Il CAL e la rappresentanza territoriale del Senato nel quadro della riforma costituzionale
Intervento al Convegno “I CAL nella riorganizzazione dei sistemi regionali delle autonomie”, Consiglio Regionale della Toscana, Firenze, 10 maggio 2016.
Massimo Cavino[1]
Sommario: 1. Premessa. 2. Il Senato delle autonomie a prevalenza regionale. 3. Il ruolo del CAL nel sistema di rappresentanza delle istituzioni territoriali. 4. I punti di contatto tra CAL e Senato.
1. Premessa.
Interrogarsi sul ruolo che il Consiglio delle autonomie locali potrà giocare rispetto alla rappresentanza territoriale nel quadro istituzionale delineato dalla riforma in itinere, impone di affrontare la questione preliminare sulla natura che verrà ad assumere il futuro Senato.
Il tema è stato oggetto di attente riflessioni nei mesi precedenti e pare di poter affermare che, nell’alternativa tra l’ipotesi di una camera di rappresentanza territoriale e una di rappresentanza politica, sia prevalsa come plausibile la seconda.
È opinione diffusa che sulle logiche territoriali finiranno per imporsi quelle di partito.
Le rapide osservazioni che seguono muovono invece da una premessa differente; dalla considerazione che nell’articolato sistema politico italiano, rispetto alla maggior parte dei temi dell’agenda politica, non sia possibile distinguere con chiarezza le posizioni nazionali di partito da quelle che esprimono interessi prevalentemente territoriali.
La recente vicenda referendaria no triv ha evidenziato con chiarezza tale intreccio, non tanto nella contrapposizione tra Governo e Regioni, presieduti da esponenti dello stesso partito, quanto nella tendenza dei leader politici locali ad interpretare le istanze territoriali come elemento distintivo della propria azione politica in vista di competizioni sulla ribalta nazionale.
Si assiste con una frequenza via via maggiore ad una commistione tra personalizzazione e territorializzazione dei partiti[2] che assumono sempre più la struttura del network.
In tale prospettiva il nuovo Senato potrebbe sfuggire all’alternativa secca tra camera-politica e camera-territoriale e divenire lo spazio nel quale si organizzano e si intrecciano i nodi di una rete di cui i territori forniscono il filo.
2. Il Senato delle autonomie a prevalenza regionale.
L’art. 55, comma 5, Cost., approvata la revisione costituzionale, disporrà che «Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica».
L’art. 57 stabilirà, al primo comma, che esso sia composto da «novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali»; al secondo che i Senatori saranno eletti dai consigli regionali «fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori»; al quarto comma disporrà che «Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due»; e al quinto che la ripartizione dei seggi tra le regioni si effettuerà in proporzione della loro popolazione.
Il quadro normativo appena delineato mostra con tutta evidenza il superamento della originaria intenzione di fare del Senato una camera delle autonomie.
Nella impostazione originaria del d. d.l. n. 1429 il Senato risultava composto da: 42 membri di diritto (19 presidenti di giunta regionale; 2 presidenti di provincia autonoma; 21 sindaci dei capoluoghi di regione o di provincia autonoma); 80 membri eletti in secondo grado, con voto limitato (2 consiglieri per ciascun Consiglio regionale dallo stesso Consiglio e 2 sindaci per ciascuna regione da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione); (fino a) 21 membri, nominati per la durata di 7 anni, dal presidente della Repubblica alla stregua dei requisiti previsti dal testo originario della Costituzione per i senatori a vita; ad esaurimento, gli attuali senatori a vita; e, per il futuro, salvo rinuncia, i Presidenti della Repubblica cessati dalla carica.
Il testo approvato definitivamente dalle Camere ha invece abbandonato la pariteticità del rapporto tra sindaci e rappresentanti regionali, ha attribuito al consiglio regionale anche l’elezione dei sindaci e ha reintrodotto il criterio «della “pesatura” delle rappresentanze regionali (che è da sempre stata presente anche nella distribuzione dei senatori tra circoscrizioni elettorali regionali) rispetto a quanto previsto dal d.d.l. Renzi-Boschi, che attribuiva lo stesso numero di senatori ad ogni regione»[3].
Benché formalmente ciascun senatore rappresenterà, senza vincolo di mandato, le istituzioni territoriali, non è chi non veda le conseguenze delle proporzioni numeriche tra la compagine dei senatori/consiglieri e quelle dei senatori/sindaci.
Il nuovo Senato sarà caratterizzato dalla netta prevalenza delle istanze regionali rispetto a quelle locali.
La scelta operata è però del tutto coerente con la struttura regionale dello Stato.
Regioni ed enti locali sono titolari di forme di autonomia differenti.
L’autonomia regionale è “materialmente” disciplinata dalla Costituzione, mentre gli ambiti materiali della autonomia locale sono definiti dalla legge.
Per questa ragione strutturale le regioni sono titolari del potere legislativo mentre gli enti locali dispongono del solo potere regolamentare.
E poiché solo le regioni dispongono del potere legislativo è coerente con la logica del nuovo modello bicamerale la loro prevalenza nella partecipazione all’esercizio del potere legislativo statale.
La questione sulla quale possiamo comunque interrogarci è un’altra.
La logica che regge la prevalenza “numerica” dei senatori/consiglieri vale a giustificare l’attribuzione al consiglio regionale del potere di eleggere anche i senatori/sindaci?
Posto che in ogni regione ordinaria[4] lo statuto deve disciplinare il Consiglio delle autonomie locali, non sarebbe stato preferibile attribuire a quell’organo regionale l’elezione della parte sindacale dei senatori?
3. Il ruolo del CAL nel sistema di rappresentanza delle istituzioni territoriali.
Il d.d.l. Costituzionale Boschi-Renzi non interviene in alcun modo sulla disciplina del Consiglio delle Autonomie Locali.
Ciò può destare qualche perplessità ove si consideri che i tentativi immediatamente precedenti di riforma costituzionale avevano considerato il CAL come un elemento significativo per la riforma del bicameralismo con attribuzione alla seconda camera della rappresentanza delle autonomie territoriali.
Il disegno di legge costituzionale approvato in duplice deliberazione dal Parlamento nel corso della XIV legislatura (A.S. n. 2544D), e non confermato dal referendum, che si svolse il 25-26 giugno 2006, disciplinava il CAL quale organo, non solo di consultazione, ma anche di concertazione e di raccordo tra la regione e gli enti locali e prevedeva che ai lavori del Senato, composto da senatori eletti contestualmente al rinnovo dei consigli regionali, potessero partecipare rappresentanti eletti dai consigli regionali e dai CAL.
L’articolo 64, comma 6 Cost., come modificato dallo stesso disegno di legge costituzionale, avrebbe demandato al regolamento del Senato di disciplinare le ipotesi nelle quali la Seconda camera avrebbe assunto i pareri che i Consigli regionali avrebbero espresso sulle deliberazioni legislative statali, sentiti i CAL.
E le proposte di legge costituzionale A.C. n. 553 e abb.-A della XV legislatura, cosiddetta “bozza Violante”, nel testo unificato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati il 17 ottobre 2007, prevedevano che i CAL eleggessero, tra i componenti dei Consigli dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, un senatore nelle regioni con popolazione fino a un milione di abitanti, e due senatori nelle regioni con popolazione superiore.
Il d.d.l. Boschi-Renzi non coinvolge il CAL nel procedimento elettorale per la composizione del Senato e non modificando l’ultimo comma dell’art.123 Cost. gli conserva la funzione di organo di consultazione tra la regione e gli enti locali.
Questa scelta è stata determinata da considerazioni, prevalentemente, di carattere pratico: non tutte le regioni hanno portato a termine il percorso istitutivo del CAL e l’organo, anche dove esso è già operativo, fatica a trovare una precisa collocazione, con grandi oscillazioni rispetto alla sua efficienza, nei diversi contesti regionali.
Altrimenti detto. Il CAL non è stato considerato abbastanza maturo per potergli affidare il compito di eleggere i senatori/sindaci.
Si potrebbe ritenere, ragionando in termini contrari, che una riforma delle sue funzioni, con l’attribuzione esplicita della rappresentanza degli interessi locali presso la regione, avrebbe fornito una spinta per riposizionare il CAL nella organizzazione costituzionale regionale; così da considerare il mancato intervento del d.d.l. Boschi-Renzi come una occasione mancata.
Questa impostazione non pare tuttavia condivisibile.
Se riflettiamo sulla posizione del CAL nella organizzazione costituzionale, rispetto a quella del consiglio regionale, possiamo concludere che le ragioni pratiche che hanno portato ad escluderlo dalla “selezione” dei futuri senatori possono trovare una giustificazione di sistema (per quanto è lecito dubitare che essa sia stata presa in considerazione dal legislatore costituzionale).
Costituzionalizzare[5] la funzione di rappresentanza regionale delle autonomie locali in capo al CAL, nello stesso momento in cui si mette mano alla struttura bicamerale del Parlamento, facendo del Senato la camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, legittimata da una elezione di secondo grado, avrebbe condotto ad una bicameralizzazione surrettizia del sistema regionale[6].
Se prendiamo in considerazione la disciplina della partecipazione del Senato ai procedimenti legislativi statali, così come disegnata dal d.d.l. di riforma costituzionale, e quella prevista dagli statuti e dalle leggi regionali in ordine alla partecipazione del CAL al procedimento legislativo regionale non possiamo sottrarci alla suggestione della analogia.
Escluse le ipotesi di partecipazione paritetica previste dal primo comma dell’art. 70 Cost., il d.d.l. costituzionale, rispetto alle leggi che potranno essere approvate dalla Camera, attribuisce al Senato l’iniziativa legislativa e il potere di proporre modifiche alle deliberazioni legislative già assunte.
E gli Statuti e le leggi regionali attuative hanno attribuito al CAL, spesso il potere di iniziativa, sempre il potere di esprimere pareri sulle deliberazioni del Consiglio regionale.
Certo. Molte sono le differenze. Il Senato si vede espressamente attribuita la titolarità della funzione legislativa che, in ambito regionale appartiene solo al consiglio regionale.
Ciò non di meno una lettura attenta delle disposizioni costituzionali quali risulterebbero dopo la riforma induce a soffermarsi.
L’articolo 55, comma 4, Cost., approvata la riforma, disporrebbe che la Camera eserciti la funzione legislativa mentre il comma 5 disporrebbe che il Senato vi concorra nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione.
Si faccia molta attenzione: non solo secondo le modalità, ma anche neicasi stabiliti dalla Costituzione.
Ciò può indurre a concludere che le leggi approvate con il solo voto definitivo della Camera rappresentino casi nei quali il Senato non concorre all’esercizio della funzione legislativa? Del resto, nella maggior parte delle ipotesi, la deliberazione di proposte di modifica da parte del Senato sarebbe meramente eventuale.
Malgrado il dato testuale, la risposta all’interrogativo che ci siamo posti è unanimemente negativa sulla base della considerazione che «a ritenere diversamente, il potere del Senato dovrebbe qualificarsi come di controllo, secondo logica non distante da quella cui si ispira il silenzio-assenso nei procedimenti amministrativi: ma la natura dell’atto, la legge, e il contesto politico-parlamentare, non consentono una simile traslazione concettuale»[7].
Se la natura dell’atto, la legge, e il contesto politico parlamentare non consentono di degradare la partecipazione del Senato al procedimento legislativo ad un potere di controllo, per ragioni analoghe e di segno contrario potrebbe prodursi, una attrazione nell’ambito legislativo delle delibere con le quali il CAL interviene sulla approvazione delle leggi regionali, se ad esso venisse riconosciuta la funzione di rappresentanza regionale delle autonomie locali.
Ciò comporterebbe una spinta significativa verso il consolidamento della posizione del CAL nella organizzazione costituzionale regionale ma determinerebbe inevitabilmente un indebolimento del ruolo politico del consiglio regionale rispetto alla funzione in cui si esprime fondamentalmente l’autonomia regionale, la funzione legislativa.
La mancata previsione di una funzione di rappresentanza in capo al CAL, che non permette di considerare i suoi interventi sul procedimento legislativo come momenti di integrazione politica, risponde dunque alla logica del sistema regionale costruita intorno al ruolo legislativo del consiglio regionale.
Logica con cui è del tutto coerente la scelta di attribuire al solo consiglio regionale il compito di eleggere tutti i futuri senatori.
4. I punti di contatto tra CAL e Senato.
Se la scelta di non intervenire sulle attribuzioni del CAL e di non coinvolgerlo nel procedimento elettorale per la formazione del Senato trova una sua giustificazione nella struttura regionale dello Stato, è però legittimo attendersi che, approvata la riforma, la sua funzione consultiva sia oggetto di un ripensamento sostanziale.
La configurazione del Senato come camera rappresentativa delle istituzioni territoriali e il doppio ruolo assunto dai senatori/consiglieri e dai senatori/sindaci dovrebbe enfatizzare il ruolo del CAL.
La definizione dell’art.123, ultimo comma, che vuole il CAL «quale organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali» se non comprende la rappresentanza come strumento di integrazione politica, non esclude la rappresentatività dell’organo, intesa come capacità di rappresentazione degli interessi locali.
In un sistema virtuoso di decisione politica (e non) la consultazione non deve essere svalutata a “mera consultazione”.
Naturalmente affinché la consultazione riesca efficace e sia capace di orientare in modo corretto la decisione politica devono realizzarsi presupposti oggettivi e soggettivi.
Essa deve svolgersi secondo procedure compatibili con i tempi della decisione politica e deve intervenire tra soggetti preparati.
In tale prospettiva può non essere sufficiente la pur essenziale capacità di supporto amministrativo che i consigli regionali, presso i quali sono stati istituiti tutti i CAL, sono in grado di sviluppare.
Può rendersi necessaria una integrazione di carattere organico che permetta di stabilire un contatto diretto tra l’ambito nazionale e locale, così che da quest’ultimo possano essere rappresentate (nel senso precisato) con maggiore efficacia le istanze dei territori.
Una possibile soluzione è nella disponibilità del legislatore regionale che potrebbe attribuire, ope legis, la presidenza del CAL al senatore/sindaco della regione e prevedere espressamente (compatibilmente con gli impegni già gravosi del doppio incarico) forme istituzionalizzate di partecipazione ai lavori del CAL dei senatori eletti nella regione.
[1]Professore associato di Diritto costituzionale, Università del Piemonte Orientale.
[2]Cfr. le osservazioni di S. Parisi, La tensione tra personalizzazione e territorializzazione dei partiti politici alla luce della network analysis, in S. Staiano, a cura di, Nella rete dei partiti. Trasformazione politica, forma di governo, network analysis, Jovene, Napoli, 2014, 221 e ss.
[3]Cfr. S. Sicardi, Il nuovo bicameralismo previsto dalla riforma del 2016, in M. Cavino, L. Conte, L. Imarisio, S. Sicardi, G. Sobrino, La Costituzione dopo la riforma. 2016 …, in corso di stampa per i tipi de il Mulino, Bologna.
[4]La scelta di attribuire al CAL il potere di eleggere i senatori/sindaci avrebbe imposto la costituzionalizzazione dell’organo anche per le regioni e province speciali (ove per altro organi del tutto o in parte assimilabili al CAL già operano da tempo).
[5]La funzione di rappresentanza è espressamente riconosciuta dalle norme di diversi statuti. Calabria (articolo 48, comma 1 dello Statuto); Emilia Romagna (articolo 23, comma 1 dello Statuto); Lazio (Legge regionale 26 febbraio 2007, n. 1, articolo 1); Liguria (articolo 65, comma 1 dello Statuto); Puglia (articolo 45, comma 1 dello Statuto); Veneto (articolo 16, comma 1 dello Statuto); Toscana (articolo 66, comma 1 dello Statuto). Sulla difficoltà di definire i connotati di questi riconoscimenti di rappresentatività cfr. L. Imarisio, in M. Cavino, L. Imarisio, Il consiglio delle autonomie locali, Giappichelli, Torino, 2012, 26 e ss.
[6]Cfr. Le riflessioni di L. Imarisio, loc. cit.
[7]S. Staiano, Le leggi monocamerali (o più esattamente bicamerali asimmetriche), in Rivista AIC, 1/2016, 4.