Habemus Piemontellum
Giovanni Boggero [1]
La Regione Piemonte si è finalmente dotata di una legge elettorale autonoma, mandando così in soffitta – almeno formalmente – la disciplina statale prevista dal cd. Tatarellum (l. n. 43/1995, a sua volta modificativa della l. n. 108/1968) che continuava ad applicarsi con i correttivi e in base al regime transitorio previsti dall’art. 5 della l. cost. n. 1/1999.
La legge regionale 19 luglio 2023, n. 12 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale) costituisce il frutto di un compromesso politico raggiunto nell’ultimo anno della legislatura dalla maggioranza con l’opposizione, la quale ha così desistito dall’iniziale ostruzionismo, in parte astenendosi, in parte non partecipando al voto finale in assemblea (31 i favorevoli, 2 i contrari, 10 gli astenuti). Stante la scelta dello Statuto per un’elezione contestuale del Presidente della Giunta e del Consiglio, oltreché a suffragio universale e diretto (art. 17, co. 2 e art. 50, co. 1 St.), le opzioni disponibili per il legislatore erano già in partenza piuttosto limitate, anche considerato che la formula elettorale deve pur sempre essere disegnata allo scopo di garantire al Presidente eletto una stabile maggioranza. Ciò premesso, il sistema elettorale che ne è risultato, pur non differenziandosi significativamente da quello fino ad oggi in vigore, reca qualche aspetto di novità e, al tempo stesso, è caratterizzato da una certa ambiguità, legata in particolar modo all’attribuzione del premio di maggioranza.
Nel merito, la legge in parola ha, innanzitutto, confermato che 40 dei 50 consiglieri totali sono eletti con sistema proporzionale sulla base di liste provinciali concorrenti, mentre i restanti 10 sono eletti con sistema maggioritario sulla base di liste regionali concorrenti. Quanto alla distribuzione dei seggi tra le varie circoscrizioni provinciali, il criterio di riparto resta identico al precedente e garantisce una leggera sovrarappresentazione delle aree più densamente popolate a discapito di quelle meno popolose. La questione è da sempre molto controversa sotto il profilo politico-territoriale e oppone Torino e Cuneo a Novara, Biella e soprattutto al VCO. L’occasione dell’approvazione della nuova legge elettorale avrebbe dovuto essere colta per rivedere finalmente in maniera più equa le circoscrizioni, accorpandole o scorporandole, anche a prescindere dai confini provinciali.
In ogni Provincia, ciascuna lista circoscrizionale resta, poi, collegata a una lista regionale del candidato Presidente contrassegnata dal medesimo simbolo. L’elettore avrà a disposizione un’unica scheda sulla quale esprimere il voto (eventualmente anche disgiunto) sia per la lista provinciale, sia per quella regionale. Mentre la lista regionale rimane invariata (non si deflette dalla soluzione del “listino bloccato”), nella lista provinciale, a differenza del passato, l’elettore potrà esprimere fino a due preferenze, ma, in tal caso, dovrà esprimere la seconda per un candidato appartenente a un sesso diverso rispetto a quello del candidato per cui ha espresso la prima preferenza. In questo modo, viene garantita la cd. preferenza di genere, la cui assenza nel testo previgente era di dubbia costituzionalità e aveva scatenato diverse polemiche, culminate di recente anche nella presentazione di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare mirata alla sua introduzione. Il vulnus sarebbe stato comunque già facilmente rimediabile se il legislatore statale avesse emendato il Tatarellum in modo da prevedere un analogo meccanismo a quello nel frattempo introdotto dalla legge n. 20/2016 (modificativa della l. n. 165/2004) per le Regioni già dotatesi di un sistema elettorale autonomo. A tale previsione in tema di preferenze, si aggiunge altra disposizione, presente nella gran parte delle altre leggi elettorali regionali, volta a garantire la parità di genere nella formazione delle liste elettorali: in ciascuna lista circoscrizionale o regionale, infatti, nessuno dei due sessi potrà essere rappresentato in misura superiore al 60 percento dei candidati.
Se è vero che il metodo di attribuzione dei seggi resta il medesimo, ossia quello del quoziente corretto, le innovazioni principali del Piemontellum riguardano alcuni dei cd. correttivi. Sotto il profilo della soglia di sbarramento, la legge elettorale ripropone, seppur con altre parole, lo schema di cui all’art. 7 della l. 43/1995: partecipano, infatti, al riparto tutte le liste appartenenti a coalizioni con almeno il 5 percento dei voti validi a livello regionale, a prescindere dalla loro consistenza individuale, nonché le liste riunite in coalizione che non hanno superato la precedente soglia ovvero non unite in coalizione che abbiano individualmente raggiunto il 3 percento.
La novità riguarda, invece, principalmente l’assegnazione del premio di maggioranza. Fino ad oggi, qualora le liste provinciali avessero ottenuto meno del 50 percento dei seggi avrebbero ottenuto in blocco tutti e dieci i seggi del listino, qualora invece avessero superato da sole il 50 percento avrebbero ottenuto soltanto cinque dei dieci seggi del listino e gli altri sarebbero stati assegnati proporzionalmente alle liste non collegate a quella regionale che aveva ottenuto il maggior numero di seggi. Tale soluzione era stata già criticata in dottrina [sia consentito rinviare per tutti a: G. Boggero/A. Fusco, Vent’anni senza Piemontellum: tra inerzia del legislatore e contenzioso elettorale, in Diritti regionali, 2017], da un lato perché il premio era maggiore laddove i voti ottenuti erano inferiori e viceversa, dall’altro perché esso veniva attribuito senza che fosse necessario raggiungere una soglia minima. Nel novellato quadro normativo, alla coalizione o al gruppo di liste collegati al candidato proclamato Presidente l’assegnazione del premio avviene, invece, in maniera “scalare”, a seconda del raggiungimento di diverse soglie. Il meccanismo non è, però, di facilissima intuizione, ma è anzi piuttosto cervellotico, da un lato, poiché il richiamo alle soglie mescola voti e seggi, dall’altro poiché è controintuitivamente volto a conciliare a tutti i costi l’attribuzione del premio con la garanzia delle minoranze.
In particolare, nell’ipotesi (a), se una coalizione ottiene meno del 45 percento dei voti validi si vedrà assegnati tutti e dieci i seggi del listino purché le liste avversarie abbiano da sole già ottenuto almeno il 40 percento dei seggi; l’Ufficio elettorale centrale dovrà a questo punto però ancora verificare che, attraverso l’attribuzione dei seggi aggiuntivi, la coalizione abbia anche ottenuto il 55 percento dei seggi (ossia 28 seggi); se così non fosse, esso dovrà allora assegnare i seggi aggiuntivi necessari al raggiungimento della soglia dividendoli tra i gruppi di liste collegati al Presidente e sottraendoli dalle altre liste non collegate; nell’ipotesi (b), se una coalizione ottiene tra il 45 e il 60 percento dei voti si vedrà assegnati tutti e dieci i seggi del listino, purché i gruppi di liste avversarie abbiano conseguito a loro volta complessivamente il 40 percento dei seggi; l’Ufficio dovrà anche in questo caso verificare se in questo modo la coalizione collegata al Presidente eletto abbia ottenuto il 60 percento dei seggi (ossia 30 seggi), ma se così non fosse, esso dovrà procedere all’assegnazione di quelli necessari al raggiungimento di tale soglia; nell’ipotesi (c) qualora una coalizione abbia ottenuto una cifra uguale o inferiore al 60 percento dei voti validi, ma i gruppi di liste non collegati al Presidente eletto non abbiano, invece, ottenuto da sole almeno il 40 percento dei seggi, l’Ufficio elettorale procederà ad assegnare a tali liste un massimo di cinque seggi fino al raggiungimento della soglia; nell’ipotesi (d), se una coalizione ha ottenuto più del 60 percento dei voti validi e se i gruppi di liste non collegati al Presidente eletto hanno ottenuto soltanto il 36 percento dei seggi, l’Ufficio elettorale attribuirà tutti i seggi del listino e verificherà se la coalizione abbia così raggiunto almeno il 64 percento dei seggi (ossia 32 seggi), altrimenti procederà ad assegnarglieli secondo il meccanismo già esaminato; nell’ipotesi (e), se una coalizione ha ottenuto più del 60 percento dei voti validi ma i gruppi di liste non collegati al Presidente eletto non hanno ottenuto il 36 percento dei seggi, l’Ufficio elettorale procederà all’assegnazione a tali liste di un massimo di cinque seggi fino al raggiungimento della soglia.
In poche parole, la legge elettorale prevede una sorta di “premio di minoranza”, a sua volta diversificato (tale da garantire il raggiungimento della soglia di 18 ovvero di 20 seggi), che impedisce alla coalizione vincente di avere un numero “eccessivo” di seggi e assicura così la rappresentanza delle minoranze, ai sensi dell’art. 4, co. 1 della l. n. 165/2004. In disparte un’analisi più approfondita del concreto funzionamento di questo sistema nelle sue varie ipotesi applicative oltreché delle sue analogie con i meccanismi previsti dalle leggi elettorali di altre Regioni, in questa sede basta osservare come, nonostante la formale previsione di specifiche soglie al raggiungimento delle quali far scattare il premio di maggioranza, analogamente al passato, la sua consistenza è inversamente proporzionale al numero di voti validi ricevuti dalla coalizione del Presidente eletto. In uno scenario di forte frammentazione partitica, nel caso in cui una coalizione che fa capo al Presidente eletto abbia ottenuto tra il 30 e il 35 percento dei voti, il premio di maggioranza del Piemontellum consentirà alla coalizione di avere comunque il 55 percento dei seggi, mentre qualora una coalizione ottenga poco più del 50 percento dei voti, avrà un premio limitato che le assicurerà tra il 60 e il 64 percento dei seggi. Al limite, in un contesto nel quale una coalizione ottenga il 65 percento nelle urne, riceverà meno seggi di quanto i voti ottenuti le consentirebbero di ottenere. Il premio di minoranza, infatti, assegnato senza che le liste non collegate al Presidente eletto debbano raggiungere alcuna soglia minima di voti, finisce per predeterminare la consistenza numerica della maggioranza consiliare, la quale non potrà che oscillare in un intervallo compreso tra i 28 e i 32 seggi, a prescindere dalla percentuale di voti ottenuti dalla coalizione vincente.
L’altra novità che merita ancora di essere brevemente segnalata in questo Editoriale ha a che fare con il sistema della supplenza dei consiglieri-assessori. La legge ha espressamente disposto l’incompatibilità delle funzioni di assessore e consigliere regionale. La nomina di un consigliere ad assessore non determina, tuttavia, la decadenza dalla prima carica, ma soltanto la sua sospensione per la durata dell’incarico delle funzioni di assessore. Ciò implica che il consigliere diventato assessore lascerà spazio a un proprio supplente (il primo candidato non eletto della lista circoscrizionale o del listino) che resterà tale fintantoché il primo non cessi dall’incarico. Il “sistema della panchina”, come è stato soprannominato dagli organi di stampa, va letto in combinato con la revisione statutaria che di recente ha introdotto la figura dei sottosegretari [cfr. il commento di M. Calvo in questo numero della Rivista] e consente, da un lato, di evitare alla radice la figura dei consiglieri-assessori, che meglio e più efficacemente possono esercitare le proprie funzioni in quanto consiglieri o, alternativamente, in quanto assessori, ma permette, soprattutto, di attrarre alla sfera politica regionale un maggior numero di individui in un contesto nel quale ormai da tempo, al numero di seggi spettanti alla Regione, è stato inderogabilmente posto un tetto dalla legge statale.
Da ultimo, va segnalato come il legislatore regionale abbia disciplinato un’ulteriore ipotesi di esonero dalla raccolta delle firme per la presentazione delle liste circoscrizionali, ossia quella delle liste che abbiano ottenuto una dichiarazione di collegamento con un consigliere assegnato al gruppo misto da almeno due anni, ipotesi introdotta in tutta evidenza per consentire ai due consiglieri iscritti attualmente al gruppo misto di potersi presentare con il proprio contrassegno senza dover raccogliere le firme richieste già dalla disciplina regionale vigente e qui soltanto riprodotta. La previsione di eccezioni di questo tipo, sempre meno generali e astratte, ma ritagliate, semmai, su singoli casi, non crea solo immotivate disparità di trattamento tra insider e outsider al quadro politico-partitico, ma pare essere mirata a evitare tout court una qualsiasi raccolta firme per la partecipazione alle elezioni onde scongiurare alla radice i gravi abusi che, in passato, hanno determinato l’annullamento delle elezioni regionali. Si tratta di un segno che, anche a molti anni di distanza e nonostante gli auspici della dottrina [cfr. J. Luther, I dubbi della democrazia regionale piemontese, in Rivista AIC, n. 1/2014], conferma la forte sfiducia per la capacità della democrazia piemontese di sapersi autorigenerare.
- Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino ↑