Garantire i diritti di chi non ha libertà

Bruno Mellano[1] e Laura Scomparin[2]

1. L’istituzione della figura del Garante piemontese: un tassello del lungo percorso bottom-up degli ombudsmen dei detenuti.

Il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale è un organo di garanzia chiamato a svolgere funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. L’istituzione di specifiche figure di Garanti a livello regionale in Italia ha preceduto quella del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che è avvenuta soltanto ad opera del d l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10[3]. Tale riforma pare anzi aver rappresentato quasi una sorta di punto di arrivo a livello statale di un cammino assai articolato, le cui tappe sono state segnate non solo da numerosi disegni di legge a livello parlamentare, ma anche da un vero e proprio percorso bottom-up che ha visto il progressivo fiorire proprio di iniziative territoriali (regionali, provinciali e financo comunali) e il consolidarsi di esperienze di associazioni ed organismi i cui scopi erano e sono riconducibili alle medesime finalità[4]. Il motore principale di questo processo è sicuramente da individuarsi nel progressivo affermarsi, non solo a livello nazionale, di un sistema multilivello di promozione e tutela dei diritti che riduce la primazia della funzione giurisdizionale in questo ambito, in favore di interventi di carattere anche inter-amministrativo.

Seguendo l’esempio di altre Regioni (ed in particolare della Regione Lazio, che aveva istituito con la L.R. 6 ottobre 2003 n. 31 la prima figura del genere a livello regionale), nonché del Comune di Torino, che fu tra le prime municipalità di Italia a prevedere la figura del Garante comunale per le persone private della libertà personale con il Regolamento n. 288 approvato con delibera del Consiglio Comunale in data 7 giugno 2004 n. 58, il Piemonte ha creato e disciplinato l’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale con la Legge Regionale 2 dicembre 2009, n. 28. La prima nomina è stata poi effettuata soltanto nell’aprile 2014, su designazione dell’Assemblea legislativa, ed il Garante piemontese, entrato effettivamente in carica il 12 maggio del medesimo anno per lo svolgimento del primo mandato, è stato successivamente riconfermato nei primi mesi del 2020.

Il Garante dura in carica 5 anni e la sua nomina avviene con decreto del Presidente della Giunta Regionale, su designazione del Consiglio regionale. La scelta, per espressa indicazione normativa, deve ricadere su persone che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di responsabilità e rilievo nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, ovvero delle attività sociali negli istituti di prevenzione e pena e negli uffici di esecuzione penale esterna o che si siano comunque distinte in attività di impegno sociale. Allo scopo di favorire un’ampia convergenza politica su una figura concepita come organo di garanzia e controllo, la nomina – secondo l’art. 2 della L.R. 28 del 2009 – deve essere effettuata in prima votazione a maggioranza dei due terzi dei Consiglieri assegnati alla Regione e solo in seconda votazione a maggioranza assoluta dei Consiglieri assegnati.

Per il funzionamento dell’organo la Regione Piemonte ha parimenti istituito un Ufficio del Garante regionale, la cui dotazione organica viene stabilita con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, sentito il Garante. Il personale assegnato è composto da soggetti appartenenti allo stesso organico della Regione, anche se dipende funzionalmente dal Garante cui spetta il compito di disciplinarne le modalità organizzative interne. È prevista altresì, dall’art. 3 della L.R. 28 del 2009 la possibilità di avvalersi, per lo svolgimento delle funzioni, di esperti da consultare, ove necessario, su specifici temi e problemi (sia pure previa deliberazione dell’Ufficio di Presidenza)[5]; della collaborazione di analoghe istituzioni che operano in ambito locale e dei difensori civici regionale, provinciali e comunali, ove istituiti; nonché del contributo di centri di studi e ricerca e di associazioni che si occupano di diritti umani e di condizioni di detenzione.

2. Compiti e funzioni.

La figura del Garante è funzionalmente connotata dall’obiettivo di garantire ai soggetti comunque limitati o privati della libertà personale la tutela dei propri diritti fondamentali. La necessità di assicurare una reale effettività di tali diritti in relazione a persone che si trovano in condizione di particolare vulnerabilità proprio a causa della limitazione della propria libertà rappresenta il motore principale di ogni attività di quest’organo, la cui sfera di azione non si esaurisce nell’ambito degli istituti penitenziari per adulti e degli istituti penali per i minorenni presenti sul territorio regionale.

A questi “tradizionali” contesti privativi della libertà personale, da sempre riconosciuti come il principale ambito di interesse da parte di tutta la rete dei garanti, si sono infatti aggiunte nel tempo anche aree di interesse che spaziano dal settore dell’esecuzione penale esterna al controllo delle risposte statali di carattere coercitivo ai fenomeni migratori (si pensi ai Centri di permanenza per il rimpatrio, agli hot-spot e alle zone aereoportuali), dai “nuovi” luoghi di restrizione individuati dal legislatore (come le camere di sicurezza attrezzate presso le sedi delle forze di polizia) ai contesti più prettamente sanitari rispetto ai quali sia l’entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’esecuzione di misura di sicurezza), sia l’esecuzione dei TSO (Trattamenti sanitari obbligatori) hanno determinato e determinano comunque significative privazioni della libertà personale. Anche luoghi come le Case di cura, le Residenze per Anziani, le Comunità terapeutiche possono eccezionalmente configurarsi come luoghi nei quali – ad un accesso volontario – può seguire il manifestarsi di più o meno rilevanti limitazioni della libertà personale: a questi particolari contesti può e deve essere dedicata specifica attenzione e proprio in considerazione della loro specificità in Piemonte è stata recentemente avviata una proficua cooperazione interistituzionale per la gestione delle relative problematiche tra Garante delle persone ristrette nella libertà personale e Difensore Civico.

Da un lato, tale ampliamento di competenze è certamente da guardare con favore perché riflette un necessario cambiamento di mentalità rispetto a cosa debba essere inteso come privazione o limitazione della libertà personale, andando oltre l’immaginario radicato (ma non per questo esclusivo) dell’istituto di pena che tale espressione richiama. Dall’altro lato, però, è cruciale che a tale ampliamento di competenze si accompagni anche una reale possibilità per il Garante di incidere su queste nuove aree di interesse e dunque una consapevolezza, politica, legislativa e istituzionale, della crescente complessità del ruolo e delle corrispondenti necessità in termini di formazione, risorse e investimenti.

Nell’istituire il Garante Regionale, la L.R. 28 del 2009 gli ha espressamente consegnato ogni iniziativa – ex officio o su istanza di chiunque vi abbia interesse – volta ad assicurare nei propri ambiti di intervento il rispetto dei diritti fondamentali del cittadino e l’erogazione delle prestazioni inerenti al diritto alla salute, al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione e alla formazione professionale e ogni altra prestazione finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro. A titolo esemplificativo e non certo esaustivo, l’art. 5 comma 1 della suddetta legge aveva previsto, ad esempio, segnalazioni agli organi regionali di eventuali fattori di rischio o di danno per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, dei quali il Garante sia venuto a conoscenza in qualsiasi forma (da parte dell’interessato, ma anche di associazioni o organizzazioni non governative), raccomandazioni alle amministrazioni interessate perché assumano le necessarie iniziative per assicurare l’effettività dei diritti e delle prestazioni esigibili. Al Garante erano stati inoltre attribuiti, nel rispetto delle proprie competenze, poteri di intervento nei confronti delle strutture e degli enti regionali, e la possibilità di indicare agli organi regionali competenti – in caso di accertate e perduranti omissioni o inosservanze che compromettano l’erogazione delle prestazioni sopra indicate – le opportune iniziative da assumere, ivi compresi i poteri sostitutivi[6]. Oltre ad esprimere pareri su atti amministrativi e legislativi che possano riguardare le persone sottoposte a restrizioni della libertà personale, il Garante può altresì segnalare agli organi regionali competenti gli interventi amministrativi e legislativi ritenuti necessari per contribuire ad assicurare il pieno rispetto dei diritti di tali persone e proporre all’assessorato regionale competente anche iniziative concrete di informazione e promozione culturale su tali temi.

Per esercitare i propri compiti il Garante utilizza principalmente lo strumento della visita – senza autorizzazione – in primis degli istituti penitenziari, in conformità a quanto disposto dall’articolo 67 o.p. (come modificato dal d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 convertito in L. 27 febbraio 2009, n. 14), espressamente richiamato anche dalla Legge Regionale, nonchè dei colloqui con i ristretti di cui all’art. 18 o.p. (come modificato da ultimo dal d. lgs. 2 ottobre 2018 n. 123). Pur trattandosi di strumenti fondamentali per la concreta operatività del Garante territoriale, va sottolineato il non perfetto allineamento con le prerogative del Garante Nazionale sia rispetto al novero dei luoghi cui è consentito accesso (che in quel caso comprende ad esempio espressamente i locali dei Centri di permanenza per il rimpatrio), sia rispetto alle caratteristiche dei colloqui con alcune tipologie di ristretti (in particolare con i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis o.p.)[7].

La non meno rilevante attività di sensibilizzazione e comunicazione comprende invece principalmente convegni, seminari, presentazioni di libri e rapporti ed è volta a rafforzare sia la visibilità di una figura di relativamente recente istituzione, sia a rafforzare le reti di collaborazione con enti e istituzioni del territorio. Particolarmente significativa, sia ai fini di comunicazione, sia per i rapporti con l’ente territoriale presso cui il Garante è istituito, è Ia Relazione annuale sulle attività svolte e sui provvedimenti organizzativi e normativi di cui intende segnalare la necessità, che viene presentata al Consiglio regionale entro il 31 marzo di ogni anno e successivamente sottoposta alla discussione dell’organo assembleare[8].

Nel corso degli anni, il Garante della Regione Piemonte ha poi sviluppato nell’alveo delle proprie competenze ulteriori ambiti di attività che si pongono anche come modello di proficua collaborazione interistituzionale. Il riferimento è, in particolare, al monitoraggio dei rimpatri forzati – sia per le fasi c.d. a terra, sia per le fasi di volo – degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione, nel cui ambito è progressivamente cresciuto il ruolo dei garanti territoriali nell’affiancamento alle attività del Garante nazionale, ma anche alla nuova attenzione rivolta alle strutture destinate ad ospitare persone anziane o con disabilità ad ingresso volontario o a seguito di un provvedimento di supporto sociale.

Dal 26 ottobre 2015, inoltre, è attivo un Coordinamento regionale dei Garanti delle persone detenute operanti in Piemonte, presieduto dal Garante regionale, a cui partecipano i Garanti comunali delle dodici città sedi di carcere sul territorio regionale. Il 6 luglio 2016 i Garanti piemontesi hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa con il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Il Coordinamento svolge da allora riunioni bimensili e opera con uno stretto raccordo operativo, con particolare riferimento alle azioni progettuali e alle politiche sociali realizzate dalla Regione, dagli enti locali e dal privato sociale piemontese.

3. Autonomia, indipendenza e concreto funzionamento dell’organo.

Nella costituzione di un organo indipendente il cui scopo è la promozione e protezione dei diritti umani rivestono un ruolo fondamentale i cd. Principi di Parigi, adottati dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1993, che individuano analiticamente i criteri che devono informare le istituzioni nazionali e locali per la protezione dei diritti umani, sia in termini strutturali sia in termini funzionali. Si tratta di regole minime in relazione a competenze, modalità di funzionamento, composizione, garanzie di autonomia, indipendenza e imparzialità: un mandato contenuto in un testo legislativo o costituzionale, che ne specifichi la composizione e la sfera di competenza; un’istituzione corredata da particolari garanzie di indipendenza; un’infrastruttura coerente con lo svolgimento delle proprie attività, ed in particolare un adeguato finanziamento (il cui scopo dovrebbe essere quello di renderla in grado di dotarsi di personale e sede propri, per essere indipendente dal Governo e non soggetta a controllo finanziario, in quanto ciò potrebbe minare la sua indipendenza)[9].

Va sottolineato però come a questo proposito l’Italia viva, nel contesto internazionale, una situazione del tutto singolare perché ad oggi esiste in realtà un solo organismo per la tutela dei diritti umani conforme ai Principi di Parigi, ossia il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che è stato istituito e designato specificamente quale Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e degli altri gravi maltrattamenti in base al Protocollo Opcat del 2002: la sua aderenza ai Principi di Parigi era espressamente richiesta dall’articolo 18, paragrafo 4, del Protocollo e la sua formale designazione ha attestato tale requisito[10].

Per quanto riguarda gli organismi regionali, e segnatamente il Garante per le persone private della libertà personale, la valutazione del livello di autonomia e indipendenza dell’organo non può che essere condotta sulla base della Legge Regionale che lo ha istituito e ne ha regolato il funzionamento.

Sotto un primo profilo rilevano sicuramente le caratteristiche soggettive (art. 2 comma 1), le modalità di nomina (art. 2 comma 2) e le incompatibilità (art. 2 commi 4, 5 e 6) individuate dalla normativa regionale.

Quanto ai requisiti che il Garante deve possedere, l’intenzione di limitare la scelta a soli soggetti in possesso di specifiche e stringenti caratteristiche di professionalità si è tradotta nel testo normativo in un’indicazione che da un lato pare fin eccessivamente restrittiva – richiedendo che la competenza nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, ovvero delle attività sociali negli istituti di prevenzione e pena, debba essere collegata alla precedente titolarità di «incarichi istituzionali di responsabilità e rilievo» – e dall’altro apre inspiegabilmente ad un semplice generico requisito, autonomamente sufficiente, con la conseguenza che la scelta potrebbe anche cadere “semplicemente” su persone «che si siano comunque distinte in attività di impegno sociale». Manca poi ogni espressa indicazione del requisito di comprovata indipendenza, presente invece assai opportunamente nelle leggi istitutive del Garante nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza (art. 2 comma 1 L. 12 luglio 2011 n. 112) e del Garante nazionale delle persone ristrette nella libertà personale (art. 7 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10). Solo apparentemente priva di connessione con l’esigenza di assicurare un’adeguata professionalità dell’organo è poi la previsione dell’indennità che viene riconosciuta per il periodo di mandato: in un quadro nazionale assai diversificato, in Piemonte corrisponde ad una delle più basse previste per tali ruoli. Inizialmente l’indennità era parametrata ad un terzo di quanto attribuito ai consiglieri regionali, ma in seguito il legislatore regionale è tornato a rideterminare il compenso con la Legge regionale n. 1 del 2016 riducendolo a 2.000 euro lordi. Tale quantificazione va certamente considerata insieme al contemporaneo divieto di esercizio di ogni altra attività di lavoro autonomo o subordinato[11].

Si muove certamente nella direzione di voler assicurare il più possibile la scelta di un’autorità indipendente dall’esecutivo la previsione di una designazione ad opera dell’organo elettivo, da adottarsi con maggioranza qualificata, sia pure attenuata già in seconda votazione, e forse fin troppo significativamente se si pensa che l’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di ridurre la natura “politica” della nomina. Sicuramente si sarebbe poi potuta prevedere quantomeno la necessità di una maggioranza significativamente qualificata ove si intendesse nel corso del mandato procedere ad una revoca per gravi violazioni dei doveri inerenti l’esercizio delle funzioni (mentre la relativa mozione di sfiducia può essere adottata, a mente dell’art. 2 comma 7 L.R. 28 del 2009, a maggioranza assoluta).

Chiaramente ispirata dalla medesima ratio è poi l’indicazione di un’impossibilità di assumere o conservare cariche elettive o incarichi o uffici pubblici di qualsiasi natura (secondo un meccanismo, assai opportuno, non di inconferibilità ma di incompatibilità), nonché di amministratore di enti, imprese o associazioni che ricevano a qualsiasi titolo convenzioni o contributi dalla Regione. Qualche perplessità rispetto all’obiettivo finale di nomina di una figura del tutto autonoma ed indipendente dall’amministrazione regionale di riferimento può invece destare la regola per cui il conferimento dell’incarico può riguardare anche «una persona dipendente dalla Regione o da enti dipendenti o comunque controllati dalla Regione», escludendosi semplicemente la contemporaneità dei due ruoli (con il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto di lavoro).

Per garantire una certa ed efficace azione dell’organo e una sua reale l’autonomia occorre però considerare non solo la disciplina delle incompatibilità e delle modalità di nomina e di revoca ma anche l’autosufficienza organizzativa (le risorse umane), finanziaria (il budget) e procedimentale (la disciplina delle modalità di azione)[12]. Gli stessi Principi di Parigi enfatizzano in modo particolare la necessità che gli organi di garanzia dei diritti umani siano dotati di adeguate infrastrutture, risorse umane e finanziarie in modo da garantire agli stessi un esercizio delle proprie funzioni non condizionato da surrettizie forme di controllo che potrebbero condizionarne l’indipendenza. Sotto questo profilo la L.R. 28 del 2009 ha stabilito la sede del Garante presso il Consiglio regionale dotandolo poi di un’autosufficienza organizzativa (a mente dell’art. 4 comma 4 «il Garante, con proprio atto, disciplina le modalità organizzative interne») condizionata a monte da una disponibilità di personale definita «con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, sentito il Garante». Il personale assegnato, dipendente funzionalmente dal Garante, è scelto, per espressa previsione normativa, all’interno dell’organico regionale senza che tuttavia siano indicati specificamente requisiti di professionalità in linea o sinergici con quelli sulla base dei quali il Garante stesso è nominato, che consacrerebbero anche ex lege l’importanza di una piena funzionalità dell’Ufficio. Il Garante non ha poi la possibilità di avvalersi di consulenze esterne, secondo una propria valutazione di necessità, in quanto l’art. 4 comma 3 lett. a) subordina le stesse ad una preventiva deliberazione dell’Ufficio di Presidenza, lasciando libera da vincoli soltanto la collaborazione son analoghe istituzioni che operano in ambito locale e con i difensori civici regionale, provinciali e comunali, ove istituiti, nonché con di centri di studi e ricerca e di associazioni che si occupano di diritti umani e di condizioni di detenzione. Sotto il profilo dell’autonomia finanziaria, la mancanza di una disponibilità di spesa, sia pure nell’ambito di quote predeterminate dall’Assemblea regionale e naturalmente soggetta alle ordinarie regole di rendicontazione, rischia di ridurre fortemente la possibilità di considerare adeguatamente garantita – similmente a quanto accade per moltissimi organismi di garanzia, anche a livello nazionale – quell’autonomia che i principi internazionali considerano coessenziale a simili figure istituzionali.

Emerge in sostanza, sotto questi profili, una tendenza complessiva a concepire il Garante come un organo strettamente collegato all’amministrazione regionale, in linea con un modello di azione centralizzato in grado di assumere, nel suo concreto operare, le forme di un potere di direzione e coordinamento che può significativamente ridurre l’autonomia di tale authority nell’esercizio delle sue funzioni.

[1] Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

 

[2] Prof.ssa ordinaria di diritto processuale penale, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino

 

[3] Per un commento alla riforma v. L. Scomparin, Il garante nazionale, in Sovraffollamento carceraio e diritti dei detenuti. Le recenti riforme in materia di esecuzione della pena, a cura di F. Caprioli-L. Scomparin, Giappichelli, Torino, 2015, p. 283 ss.; M. Ceresa Gastaldo, Una authority di cartapesta per i diritti dei detenuti, in Leg. pen. 2014, f. 4, pp. 413 ss.; A. Della Bella, Emergenza carceri e sistema penale. I decreti legge del 2013 e la sentenza della Corte cost. n.32/2014, Giappichellli, 2014, pp. 155 ss.; G. Di Rosa, Il garante dei diritti dei detenuti e dei soggetti privati della libertà personale, in Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di C. Conti-A. Marandola-G. Varraso, Cedam, 2014, p. 127 ss.; F. Fiorentin, Al debutto il Garante dei diritti dei detenuti, in Guida al diritto, 2009 (Dossier/2), p. 107 ss.

 

[4] V. in particolare l’Ufficio del difensore civico di Antigone (www.osservatorioantigone.it).

 

[5] Nell’intento di garantire l’effettività della previsione, la legge regionale istitutiva della figura del Garante aveva previsto all’art. 8 (Norma finanziaria) che «Agli oneri costitutivi dell’ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, stimati nel biennio 2010-2011 in 200.000,00 euro per ciascun anno», si facesse fronte «con le risorse finanziarie individuate con le modalità previste dall’articolo 8 della legge regionale 11 aprile 2001, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Piemonte) e dall’art. 30 della legge regionale 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l’anno 2003)». Tuttavia, a partire dalla prima nomina della primavera 2014, questa previsione non ha ricevuto concreta attuazione, precludendo sostanzialmente all’organo di garanzia la possibilità di avvalersi del supporto di consulenti esterni come indicato dall’art. 3 L.R. 28/2009.

 

[6] Si tratta di una previsione che apre importanti spazi ed opportunità per l’attività del Garante, ma che presenta complessità di attuazione concreta parimenti rilevanti e ancora tutte da esplorare.

 

[7] Per una disamina delle problematiche relative ai colloqui tra garanti territoriali e detenuti in regime di “carcere duro” v. da ultimo F. Dallabona, L’accesso ai colloqui con i garanti territoriali, in Giur. Pen. 2020, fasc. 1 bis, pp. 136 ss.

 

[9] Cfr. l’analisi di M. Magri, Le autorità regionali di tutela dei diritti: il caso dell’Emilia-Romagna, in Istituzioni del federalismo, 2017, p. 921 ss.

 

[10]Per una disamina della situazione italiana sotto questo profilo v. Relazione al Parlamento del Garante nazionale 2019, p. 45 ss. (http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/00059ffe970d21856c9d52871fb31fe7.pdf)

 

[11] A riguardo ben più rilevante è la situazione dei garanti comunali presenti sul territorio che svolgono la propria attività a titolo gratuito. Se, da un lato, il Piemonte è l’unica regione italiana a poter vantare un/a garante comunale per ogni comune sede di carcere, tale rete si basa sul lavoro e sul tempo di persone che – salvo il caso di Torino, che in questo si allinea a quanto previsto dai Comuni delle più grandi città italiane – non percepiscono alcun tipo di retribuzione o compenso ma solo in alcuni casi parziali rimborsi spese.

 

[12] In questo senso, con riferimento ai Garanti dell’infanzia, L. Strumendo – P. De Stefanis, Il garante dell’infanzia e dell’adolescenza, in Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, a cura di L. Lenti, 2^ ed., Giuffrè, 2012, p. 281 s.