all’abitare nell’ordinamento italiano[8], mettendone in risalto l’accezione sociale ed evidenziando la stretta connessione tra questo diritto, il principio democratico e quello di dignità umana. E ancora, viene messa in luce la natura prescrittiva del diritto all’abitare, sottolineando che «l’edilizia residenziale pubblica (ERP) costituisce adempimento di questo dovere che la Costituzione pone in capo alla Repubblica»[9].

Nell’affrontare la specifica questione portata alla sua attenzione, poi, la Consulta pone l’accento innanzitutto sul fatto che il suo orientamento sul tema è ormai del tutto consolidato e pacifico, essendosi già pronunciata, in più occasioni e in tempi recenti, su requisiti analoghi previsti da altre leggi regionali in materia di accesso all’edilizia residenziale pubblica (il che, tuttavia, non ha evidentemente sortito l’effetto che sarebbe stato auspicabile al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni la cui discriminatorietà è stata già accertata, ossia un’attivazione da parte degli stessi legislatori regionali volta ad adeguare le proprie disposizioni in materia ai principi stabilmente affermati dalla Corte, senza attendere ulteriori sentenze puntuali).

Motivando nel merito, la Corte – riferendosi ancora esplicitamente a sue precedenti pronunce[10]– muove dal concetto di bisogno, in quanto è proprio lo stato di bisogno in cui le persone si trovano a dover orientare la possibilità per le stesse di accedere a prestazioni sociali. Il requisito della residenza prolungata su un determinato territorio di riferimento, invece, nulla dice sulla situazione di bisogno della persona, anzi, «proprio chi versa in stato di bisogno si trasferisce di frequente da un luogo all’altro in cerca di opportunità di lavoro»[11]. Le stesse riflessioni possono essere estese al requisito della pregressa attività lavorativa sul territorio: anche in questo caso, infatti, si pone un rigido presupposto di accesso all’edilizia sociale del tutto scollegato da valutazioni relative alla condizione di necessità dell’istante, oltre che, nuovamente, per nulla coerente con la natura della prestazione sociale di riferimento, in quanto «non si può non riconoscere che è proprio chi versa in stato in bisogno che è portato a trasferirsi da un luogo a un altro, in cerca di un’occupazione che possa garantire a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa»[12].

Alla luce di queste osservazioni, la Consulta afferma l’illegittimità costituzionale della previsione piemontese per violazione dell’art. 3 Cost. «sotto un triplice profilo: per intrinseca irragionevolezza, proprio perché trattasi di requisito del tutto non correlato con la funzione propria dell’edilizia sociale; perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità; e perché tradisce il dovere della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”»[13].

Va evidenziato che il requisito di lungo residenza o di previa attività lavorativa protratta sul territorio – richiesto a chiunque voglia presentare domanda di accesso agli alloggi di edilizia sociale – risulta, nei fatti, maggiormente discriminatorio nei confronti dei cittadini extra-UE[14]. Statisticamente, infatti, è possibile riscontrare un tasso di mobilità interno decisamente più elevato fra le persone straniere: «in termini relativi, i tassi di mobilità interna evidenziano per gli stranieri una propensione a spostarsi superiore al doppio di quella dei cittadini italiani. Nell’ultimo decennio, mediamente, il tasso di mobilità interna dei cittadini italiani è stato del 20,7 per mille, contro il 49,0 per mille degli stranieri»[15].

Deve ancora essere sottolineato che, rispetto ad altre disposizioni regionali già scrutinate dalla Corte, quella piemontese risulta ulteriormente restrittiva, vista la specifica per cui, dei cinque anni di residenza in Piemonte, almeno tre – seppure non continuativi – debbano essere stati spesi «all’interno dell’ambito di competenza degli enti gestori delle politiche socio-assistenziali». La pronuncia, su questo punto, mette in luce che la conseguenza è un trattamento ancora più discriminatorio, in quanto «a venire trattati in maniera ingiustificatamente indifferenziata, infatti, finiscono per essere anche soggetti già radicati sul territorio regionale, ma che tuttavia siano residenti o svolgano attività lavorativa in un ambito territoriale diverso da quello in cui sono avviate le procedure per l’assegnazione dell’alloggio sociale, così comprimendosi addirittura all’interno della stessa Regione, e in maniera del tutto casuale, la libertà di circolazione di persone in stato di bisogno»[16].

Volendo proseguire nell’analisi della sentenza 147/2024, la Corte si sofferma anche sulla non condivisibilità del rilievo per cui la previsione sulla residenza protratta sarebbe giustificata dal fatto di essere sintomatica della garanzia di radicamento sul territorio. Innanzitutto, non si ritiene che tale condizione del passato possa essere garanzia di una stabilità di permanenza nel futuro, infatti, come già affermato in una precedente pronuncia, «la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il “rischio di instabilità” del beneficiario dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di permanenza per il futuro»[17]. In secondo luogo, viene evidenziato che pure ulteriori indici più idonei a fondare una «prognosi di stanzialità»[18], come l’anzianità di presenza in graduatoria dell’istante, sarebbero legittimamente prevedibili solo nel caso in cui mantenessero «un carattere meno rilevante rispetto alla necessaria centralità dei fattori significativi della situazione di bisogno alla quale risponde il servizio, quali sono quelli che indicano condizioni soggettive e oggettive dei richiedenti»[19].

In conclusione, i giudici costituzionali evidenziano la fallacia delle argomentazioni difensive portate dalla Regione Piemonte, fondate sull’invocata specificità che caratterizzerebbe la normativa piemontese rispetto a quelle delle altre regioni già oggetto di censura da parte della Corte, e che sarebbe da ricondurre all’art. 10, co. 5, della l.r. 3/2010. Tale disposizione prevede che «In presenza di situazioni di emergenza abitativa per cui sussistono condizioni di particolare urgenza accertate dal comune, quest’ultimo procede, anche in deroga al possesso dei requisiti di cui all’articolo 3, purché nell’ambito della quota di riserva di cui al comma 1, a sistemazioni provvisorie che non possono eccedere la durata di due anni, non prorogabili o rinnovabili. In tal caso l’ente gestore stipula con l’assegnatario una specifica convenzione a termine». La sentenza ribadisce che quanto affermato circa il dovere assegnato alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono ad alcune persone di vedere garantito il proprio diritto all’abitazione tramite il sistema di edilizia residenziale pubblica, è da intendersi in riferimento a ogni persona che si trovi sul territorio e che sia impossibilitata ad accedere al mercato privato delle locazioni, così vedendo leso il proprio diritto. In sostanza, il fatto che la platea dei potenziali beneficiari di alloggi ERP sia variegata e al suo interno talune situazioni siano talmente gravi da poter essere classificate come di “emergenza abitativa”, non deve certamente condurre a ritenere che coloro che non rientrano tra questi ultimi non versino comunque in una situazione di bisogno che, come detto, deve essere il fattore principale e preminente nella regolamentazione dell’accesso agli alloggi ERP.

Inoltre, come sottolineato dalla Corte, la citata disposizione regionale ha un margine di applicazione ancora più ristretto, infatti la possibilità di derogare ai requisiti di cui all’art. 3 della l.r. 3/2010 (tra cui quello della residenza o dell’attività lavorativa protratta) non si applica a tutte le situazioni qualificabili come emergenza abitativa – i cui contorni sono definiti dal regolamento di cui all’art. 2, co. 5, della l.r. 3/2010 – in quanto, ai sensi dell’art. 10, co. 2, della stessa legge, «per le assegnazioni degli alloggi effettuate su riserva ai sensi del comma 1 devono comunque sussistere i requisiti prescritti all’articolo 3». In sostanza, quindi, la deroga sarebbe configurabile solamente qualora, nell’ambito di fattispecie già qualificate come di emergenza abitativa, il comune ritenesse sussistere ulteriori condizioni di particolare urgenza ed, inoltre, una siffatta valutazione potrebbe in ogni caso condurre, al massimo, ad una sistemazione provvisoria non eccedente i due anni, non prorogabili o rinnovabili.

2. L.r. 2/2024: il Piemonte modifica la l.r. 3/2010 in senso difforme rispetto all’ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale

Mentre in Corte Costituzionale pendeva il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, lett. b), l.r. 3/2010, conclusosi, come prevedibile, nel senso sopraindicato, il Consiglio regionale del Piemonte approvava la legge 27/2/2024, n. 2, avente ad oggetto «Modifiche alla legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale) e ulteriori disposizioni».

Le modifiche apportate da tale testo normativo alla l.r. 3/2010 hanno interessato diverse previsioni, di seguito verranno analizzate quelle principali.

È stata aggiunta la lett. c bis) al comma 5 dell’art. 2, che si occupa di indicare le tipologie di alloggi tra cui possono essere individuati, con regolamento della Giunta regionale, quelli esclusi dall’applicazione della legge 3/2010. La disposizione prevede tra le tipologie di alloggi anche quelli che «gli enti proprietari intendono destinare alle forze dell’ordine per il raggiungimento di specifiche finalità atte a garantire la sicurezza e il presidio sul territorio». In un contesto di enorme scarsità di alloggi di edilizia sociale assegnabili, come desumibile dai dati relativi al numero di domande di partecipazione ai bandi per le assegnazioni di alloggi di edilizia sociale che restano insoddisfatte[20] – precisando che tali dati costituiscono indubbiamente una stima in positivo rispetto al reale fabbisogno abitativo se si considera il numero di persone, pur bisognose di un alloggio, non presenti in graduatoria perché non in possesso di alcuni requisiti formali o coloro che, per varie ragioni, non partecipano ai bandi – tale previsione privilegia non meglio precisate esigenze di “sicurezza” e “presidio del territorio” in luogo del diritto sociale all’abitazione.

Sono, poi, state apportate modifiche all’art. 3, co. 1, lett. a), che verranno approfondite nel successivo paragrafo, e alla lett. c) del medesimo comma, norma quest’ultima che si occupa dei diritti reali immobiliari dei componenti del nucleo che intende presentare istanza di accesso ai bandi per le assegnazioni di alloggi di edilizia sociale. Nello specifico, la versione previgente della disposizione prevedeva che i componenti del nucleo non dovessero essere titolari «complessivamente, di diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione, ad eccezione della nuda proprietà, su un alloggio ubicato in qualsiasi comune del territorio nazionale o all’estero adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del decreto ministeriale 5 luglio 1975» e faceva salve alcune casistiche (inagibilità accertata, procedura di pignoramento, assegnazione giudiziale o tramite accordo omologato dell’alloggio all’altro coniuge/parte dell’unione civile/convivente). La formulazione novellata continua a contemplare le medesime casistiche di eccezione, tuttavia prevede che i componenti del nucleo non debbano essere titolari, complessivamente, dei medesimi diritti reali ma su «un alloggio ubicato in qualsiasi comune del territorio nazionale adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del decreto ministeriale 5 luglio 1975 […] o all’estero nello Stato di nazionalità». Salta subito all’occhio il potenziale carattere discriminatorio della previsione che, nella sostanza, consentirebbe ad un italiano proprietario di un alloggio, ad esempio, in Egitto, di accedere all’edilizia sociale in Piemonte, mentre escluderebbe un egiziano che dovesse trovarsi nella medesima situazione. Va inoltre ribadita, ancora, la centralità della nozione di bisogno, che si ripropone anche in quest’ambito in quanto la necessità dell’istante di accedere ad un alloggio di edilizia sociale è strettamente connessa alla localizzazione di tale alloggio e alla conseguente concreta possibilità di disporne. È evidente che lo stesso concetto di adeguatezza, riferito ad un alloggio, debba contemplare anche una valutazione sull’ubicazione dello stesso, in quanto il solo fatto che il nucleo richiedente sia titolare di diritti reali su immobili siti nel paese di provenienza «non dimostra nulla circa l’effettivo bisogno di un alloggio in Italia»[21]. E nemmeno varrebbe a giustificare detta distinzione tra cittadini UE ed extra-UE un ragionamento in termini di ricchezza patrimoniale dell’istante extraeuropeo che dovesse essere titolare di diritti reali su un alloggio nel paese di provenienza, in quanto l’eventuale ricaduta economica di tali diritti sul patrimonio della persona verrebbe già presa in considerazione nell’ambito dell’attestazione ISEE, che contempla anche gli immobili posseduti all’estero. Pertanto, se la proprietà di detto alloggio comportasse importanti ricadute economiche sul nucleo tali da far dubitare dell’opportunità di un ingresso dello stesso nel circuito dell’edilizia residenziale pubblica (ben potendo rivolgersi al mercato privato delle locazioni), questo elemento emergerebbe già nell’ambito dei requisiti economici richiesti per la partecipazione al bando.

Un’ulteriore modifica ha riguardato l’art. 3, co. 1, lett. g): tale disposizione prevedeva, tra i requisiti per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale, il fatto di «non essere occupante senza titolo di un alloggio di edilizia sociale», a seguito dell’intervento normativo del febbraio 2024, invece, la lett. g) recita «non essere occupante senza titolo di un alloggio di edilizia sociale e non esserlo stato nei dieci anni precedenti». La Regione ha inteso inasprire le conseguenze derivanti dalle occupazioni abusive degli alloggi sociali, decisione che ben si inserisce nel quadro delle riforme nazionali, in particolare si fa riferimento al disegno di legge cd. sicurezza (A.C. 1660, A.S. 1236)[22] che prevede, tra le altre cose, l’introduzione nel codice penale di una fattispecie di reato, l’art. 634 bis, rubricata «Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui». Precisando che non si intende, in questa sede, disconoscere la rilevanza penale delle occupazioni abusive, è indubbio che rispondere con la criminalizzazione e l’inasprimento delle pene a quello che è evidentemente un fenomeno sociale di enorme rilevanza, significa non affrontare la questione tramite gli strumenti che dovrebbero essere a tal fine deputati nell’ambito di uno stato sociale, ossia politiche abitative attive, interventi ed investimenti che si facciano carico di riequilibrare ciò che il libero mercato ha reso, senza dubbio, una questione drammaticamente catastrofica[23].

E ancora, la l.r. 2/2024 è intervenuta a modifica dell’art. 8, co. 1, della l.r. 3/2010, introducendo le lettere t bis) e t ter). L’art. 8 si occupa di individuare le condizioni sociali, economiche ed abitative in presenza delle quali, tramite apposito regolamento della Giunta regionale, vengono attribuiti i punteggi ai richiedenti. Nello specifico, la lettera t bis) prevede punteggi aggiuntivi per i «richiedenti che risiedono o hanno risieduto in via continuativa nel territorio regionale da o per almeno quindici, venti o venticinque anni» e la lettera t ter) per i «nuclei monogenitoriali con presenza di figli minori». Quella che suscita maggiori perplessità è indubbiamente la lettera t bis), in quanto troviamo ancora una volta previsioni legate alla lungo residenza, con la differenza che in questo caso non si tratta di requisiti previsti per l’accesso all’edilizia sociale ma di condizioni che consentono l’ottenimento di un punteggio più alto e quindi un migliore posizionamento in graduatoria. Per quanto, indubbiamente, inibire in radice l’accesso ai bandi è certamente più grave, anche l’attribuzione di un punteggio più elevato per una determinata condizione, non direttamente sintomatica della situazione di bisogno del nucleo richiedente, suscita fondati dubbi circa la legittimità della previsione. Detta legittimità è da indagare, appunto, sotto il profilo della coerenza tra la motivazione per cui viene assegnato il punteggio e il fine perseguito dalla stessa previsione, da riscontrare evidentemente in un meccanismo “premiale” della fedeltà al territorio, il che originerebbe non poche perplessità, o nella garanzia di una permanenza futura nel territorio regionale, su cui va ribadito quanto già osservato sopra. Nel ragionare della bontà in questi termini della previsione in analisi, un certo valore può essere attribuito all’effettiva consistenza di tale condizione di priorità, e ciò richiamando ancora una volta il percorso argomentativo seguito dalla Corte costituzionale nella sentenza 9/2021[24] e a vario modo ribadito in pronunce successive. In particolare, la Consulta ritiene che la disposizione vada «valutata all’interno del sistema costituito dalle norme che stabiliscono i punteggi da assegnare ai richiedenti in ragione delle loro condizioni soggettive e oggettive, e da quelle che definiscono i requisiti di accesso al servizio»[25]. A questo fine deve farsi riferimento al regolamento che attua concretamente l’art. 8 della l.r. 3/2010, ossia il n. 10 del 4/10/2011 (come modificato dai regolamenti 8/2022 e 1/2024). La versione novellata del regolamento recepisce le modifiche di cui all’art. 8, co. 1, lett. t bis), l.r. 3/2010 prevedendo l’assegnazione di 5 punti per i richiedenti che risiedono nel territorio regionale da almeno 25 anni (Soc08.1.a), 4 punti da almeno 20 anni (Soc08.1.b) e 3 punti da almeno 15 (Soc08.1.c). Confrontando le varie tabelle contenenti i punteggi (allegate al regolamento), si può notare come, ad esempio, per le condizioni economiche il massimo punteggio attribuibile sia pari a 3 (Econ01), nel caso di ISEE inferiore al 30% del limite di accesso all’edilizia sociale (quindi anche in caso di ISEE pari a zero); per le condizioni sociali è prevista l’attribuzione di un solo punto nel caso di nuclei familiari composti da 5 o più persone (Soc06), stessa cosa per i richiedenti che siano titolari di pensione o assegno sociale (Soc08), 3 punti per i «richiedenti che abbiano superato il sessantacinquesimo anno di età, vivano soli o in coppia quali coniugi o conviventi more uxorio, entrambi non esercitanti alcuna attività lavorativa, anche se con uno o più minori a carico» (Soc09). Tra le condizioni abitative che danno diritto a un punteggio vediamo l’attribuzione di 3 punti per coloro che «abitino con il proprio nucleo in un alloggio le cui dimensioni, con esclusione della cucina, o dell’angolo cottura non superiore a 4 metri quadrati, e dei servizi igienici, siano inferiori a 10 metri quadrati per ciascun componente» (Abit01), e diventano 2 punti nel caso in cui i metri quadrati per componente siano inferiori a 14 (Abit02); un solo punto è riconosciuto a chi abiti «da almeno due anni con il proprio nucleo, composto da almeno due unità, in uno stesso alloggio con altro o più nuclei, anch’essi composti da almeno due unità» (Abit03); sempre un punto è attribuito ai «richiedenti che abitino con il proprio nucleo in alloggio il cui stato, certificato dal Comune, sia considerato scadente, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d), della L.R. n. 3/2010» (Abit07), 3 punti a coloro che vivano in abitazioni con servizio igienico incompleto, esterno all’abitazione o in comune con altre famiglie (Abit06), 4 punti per chi viva «con il proprio nucleo da almeno due anni in baracche, stalle, seminterrati, centri di raccolta, o in altri locali impropriamente adibiti ad abitazione e privi di servizi igienici propri regolamentari, quali soffitte e simili» (Abit05). Delle 32 previsioni indicanti le condizioni cui fa seguito l’attribuzione di punteggi, solamente 6 assegnano il punteggio più elevato pari a 5, potenzialmente superabile in un solo caso, identificato come Soc10, in cui, ai 3 punti ordinariamente riconosciuti in caso di presenza nel nucleo di invalidi con percentuale di invalidità compresa tra l’80 e il 100% – ovvero di altre condizioni di invalidità specificamente indicate – se ne può aggiungere un altro se le condizioni di invalidità sussistano per più di un componente del nucleo, altri 2 in caso di presenza di barriere architettoniche comportanti per il disabile concreto impedimento di accesso all’alloggio, e ancora 2 se la persona con disabilità sia un ultrasessantacinquenne o un minorenne. Delle 6 casistiche per cui vi sono 5 punti assegnabili, come detto, una è la permanenza ultraventicinquennale sul territorio regionale, un’altra riguarda i «richiedenti che debbano lasciare strutture penitenziarie, altre strutture ospitanti o famiglie affidatarie per raggiunti limiti di età, conclusione del programma terapeutico, scadenza dei termini previsti da convenzioni con soggetti pubblici o privati per la permanenza in locali concessi a titolo temporaneo» (Soc01), e le rimanenti concernono condizioni abitative: nuclei risiedenti da almeno due anni in dormitori pubblici (Abit04), «richiedenti che debbano abbandonare l’alloggio a seguito di ordinanze di sgombero o per motivi di pubblica utilità o per esigenze di risanamento edilizio, risultanti da provvedimenti emessi dall’autorità competente non oltre tre anni prima della data di pubblicazione del bando» (Abit08), coloro che «debbano abbandonare l’alloggio a seguito di monitoria di sgombero conseguente a sentenza esecutiva di sfratto o di decreto di trasferimento conseguente a procedura esecutiva immobiliare o di rilascio dell’abitazione coniugale a seguito di sentenza di assegnazione all’altro coniuge» (Abit09) o, infine, «coniugi legalmente separati o divorziati che, a seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, hanno lasciato da non più di un anno la casa coniugale in cui risiedono i figli, anche se di proprietà dei medesimi coniugi o ex coniugi e sono obbligati al versamento dell’assegno di mantenimento dei figli e non sono assegnatari o comunque non ne hanno la disponibilità» (Abit12). È evidente che la lungo residenza è equiparata, a livello di punteggio assegnato, a condizioni ben più sintomatiche della situazione di bisogno dell’istante, riguardanti casistiche in cui vi è l’urgenza che la persona e il suo nucleo familiare si allontanino forzatamente dal luogo in cui risiedono attualmente o in cui hanno abitato fino a poco tempo prima. Al contrario, ulteriori previsioni da cui è possibile desumere lo stato di necessità di chi richiede l’accesso ad alloggi di edilizia sociale comportano l’attribuzione di un punteggio più basso, si pensi ai richiedenti già inseriti in precedenti graduatorie – il che, chiaramente, è sintomo del persistere della condizione di bisogno – che si vedono attribuito un punto per ogni graduatoria, fino a un massimo di tre, oppure a coloro che vivono in alloggi scadenti (Abit07), con servizi igienici incompleti (Abit06) oppure in baracche, stalle o altri locali impropriamente adibiti ad abitazione (Abit05), che presumibilmente non hanno i mezzi per trovare un’abitazione adeguata, a cui sono riconosciuti rispettivamente 1, 3 e 4 punti[26].

Alla luce di quanto osservato, si ritiene che emerga con chiarezza la potenziale illegittimità dell’art. 8, co. 1, lett. t bis), l.r. 3/2010, così come attuato dal regolamento regionale n. 10 del 4/10/2011, considerato che tale disposizione privilegia nell’accesso all’edilizia sociale alcune categorie di persone non perché concretamente più bisognose ma in ragione di un altro criterio premiale, che si sostanzia nel fatto di aver «scelto di fare del Piemonte la propria terra»[27] che, pacificamente, nulla ha a che vedere con la natura e gli obiettivi dell’edilizia sociale.

3. L’ambiguità della nuova formulazione dell’art. 3, co. 1, lett. a) della l.r. 3/2010: contrasto con il Testo Unico Immigrazione?

Come anticipato nel paragrafo precedente, le modifiche introdotte dalla l.r. 2/2024 hanno interessato anche l’art. 3, co. 1, lett. a), l.r. 3/2010, disposizione che prevede il primo tra i requisiti elencati per l’ottenimento dell’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale. Antecedentemente alla modifica il testo recitava «essere cittadino italiano o di uno Stato aderente all’Unione europea o cittadino di uno Stato non aderente all’Unione europea, regolarmente soggiornante in Italia in base alle vigenti normative in materia di immigrazione, o essere titolare di protezione internazionale di cui all’ articolo 2 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 […]», ad oggi, invece, è così formulato «essere cittadino italiano o di uno Stato aderente all’Unione europea. Il cittadino di uno Stato non aderente all’Unione europea è ammesso se regolarmente soggiornante in Italia in base alle vigenti normative in materia di immigrazione e svolge una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, ai sensi dell’articolo 40, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 […], o è titolare di protezione internazionale di cui all’ articolo 2 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 […]».

L’intervento normativo ha riguardato, nello specifico, i cittadini extra-UE non titolari di protezione internazionale, subordinando il loro accesso all’edilizia sociale al possesso di una regolare attività lavorativa subordinata o autonoma.

La formulazione della disposizione, tuttavia, appare poco chiara, dal momento che sembra estendere il requisito lavorativo a tutte le persone con cittadinanza extra-UE (con l’eccezione dei titolari di protezione internazionale) ma, allo stesso tempo, rimanda all’art. 40, co. 6, del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (cd. TUI). La citata disposizione del TUI, a differenza di quella piemontese, opera una differenziazione sulla base della tipologia di permesso di soggiorno: le condizioni di accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica sono del tutto parificate a quelle dei cittadini italiani per coloro che sono titolari di carta di soggiorno (che ora è il permesso di soggiorno di lungo periodo), mentre il possesso di una regolare attività lavorativa è richiesto in capo ai titolari di permesso di soggiorno almeno biennale.

Consultando ulteriori atti, come il modulo denominato “Domanda tipo 2024”[28] predisposto dalla Regione Piemonte per facilitare e uniformare l’attività dei Comuni che direttamente si occupano dell’indizione dei bandi e della conseguente raccolta delle domande, si può appurare facilmente che la formulazione novellata dell’art. 3, co. 1, lett. a), l.r. 3/2010, nonostante il richiamo all’art. 40, co. 6, TUI, si propone in realtà di essere più restrittiva di detta disposizione. Nello schema di domanda tipo, infatti, il requisito dell’attività lavorativa è richiesto espressamente a tutti i cittadini extra-UE, non prevedendo alcuna differenziazione sulla base del tipo di permesso di soggiorno posseduto dall’istante.

Evidenziato ciò, non si comprende con chiarezza quale fosse l’intenzione del legislatore piemontese nel prevedere un requisito più stringente rispetto a quanto indicato nel TUI, salvo poi reinviare al medesimo testo unico (utilizzando proprio la locuzione «ai sensi del…»), come se la frase precedente fosse una mera esplicitazione di quanto già contenuto nell’art. 40, co. 6, TUI. Il testo regionale, inoltre, parifica a quelle degli italiani le condizioni di accesso agli alloggi dei titolari di protezione internazionale, rimandando al d.lgs 19/11/2007, n. 251. Lo stesso d.lgs 251/2007, tuttavia, all’art. 29, co. 3 ter, rimanda a sua volta ai «benefici relativi all’alloggio previsti dall’articolo 40, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» estendendoli, appunto, ai titolari dello status di rifugiato e di protezione internazionale. Considerato che la l.r. 3/2010, così come riformulata, effettivamente esclude i titolari di protezione internazionale dalla più ampia categoria di cittadini extra-UE a cui è richiesto di prestare attività lavorativa, richiamando in proposito il d.lgs 251/2007, si può dedurre che il legislatore regionale sia consapevole (come dovrebbe essere ovvio) del fatto che l’attività lavorativa sia richiesta dall’art. 40, co. 6, TUI, solo per talune categorie di cittadini extracomunitari – ossia coloro che hanno un permesso di soggiorno almeno biennale -, altrimenti avrebbe interpretato diversamente il rimando che l’art. 29, co. 3 ter, d.lgs 251/2007, fa alla più volte citata disposizione del TUI, non esentando le persone in possesso dello status di protezione internazionale dal requisito lavorativo.

Ciò che si intende dire, quindi, è che la novella in commento apportata dalla l.r. 2/2024 appare oltremodo confusionaria sul punto, e si fa davvero fatica a comprendere quale possa essere stato il ragionamento seguito dal legislatore piemontese, ossia se egli abbia inteso derogare all’art. 40, co. 6, TUI – ritenendo perciò di poter aggirare le regole generali in tema di riparto di competenze e fonti del diritto – oppure se non abbia compreso appieno il dettato dello stesso comma, il che tuttavia risulta difficile da immaginare dal momento che una breve ricerca giurisprudenziale e dottrinale sarebbe stata sufficiente a sciogliere eventuali dubbi[29].

In merito alla tematica dell’accesso all’edilizia sociale per i cittadini extra-UE, in ogni caso, è opportuno fornire un inquadramento normativo generale[30].

La materia, come anticipato, è regolata dall’art. 40, co. 6, TUI, che riconosce l’accesso in condizioni di parità con i cittadini italiani ai cittadini extra-UE in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo e a coloro che hanno un permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o autonomo. Tra le disposizioni interne sull’argomento va anche richiamato il d.lgs 251/2007, cui si è già fatto cenno, il cui art. 29, co. 3 ter, estende l’accesso ai benefici relativi all’alloggio di cui all’art. 40, co. 6, TUI, anche ai titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, in condizioni di parità con i cittadini italiani. E ancora deve farsi riferimento all’art. 43, co. 2, lett. c), TUI, avente ad oggetto «Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», che sancisce la discriminatorietà del comportamento di chiunque «imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità».

Nel quadro delle fonti sovranazionali vanno citate quantomeno tre direttive europee: la 2003/109/CE, la 2004/38/CE e la 2011/98/UE[31]. La prima prevede, all’art. 11, parità di trattamento del soggiornante di lungo periodo rispetto ai cittadini nazionali per quanto riguarda, tra le altre cose, l’ottenimento di un alloggio. La seconda, all’art. 24, riconosce parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali a coloro che siano familiari di cittadini UE, non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro ma siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. L’ultima, invece, parifica, all’art. 12, co. 1, lett. g), le condizioni per l’ottenimento di un alloggio dei cittadini extra-UE titolari del cd. permesso unico lavoro a quelle dei cittadini nazionali.

Alla luce di tale contesto normativo, dunque, la previsione dell’art 40, co. 6, TUI, risulta parzialmente irrispettosa del diritto dell’Unione Europea, dal momento che richiede, per coloro che non sono in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo, gli ulteriori requisiti della biennalità del permesso e del possesso di un’attività lavorativa, cosa che, quantomeno per le altre categorie di cittadini extra-UE menzionate nell’ambito delle direttive europee (i possessori di permesso unico lavoro e i familiari di cittadini UE titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente) è vietato dallo stesso diritto UE che, appunto, impone la loro parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali.

Essendo pacifico che il diritto dell’Unione Europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, riveste un ruolo di preminenza rispetto al diritto nazionale (con l’ovvio riferimento ai cd. controlimiti), e che anche tutte le Amministrazioni Pubbliche sono tenute a rispettarlo, se del caso derogando alle disposizioni interne che contrastino con lo stesso[32], ancora di più appaiono poco condivisibili, da un punto di vista della legittimità giuridica, talune delle modifiche apportate dalla l.r. 2/2024. Come sopra ricostruito, infatti, la legge piemontese introduce espressamente un requisito, quello dell’attività lavorativa in capo ai cittadini extra-UE – pur da tempo vigente nell’ambito del TUI ma, di fatto, precedentemente non applicato nella Regione – che appare in contrasto con le direttive UE. Non solo, la Regione Piemonte, infatti, restringe ancora il campo rispetto all’art. 40, co. 6, TUI, ponendosi così apertamente in contrasto pure con detta normativa nazionale.

È opportuno, sempre in riferimento al requisito dell’attività lavorativa, fare un’altra osservazione sulla l.r. 3/2010. Tale legge regionale, all’art. 10, co. 1, prevede che «I comuni sono autorizzati ad assegnare un’aliquota non eccedente il 25 per cento, arrotondata all’unità superiore, degli alloggi che si rendono disponibili su base annua, al di fuori delle graduatorie di cui all’articolo 5, per far fronte alle situazioni di emergenza abitativa previste con il regolamento di cui all’articolo 2, comma 5. I comuni ad alta tensione abitativa sono autorizzati ad assegnare un’ulteriore aliquota non eccedente il 25 per cento degli alloggi che si rendono disponibili su base annua, di cui almeno la metà per far fronte alla sistemazione di nuclei familiari soggetti a sfratto esecutivo» e il co. 2 specifica che, anche per tali assegnazioni, devono comunque sussistere i requisiti di cui all’art. 3 della medesima l.r. 3/2010. Il regolamento regionale n. 12 del 4/10/2011, all’art. 6, dettaglia quali sono le situazioni considerate di emergenza abitativa e, al co. 1, lett. a), fa riferimento ai nuclei che «sono assoggettati a procedure esecutive di sfratto o a decreto di trasferimento conseguente a procedura esecutiva immobiliare o a rilascio dell’abitazione coniugale a seguito di sentenza di assegnazione all’altro coniuge».

È chiaro che il requisito dell’attività lavorativa che deve sussistere ai fini dell’assegnazione di un alloggio a un cittadino extra-UE si pone potenzialmente in contrasto con la citata disposizione regolamentare, in quanto la gran parte delle procedure di sfratto che vengono eseguite è relativa a procedure di sfratto per morosità[33] e, statisticamente, quando si giunge a tale situazione è proprio a causa della perdita del lavoro (infatti, molti regolamenti comunali che dettagliano le casistiche di emergenza abitativa, specificano le eventualità in cui uno sfratto per morosità possa essere considerato incolpevole e dunque condurre all’assegnazione di un alloggio in emergenza abitativa, e la perdita del lavoro è – condivisibilmente – sempre menzionata tra queste[34]). Pertanto, quello che potrebbe accadere nella pratica è che una persona si trovi in una condizione qualificabile come di emergenza abitativa, che le consentirebbe di ricevere l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale seguendo una strada preferenziale rispetto alle assegnazioni a seguito di bando pubblico, anche con tempistiche molto più ristrette, ma, allo stesso tempo, non possa divenire assegnataria in quanto manchevole di uno dei requisiti di cui all’art. 3, l.r. 3/2010, ossia il possesso di un’attività lavorativa che, assurdamente, è il medesimo requisito che la collocherebbe in una posizione di priorità rispetto ad altre persone, comunque in situazione di bisogno, ma che non si trovano in condizione di emergenza abitativa ai sensi delle disposizioni citate.

4. Brevi considerazioni conclusive

Il quadro sopraesposto conduce necessariamente a fare alcune riflessioni più generali sul tema dell’abitare. Sono ormai moltissimi e di varia natura i dati che evidenziano l’enorme crisi abitativa che l’Italia, insieme a tanti altri paesi, sta attraversando. Nonostante ciò, la questione non pare essere seriamente al centro dell’agenda politica nostrana, il che risulta estremamente grave in considerazione della fondamentale importanza rivestita dal diritto sociale all’abitazione nell’ordinamento giuridico italiano, più volte sottolineata dalla Corte Costituzionale[35], oltre che dello stretto collegamento che c’è tra la garanzia del diritto all’abitare e la soddisfazione di diversi altri diritti fondamentali della persona, come quello alla salute, all’istruzione, al riposo dall’attività lavorativa, alla costruzione di una vita familiare, all’inviolabilità del domicilio e ai molti altri ancora che si potrebbero citare, tra l’altro tutti propedeutici in qualche modo a favorire la partecipazione di ogni persona alla vita comunitaria, conferendo così concretezza a una delle principali estrinsecazioni del principio democratico e di sovranità popolare, posto alla base della Costituzione italiana.

Il fenomeno abitativo, al pari di quello migratorio, mette in luce la fallacia della visione che tende ad affrontarlo e gestirlo sull’onda dell’emergenza, con strumenti circoscritti quali bonus o ulteriori misure cd. una tantum, in luogo di introdurre politiche e interventi strutturali. Il dato di realtà, a prescindere dal credo politico di ciascuno, impone di prendere atto della circostanza che le migrazioni, da sempre, caratterizzano la specie umana, e che la crisi climatica, economica e conseguentemente sociale non possono che acuire questa naturale tendenza. Preso atto di ciò e appurato che il diritto di fare ingresso nel territorio di un altro paese non può che essere l’altra faccia della medaglia del diritto umano a migrare, muoversi, spostarsi[36], si coglie il totale anacronismo di interventi normativi come quello piemontese. Ostacolare le persone migranti – usando tale termine in senso ampio, ossia comprendendo anche coloro che migrano semplicemente da una città all’altra o da una regione all’altra nell’ambito dello stesso stato -, impedendo loro di trovare soluzioni abitative minimamente adeguate e dignitose, pare una strategia frutto di una visione del mondo miope e limitata, incapace di fare i conti, in prima battuta, con le conseguenze di un sistema economico e finanziario globale, di stampo neoliberista, che sulla scia della massimizzazione del profitto ha devastato ecosistemi, imposto condizioni di lavoro disumane e, nei fatti, costretto intere popolazioni ad abbandonare la propria terra di origine.

In un tale contesto il diritto all’abitare, come altri diritti fondamentali (in prima istanza la salute, ma anche l’istruzione, la dignità, l’uguaglianza, i classici diritti di libertà, il diritto alla pace, a vivere in un ambiente salubre, solo per citarne alcuni), difficilmente può essere garantito e protetto se si continua a ragionare in termini strettamente nazionali, figurarsi, addirittura, regionali. Si intende dire, banalmente, che la realtà è drasticamente mutata rispetto a quella che caratterizzava il periodo storico in cui sono sorte le costituzioni rigide nazionali le quali, in misura maggiore o minore, hanno in prima battuta riconosciuto e conseguentemente fornito strumenti di tutela ai diritti menzionati. La consapevolezza di ciò non può che condurre a riflettere in maniera differente, in direzione diametralmente opposta rispetto a quella che emerge dalle disposizioni regionali analizzate sopra, ossia ampliando i confini anziché irrigidendoli, sino a completamente abbatterli quando si tratta, appunto, di principi e diritti la cui essenza viene nei fatti tradita dalla territorialità. È di questo che tratta Luigi Ferrajoli parlando di «Costituzione della Terra[37]», presupponendo una concezione del costituzionalismo, contrapposta a quella schmittiana, secondo cui «la Costituzione va intesa, hobbesianamente, come un patto di convivenza pacifica tra differenti e uguali: un patto di non aggressione con cui si conviene la tutela e il rispetto di tutte le differenze personali di identità e, al tempo stesso, un patto di mutuo soccorso con cui si evince la riduzione delle eccessive disuguaglianze economiche e materiali»[38]. Sulla base di questa visione, la disomogeneità tra i popoli della Terra, che sarebbero invece il popolo di riferimento della Costituzione globale, non pare di ostacolo alla realizzazione della stessa, anzi, «quanto più profonde, eterogenee e conflittuali sono le differenze personali che essa ha il compito di tutelare e quanto più vistose, visibili e intollerabili sono le disuguaglianze materiali che essa è chiamata a rimuovere o a ridurre»[39], tanto più la sua realizzazione è «legittima, necessaria e urgente»[40]. In sostanza, per fornire un vero riconoscimento e una concreta garanzia a taluni diritti, tra cui indubbiamente quello all’abitare, nel contesto storico, economico e sociale di riferimento, che è globale, altrettanto globali devono essere gli strumenti utilizzati, essendo evidente l’incapacità dello stato nazionale sovrano di affrontare le sfide che si sono poste e continuano a porsi. Di nuovo, perciò, slogan come «prima i piemontesi» in tema di accesso all’edilizia sociale appaiono fortemente fuori contesto oltre che palesemente discriminatori.

Infine, si ritiene che una declinazione differente andrebbe data anche al tanto abusato concetto di «sicurezza», che nella narrazione comune viene spesso associato alle migrazioni o, pensando specificamente all’abitare, ad altri fenomeni come le occupazioni abusive, con l’obiettivo di intensificare la criminalizzazione di detti fenomeni sociali. Di sicurezza si dovrebbe parlare, invece, in altro senso[41]: la sicurezza di avere una casa dove poter riposare, mangiare, lavarsi e sviluppare la propria personalità e, ancora, la sicurezza di avere non una casa qualsiasi ma un’abitazione dignitosa, salubre, che non faccia ammalare, che garantisca il rispetto dei bisogni essenziali di ogni persona, e che sia inserita in un contesto cittadino ove vi siano mezzi pubblici, servizi, scuole, ospedali, in sostanza ciò che conduce a parlare non solo di diritto alla casa ma di vero e proprio diritto all’abitare.

Traendo le conclusioni, quindi, si è cercato di mettere in luce che il diritto all’abitare rientra a pieno titolo tra i diritti sociali fondamentali, come tale spettante a ogni persona umana, e che i continui tentativi da parte dei governi regionali, nel caso di specie quello piemontese, di ostacolare l’accesso all’edilizia sociale a coloro che non hanno risieduto con continuità nel territorio di riferimento appaiono poco consapevoli del mondo reale oltre che illegittimi, perché discriminano, come detto, sulla base di aspetti che nulla hanno a che vedere con la finalità del servizio sociale di riferimento. Ciò che si auspica, pertanto, è che si diffonda a livello politico una reale consapevolezza sul tema abitativo, che conduca a mettere in campo misure strutturali, solide, di lungo periodo e non discriminatorie, volte a garantire questo fondamentale diritto sociale che, come più volte detto, oltre ad avere piena rilevanza autonoma, si pone anche come indefettibile presupposto per la realizzazione di molteplici ulteriori diritti.

  1. Dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino.
  2. Si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 44/2020, 77/2023, 145/2023 e 67/2024. In commento a tali sentenze: Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 2.2020; Corvaja F. (2020), Finale di partita. L’incostituzionalità dei requisiti di lungo-residenza previsti dalle leggi regionali quali condizioni di accesso alle prestazioni sociali, in Rivista AIC, n. 6.2020; Guariso A. (2023), Uguaglianza, ragionevolezza e discriminazione nella sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2023, in IEN, Italian Equity Network, 15/5/2023; Cerquozzi F. (2024), La Corte costituzionale ribadisce la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica: irragionevole aggiungere altri ostacoli all’accesso rispetto agli ostacoli di fatto costituiti dal disagio economico. Nota a sentenza Corte costituzionale del 22 aprile 2024, n. 67, in Ius in itinere, 30/4/2024.
  3. Il legislatore chiarisce cosa si intenda per alloggio sociale con decreto del Ministero delle infrastrutture del 22/4/2008, specificando che è «l’unità immobiliare adibita a uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie». Per una ricostruzione in merito alle diverse fattispecie riconducibili all’edilizia residenziale pubblica si veda: Urbani P. (2010), L’edilizia residenziale pubblica tra Stato e autonomie locali, in Istituzioni del federalismo, n. 3-4.2010, pp. 249-270, spec. par. 2.1.; per una ricostruzione storica sulla tematica si rinvia a: Crupi F. (2021), L’edilizia a carattere sociale in Italia. Dalla legge Luzzatti al social housing, in Open Journal of Humanities, n. 7.2021, pp. 97-129; in particolare sulla situazione piemontese si veda: Adorni D., D’Amuri M., Tabor D., (2017), La casa pubblica. Storia dell’Istituto autonomo case popolari di Torino, Roma, Viella.
  4. Ordinanza iscritta al n. 162 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2024.
  5. Sentenza del Tribunale ordinario di Torino, Prima sezione civile, 9/11/2023, causa Nrg 8370/2023.
  6. Ci si riferisce alle sent. n. 176/2000 (che, nella ricostruzione del giudice torinese, non ha escluso «la possibilità di attribuire rilievo ostativo alla titolarità di beni immobili, che sono suscettibili anche di forme di godimento indiretto, essendosi ritenuta incongrua esclusivamente “l’assunzione del canone di locazione, determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978, come parametro di valutazione dell’alloggio ubicato in altra località, in quanto l’impostazione di fondo della disciplina dell’equo canone è ormai da considerare superata”») e n. 9/2021 (in riferimento alla quale la sentenza del Tribunale di Torino evidenzia come la parte censurata dalla Corte Costituzionale riguardasse l’espressa previsione di un requisito aggiuntivo gravante solo sui cittadini extra-UE e non, invece, la generica previsione circa la «non titolarità di diritti di [proprietà, usufrutto, uso ed abitazione] su uno o più alloggi, ubicati all’interno del territorio nazionale o all’estero», posta in capo a tutti). Sulla sent. 9/2021 si vedano: Vuoto S. (2022), Il diritto all’abitazione degli stranieri. Profili problematici della normativa italiana, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 1.2022; Masala P. (2021), L’inclusione sociale degli immigrati e i limiti alle politiche di esclusione: indicazioni dalla giurisprudenza costituzionale, in Rivista AIC, n. 3.2021; La Marca S., Incerti Vezzani G. (2021), Radicamento territoriale e documentazione aggiuntiva: un sistema che continua a discriminare gli stranieri. Intervista all’Avv. Alberto Guariso, ASGI, in Melting Pot Europa, 6/4/2021.
  7. Sent. Trib. ord. Torino, I sez. civ, 9/11/2023, causa Nrg 8370/2023.
  8. Sul diritto all’abitare nell’ordinamento italiano: Olivito E. (2017), Il diritto costituzionale all’abitare. Spinte proprietarie, strumenti della rendita e trasformazioni sociali, Napoli, Jovene; Della Scala M.G., Santangelo S. (2023), Diritto all’abitare e questione abitativa. Tra edilizia residenziale pubblica e housing sociale, Torino, Giappichelli; Bilancia F. (2010), Brevi riflessioni sul diritto all’abitazione, in Istituzioni del federalismo, 3/4, pp. 231-248; Marchetti G. (2018), La tutela del diritto all’abitazione tra Europa, Stato e Regioni e nella prospettiva del Pilastro europeo dei diritti sociali, in federalismi.it, numero speciale 4.2018, pp. 184-218. Per quanto riguarda la portata prescrittiva di questo diritto vi sono diverse tesi in dottrina: c’è chi, privilegiando un’interpretazione meramente testuale, non riconosce rilevanza costituzionale al diritto all’abitare, in tal senso si vedano Sorace D. (1977), A proposito di «proprietà dell’abitazione», «diritto all’abitazione» e «proprietà (civilistica) della casa», in AA.VV., Scritti in onore di Costantino Mortati, vol. III, Milano, Giuffrè, pp. 1037-1038; Salerno G. (1990), Art. 47, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di Crisafulli V., Paladin L., Padova, Cedam, p. 321. La dottrina maggioritaria, invece, ritiene che il diritto all’abitare trovi fondamento in Costituzione, tuttavia possono rinvenirsi due diverse concezioni: secondo quella che può essere definita più “forte” si configura un vero e proprio diritto soggettivo a ricevere un’abitazione e, successivamente, a mantenerla (in tal senso: Giorgis A. (2007), Il diritto costituzionale all’abitazione. I presupposti per una immediata applicazione giurisprudenziale, in Questione giustizia, n. 6.2007, pp. 1129-1138; Gilardi G. (2008), Abitare: un diritto, non una semplice aspettativa, in Questione Giustizia, n. 1.2008, p. 111 ss.; Martines T. (1974), Il diritto alla casa, in N. Lipari, Tecniche giuridiche e sviluppo della persona umana, Roma-Bari, Laterza, pp. 391-405); la concezione più “debole”, invece, riconosce il diritto all’abitare soprattutto in ottica di strumentalità rispetto ad altre situazioni soggettive di bisogno, in particolare quelle legate ai diritti all’interno dei nuclei familiari (in questo senso si rimanda a Modugno F. (1995), I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, p. 58 ss. e Caretti P. (2017), I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Torino, Giappichelli, p. 535 ss.). In riferimento all’ordinamento internazionale e comunitario si vedano: Paciullo G. (2008), Il diritto all’abitazione nella prospettiva dell’housing sociale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 27-45; Rolli R. (2013), Il diritto all’abitazione nell’Unione europea, in Bucelli A., L’esigenza abitativa. Forme di fruizione e tutele giuridiche. Atti del Convegno in onore di Gianni Galli, Firenze 19-20 ottobre 2012, Padova, p. 61 ss.; Id. (2013), Il diritto all’abitazione nell’Unione europea, in Contratto e Impresa/Europa, n. 2.2013, p. 727.
  9. Punto 3.1 del Considerato in diritto.
  10. La Corte richiama più volte le sent. n. 44/2020, 9/2021, 77/2023, 145/2023, 67/2024.
  11. Punto 3.2 del Considerato in diritto.
  12. Ibidem.
  13. Ibidem.
  14. In generale, sulla portata del principio di uguaglianza in termini di sua applicabilità anche ai cittadini stranieri (sulla definizione di tale categoria: Grosso E. (1999), Straniero (status costituzionale dello), in Dig. Disc. Pubbl., vol. XV, Torino, Utet), in dottrina vi sono diverse tesi. Quella largamente minoritaria, privilegiando il dato letterale, ritiene che il primo comma dell’art. 3 Cost. si riferisca solo ai cittadini italiani, anche in virtù dell’art. 10, comma 2, Cost., in quanto altrimenti perderebbe di significato la categoria dei cittadini (in tal senso Esposito C. (1954), Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in La Costituzione italiana, Saggi, Padova, Cedam, p. 24, nota n. 19 e, in senso parzialmente difforme, Barile P. (1953), Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova, Cedam, p. 51 ss.; Mortati C. (1967), Istituzioni di diritto pubblico, VII ed., Padova, Cedam, p. 913 ss.). La tesi maggioritaria, invece, estende l’applicabilità soggettiva dell’art. 3, comma 1, Cost., anche alle persone straniere (si vedano Lavagna C. (1953), Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana, in Studi economici e giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, Padova, Cedam, p. 14 ss.; Paladin L. (1965), Il principio costituzionale d’eguaglianza, Milano, Giuffrè, p. 205 ss.; Agrò A.S. (1975), Art. 3, 1° comma, in Commentario della Costituzione diretto da G. Branca, Roma-Bologna, p. 127), talvolta motivando tale estensione in ragione dell’«ampiezza delle proclamazioni ed assicurazioni dei diritti umani e delle libertà civili, che la vigente Carta costituzionale in genere fornisce» (Paladin L. (1965), op. cit., p. 207), talaltra in quanto l’uguaglianza non è considerata una situazione giuridica soggettiva, come tale riconducibile a soggetti determinati, ma un principio che informa l’intero ordinamento giuridico (in tal senso Agrò A.S. (1975), op. cit. p. 127; cfr. Celotto A. (2011), Il problema dell’eguaglianza, in Id., Le declinazioni dell’eguaglianza, Napoli, Editoriale Scientifica, p. 19; Id. (2006), Art. 3, 1° co., Cost., in Bifulco R., Celotto A., Olivetti M., Commentario alla Costituzione, Torino, Utet, p. 69). Anche la Corte Costituzionale ha ben presto superato il dato meramente testuale, infatti con la sentenza n. 120/1967 ha innanzitutto chiarito che il raffronto tra la disposizione censurata nel caso di specie (l’art. 139 della legge n. 1424/1940) e l’art. 3 non andava fatto con tale disposizione considerata isolatamente, bensì letta in connessione con l’art. 2 e l’art. 10, comma 2, Cost., per poi affermare esplicitamente che il principio di uguaglianza vale anche per lo straniero quando si tratta di rispettare i principi fondamentali (principio ribadito in diverse successive sentenze, si citano le n. 62/1994, 432/2005 e 249/2010). In pronunce successive la Consulta pare aver parzialmente superato la netta distinzione tra materie riguardanti i diritti fondamentali – in cui il principio di uguaglianza va garantito anche alle persone straniere – e le altre materie, in cui invece il legislatore avrebbe una maggiore discrezionalità tale da poter prevedere trattamenti differenziati tra cittadini italiani e stranieri (si veda la sentenza n. 43/2005 o anche le successive sentenze n. 40/2011, 2, 4, 133 e 172/2013, in cui viene ribadito che la discrezionalità del legislatore nelle materie eccedenti i diritti fondamentali trova in ogni caso un limite dettato dalla ragionevolezza). Per una disamina sulla tematica del rapporto tra principio di uguaglianza e stranieri si veda: Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di) (2017), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, Milano, Franco Angeli. Nello specifico, sul principio di eguaglianza e l’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali: ex plurimis, Losana M. (2023), La Carta di Nizza e la tutela multilivello dei diritti sociali, in federalismi.it, n. 5.2023, pp. 27-52; Morelli A. (2012), Il carattere inclusivo dei diritti sociali e i paradossi della solidarietà orizzontale, in Gruppo di Pisa, n. 3.2012; Ciervo A. (2011), I diritti sociali degli stranieri: un difficile equilibrio tra principio di non discriminazione e pari dignità sociale, in AA.VV., Le nuove frontiere del diritto dell’immigrazione: integrazione, diritti, sicurezza, a cura di Angelini F., Benvenuti M., Schillaci A., Napoli, Jovene, p. 367 ss; Pezzini B. (2010), Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non-cittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Napoli, Jovene, p. 163 ss.; Biondi dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino, Giappichelli; Corsi C. (2013), Immigrazione e diritti sociali: il nodo irrisolto del riparto di competenze tra Stato e regioni, in AA.VV., La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, a cura di Rossi E., Biondi Dal Monte F., Vrenna M., Bologna, Il Mulino, p. 229 ss..
  15. Report ISTAT 28/5/2024, Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente anni 2022-2023, p. 2, www.istat.it/it/files/2024/05/Migrazioni-interne-e-internazionali-della-popolazione-residente.pdf, consultato il 27/10/2024. Per un commento su tale fenomeno: Bonifazi C. (2024), Il punto sulle migrazioni interne, in Neodemos, 5/4/2024.
  16. Corte Cost, sent. 147/2024, punto 3.3 del Considerato in diritto.
  17. Corte Cost, sent. 44/2020, punto 3.2 del Considerato in diritto.
  18. Ibidem.
  19. Corte Cost, sent. 9/2021, punto 4.2.2 del Considerato in diritto.
  20. Nel 2023 in Piemonte risultano insoddisfatte 14.004 domande in luogo delle sole 1.040 assegnazioni. Fonte: «Domande insoddisfatte di casa popolare dal 2012 al 2023», elaborato dal Settore Politiche di Welfare Abitativo della Regione Piemonte, consultabile su www.regione.piemonte.it/temi/diritti-politiche-sociali/casa/osservatorio-regionale-condizione-abitativa (consultato il 28/10/2024).
  21. Corte Cost, sent. 9/2021, punto 3.3.1 del Considerato in diritto.
  22. Il ddl è stato approvato alla Camera dei Deputati il 18/9/2024 ed è attualmente in discussione al Senato della Repubblica. Sul ddl sicurezza si vedano: Grosso E. (2024), Audizione presso le Commissioni Affari costituzionale e Giustizia del Senato della Repubblica, sul disegno di legge A.S. n. 1236 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, del 22/10/2024, in www.senato/documento_evento_procedura_commissione/Prof._Avv._Enrico_GROSSO.pdf, consultato il 21/11/2024; Algostino A. (2024), L’incostituzionalità nell’anima di un disegno autoritario: note sul d.d.l. n. 1660 sulla sicurezza pubblica, in Costituzionalismo.it, n. 2.2024, pp. 92-103; Esecutivo di magistratura democratica (2024), DDL 1660. Se la scelta repressiva alimenta l’insicurezza e la distanza dalle istanze sociali, in www.magistraturademocratica.it/articolo/ddl-1660-se-la-scelta-repressiva-alimenta-l-insicurezza-e-la-distanza-dalle-istanze-sociali, consultato l’1/11/2024.
  23. Per un’analisi sul fenomeno delle occupazioni a scopo abitativo si vedano: Esposito E., Chiodelli F. (2024), Occupazioni abusive in un contesto di edilizia residenziale pubblica a Napoli: una pratica individualistica?, in Argomenti, n. 15.2020, pp. 59-76; Cancellieri, A. (2018), Occupazioni abitative senza titolo. Pratiche informali, rappresentazioni e politiche istituzionali, in Cognetti F., Padovani L., Perché (ancora) i quartieri pubblici. Un laboratorio di politiche per la casa, pp. 131-148, Milano, Franco Angeli; Belotti E. (2017), Informality as a structural outcome. The case of squatted public housing in Milan. PhD dissertation, Doctoral Programme in Urban Studies, Gran Sasso Science Institute.
  24. Punto 4.2.2 del Considerato in diritto.
  25. Ibidem.
  26. Sul punto deve evidenziarsi la gravità della decisione di privilegiare la condizione di protratta residenza sul territorio in luogo del cattivo stato dell’alloggio, in particolare alla luce della stretta correlazione che esiste tra salubrità dell’alloggio in cui si vive e garanzia del diritto alla salute. Sul tema si rimanda a: Editoriale rivista (2024), Il diritto alla salute passa per il diritto a una casa, in Recenti progressi in medicina, vol. 115, n. 6. Si veda, altresì, Martines T. (1974), op. cit., p. 15, in cui l’autore ribadisce come la tutela del diritto alla salute sia collegata, oltre che alla tipologia di abitazione, anche ad una disciplina urbanistica adeguata, che contempli, insieme agli indispensabili servizi pubblici ausiliari, anche una previsione in grado di dare agli insediamenti urbani un assetto armonico rispetto ai fini che la Repubblica si propone di raggiungere sulla base di quanto sancito dall’art. 32 Cost..
  27. Nota dall’emblematico titolo «Prima i piemontesi con la nuova legge sulla casa», su Piemonteinforma, Agenzia quotidiana di informazione sulle attività della Giunta regionale, www.regione.piemonte.it//notizie/prima-piemontesi-nuova-legge-sulla-casa, consultato il 3/11/2024.
  28. Su servizi.regione.piemonte.it/catalogo/lr-n-32010-regolamenti-attuativi, consultato il 4/11/2024.
  29. In tal senso si rimanda, per citare alcune fonti facilmente reperibili, alla sentenza n. 106/2018 della Corte Costituzionale in cui la Corte, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2017, n. 13, al punto 3.1 del Considerato in diritto sottintende detta interpretazione affermando che «La direttiva 2003/109/CE, come sopra recepita […] riconosce lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che risiedano regolarmente in uno Stato membro da almeno cinque anni (art. 4); prevede poi che i soggiornanti di lungo periodo siano equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini, tra l’altro, del godimento dei servizi e prestazioni sociali (art. 11), tra i quali rientra l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, come testualmente conferma la lettera f) del suo art. 11, con il riferirsi alla “procedura per l’ottenimento di un alloggio”. La direttiva è stata recepita con il d.lgs. n. 3 del 2007, che ha modificato l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, in senso conforme a quello indicato dalla direttiva. Per l’effetto, anche nell’ordinamento italiano, il cittadino di paese terzo, che sulla base di un permesso di soggiorno in corso di validità risieda nello Stato per almeno cinque anni, può acquistare, nel concorso degli altri requisiti di legge, lo status di soggiornante di lungo periodo (che gli viene riconosciuto dal questore mediante il rilascio di uno specifico permesso di soggiorno), ed acquista, con ciò, anche il diritto all’assegnazione degli alloggi di ERP in condizioni di parità con i cittadini». Si indicano, inoltre, la scheda ASGI di febbraio 2024, reperibile sul sito dell’Associazione, avente ad oggetto “Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo” che, analizzando la condizione dei titolari della tipologia di permesso di soggiorno indicata nell’oggetto della scheda, chiarisce che, nei confronti di tali persone, sia stabilita una parità di trattamento con i cittadini italiani, tra l’altro, nelle procedure per l’assegnazione delle case popolari, oppure il materiale relativo al progetto co-finanziato da Unione Europea, Prefettura di Torino e Ministero dell’Interno “Gestire l’accoglienza, formare i territori” FAMI 2014–2020, e nello specifico la parte relativa al diritto alla casa, a cura della prof.ssa Valeria Ferraris (www.piemonteimmigrazione.it/images/materiali/Ferraris_Formazione_operatori_casa.pdf, consultato il 21/11/2024), in cui viene chiarito che l’accesso all’edilizia residenziale pubblica in condizioni di parità con i cittadini italiani è prevista, ai sensi dell’art. 40, co. 6, D.lgs. 286/1998, e dell’art. 29, co. 3 ter, d.lgs. 251/2007, «per gli stranieri titolari del permesso UE lungo soggiornanti, per chi risulta in possesso di un permesso di soggiorno almeno biennale ed esercita una regolare attività di lavoro subordinato o autonomo ed infine per i titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria».
  30. Sul tema si vedano: Capriotti P. (2019), Il diritto all’abitare per i nuovi abitanti, in Istituzioni del Federalismo, n. 1.2019, pp. 77-97; Corvaja F. (2009), L’accesso dello straniero extracomunitario all’edilizia residenziale pubblica, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 3.2009, pp. 89-112; Pallante F. (2016), Gli stranieri e il diritto all’abitazione, in Costituzionalismo.it, n. 3.2016, pp. 135-155; Randazzo A. (2019), Il diritto all’abitare al tempo delle migrazioni, in Dirittifondamentali.it, n. 1.2019; Golinelli M. (2008), La casa è il mio mondo. I migranti e la questione abitativa, in Questione Giustizia, n. 1.2008, Milano, FrancoAngeli, p. 136 ss..
  31. Recepite, rispettivamente, con d.lgs. 8/1/2007, n. 3, d.lgs. 4/3/2014, n. 40 e d.lgs 6/2/2007, n. 30.
  32. Nell’ambito dell’ampia produzione dottrinale sul tema si segnalano: Grasso G. (2016), La disapplicazione della norma interna contrastante con le sentenze della Corte di giustizia dell’UE, nell’ambito del Corso di perfezionamento in “Il contenzioso dinanzi alle corti europee”, www.unisob.na.it/universita/facolta/giurisprudenza/age/grasso.pdf, consultato il 21/11/2024; Rolli R., Maggiolini M. (2020), La disapplicazione della norma nazionale contrastante con il diritto dell’Unione (nota a TAR Puglia-Lecce, sez. I, del 18 novembre 2020 n. 1321), in Giustizia Insieme, 22/12/2020; Vannucci A. (2011), Disapplicazione e diritto comunitario. La flessibilità come unica via per garantire coerenza all’ordinamento in una prospettiva sempre più integrata, in federalismi.it, n. 17.2011; Nascimbene B., Anrò I. (2022), Primato del diritto dell’Unione europea e disapplicazione. Un confronto fra Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Corte di giustizia in materia di sicurezza sociale, in Giustizia Insieme, 31/3/2022.
  33. In relazione all’anno 2023, in Piemonte, sono stati emessi 4.045 provvedimenti di sfratto, di cui 3.708 la cui motivazione è «morosità/altra causa», 367 per «finita locazione» e nessuno per «necessità del locatore». Dati dell’Ufficio centrale di statistica presso il Ministero dell’Interno, anno 2023, ucs.interno.gov.it/ucs/Procedure_di_rilascio_di_immobili_ad_uso_abitativo_int, consultato il 6/11/2023.
  34. A tal proposito si può anche portare l’esempio del Fondo Inquilini Morosi Incolpevoli, misura istituita dall’art. 6, co. 5, d.l. 31/8/2013 n. 102 (convertito, con modificazioni, dalla l. 28/10/2013, n. 124), attuata poi con diversi decreti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che ne hanno specificato i criteri di accesso e hanno effettuato il riparto dei fondi tra le varie regioni. I decreti attuativi definiscono cosa si intenda per morosità incolpevole, ossia la «situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare» ed elencano alcune cause a cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo, possono essere dovute la perdita o la consistente riduzione della capacità reddituale: tra queste vi sono la perdita del lavoro per licenziamento o per mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici e le cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente.
  35. Si vedano, ad esempio, le sent. n. 252/1983, 49/1987, 217/1988, 404/1988, 209/2009, 168/2014, 38/2016, 106/2018, oltre a quelle più recenti citate in nota 2.
  36. Sull’ambiguità delle previsioni in materia contenute nelle dichiarazioni dei diritti si veda: Algostino A. (2005), L’ambigua universalità dei diritti. Diritti occidentali o della persona umana?, spec. parte seconda, cap. terzo, par. III.2.1, Napoli, Jovene.
  37. Ferrajoli L. (2022), Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Milano, Feltrinelli.
  38. Ivi, p. 55.
  39. Ivi, p. 57.
  40. Ibidem.
  41. Sul tema cfr. Algostino A. (2024), Sicurezza urbana e conflitto. L’ostracismo sociale e politico della città neoliberista e la città futura della Costituzione, in Diritto pubblico, 2/2024, pp. 261-292; Ruotolo M. (2013), Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti, in Democrazia e sicurezza – Democracy and Security Revew, anno III, n. 2, 2013, pp. 1-12.