Efficienza o inconcludenza? Alcune considerazioni giuseconomiche sull’autonomia differenziata

Umberto Nizza[1]

(ABSTRACT) ITA

Il presente saggio offre un’analisi critica della legge no. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata, analizzando le premesse di efficienza alla base della riforma ed evidenziando paradossi e potenziali effetti negativi sulla coesione nazionale, l’equità e l’efficienza complessiva del sistema. Partendo dalle argomentazioni che i promotori sollevano in favore di una maggiore devoluzione di poteri alle Regioni, si esaminano le potenziali conseguenze negative in termini di perdita di economie di scala, aumento dei costi amministrativi, creazione di incentivi distorsivi e accentuazione delle disparità territoriali, che potrebbero portare a maggiori inefficienze e disuguaglianze, minando i principi costituzionali di unità e solidarietà nazionale. Il contributo analizza, sempre nel solco dell’analisi giuseconomica delle ragioni che vengono poste a fondamento di una maggiore autonomia, le motivazioni fornite dalla Regione Piemonte per giustificare una differenziazione territoriale, mostrando che si rischia un percorso eccessivamente discrezionale e privo di principi guida condivisi, che finisce per minare la coerenza e l’uniformità del sistema regionale nel suo complesso. Una potenziale soluzione può essere la costruzione di un modello di sviluppo più equilibrato, basato su un accentramento strategico delle competenze e politiche di redistribuzione mirate, che massimizzi l’efficienza economica senza sacrificare l’equità territoriale. Diversamente, il rischio è che l’autonomia differenziata, anche per il Piemonte, esacerbi le disuguaglianze esistenti, con conseguenze negative sull’economia e sulla tenuta sistemica e democratica.

(ABSTRACT) EN

This essay provides a critical analysis of Law No. 86 of 2024 on differentiated autonomy, examining the efficiency assumptions underpinning the reform and highlighting potential paradoxes and negative effects on national cohesion, equity, and the overall efficiency of the system. Drawing on the arguments made by proponents of the reform in favor of devolving more powers to the Regions, the essay explores the potential downsides, such as the loss of economies of scale, increased administrative costs, the creation of distorting incentives, and the exacerbation of territorial disparities. These could lead to greater inefficiencies and inequalities, ultimately undermining the constitutional principles of national unity and solidarity. The paper also applies a giusoeconomic framework to analyze the justifications provided by the Piedmont Region for territorial differentiation, suggesting that this could result in an excessively discretionary approach, lacking shared guiding principles, and thereby risk undermining the coherence and uniformity of the regional system as a whole. A potential solution could involve the development of a more balanced model, based on strategic centralization of certain competences and targeted redistribution policies that maximize economic efficiency without sacrificing territorial equity. Otherwise, the risk is that differentiated autonomy—especially in regions like Piedmont—could exacerbate existing inequalities, with negative consequences for both the economy and the systemic and democratic stability of the country.

Sommario:

1. Introduzione – 2. Alcuni paradossi economici insiti in una autonomia differenziata “efficiente” – 3. Alcune perplessità sulle ragioni poste alla base di un Piemonte “differenziato” – 4. Conclusioni

1. Introduzione

Il 13 luglio 2024 è entrata in vigore la Legge no. 86 del 2024 – “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, nota anche come “riforma Calderoli”. Le disposizioni sull’autonomia differenziata si pongono l’obiettivo, stando ai proponenti, di attuare l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, come previsto dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione Italiana, con la dichiarazione, contenuta nelle premesse del medesimo disegno di legge, che “non si vuole dividere il Paese, né favorire Regioni che già viaggiano a velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia”[2]. La riforma contenuta nella legge no. 86 del 2024 prevede, nella sostanza, una serie di modifiche al quadro normativo di decentramento delle diverse funzioni amministrative in capo alle Regioni a statuto ordinario, definendo i principi generali e la procedura per l’attribuzione di autonomia, ovvero determinando astrattamente i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nonché i limiti economici e le risorse necessarie per l’esercizio di tali forme di autonomia, oltreché le modalità di finanziamento, attraverso compartecipazioni al gettito di tributi erariali​​, e la possibile devoluzione di funzioni amministrative ad altri enti pubblici, alias Comuni, Province e Città metropolitane, nel rispetto del principio di leale collaborazione​​.

La riforma si inserisce in un più ampio dibattito sull’ampliamento delle autonomie regionali, che confronta, da un lato, le motivazioni astratte di efficienza e aderenza alle specificità locali, con il fine ultimo di dare attuazione al terzo comma dell’art. 116 Cost. e, dall’altro lato, solleva una serie di perplessità sulla possibile frammentarietà amministrativa, in violazione dell’art. 5 della stessa Carta fondamentale e di quel “confine invalicabile di ogni decentramento di poteri e di competenze regionali” sancito dai padri costituenti[3]. Da un punto di vista generale e storico, le eccezioni a quest’ultimo principio rigidamente unitario, incardinate nelle “forme e condizioni particolari di autonomia” di cui all’art. 116 della Carta fondamentale risultavano essere una vigorosa reazione alla repressione sistematica delle istanze autonomistiche dei territori della Valle d’Aosta, Alto Adige ed Istria, con l’espresso intento di tutelare minoranze allogene e linguistiche, precedentemente represse dal regime fascista[4]. Nell’ambito di questo dibattito, particolarmente polarizzato, la Regione Piemonte, già a far data dal 10 gennaio 2018, con Deliberazione della Giunta Regionale n. 1-6323, aveva avviato un percorso di confronto finalizzato all’acquisizione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ex art. 116, 3 comma, Cost. su alcune materie di sua competenza, in ragione della sua peculiare e “rilevante vocazione industriale”, con la necessità di procedere ad un “intenso processo di ristrutturazione” volto a rispondere “alla globalizzazione e alla crisi economica”[5].

In seguito all’approvazione della riforma Calderoli, la Regione Piemonte ha ripreso il dialogo, con gli enti centrali, con una richiesta di maggiore autonomia locale, in tutte le materie di cui all’art. 116 Cost., giustificando tale richiesta sulla base della necessità di “migliorare l’efficienza amministrativa e rispondere in maniera più efficace alle esigenze dei cittadini e delle imprese”[6]. Tra gli aspetti critici, sollevati dalla dottrina proprio in merito alla richiesta di devoluzione di competenze da parte della Regione Piemonte, vi è senz’altro una non evidente connessione, se non addirittura un mancato collegamento, tra la situazione di fatto che emerge dai dati e dalle statistiche regionali e le motivazioni fornite dalla stessa Regione a giustificazione della richiesta di autonomia, giacché quest’ultima si baserebbe su una concezione politicamente orientata di autonomia, che si “erge a valore in sé, a prescindere dal rapporto con le esigenze concrete del territorio”[7]. Nel solco di queste critiche e con l’intento di verificare se vi sia fondamento negli allarmi sollevati in dottrina sulle proposte di differenziazione piemontesi, che meritano di essere approfondite in modo più articolato, soprattutto per quanto riguarda le ragioni economiche che vengono poste a fondamento delle richieste di autonomia, questo manoscritto intende fornire alcuni spunti di riflessione sui possibili risvolti, in senso positivo o negativo, di efficienza complessiva del sistema, in un’ ottica giuseconomica.

Da un punto di vista concettuale, come si vedrà nel corso di questo scritto, vi è una certa debolezza nell’impianto argomentativo delle richieste regionali, vuoi perché non vi è un collegamento evidente tra l’analisi della “situazione regionale di contesto” e le specifiche richieste di maggiore autonomia, vuoi perché il percorso rischia di essere eccessivamente discrezionale e privo di principi guida condivisi, minando “uno dei totem della statualità moderna”, ovvero “la questione dell’uniformità di trattamento tra individui-cittadini” in funzione di una distinzione particolaristica che non ricalca quella “funzione compensativa” immaginata dai costituenti e dalla riforma del regionalismo del 2001[8]. In aggiunta, come notato da attenta dottrina il Governo del territorio andrebbe considerato, come sottolineato da attenta dottrina, una competenza “oggettivamente” e tecnicamente concorrente, in quanto oggetto di “un insieme complesso di funzioni fra loro interagenti” che richiedono una omogenea applicazione, a livello nazionale, del “principio di sussidiarietà-adeguatezza-differenziazione” di tutta la pianificazione integrata di materie legate, inter alia, all’ambiente – inerenti, per fare alcuni esempi, al consumo del suolo o alla rigenerazione urbana e territoriale – ai servizi pubblici – per i quali si pongono interrogativi in tema di standard comuni, spazi e infrastrutture che li coinvolgono – nonché ad altre materie potenzialmente più attinenti alle specificità del territorio – si potrebbero citare, in questo frangente, le tematiche territoriali relative ad edilizia, abusivismo e sanzioni amministrative collegate a questi due fenomeni[9].

Nonostante la riforma Calderoli, nelle sue premesse, sottolinei essere frutto di un dibattito politico particolarmente topico e sentito, “che va avanti almeno da tre legislature” e mai giunto a conclusione, sembra che la tematica non risulti essere, a ben vedere, particolarmente sentita da parte della cittadinanza, almeno stando alle risultanze emergenti da Google Trends, notoriamente considerato, nelle analisi quantitative, come indicatore – o, più correttamente, proxy – per la centralità di una certa tematica politica in seno alla popolazione[10]. Si potrebbe argomentare, a contrario, che una mancanza di interesse da parte della popolazione non impedisca al legislatore di legiferare su temi di suo interesse, ma è parere dello scrivente che si tratti di tematica che, più che cercare una soluzione concreta, alimenti una mera conflittualità politica[11] che risponde a logiche di consenso, più che a reali necessità di buon governo. Da un punto di vista meramente statistico, una maggiore richiesta di autonomia territoriale non si accompagna ad un significativo interesse per una maggiore indipendenza amministrativa, né a livello locale né, in senso più ampio, a livello nazionale[12]. Il risultato apparente, così come emergente dai dati riportati sulla Regione Piemonte (Figura 1), è che la discussione sull’autonomia differenziata risulterebbe soltanto strumentale e politicamente guidata, inserita in una narrativa di separazione e autonomia che ha più a che fare con una strategia di consolidamento elettorale piuttosto che con una riforma amministrativa che risponda alle aspettative sociali e gli interessi diffusi in seno alla popolazione[13].

Figura 1: Numero di ricerche (in Piemonte) su autonomia e regionalismo su Google (2004-2024).

Nota: Il grafico mostra l’andamento temporale (2004-2024) delle ricerche, su Google, dei termini in legenda. Fonte: I dati, elaborati con il programma statistico stata, provengono da Google Trends.

Lo scarso interesse piemontese per l’autonomia differenziata potrebbe giustificarsi nel fatto che la Regione Piemonte, come si vedrà nel prosieguo, già gode di significativi margini di autonomia. La mancanza di forte presa nel dibattito pubblico generale potrebbe giustificarsi, inoltre, per il fatto che le funzioni di maggiore autonomia richieste possono, nella realtà dei fatti, già essere esercitate nell’ambito delle attuali disposizioni. Fatte queste opportune premesse, nonostante la riforma si ponga come obiettivo il lodevole intento di migliorare l’efficienza e fornire una migliore risposta amministrativa alle specificità locali, vi sono numerose perplessità in termini di significativi effetti negativi sulla coesione economica, l’equità e l’efficienza complessiva. Oltre ai problemi di tenuta costituzionale[14], vi sono ragioni di teoria economica potrebbero far concludere che il paventato miglioramento di efficienza complessiva non si raggiunga con la devoluzione di ulteriori competenze dallo Stato alla Regione, come si vedrà nel prosieguo.

2. Alcuni paradossi economici insiti in una autonomia differenziata “efficiente”

L’autonomia differenziata è un argomento complesso e frutto di un percorso tormentato che poggia le proprie basi teoriche ed argomentative, nel conferimento di maggiori poteri decisionali alle autorità locali, in ragioni economiche di maggiore efficienza[15]. I promotori della riforma Calderoli sostengono, in quest’ottica, che un decentramento del potere decisionale permetterebbe alle Regioni un “utilizzo più razionale, efficace ed efficiente delle risorse ad esse destinate”[16] ovvero, riassumendo in ordine sparso, di: rispondere meglio alle esigenze specifiche del territorio; elaborare politiche economiche e fiscali più adatte al contesto locale; semplificare le procedure burocratiche; ridurre gli oneri amministrativi per le imprese; rendere le Regioni più attrattive per gli investimenti, sia nazionali che esteri; favorire lo sviluppo di settori produttivi e turistici in linea con le vocazioni e le risorse locali[17]. Se vi è, in dottrina, chi si è lecitamente domandato se si apra “una stagione nuova per il governo del territorio”, finalmente “capace di superare tutte le frammentazioni ereditate dalla riforma costituzionale del 2001”[18], vi è anche chi non ha mancato di sottolineare che tale “disarticolazione autonomistica” che ha dato, già nel recente passato, “pessima prova di funzionamento” e che avrà soltanto l’effetto di “cristallizzare le disuguaglianze ancora esistenti nel Paese”[19]. All’interno di una contrapposizione tra chi sostiene che l’autonomia differenziata sia, nella sostanza, un vero e proprio “processo distruttivo” e chi, dall’altro lato, ritiene che la contrapposizione allo spirito riformista sia il frutto “tradizioni negative”, di stampo neoborbonico, papalino e sardo-piemontesi[20], si potrebbe cercare di individuare, nell’ambito della teoria economica, l’esistenza di eventuali paradossi o argomentazioni fallaci nelle deduzioni che suggeriscono un maggiore livello di efficienza allocativa degli enti locali rispetto allo Stato centrale, sulla base alla loro capacità di adattare l’offerta di servizi e gli interventi regolatori alle specificità della domanda di beni pubblici da parte di cittadini e imprese del territorio.

La teoria economica mostra, infatti, che i guadagni di efficienza derivanti dalla devoluzione regionale si realizzano quando le preferenze dei contribuenti sono omogenee all’interno di ogni giurisdizione e differiscono tra giurisdizioni diverse[21]. Tuttavia, affinché tale devoluzione sia vantaggiosa, il bene o servizio pubblico deve essere “locale”, ovvero i benefici della sua fornitura devono essere territorialmente circoscritti; se si verificano effetti di spillover tra territori, ovvero benefici o costi che si estendono oltre i confini regionali, la devoluzione potrebbe risultare non solo inefficace, ma anche inefficiente[22]. Difatti, si è osservato, in letteratura, che man mano che si decentralizza, aumentano le inefficienze intergiurisdizionali, ovvero le esternalità negative tra giurisdizioni, con spillover inefficienti che prevalgono rispetto alla decentralizzazione, riducendo così le performance complessive dell’economia[23]. Inoltre, la presenza di rendimenti crescenti di scala, come nelle infrastrutture a rete, rende la centralizzazione più conveniente, giacché il decentramento sarebbe vantaggioso soltanto a condizione che esistano bisogni specifici o peculiarità locali che consentono agli amministratori locali di avere informazioni migliori rispetto ai livelli centrali, in modo da permettere così una fornitura più adeguata del bene pubblico[24]. Si è anche osservato che il regionalismo italiano risulterebbe basato sulla mera “volontà di attribuire più poteri e più risorse a politici, amministratori e burocrati locali, in particolare delle regioni più ricche”, con il risultato che non garantirebbe una fornitura Pareto efficiente rispetto a un modello centralizzato di gestione delle risorse pubbliche[25].

Tra gli ulteriori aspetti economici di rilevanza che possono segnalarsi, non può trascurarsi il fenomeno delle economie di scala, che si realizzano quando i costi medi di produzione di beni e servizi diminuiscono all’aumentare della quantità prodotta. Tuttavia, nell’ipotesi in cui le competenze e le risorse vengano suddivise tra molteplici entità regionali, si potrebbe verificare una duplicazione di strutture amministrative e un aumento dei costi operativi complessivi, con una perdita delle economie di scala medesime[26]. Tale fenomeno di perdita di efficienza sembra particolarmente rilevante in molteplici settori chiave – quali sanità, istruzione, ed infrastrutture – in cui la gestione centralizzata permette una riduzione dei costi attraverso una distribuzione più ampia delle risorse[27]. Una evidenza diretta di questo fenomeno si è avuta, almeno nell’ambito della salute, durante la pandemia da SARS-CoV-2 (COVID-19), in cui la regionalizzazione delle risposte al contagio è stata particolarmente negativa su tutte le dimensioni di gestione della crisi pandemica[28], rendendo plastica la fondamentale natura di bene pubblico della prevenzione, la cui natura universale ha richiesto che ricerca, produzione e distribuzione dei vaccini fosse necessariamente accentrata[29]. In molti settori chiave, infatti, la riallocazione centralizzata di grandi quantità di risorse finanziarie e materiali ha effetti positivi[30], sia in termini di prevenzione di esternalità negative tra giurisdizioni in competizione tra loro, che di riduzione di costi di transazione, dilemmi del prigioniero e corse al ribasso in regolamentazioni permissive[31]. Ulteriori problematiche insite in una maggiore delocalizzazione del potere potrebbero riscontrarsi in fenomeni personalistici, in una maggiore vicinanza dei funzionari locali agli interessi privati rende più facile l’esercizio di pressioni indebite che compromettano la trasparenza e l’integrità delle politiche locali in favore di decisioni che non rispecchiano il bene comune[32].

Sempre da un punto di vista di mera teoria economica, partendo dai concetti di selezione avversa ed azzardo morale[33], incentivi distorti e fenomeni di squilibrio si possono manifestare con Regioni più ricche e sviluppate che richiedono maggiori competenze e indipendenza, diventando sempre più ricche, e zone oggettivamente più povere, sempre più ancorate al governo centrale, costrette a distorcere la propria situazione economica, in ragione di una asimmetria informativa rispetto agli enti centrali, con il solo fine di ottenere maggiori risorse da questi ultimi[34]. Questo meccanismo distorsivo innesca una pericolosissima corsa al ribasso in termini di finanza pubblica[35] e si accompagna, notoriamente, ad una corsa all’autonomia da parte delle regioni più facoltose a discapito di quelle più svantaggiate[36]. La letteratura economica suggerisce una maggiore autonomia implicherebbe non solo un abbandono dei principi di coesione ed equità territoriale, ma andrebbe a detrimento di una crescita sostenibile, accentuando, di fatto, le diseguaglianze economiche tra le Regioni[37]. Le Regioni più sviluppate, infatti, avendo maggiore capacità fiscale, potrebbero certamente beneficiare di una maggiore autonomia, ma lo farebbero con un “regionalismo degli egoismi, dei particolarismi, [e] delle differenze”[38], ben lontano da una lettura coerente del principio autonomistico, che si inserisce, anche dopo la riforma del 2001, in un quadro imprescindibile di “coesione economica, sociale e territoriale”[39]. Di fatto, una devoluzione delle risorse così (s)bilanciata avrebbe l’effetto di generare una “trappola” per le Regioni meno sviluppate, destinate a veder crescere il proprio divario nei confronti di altre realtà locali meno svantaggiate[40], con più generale “depauperamento del capitale umano” di tali aree[41].

Da un punto di vista di incentivi economici, peraltro, un sistema incentrato su localismi generalizzati non è necessariamente efficiente, giacché, per fare un esempio concreto, quando una Regione è in difficoltà con il proprio sistema socio-sanitario locale, per mancanza di risorse o personale qualificato, i suoi utenti saranno incentivati a spostarsi in un’altra realtà territoriale più “efficiente”, pesando economicamente su di essa e congestionando il servizio locale. Pensare che le Regioni operino come un’isola, in cui – senza un ripensamento complessivo dei servizi – ognuno opera, a costo zero, in maniera indipendente e nel solo quadro di un livello di prestazione minime uguali per tutti è semplicemente utopistico. Un ulteriore esempio si può trarre in tema di ambiente. Immaginare che una Regione possa tenere parte della propria fiscalità per investire in tecnologie sostenibili e politiche ambientali avanzate a beneficio della località è nuovamente utopistico. Altre Regioni, con entrate più limitate, potrebbero non riuscire a migliorare le proprie infrastrutture, mantenendo un ambiente insalubre, con ripercussioni negative sulla qualità complessiva dell’aria, del suolo, e dell’acqua, estensibili anche alle regioni limitrofe e più attente all’ambiente. Infine, se, in astratto, Regioni economicamente più autonome potrebbero attrarre un maggior numero di investimenti esteri e interni, grazie a un ambiente più favorevole all’imprenditoria ed infrastrutture locali migliori, il contraltare di tale “efficienza differenziata” sarebbe che le Regioni economicamente meno sviluppate e maggiormente dipendenti dagli enti centrali rischierebbero di rimanere intrappolate in un ciclo di bassa crescita, con una ricaduta sistemica sui conti nazionali che potrebbe incentivare il governo centrale ad aumentare la tassazione proprio nelle regioni maggiormente virtuose. L’interconnessione economica e sociale tra le regioni rende illusorio pensare che il regionalismo differenziato possa operare in un vacuum isolato. Molte delle dinamiche economiche non solo rischiano di creare tensioni economiche tra regioni, ma potrebbero, in ultima istanza, ritorcersi contro le stesse regioni promotrici, che si troverebbe a dover gestire gli effetti delle eventuali ritorsioni economiche o politiche delle altre regioni.

In un contesto interdipendente – in cui gli incentivi economici concepiti per il beneficio di una singola regione possono produrre effetti indiretti e spillover su quelle confinanti, influenzando a catena l’intero sistema – si potrebbe obiettare che il rischio sia una vera e propria paralisi, in cui si limitano le opportunità di sviluppo per le Regioni più avanzate, costrette a rallentare la loro crescita economica per sostenere le Regioni meno sviluppate[42]. In realtà, a ben vedere, nulla vieta di pensare ad un modello di sviluppo che bilanci equità e crescita, senza compromettere l’efficienza e il dinamismo economico delle Regioni che sono più avanzate in termini economici. Un accentramento delle competenze può essere, infatti, strutturato in modo da massimizzare l’efficienza economica, evitando di sacrificare l’equità territoriale, con una pianificazione centralizzata ed investimenti coordinati che evitino che le regioni procedano in ordine sparso. Questo approccio prevede che lo Stato centrale mantenga il controllo su risorse e politiche strategiche, garantendo una redistribuzione equa e mirata delle risorse, ma con attività di supporto tecnico e formativo per le Regioni che faticano a tenere il passo rispetto a realtà territoriali più virtuose. Ciò significa promuovere l’autonomia locale in modo coordinato ed armonizzato, in un quadro nazionale coerente. Viceversa, il rischio è che l’autonomia differenziata possa esacerbare le disuguaglianze economiche che già esistono tra Regioni, aggravando la già netta divisione intercorrente tra le realtà del centro-settentrione e quelle meridionali e isolane.

Senza ancora addentrarci – come faremo di qui a poco nel testo – in un confronto specifico delle specificità del Piemonte rispetto ad altre Regioni, il territorio italiano mostra importanti divari, in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite, tra territori anche limitrofi (Figura 2). Il divario tra regioni economicamente più disavvantaggiate ed economicamente più virtuose, che si è acuito in seguito al graduale abbandono delle politiche di riequilibrio territoriale[43], rischia di risultare ancora più evidente con le richieste di autonomia differenziata.

Figura 2: Mediana del PIL pro capite nelle diverse Regioni italiane (2002-2022)

Nota: Il grafico mostra la mediana, per ogni regione, del Prodotto Interno Lordo, a prezzi correnti di mercato e per abitante, in migliaia di euro, nel periodo 2002-2022. Fonte: ISTAT.

Le Regioni più ricche e più interessate ad una maggiore autonomia, come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte o Veneto, che già partono da una posizione economica avvantaggiata, potrebbero beneficiare ulteriormente della possibilità di gestire autonomamente le proprie risorse, accrescendo il divario con Regioni con più economicamente depresse, quali Calabria, Puglia, Campania, o Sicilia, determinando una “secessione dei ricchi”[44]. Tale spinta autonomista sarebbe, peraltro, alimentata da una erronea, seppur altamente evocativa, convinzione vi possano essere dei “residui fiscali” da conservare a livello regionale, in modo tale da eliminare una tediosa forma di finanziamento delle regionali più “laboriose” in favore di quelle considerate “parassitarie”[45]. Tale argomento rischia di condurre ad una miriade di piccoli stati regionali poco coordinati tra loro – incapaci di far fronte alle sfide su scala mondiale che impone un mercato sempre più competitivo e globalizzato – che rischiano, sul lungo periodo, di alimentare una “escalation rovinosa [di] istanze autonomistiche”, come già avvenuto in altri paesi[46]. Tutti questi meccanismi di “alterazione delle logiche redistributive”, infatti, tendono ad innescare delle spirali di inefficienza dalle conseguenze imprevedibili[47], col risultato non solo di incrementare le disuguaglianze economiche e sociali all’interno del paese, ma anche di compromettere la tanto auspicata efficienza del sistema pubblico. Viceversa, qualora vengano rispettati i “criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” la devoluzione di competenze – nel rispetto degli ulteriori limiti esistenti in termini di “economicità e di risparmio di spesa” – non costituirebbe “elemento di rottura costituzionale” ma, bensì, un decentramento di funzioni[48], nel rispetto di principi di allocazione pareto-efficienti.

Si noti, sin d’ora, che ciò non significa, a livello astratto, che ogni forma di devoluzione di competenze non possa comportare tout court un utilizzo più razionale ed efficiente delle risorse, ma tale devoluzione dei poteri decisionali dovrebbe adattarsi – come già anticipato supra in tema di rispetto del teorema di Oates – a delle documentate specificità locali che richiedono una allocazione delle risorse ad hoc. Nel caso del Piemonte, in particolare, che vede, nella maggiore autonomia, la possibilità di “migliorare i processi amministrativi e snellire gli iter burocratici che spesso rappresentano un ostacolo per cittadini e imprese”[49] rimane da verificare se vi siano elementi per sostenere, almeno in astratto, che i costi medi di produzione di beni e servizi siano localmente inferiori, o vi siano, perlomeno, specificità socio-economiche tali da comportare una migliore allocazione delle risorse pubbliche in loco, come si vedrà di qui a breve nel testo.

3. Alcune perplessità sulle ragioni poste alla base di un Piemonte “differenziato”

Si sono viste, finora, da un punto di vista generale, alcune ragioni economiche di fondo che sollevano dubbi – confermati da buona parte della dottrina – sulla ratio complessiva della riforma Calderoli, in particolare, per quanto concerne una possibile una devoluzione allargata ed indiscriminata della potestà normativa e amministrativa locale. Si analizzeranno ora, nello specifico, possibili peculiarità territoriali e caratteristiche socio-economiche del territorio piemontese che potrebbero giustificare – o non giustificare affatto – una maggiore devoluzione di competenze dagli enti centrali alla Regione Piemonte. Quest’ultima, infatti, per mezzo della propria Giunta, ha dichiarato di voler richiedere una maggiore autonomia su 23 materie di sua competenza, sulla base dalla necessità di garantire una più efficiente ed economica politica regionale, “unitaria, coordinata e indifferenziata”[50] (sic.) e si focalizza, in particolare, su: “rigenerazione urbana, il riuso del patrimonio edilizio, le zone territoriali omogenee, la pianificazione paesaggistica, la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico, la valorizzazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, le minoranze linguistiche storiche, i beni librari, la potestà sulle ordinanze di protezione civile, le grandi reti di trasporto, le infrastrutture ferroviarie, gli aeroporti civili, i servizi pe l’impiego e le politiche attive per il lavoro, la ricollocazione dei lavoratori in difficoltà occupazionale, l’istruzione e la formazione professionale, l’edilizia scolastica, il diritto allo studio, il riparto del fondo sanitario nazionale, il diritto alla salute, la gestione dei tributi regionali propri, le zone economiche speciali, la finanza pubblica, i servizi di tutela ambientale, i valori limite di determinati scarichi, gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, l’adattamento ai cambiamenti climatici, i rapporti internazionali e con l’Unione Europea, le politiche transfrontaliere, i marchi collettivi di origine geografica dei prodotti, la ricerca e l’innovazione, i distretti industriali, le istituzioni universitarie, la giustizia di pace, la fauna e l’esercizio dell’attività venatoria, l’edilizia sportiva, la valorizzazione dell’attività sportiva, una parte del canone e dei proventi pubblicitari della Rai a sostegno dell’informazione locale, le derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico a favore dei bacini imbriferi montani e d egli enti rivieraschi, la sicurezza alimentare, il Fondo nazionale della montagna, lo sviluppo delle aree montane”[51].

La richiesta della Regione Piemonte sottintende che, per tutte le materie elencate supra, vi siano delle specificità e delle particolarità che differenziano il territorio piemontese da quello delle altre Regioni, sicché si renderebbe necessario, per avere quel più efficiente controllo ed una più capillare risposta a tali problematiche, un decentramento di competenze che faccia sì che ad occuparsi di queste materie non siano gli organi di governo centrale bensì quelli regionali. Nella realtà dei fatti, facendo una analisi dei dati resi disponibili dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), il quadro che emerge non sembra poter confermare degli indicatori tali da determinare una specialità piemontese rispetto ad altre realtà territoriali. Il Piemonte, infatti, si posiziona in una via mediana rispetto a tutti gli indicatori che si andranno ad analizzare di qui a poco nel proseguo. Se si osservano, infatti, le mappe di cui alla Figura 3, che rappresentano alcune dimensioni statistiche relative a caratteristiche socio-economiche, sanitarie, culturali e geofisiche delle varie Regioni italiane, si può constatare che il Piemonte, con rare eccezioni, non sembra essere un unicum sul territorio nazionale né tantomeno discostarsi drasticamente, in tutti gli indicatori riportati, da altre realtà territoriali, limitrofe e non. Al contrario, se osserviamo con attenzione le caratteristiche esposte nelle varie mappe riportante nel testo, si potrà notare che vi sono più similarità che differenze tra Regioni Italiane, fatte salve alcune fisiologiche differenze tra Nord e Sud del paese[52] e caratteristiche peculiari che contraddistinguono alcune realtà territoriali più isolate da un punto di vista fisico o regionalismi più marcati in ragione di un elevato numero di abitanti che ne compongono la popolazione[53].

Analizzando i grafici riportati in Figura 3 e partendo dalla distribuzione delle risorse e delle infrastrutture in Piemonte, sembrano esserci condizioni di relativa stabilità e sviluppo rispetto ad altri territori. In termini di patrimonio culturale, come musei e gallerie o parchi archeologici, il Piemonte si colloca in una posizione intermedia, senza eccellere in maniera significativa rispetto ad altre regioni. Regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna, ad esempio, mostrano una maggiore concentrazione di musei, mentre Sicilia e Sardegna spiccano per numero di siti archeologici, evidenziando un patrimonio culturale molto più ricco e rilevante ai fini di una eventuale devoluzione di competenze, suggerendo che, numericamente, la gestione del patrimonio culturale piemontese non richieda necessariamente una attenzione speciale, mediata da una autonomia maggiore, specie in un “contesto decisivo per la salvaguardia dell’identità nazionale come quello della cultura”[54]. Se poi si considerano le aree boschive e il territorio esposto a rischio idrogeologico, il Piemonte non presenta dati estremi che potrebbero giustificare una gestione autonoma rinforzata. Le aree boschive sono distribuite in modo abbastanza uniforme in diverse regioni del nord Italia. Regioni limitrofe, come la Lombardia e la Val d’Aosta, mostrano una percentuale simile di terreno boschivo e soltanto Liguria e del Trentino Alto Adige risultano essere particolarmente densi in termini di territorio boschivo. Inoltre, il rischio idrogeologico in Piemonte – se non per la pericolosità idraulica che caratterizza tutte le regioni della pianura Padana – non sembra essere significativamente più elevato rispetto ad altre regioni del centro-nord, indicando che, anche in questo caso, non ci siano esigenze particolari che richiedano una maggiore autonomia[55].

Per quanto concerne le problematiche legate ai trasporti e alla mobilità regionale, inoltre, non sembrano emergere, dai dati riportati in Figura 3, delle peculiarità o problematiche talmente gravi da giustificare una maggiore autonomia regionale. Nel dettaglio, se osserviamo la mappa che individua l’utilizzo del treno per il tragitto casa-lavoro, notiamo, per tabulas, che il Piemonte si attesta nuovamente in una fascia intermedia, che non indica un sovraccarico né una domanda eccezionalmente alta che richieda una gestione autonoma dei trasporti locali. In aggiunta, per quanto riguarda i ritardi nei trasporti superiori a 30 minuti, per i quali si potrebbe sollevare, al contrario, la necessità di risoluzione di una situazione particolarmente patologica, il Piemonte non si distingue per particolari criticità, che riguardano molte regioni italiane e non, specificatamente, il territorio piemontese. Anche nell’ambito dell’istruzione, altra materia per la quale è stata chiesta maggiore autonomia, i grafici mostrano che in Piemonte una situazione scolastica non è particolarmente critica. Il numero di alunni per classe è simile ad altre realtà e le politiche educative attuali, gestite a livello nazionale, sembrano essere sufficienti a garantire un buon livello di istruzione senza necessità di ulteriori autonomie.

Figura 3: Quadro socio-economico, sanitario, culturale e idrogeologico delle varie Regioni italiane.

Nota: Il grafico mostra, a livello regionale ed in ordine da destra verso sinistra: il numero di musei e gallerie pubbliche; il numero di parchi archeologici; la percentuale di territorio coperta da aree boschive; la percentuale di territorio ad alta pericolosità idraulica*; la percentuale di territorio ad alto rischio frane*; la percentuale di edifici ad alto rischio idrogeologico*; la percentuale di popolazione che sul territorio si avvale del trasporto ferroviario nel tragitto casa-ufficio o casa-scuola; la percentuale di trasporti che registrano, in media, ritardi superiori ai 30 minuti; il numero di studenti iscritti per classe; la spesa energetica delle famiglie, in euro, per elettricità, gasolio, e legna; il numero di aziende ospedaliere sul territorio; il numero di medici ogni diecimila abitanti; la percentuale di pazienti, standardizzati per fascia di età similare, che, in un anno, effettua una o più visite specialistiche. Fonte: ISTAT ed ISPRA*.

Analizzando i grafici relativi alle fonti energetiche (quarta riga dei grafici di cui alla Figura 3), il Piemonte non presenta, nuovamente, peculiarità significative e tali da giustificare una maggiore autonomia regolamentare regionale. I principali mercati energetici non sembrano presentare una situazione emergenziale o che richieda interventi speciali o una gestione autonoma, almeno in comparazione con altri territori, che evidenziano una dipendenza maggiore rispetto ad alcune fonti energetiche tale da giustificare una richiesta di maggiore autonomia per gestire meglio tali risorse. Infine, sul fronte sanitario (ultima riga, Figura 3), i dati indicano che il Piemonte non si distingue nemmeno in questo ambito rispetto ad altre Regioni, visto e considerato che il numero di strutture ospedaliere, la distribuzione di medici per abitante e la percentuale di visite specialistiche annuali sono in linea con altre medie nazionali. La situazione sanitaria del Piemonte appare, pertanto, bilanciata ed in linea con quella di molti altri territori, il che ha fatto sorgere non pochi dubbi, in dottrina, sulla necessità di ulteriore autonomia[56]. La densità medica ed ospedaliera sono, certamente, indicatori chiave della capacità di un sistema sanitario di rispondere alle esigenze della popolazione, ma il Piemonte non si distingue, in modo significativo, per particolari carenze strutturali. Nemmeno sembrano emergere criticità in relazione all’accesso a visite specialistiche, che vede il Piemonte in una posizione medio-alta che indica una spiccata accessibilità alle cure specialistiche in quest’area. Ne emerge, come conseguenza diretta, che le richieste di differenziazione avanzate dal Piemonte in materia di salute non appaiono giustificate, giacché la Regione potrebbe gestire la sanità locale attraverso gli strumenti normativi esistenti, senza necessità di nuove differenziazioni[57].

In sintesi, almeno da una prima analisi dei dati forniti da ISPRA ed ISTAT, non sembrano evidenziarsi peculiarità o necessità specifiche che possano giustificare una maggiore autonomia per il Piemonte. La realtà piemontese presenta caratteristiche comuni a molte altre regioni italiane, senza mostrare problematiche o eccellenze tali da rendere indispensabile una gestione autonoma. Questo suggerisce che le attuali strutture di governance e amministrazione, centralizzate a livello nazionale, possano essere considerate adeguate nella gestione delle esigenze piemontesi, senza la necessità di frammentare ulteriormente le competenze e creare potenziali disuguaglianze amministrative e gestionali. Come insegna la teoria economica, se si vuole porre l’accento in termini di efficienza, una maggiore autonomia regionale può essere utile solo e soltanto quando vi sono differenze significative nelle esigenze e nelle caratteristiche economiche tra Regioni[58]. Tuttavia, almeno dai dati riportati in Figura 3, emerge, con lampante evidenza grafica, che il Piemonte non si distingue in modo significativo rispetto ad altre regioni italiane, risultando, invece, che vi sia una certa “somiglianza dei dati economici e sociali di contesto” rispetto ad altre Regioni ordinarie, con l’evidenza che le richieste di maggiore autonomia locale non risultano particolarmente incisive[59]. Se non sembrano esserci ragioni teorico-economiche che possano giustificare una maggiore autonomia locale in termini, inter alia, di energia, sanità, governo del territorio, sembrano potersi condividere gli spunti dottrinali che suggeriscono di raggiungere gli obiettivi regionali prefissati utilizzando gli strumenti già disponibili[60].

Da un punto più generale, non possono non nascondersi perplessità sul fatto che l’efficienza allocativa, principio fondamentale dell’economia, suggerirebbe di distribuire le risorse in modo tale da massimizzare il benessere generale[61], per cui, in un contesto di autonomia regionale, le risorse dovrebbero essere gestite localmente solo qualora le regioni siano meglio posizionate per allocare risorse e diritti di proprietà meglio rispetto al governo centrale[62]. Tuttavia, nel caso del Piemonte, non ci sono evidenze che una gestione decentralizzata e locale possa essere significativamente migliore. I parametri relativi a tutte le dimensioni geografiche, sociali, ed economiche esplorate in precedenza non sembrano indicare che il Piemonte abbia particolari esigenze, inter alia, energetiche, socio-sanitarie, geoclimatiche che differiscano notevolmente dal resto del paese. Un altro principio economico rilevante, già richiamato in precedenza, è relativo alle economie di scala. I servizi sanitari, ad esempio, possono beneficiare delle economie di scala attraverso la centralizzazione delle risorse e delle competenze. Un esempio disastroso, in senso opposto alle economie di scala, si è avuto con la distribuzione dei vaccini per il COVID-19, nel quale le regioni hanno talora agito in ordine sparso, con buona pace di una tutela della salute efficace[63]. Nonostante si possa obiettare che, almeno nella eccezionale fase pandemica legata al SARS-CoV-2, non si potessero prevedere completamente le conseguenze di una risposta a macchia di leopardo, possiamo oggi dire, ex post, che la gestione centralizzata della risposta alla pandemia ha permesso una riduzione dei costi proprio grazie alle economie di scala[64]. Tali vantaggi che sarebbero andati perduti se si fosse proceduto a macchia di leopardo e senza coordinamento centrale. In conclusione, se l’analisi delle statistiche regionali solleva dubbi sulla validità delle motivazioni addotte per richiedere un’autonomia differenziata per il Piemonte, non è chiaro come una gestione decentralizzata possa portare a miglioramenti sostanziali. Queste considerazioni invitano a una riflessione più approfondita sulla reale necessità e sui potenziali benefici di un’autonomia differenziata per il Piemonte, suggerendo che l’attuale assetto amministrativo possa essere sufficiente per affrontare le sfide e le esigenze di questo territorio.

4. Conclusioni

Questo scritto ha inteso fornire alcuni spunti di analisi, in una ottica giuseconomica, sulle problematiche potenzialmente emergenti nella autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, così come previsto dalla legge no. 86 del 2024, anche nota come riforma Calderoli. Nel corso dello scritto si è sottolineato che, nonostante l’obiettivo dichiarato fosse quello di migliorare l’efficienza e la risposta amministrativa alle specificità locali, una devoluzione di competenze ulteriore solleva numerose perplessità giuridiche, che si accompagnano a seri dubbi di teoria economica, che non paiono individuare una maggiore efficienza in caso di maggiore autonomia. In primo luogo, si è evidenziato come la frammentazione delle competenze amministrative e legislative tra le Regioni possa portare a una perdita di economie di scala cruciali per l’efficienza, con una possibile duplicazione di strutture e aumento dei costi operativi complessivi. Si sono poi menzionati, in questo contributo, tutti gli incentivi distorsivi che una maggiore devoluzione di competenze può comportare, aumentando i già esistenti divari Nord-Sud, minando la coesione complessiva nazionale ed eliminando forme di equità che, sul lungo periodo, determinano scompensi per i cittadini che necessitano di maggiori attenzioni e risorse. In aggiunta, si è prospettato il rischio che le Regioni più sviluppate, avendo maggiore capacità fiscale, intendano beneficiare dell’autonomia a scapito di realtà territoriali più depresse da un punto di vista macroeconomico, con il risultato di non essere in grado di fornire gli stessi livelli di servizi pubblici essenziali. La conseguenza potrebbe essere un aumento delle disparità regionali già esistenti, con il risultato finale di impedire alle aree economicamente più depresse di raggiungere un livello di crescita comparabile con le realtà locali più ricche.

Nonostante i proponenti della riforma sostengano che l’autonomia differenziata possa portare a una gestione più efficiente delle risorse e a politiche più adatte alle specificità locali, si è messo in luce come tali argomentazioni siano risultate corrive e andrebbero approfondite e riviste[65]. Nel corso di questo scritto si sono riportate una serie di evidenze sui potenziali limiti che possono emergere da risposte regionali frammentate, specie quando vi sarebbe la necessità di un coordinamento centralizzato per la gestione di beni pubblici quali, ex multis, la sanità, i trasporti, l’ambiente. Si è, nello specifico, evidenziato come la richiesta di autonomia da parte della Regione Piemonte non sia sufficientemente supportata da evidenze statistiche regionali, risultando, piuttosto, frutto di una concezione dell’autonomia politicamente orientata che prescinde dal rapporto con le necessità concrete dei cittadini. Al momento, l’autonomia differenziata piemontese, così come delineata da una richiesta generalizzata di autonomia, presenta più rischi che benefici per l’efficienza complessiva del sistema, finendo, in potenza, per accentuare le disparità regionali, invece di diminuirle. Lungi dall’essere una soluzione efficiente, l’autonomia differenziata sembra configurarsi come un’iniziativa inconcludente, che antepone interessi politici di bandiera rispetto all’esigenza di garantire equità e sviluppo equilibrato su tutto il territorio nazionale. È parere di chi scrive che sarebbe, invece, necessario un approccio più attento e ponderato, che tenga conto delle implicazioni socio-economiche e dei potenziali effetti negativi di una riforma così radicale. Piuttosto che inseguire una presunta efficienza mediante un decentramento di poteri, sarebbe auspicabile un modello di sviluppo equilibrato che sappia coniugare equità e crescita, attraverso un accentramento di tutte le competenze strategiche ed una redistribuzione delle risorse che promuova non solo il benessere delle collettività locali ma che tenga conto del progresso economico complessivo della nazione[66].

In definitiva, la dicotomia efficienza o inconcludenza posta nel titolo di questo manoscritta sembra trovare una risposta univoca: l’autonomia differenziata, così come richiesta dalla Regione Piemonte, rischia di rivelarsi più un’iniziativa inconcludente che un reale strumento di efficienza, poiché le ragioni di presunta efficienza poste a base della sua costruzione risultano sbilanciate e non fondate. Piuttosto che inseguire una soluzione disaggregativa si potrebbe, invece, procedere promuovendo un sistema di regionalismo cooperativo, basato su una collaborazione strutturata tra Stato e Regioni. Anziché poggiare su un mero trasferimento di poteri, si potrebbero definire meccanismi di leale collaborazione, di condivisione delle informazioni e di co-programmazione degli interventi, così come avvenuto con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), preservando l’unità di indirizzo politico e l’uniformità dei diritti essenziali su tutto il territorio nazionale. Altra soluzione innovativa potrebbe essere quella di sperimentare modelli di governance multilivello, in cui Stato, Regioni ed enti locali co-progettino e co-gestiscano le politiche pubbliche in un’ottica di sussidiarietà e differenziazione flessibile. Ciò consentirebbe di dare voce alle esigenze territoriali, mantenendo però un ruolo di coordinamento centrale per garantire i livelli essenziali di prestazioni e promuovere la coesione economica e sociale. Tali alternative, pur nella loro diversità, condividono l’obiettivo di coniugare efficienza e unità nazionale, evitando i rischi di un decentramento eccessivo e indiscriminato a discapito della tenuta sociale e dei conti pubblici. È convinzione dello scrivente che soltanto tramite un approccio più graduale, cooperativo e multilivello, si potrebbero valorizzare, anche da un punto di vista economico, le peculiarità dei territori senza compromettere i principi di uguaglianza e solidarietà che sono alla base dei valori costituzionalmente fondanti di questo Paese.

  1. Transatlantic Technology Law Forum Fellow presso l’Università di Stanford ed assegnista di ricerca in Diritto dell’Economia presso il Collegio Carlo Alberto/Università degli Studi di Torino.
  2. La premessa, pur dichiarando unità e uguaglianza, potrebbe involontariamente far sorgere il sospetto di intenzioni opposte e la apodittica affermazione di non voler dividere il Paese potrebbe, in tal senso, apparire come una preventiva autoassoluzione volta a mascherare le potenziali conseguenze negative della riforma espresse da eminenti istituti di diritto pubblico, quali la Banca di Italia. Il riferimento è, in particolare, alla Memoria della Banca d’Italia sul Disegno di legge AS 615 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, depositata presso la Commissione permanente per gli Affari Costituzionali del Senato della Repubblica il 19 giugno 202., nella quale quest’ultima sottolineava che l’autonomia differenziata possa compromettere l’efficienza del sistema produttivo nazionale e la sua capacità competitiva, la coerenza dell’ordinamento tributario e della responsabilità finanziaria degli enti regionali, sollevando preoccupazioni riguardo alla frammentazione delle competenze su più livelli di governo.
  3. Cfr. Podetta M. (2023), Il tentativo di attuazione dell’autonomia differenziata: dal disegno di legge Calderoli alla legge di bilancio per il 2023, in Consulta Online, 353-366, e Deidda B., L’autonomia differenziata spacca il Paese, in www.questionegiustizia.it/articolo/l-autonomia-differenziata-spacca-il-paese (2 maggio 2023), consultato il 2 dicembre 2024.
  4. Cfr. Rossi D. (2020), L’invenzione di una Regione. Le radici storiche dell’autonomia in Friuli, Venezia Giulia, Istria, Fiume e Dalmazia nel lungo Novecento, in Historia et Ius, no. 17, 1-22, e Mobilio G. e Croce M. (2016), Involuzioni ed evoluzioni nella tutela delle minoranze linguistiche dallo Statuto alla Costituzione., in Caretti P. e Mobilio G. (a cura di), La lingua come fattore di integrazione sociale e politica, pp. 229-251, Torino, Giappichelli.
  5. Si veda la Deliberazione della Giunta Regionale 10 gennaio 2018, n. 1-6323, Documento di primi indirizzi della Giunta regionale per l’avvio del confronto con il Governo finalizzato all’acquisizione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione, in www.regione.piemonte.it/governo/2018/05/dgr_06323_1050_10012018.pdf (1° febbraio 2018), consultato il 2 dicembre 2024.
  6. Le richieste della regione Piemonte vertevano, in particolare, su tutte e ventitré le materie che possono essere devolute alle regioni, incrementando le materie precedentemente richieste dalla giunta di centro-sinistra, ovvero “la rigenerazione urbana, il riuso del patrimonio edilizio, le zone territoriali omogenee, la pianificazione paesaggistica, la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico, la valorizzazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, le minoranze linguistiche storiche, i beni librari, la potestà sulle ordinanze di protezione civile, le grandi reti di trasporto, le infrastrutture ferroviarie, gli aeroporti civili, i servizi per l’impiego e le politiche attive per il lavoro, la ricollocazione dei lavoratori in difficoltà occupazionale, l’istruzione e la formazione professionale, l’edilizia scolastica, il diritto allo studio, il riparto del fondo sanitario nazionale, il diritto alla salute, la gestione dei tributi regionali propri, le zone economiche speciali, la finanza pubblica, i servizi di tutela ambientale, i valori limite di determinati scarichi, gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, l’adattamento ai cambiamenti climatici, i rapporti internazionali e con l’Unione Europea, le politiche transfrontaliere, i marchi collettivi di origine geografica dei prodotti, la ricerca e l’innovazione, i distretti industriali, le istituzioni universitarie, la giustizia di pace, la fauna e l’esercizio dell’attività venatoria, l’edilizia sportiva, la valorizzazione dell’attività sportiva, una parte del canone e dei proventi pubblicitari della Rai a sostegno dell’informazione locale, le derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico a favore dei bacini imbriferi montani e d egli enti rivieraschi, la sicurezza alimentare, il Fondo nazionale della montagna, lo sviluppo delle aree montane”. Cit. Gennaro G., Inviata la lettera al Governo per l’Autonomia differenziata, in /www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/inviata-lettera-al-governo-per-lautonomia-differenziata# (10 luglio 2024), consultato il 2 dicembre 2024.
  7. Così Sobrino, G. (2019), La proposta di differenziazione della Regione Piemonte attualmente in discussione: motivazioni, contenuti principali, rapporto con le richieste di altre Regioni, in Il Piemonte delle Autonomie, no. 2, 25-36.
  8. Così Grosso, G. e Poggi, A. (2018), Il regionalismo differenziato: potenzialià e aspetti problematici, in Il Piemonte delle Autonomie, no. 2, 1-5. Cit. 4.
  9. Queste puntuali e sostanziali critiche all’autonomia sono state sollevate in Barbieri, C. A. (2019). L’autonomia differenziata delle Regioni nella materia Governo del territorio, in Il Piemonte delle autonomie, no. 2, 18-23.
  10. In tal senso, ex multis, Mellon, J. (2013), Where and when can we use Google Trends to measure issue salience?, Political Science & Politics, Vol. 46, no. 2, 280-290. Si noti, per completezza, che il termine “proxy“, in ambito econometrico, si traduce in una variabile che viene utilizzata per rappresentare o sostituire un’altra variabile particolarmente difficile o impossibile da misurare direttamente e, pertanto, inosservabile. Si veda, sul punto, l’autorevole contributo di Wooldridge, J. M. (2009), On estimating firm-level production functions using proxy variables to control for unobservables, in Economics letters, Vol. 104, no. 3, 112-114.
  11. Si è argomentato che l’autonomia differenziata si inserisca in un “clima di contrapposizione frontale” e di un “conflitto che divide la comunità nazionale”. Così Meschino, M. e Palanza, A. (2024), Autonomia differenziata: fermi! Entra la Corte, ascoltiamola, in www.ilsole24ore.com/art/autonomia-differenziata-fermi-entra-corte-ascoltiamola (26 novembre 2024), consultato il 2 dicembre 2024.
  12. Stando alle risultanze statistiche piemontesi, mostrate in Figura 1, e quelle nazionali, riportate qui in nota alla Figura 4, si può constatare che il coinvolgimento della cittadinanza si è avuto soltanto in prossimità della discussione ed approvazione della riforma Calderoli, come si può evincere dai picchi di interesse che coincidono con le approvazioni nei due rami del parlamento e, infine, con la discussione che attualmente è in corso sugli effetti che questa normativa avrà sul sistema costituzionale complessivo. I dati, riportati nel testo, si possono estrarre da Google Trends per il periodo tra il 2004 – primo anno di raccolta strutturata dei dati di Google Trends da parte dell’azienda di Mountain View – ed il 2024. Questi ultimi mostrano, nella sostanza, un interesse pari a zero pressoché per tutto l’arco temporale disponibile nei dati disponibili.

    Figura 4: Numero di ricerche su autonomia e regionalismo su Google – anni 2004-2024. Nota: Il grafico mostra il numero di ricerche (su scala nazionale) dei termini in legenda. Fonte: Google Trends. – Si noti che medesime risultanze – in termini di mancato interesse generale alla tematica – emergono anche in altre regioni, come il Veneto (Figura 5), che si sono spinte a rivendicazioni “sino al limite consentito dal dettato costituzionale”, con una vera e propria “via veneta” che risulta, nei fatti, molto più incisiva e radicale di quella piemontese. Cfr. Mazzarolli, L.A. (2017), Annotazioni e riflessioni sul referendum in materia di «autonomia» che si terrà in Veneto il 22 ottobre 2017, in Federalismi.it, no. 17, 1-39, e Pallante, F. (2019), Nel merito del regionalismo differenziato: quali «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna?, in Federalismi.it, no. 6, 1-34, cit. 16.a


    Figura 5: Numero di ricerche (in Veneto) su autonomia e regionalismo su Google – anni 2004-2024.                  Nota: Il grafico mostra il numero di ricerche (Veneto) dei termini in legenda. Fonte: Google Trends.

  13. In tal senso si esprime convintamente Gambino, S. (2024), Il regionalismo differenziato: l’attuazione dell’art. 116, comma 3 della Costituzione italiana, fra principi costituzionali e diritti di cittadinanza, in Revista Estudios Jurídicos. Segunda Época, no. 24, 1-34.
  14. Cfr., inter alia, Pallante, F. (2024), Spezzare l’Italia: Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Einaudi Editore; Paruzzo, F. (2024), Autonomia differenziata e politiche del lavoro. Quale compatibilità?, in Federalismi.it, no. 10, 125-149; Amato, G., Bassanini, F., Macciotta, G., Paparo, S., Spadacini, L., Barbieri, G. T., & Tubertini, C. (2023), L’autonomia regionale “differenziata” e la sua attuazione: questioni di procedura e di metodo, in Astrid Rassegna, Vol. 93, 1-53; Andriopoulou, A. (2023), Autonomia differenziata e divari di cittadinanza, in Federalismi.it, no. 23, 34-52; Cabiddu, M. A. (2023), La favola brutta dell’autonomia differenziata, in Democrazia e Diritto, Vol. 1, 39-58; Pallante, F. (2023), Le molteplici criticità della riforma Calderoli, in Democrazia e Diritto, no. 1, 94-103; Ronchetti, L. (2020), Differenziazione e diseguaglianze: il regionalismo asimmetrico nella Repubblica una e indivisibile, in Le Istituzioni del Federalismo, no. 1, 19-36; Dirindin, N. (2019), Proposte di autonomia differenziata e rischi per il Servizio Sanitario Nazionale, in Social Policies, Vol. 6, no. 3, 533-536.
  15. Dottrina attenta ed eloquente mette in evidenza la complessità e le difficoltà nell’attuazione del regionalismo italiano, che nel corso degli anni è divenuto oggetto di forte contrapposizione ideologica tra i partiti nazionali, ben lontana dallo spirito e dall’intento dei Padri costituenti che era di superare, a livello istituzionale, le fratture economiche e sociali territoriali che, fin dai primi anni dopo l’Unità, avevano segnato il Paese. Così Zammartino, F. (2023), La differenziazione dei poteri regionali nella prospettiva del progetto Calderoli: alcuni spunti di riflessione, in Diritto pubblico europeo. Rassegna online, no. 2, 112-134. Per quanto concerne, invece, le ragioni di efficienza introdotte dal legislatore a supporto della riforma, si veda Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il programma di Governo, Autonomia differenziata, in www.programmagoverno.gov.it/it/approfondimenti/riforme-di-rilievo-del-governo/riforme-costituzionali/autonomia-differenziata/, ultimo accesso 2 dicembre 2024.
  16. In tal senso si è espresso il Consiglio dei Ministri che ha approvato il disegno di legge da cui trae spunto il presente contributo. Si veda Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri, no. 19/2023, in www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-19/21687 (2 febbraio 2023), consultato il 2 dicembre 2024.
  17. Se l’’intesa raggiunta tra il Governo e la Regione Veneto, ovvero il cosiddetto “Accordo preliminare in merito all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, tra il Governo della Repubblica Italiana e la Regione Veneto”, siglato in Roma il 28 febbraio 2018, all’art. 5, già sanciva che il fine era quello “di garantire un assetto organizzativo della rete ospedaliera, dei servizi territoriali, di supporto e delle relative forme di integrazione più coerente con le esigenze specifiche della Regione”, tali istanze “rivoluzionarie” venivano reiterate con l’approvazione della riforma Calderoli, con il quale, stando i proponenti, si “permette[va] a tutte le Regioni di correre sempre più veloce, riducendo i divari territoriali e realizzando quell’unità che c’è solo sulla carta”, assicurando alle Regioni di “valorizzare le proprie eccellenze e garantire servizi sempre migliori ai cittadini, nel segno della responsabilità e della trasparenza”. Si veda Ansa, Calderoli emozionato, voto finale sull’Autonomia è pagina storica, in www.ansa.it/sito/notizie/2024/06/19/calderoli-emozionatovoto-finale-sullautonomia-e-pagina-storica.html (19 giugno 2024), consultato il 2 dicembre 2024. Per una disamina più precisa degli elementi sollevati dalla maggioranza di governo in favore della riforma, riassunti, per brevità, nel corpo del testo, si vedano i resoconti stenografici di Camera e Senato, in www.camera.it/leg19/126?leg=19&idDocumento=1665 e www.senato.it/attualita/archivio-notizie?nid=84118, entrambi consultati il 2 dicembre 2024.
  18. Così Sau, A. (2023), Le politiche di governo del territorio nel quadro dell’autonomia differenziata, in Le Regioni, no. 5, 959-998, cit. 988.
  19. In tal senso, si veda Chieffi L. (2024), I persistenti dubbi di conformità a costituzione del ddl recante «Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione», in Diritto Pubblico Europeo: Rassegna online, no. 1, pp. 310-317, cit. 312 e 314.
  20. Cfr. Viesti, G. (2019), Autonomia differenziata: un processo distruttivo, in Il Mulino, Vol. 68, no. 3, 410-417, e Bertolissi, M. (2024), Autonomia differenziata: Una riforma necessaria, in Il Mulino, Vol. 73, no. 3, 59-67.
  21. Si tratta, in particolare, del noto teorema contenuto in Oates, W. E. (1968), The theory of public finance in a federal system, in The Canadian Journal of Economics/Revue canadienne d’Economique, Vol. 1, no. 1, 37-54.
  22. Un riscontro empirico del teorema di Oates, sul caso italiano, si può individuare in Ercolano, S. (2014), Cross regional heterogeneity of individual attitudes towards public management of local services. An empirical analysis based on Italian data, in Economia Dei Servizi, Vol 9, no. 3, 259-270.
  23. Su questi aspetti si veda l’importante e pregevole contributo di Inman, R. P. e Rubinfeld, D. L. (2000), Federalism, in De Geest, G. (a cura di), Encyclopedia of law and economics, Edward Elgar.
  24. Tali problemi vengono esacerbati, come si vedrà anche nel prosieguo, in contesti in cui vi sono asimmetrie informative che permettono una espansione del budget o del deficit locale in maniera inefficiente, foriero di conflitti fiscali interni. In tal senso, si veda Oates, W. E. (2005), Toward a second-generation theory of fiscal federalism, in International tax and public finance, no. 12, 349-373.
  25. Ciò è mostrato, da un punto di vista empirico, in Ercolano, S., Petraglia, C., & Scalera, D. (2024), Autonomia differenziata e omogeneità regionale delle preferenze. Un riscontro empirico, in Regional Economy, no. 8(Q1), 3-10.
  26. Si è mostrato, in letteratura, che se le imprese decidono di localizzarsi nelle regioni con una domanda più ampia, questo rafforza la concentrazione della domanda in quelle stesse regioni, innescando un processo cumulativo di divergenza che va a detrimento dell’efficienza complessiva. Cfr. Krugman, P. (1991), Increasing returns and economic geography, in Journal of political economy, Vol. 99, no. 3, 483-499.
  27. Vi sono ragioni teoriche, confermate anche da studi quantitativi, nell’accentrare il potere contrattuale, specie in settori di complessa contrattazione ed asimmetria informativa. Cfr., ex multis e senza pretesa di esaustività, Gilbert, G., & Picard, P. (1996), Incentives and optimal size of local jurisdictions, in European Economic Review, Vol. 40, no. 1, 19-41, e Magnussena, J., Hagenb, T.P., Kaarboe, O.M. (2007), Centralized or decentralized? A case study of Norwegian hospital reform, Social Science & Medicine, no. 64, 21292137.
  28. Si è mostrato che, tenuto conto delle variabili di monitoraggio, apprendimento, presa di decisioni, coordinamento, comunicazione, leadership e capacità di recupero del contagio, sistemi sanitari decentralizzati non sono capaci di affrontare autonomamente emergenze sanitarie di grande portata, nelle quali si rende necessaria una risposta coordinata a livello nazionale. Tra gli articoli di pregio, pubblicati in riviste di primo quartile in ambito medico, si segnala il contributo di Bosa, I., Castelli, A., Castelli, M., Ciani, O., Compagni, A., Galizzi, M.M., Garofanog, M., Ghislandih, S., Giannonii, S., Marinij, G. & Vainieri, M. (2021), Corona-regionalism? Differences in regional responses to COVID-19 in Italy, Health Policy, Vol. 125, no. 9, 1179-1187.
  29. Sul rapporto tra autonomia differenziata regionale e covid-19 si veda, anche in ragione degli obiettivi di promozione e diffusione di una “cultura innovativa” di amministrazione e governo locale della fondazione che ne ospita il contributo, Osculati, F. (2020), L’autonomia differenziata regionale non sopravvive al Covid, Nota 20-2020 della Fondazione Giandomenico Romagnosi – Scuola di Governo Locale. in www.fondazioneromagnosi.it/sites/default/files/nota_romagnosi_2020-20.pdf (novembre 2020), consultato il 2 dicembre 2024.
  30. Sul coordinamento centralizzato, in ambito federale e regionale, si veda, inter alia, Hegele, Y., & Schnabel, J. (2021), Federalism and the management of the COVID-19 crisis: centralisation, decentralisation and (non-) coordination, in West European Politics, Vol. 44, no. 5-6, 1052-1076.
  31. In questi termini si vedano Aubrecht, P., Essink, J., Kovac, M., & Vandenberghe, A. S. (2022), Centralised and Decentralised Responses to COVID-19: the EU and the USA Compared, in Utrecht Law Review, Vol. 18, no. 1, 93-107, in particolare 98.
  32. Senza addentrarsi sui numerosi scandali che hanno coinvolto, negli ultimi anni e a vario titolo, alcune amministrazioni locali in fenomeni di corruttela e vicinanza ad associazioni facenti parte della criminalità organizzata, basti qui sottolineare che la ricerca di rendita – rent seeking – volta ad ottenere vantaggi economici attraverso l’influenza sulle decisioni di governo o altre istituzioni, senza contribuire alla produzione di nuova ricchezza locale, è un fenomeno regionalistico evidente, almeno da un punto di vista teorico. Cfr. Filippetti, A. (2018), Does Regional Autonomy Improve Local Public Services in More Diverse Regions?, in E.M. Belser, T. Bächler, S. Egli e L. Zünd (a cura di), The Principle of Equality in Diverse State: Reconciling Autonomy with Equal Rights and Opportunities, Leida, Brill, 130-157; Tanzi, V. (2002), Pitfalls on the road to fiscal decentralization, in E. Ahmad e V. Tanzi (a cura di), Managing Fiscal Decentralization, Abingdon, Routledge, 33-46.
  33. Su queste tematiche, senza pretesa di esaustività, si citano i contributi miliari di Akerlof, G. A. (1970), The market for “lemons”: Quality uncertainty and the market mechanism, in The quarterly journal of economics, Vol. 84, no. 3, 488-500, e Rothschild, M. e Stiglitz, J. (1976), Equilibrium in competitive insurance markets: An essay on the economics of imperfect information, The quarterly journal of economics, Vol. 90, no. 4, 629-649.
  34. Molto interessante, su questa particolare tematica, il contributo teorico-economico di Bordignon, M., Manasse, P., & Tabellini, G. (2001), Optimal regional redistribution under asymmetric information, in American Economic Review, Vol. 91, no. 3, 709-723.
  35. Questo problema di “corsa al ribasso” non è dissimile da quanto avviene in ambito federale, come dimostrato nel valido contributo fornito in Klevorick, A. K. (1996), The race to the bottom in a federal system: lessons from the world of trade policy, in Yale Law & Policy Review, Vol. 14, no. 2, 177-186.
  36. Si è osservato, in passato, che la spesa pubblica pro capite delle regioni già autonome è più del doppio rispetto agli altri territori, ma che buona parte dei salvataggi economici locali, in particolare per le banche, sono stati portati avanti, in realtà, dal governo centrale. Cfr. Sanderson, R. (2017), Italy’s richest regions vote overwhelmingly for greater autonomy, in www.ft.com/content/ (22 ottobre 2017), consultato il 2 dicembre 2024.
  37. Questo fenomeno di asimmetria informativa – e non sostenibilità di lungo periodo – assume una particolare rilevanza nel settore sanitario, come mostrato in Di Giacomo, M., Levaggi, R., Piacenza, M., e Salmasi, L. (2024), L’assistenza ospedaliera: modelli regionali e performance degli ospedali nel Servizio sanitario nazionale, in Rivista di politica economica, no. 1, 91-121.
  38. Così Lucarelli, A. (2024), Introduzione. Dall’Europa delle regioni alle piccole patrie, in Diritto Pubblico Europeo-Rassegna online, Vol. 21, n. 1, 617-620, cit. 618.
  39. Si è sottolineato, in dottrina, che un sistema così concepito non solo non garantirebbe alcuna forma di solidarietà, ma sarebbe figlio di una visione “antieconomica ed antistorica”. Così Mone, D. (2024), La prospettiva antistorica ed antieconomica dell’autonomia differenziata di Calderoli: le Regioni come piccole patrie, in Diritto Pubblico Europeo-Rassegna online, Vol. 21, n. 1, 634-656, cit. 656.
  40. In questa direzione si sono espressi, anche in particolare per quanto concerne il sistema europeo di coesione, Pîrvu, R., Drăgan, C., Axinte, G., Dinulescu, S., Lupăncescu, M., & Găină, A. (2019), The impact of the implementation of cohesion policy on the sustainable development of EU countries, in Sustainability, Vol. 11, no. 15, 4173.
  41. In questi termini, Sgritta, G. B., Leone, L., Rossi-Doria, M., & Laino, G. (2010), Mezzogiorno, povertà e capitale umano, in Rivista delle Politiche Sociali, no. 3, 231-56.
  42. Si porrebbe, in relazione a questi casi, un bizzarro effetto “Robin Hood” alla rovescia che favorirebbe logiche sperequative che sono contrarie all’unità nazionale garantita proprio dalla costituzione. Si veda, in tal senso, Patroni Griffi, A. (2019), Regionalismo differenziato e uso congiunturale delle autonomie, in Diritto Pubblico Europeo. Rassegna Online, Vol. 1, no. 18, 29-46.
  43. In tal senso, Petraglia, C., & Prezioso, S. (2023). Nord e Sud. Divari economici e politiche pubbliche dall’euro alla pandemia. Carocci.
  44. Tale espressione si deve a Viesti, G. (2019). Verso la secessione dei ricchi?: Autonomie regionali e unità nazionale. Editori Laterza. Si noti, per completezza, che l’espressione non va confusa con la “sécession des riches”, coniata dallo storico Pierre Rosanvallon per indicare disuguaglianze trasversali nella società francese. Si veda, su quest’ultimo punto, Poggi, A. (2024), Il regionalismo differenziato nella “forma” del d.d.l Calderoli: alcune chiare opzioni politiche, ancora nodi che sarebbe bene sciogliere, in Federalismi.it, no. 3, iv-xiv, nota 9.
  45. Si è notato, in dottrina, che la formula del residuo fiscale sarebbe, in realtà, totalmente arbitraria, non potendosi calcolare la differenza tra le spese e le entrate a livello territoriale, ma soltanto a livello di individuale. Cfr. Guerra, M. C. (2019), Autonomia regionale differenziata: verso la «secessione dei ricchi»?, in Le Regioni, Vol. 47, no. 2, 413-444.
  46. Il riferimento è, in particolare, al hecho diferencial spagnolo e alle frustrazioni indipendentiste determinatesi con il robo operato dagli enti centrali, per mezzo della sobre-nivelación fiscal, nei confronti delle regioni più produttive e ricche. In tal senso, si veda, per un approfondimento ed un paragone diretto con le questioni affrontate in questo manoscritto, Gardini, G. (2024), Il difficile cammino del decentramento tra riforme, emergenze e resistenze. Alla ricerca di un “sistema delle autonomie territoriali, in La Nuova Giuridica, Vol. 5, no. 1, 12-38.
  47. In tali termini, si veda Scarascia Mugnozza, S. (2020), Profili critici degli” aiuti al Sud”, tra tax expenditure e regionalismo differenziato, in Federalismi.it, no. 21, 290-312, cit. 309.
  48. Così Belletti, M. (2024), Un regionalismo differenziato cooperativo e perequativo quale strumento di razionalizzazione dell’assetto istituzionale, in Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, no. 1, 20-43, cit. 31, 38, 43.
  49. La Giunta piemontese si è spesa molto per la difesa della legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata, come dimostra la costituzione in giudizio, dinnanzi alla Corte Costituzionale, per sostenere la legittimità costituzionale del progetto riformatore, in seguito ai ricorsi presentati dalla Regione Puglia e dalla Sardegna per ottenere una declaratoria di illegittimità costituzionale dalla legge 2 dicembre 2024 n. 86. Si veda, in particolare, “Autonomia differenziata: il Piemonte si costituisce in giudizio a sostegno della legge”, in www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/autonomia-differenziata-piemonte-si-costituisce-giudizio-sostegno-della-legge#.
  50. Cfr. Deliberazione della Giunta Regionale 10 gennaio 2018, n. 1-6323, di cui in nota 6.
  51. Ibidem.
  52. Il riferimento è, in particolare, alla figura che evidenzia la percentuale di popolazione residente che effettua una o più visite specialistiche nel corso dell’anno (i.e., ultima figura in basso a destra) che evidenzia un enorme divario tra le percentuali tra il 50 ed il 60 percento nel Nord Italia e percentuali di poco sopra il 40% per il Mezzogiorno. Sulla situazione, complessivamente deteriorata, del Mezzogiorno, in ambito sanitario, si rinvia a Collicelli, C. (2014), La sanità, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, Vol. 28, no. 1-2, 55-64.
  53. Sulle ragioni della specialità di alcune Regioni e di un vero e proprio diritto, finanche costituzionale, a risolvere localmente eventuali criticità e deficit socio-economici di alcune determinate zone geografiche particolarmente isolate, cfr., ex multis, Frosini, Tommaso Edoardo (2023). Il diritto costituzionale all’insularità. Rivista giuridica del Mezzogiorno, Vol. 37, no. 1, 41-57; Poggi, A.M. e Mastropaolo, A. (2017), La specialità della Valle d’Aosta tra fatto e norma, in Le Regioni, Vol. 45, no. 6, 1165-1174; e Toniatti, R. (2018), La «cultura dell’autonomia» quale concetto di sintesi, condiviso, complementare, interdisciplinare: l’approccio giuridico-istituzionale. LIA EBooks.
  54. Così Sobrino, op. cit., cit. 6.
  55. Si noti, peraltro, che la richiesta di autonomia sulla protezione civile, in particolare per la pianificazione dell’attività di volontariato in emergenza, ben potrebbero essere esercitabili dalle regioni alla luce delle disposizioni vigenti e contenute nel Codice della Protezione Civile e, in particolare, all’art. 11, c.1, lett. h), n) e p), e all’art. 8, co. 1, lett. f). In letteratura vi è chi ha mostrato, negli effetti, che il grado locale di marginalità, isolamento, autonomia funzionale per attività minime e per attività superiori non è significativamente differente rispetto ad altre regioni pedemontane e di confine. Si veda, in tal senso, Di Gioia, A. (2012), Analisi GIS delle dotazioni urbane e spaziali nelle Alpi. Marginalità, isolamento e autonomia funzionale, in Politiche Piemonte, no. 12, 5-10.
  56. Diverso discorso dovrebbe farsi per quanto concerne la governance del sistema sanitario piemontese che, nel recente passato, è stato sottoposto a un regime di rigida disciplina economica e a una riorganizzazione operativa forzata che ha influito profondamente sui suoi meccanismi di governo. Rispetto ad altre Regioni italiane, la situazione del Piemonte si è caratterizza per alcuni aspetti distintivi. In primis, il Piemonte ha subito un commissariamento parziale e vincoli che hanno obbligato la regione a rispettare stretti parametri di spesa e a implementare controlli ministeriali, in un quadro, comune ad alcune regioni in difficoltà (come Lazio e Campania), che ha portato a limitazioni significative nella capacità regionale di definire politiche sanitarie autonome. In secundis, la gestione del Piano di rientro ha consolidato il potere della Giunta a discapito del Consiglio regionale, con un approccio che compromesso il coinvolgimento rappresentativo e democratico del Consiglio, rispetto ad altre regioni italiane, non sottoposte agli stessi vincoli, che hanno mantenuto un equilibrio decisionale più bilanciato tra Giunta e Consiglio. Su questi aspetti si concentra Imarisio I. (2018), Il governo della sanità piemontese tra rientro dall’emergenza finanziaria e indirizzi nazionali (e tra Consiglio e Giunta), in Le Regioni, no. 4, 782-792. Questi elementi non sembrano – anche per la loro connotazione negativa in termini di gestione della spesa pubblica – sufficienti a giustificare una maggiore autonomia.
  57. In questo senso si è espressa attenta dottrina, sottolineando che le spinte autonomiste piemontesi appaiono “più come occasione per ampliare i propri margini di gestione finanziaria ed amministrativa che per individuare reali esigenze politiche sottostanti a cui provare a fornire risposte”. Così Pallante, F. (2019), Le richieste di differenziazione della Regione Piemonte in materia di tutela della salute, in Il Piemonte delle Autonomie, no. 1, 1-7, cit. 6.
  58. Si veda, ex multis, Maretti, M. (2008), La strutturazione dei sistemi welfare regionali, in Politiche sociali e servizi: bollettino di studio e documentazione, Vol. 1, 65-81.
  59. Così Sobrino, G. (2019), La proposta di differenziazione regionale del Piemonte e le sue motivazioni e prospettive: verso un Piemonte “più vicino” alla Valle d’Aosta? Spunti per un confronto tra il modello regionale “differenziato” piemontese e l’esperienza della specialità valdostana, con particolare riferimento alle forme di gestione dei piccoli Comuni ed alla tutela dei territori montani, in Diritti Regionali, no. 3, 1-48, cit. 44.
  60. Il riferimento, in particolare per quanto concerne lavoro e istruzione, è alle critiche sollevate in Cerruti, T. (2019), Le richieste di differenziazione della Regione Piemonte in materia di lavoro e istruzione, in Il Piemonte Delle Autonomie, no. 1, 1-8.
  61. Sui concetti di efficienza paretiana ed efficienza allocativa, si veda il limpido e pregevole contributo di Esposito, F. (2016), Efficienza paretiana ed efficienza allocativa. Considerazioni teoriche per giuseconomisti, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Vol. 46, no. 1, 225-238.
  62. Le condizioni per raggiungere tale devoluzione non particolarmente semplici da individuare in una decentralizzazione dei poteri amministrativi e regolamentari che potrebbero, in realtà, aumentare le disparità ed ulteriormente impoverire alcuni territori rispetto ad altri. Per un riscontro empirico si veda Torrisi, G., Pike, A., Tomaney, J. e Tselios, V. (2015), (Re-) exploring the link between decentralization and regional disparities in Italy, in Regional Studies, Regional Science, Vol. 2, no. 1, 123-140.
  63. Tale situazione non è stata certamente favorevole alla tutela dell’interesse unitario, determinando squilibri in termini di rapidità ed efficacia della risposta vaccinale. Vedi Vesperini, G. (2021), Lo Stato e le regioni nella disciplina del Covid-19. Il caso dei servizi alla persona e alla comunità, in Social Policies, Vol. 8, no. 2, 389-412.
  64. Interessante notare che le economie di scala si sono imposte ad un livello eccezionale persino superiore, volte ad evitare che a livello europeo ci fossero paesi a velocità distinte, proprio in risposta ad una eccezionalità che richiedeva un governo centralizzato persino a livello sovranazionale. Si veda, a livello negoziale, quanto sollevato in Sciacchitano, S. e Bartolazzi, A. (2021), Transparency in negotiation of european union with big pharma on COVID-19 vaccines, in Frontiers in public health, Vol. 9, no. 647955.
  65. È interessante notare che importanti esponenti politici, appartenenti alle forze politiche della maggioranza che hanno sostenuto ed approvato la riforma Calderoli, si sono spesi in favore di una revisione ed una moratoria sulla applicazione della riforma, “evit[ando] di approvare delle intese con le Regioni, anche sulle materie non Lep, fino a quando non sarà superata la spesa storica”. È lampante, in tal senso, viste anche le considerazioni di “legittimità” di tali richiesti da parte di esponenti di governo, che il legislatore si sia mosso con una certa frettolosità nel muovere passi così importanti in favore di una maggiore autonomia regionale. Cfr. ANSA, Occhiuto chiede una moratoria al governo sull’autonomia ‘No a intese se prima non si supera la spesa storica’, in www.ansa.it/calabria/notizie/2024/07/25/occhiuto-chiede-moratoria-a-governo- sullautonomia.html (25 luglio 2024), consultato il 2 dicembre 2024, ed ANSA, Tajani, la moratoria sullìautonomia è una richiesta di Occhiuto, legittima, in www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/07/25/tajani-moratoria-su-autonomia-e-richiesta-di-occhiuto.legittima.html (25 luglio 2024), consultato il 2 dicembre 2024.
  66. Non può non darsi conto del fatto che, nelle more della stesura di questo scritto, la Corte Costituzionale, con Comunicato del 14 novembre 2024, ha deciso le questioni di costituzionalità della legge sull’autonomia differenziata, proposte con ricorso dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, dichiarando illegittime alcune disposizioni del testo legislativo, in esame, in ossequio ai “principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, si può qui menzionare soltanto che appare, stando al comunicato, che la Consulta abbia messo in evidenza come il meccanismo proposto dalla legge sull’autonomia differenziata, pur avendo come obiettivo il miglioramento dell’efficienza, rischi di produrre inefficienze economiche per via di meccanismi di gestione delle risorse poco trasparenti, deleghe troppo ampie senza criteri chiari e un indebolimento della solidarietà tra le regioni. Questi problemi potrebbero, a lungo termine, ridurre la capacità del sistema di rispondere in modo efficiente e sostenibile alle necessità dei cittadini e alle future sfide economiche, in particolare in ragione “del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”. Cit. Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale, Comunicato del 14 novembre 2024, in www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20241114180612.pdf, consultato il 2 dicembre 2024.