Il diritto di accesso del consigliere comunale agli atti della magistratura della Corte dei Conti. Nota alla sentenza del Consiglio di stato, sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12

Rocco Cicatelli[1]

(Abstract)

Il presente contributo analizza il caso sottoposto al giudizio del Consiglio di Stato relativo la richiesta di accesso di un consigliere comunale alla documentazione intercorsa tra il Comune di appartenenza e la Procura regionale della Corte dei Conti. L’approfondimento costituisce l’occasione per ripercorrere il quadro normativo e giurisprudenziale sul diritto di accesso del consigliere comunale, con particolare attenzione al diritto di accesso del consigliere agli atti della magistratura contabile, e i suoi limiti alla luce del concorso con norme speciali.

 

Sommario: 1. Premessa.  2. Il quadro normativo. 2.1 In particolare il vincolo del segreto. 2.2 La disciplina specifica prevista dal Codice della giustizia contabile. 3. Il caso sottoposto ai giudici amministrativi. 3.1 La decisione di primo grado. 3.2 La decisione del Consiglio di Stato. 4. Gli orientamenti espressi in casi analoghi. 5. Conclusioni.

 

1. Premessa.

Il Consiglio di Stato nella sentenza in commento interviene per definire i confini del diritto di accesso di cui sono titolari i consiglieri comunali e provinciali ai sensi dell’art. 43, comma 2 del D.lgs. 18 agosto 200, n. 267[2]. Il caso sottoposto ai giudici riguarda l’accesso alla richiesta indirizzata al Comune dalla Procura della Corte dei Conti e alla documentazione formata dall’ente per adempiere la domanda dei magistrati.

Conformandosi alla consolidata giurisprudenza in materia, il giudicante ha confermato la natura della posizione vantata dal consigliere quale prerogativa di controllo democratico sull’amministrazione di appartenenza che non incontra alcuna limitazione purché il diritto sia esercitato strumentalmente all’esercizio della funzione pubblica affidata, salvo in motivazione negare l’accesso a quei documenti sottoposti a un regime speciale di segretezza.

Con il presente contributo si vuole analizzare, anche con l’aiuto degli approdi giurisprudenziali, il ragionamento seguito dal giudice e i motivi posti alla base della pronuncia, apparentemente in contraddizione con decisioni assunte in situazioni analoghe.

Preliminarmente, si ritiene opportuno delineare, seppure in modo succinto, e nella sola prospettiva che qui interessa, i caratteri propri del diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri[3].

 

2. Il quadro normativo.

Il diritto di accesso riconosciuto dall’ordinamento giuridico ai consiglieri comunali e provinciali appare un tema d’indubbia attualità, anche alla luce delle movimentate evoluzioni giurisprudenziali.

L’art. 43, comma 2, del Testo unico degli enti locali – D.lgs. n. 267/2000 – statuisce che: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge[4].

Tale diritto, in apparenza illimitato, si inserisce in un contesto normativo che prevede ulterioridisposizioni a presidio della libertà di accesso in genere agli atti dell’amministrazione.

Il riferimento è all’art. 10 del T.U.E.L. ai sensi del quale “tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese”.

Il cittadino di un ente locale non ha, pertanto, bisogno di provare uno specifico interesse per accedere agli atti dell’amministrazione in cui risiede, vedendosi riconosciuta una sorta di azione popolare[5] che non richiede la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto.

In questo modo il cittadino residente può avere accesso senza limitazioni né specificazione delle ragioni sottese all’istanza “dovendosi cautelare la sola segretezza degli atti la cui esibizione è vietata dalla legge o da esigenze di tutela della riservatezza dei terzi[6].

Il diritto amplia la sua portata applicativa quando letto in combinazione con l’art. 22 della l. 7 agosto 1990, n. 241[7][8]che attribuisce ai soggetti privati, compresi i portatori d’interessi pubblici o diffusi, il diritto di conoscere gli atti e documenti (mediante visione e/o estrazione di copia) detenuti dall’amministrazione al fine di tutelare la propria posizione soggettiva eventualmente lesa[9].

Quello riconosciuto al consigliere si configura invece quale diritto – “soggettivo pubblico funzionalizzato[10] – espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività[11], dai confini più ampi rispetto sia al diritto di  cui all’art. 10 T.U.E.L., sia a quello disciplinato dalla legge n. 241/1990.

La ragione dell’ampia legittimazione riconosciuta sta nel consentire al consigliere di svolgere il suo mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente[12], così da poter “esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale[13].

La posizione soggettiva attribuita rende superflua la motivazione della richiesta e la specificazione dell’interesse sotteso alla stessa qualora si dichiari di esercitare il diritto di accesso in rapporto alle proprie funzioni.

Qualsiasi diniego determinerebbe una compressione illegittima della funzione consiliare, salvo ipotesi eccezionali e contingenti, da motivare adeguatamente, o la dimostrazione che si tratta di richieste d’accesso manifestamente inconferenti rispetto l’esercizio delle funzioni dell’ente locale o addirittura presentate per interesse personale[14].

A conferma dell’ampiezza del diritto si rileva che il suo esercizio è esteso a tutti gli atti del Comune, anche non formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza[15], e, in genere, a qualsiasi notizia o informazione utile ai fini dell’esercizio delle funzioni consiliari[16].

Al tempo stesso non si può però interpretare quale pretesa indiscriminata e generalizzata a ottenere qualsiasi atto dell’amministrazione[17] giacché la loro cognizione è pur sempre finalizzata all’espletamento del mandato che costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l’accesso e il fattore che ne delimita la portata.

 

2.1 In particolare il vincolo del segreto.

Seppure appaia indubbio che il diritto dei consiglieri comunali risulti a oggi essenziale per verificare il corretto esercizio del potere da parte degli organi dell’ente, la sua previsione può scontrarsi con altri valori costituzionali, quali la segretezza e la riservatezza[18].

Laddove emersi spesso si è assistito a una dilatazione del diritto de quo, dimodoché, oggi, non sarebbe possibile opporre profili di riservatezza se l’esercizio del diritto è connesso al mandato istituzionale, salvo i consequenziali obblighi di segretezza e divieto di divulgazione incombenti sul consigliere in conformità alla previsione per cui “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”[19].

Così, nell’ambito della disciplina sulla protezione dei dati personali, il consigliere è legittimato ad acquisire le notizie e i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché tale attività trova la sua base giuridica in una norma di legge, o in autorizzazioni del Garante per la protezione dei dati personali o negli atti regolamentari e organizzativi delle singole amministrazioni[20].

Diversamente però è stato ritenuto con riferimento all’accesso ai documenti coperti dal segreto.

La giurisprudenza ha precisato fin da subito che l’innovazione legislativa introdotta con il T.U.E.L. non poteva travolgere le diverse ipotesi di segreto previste dall’ordinamento, anche in presenza di documenti formati o detenuti dall’amministrazione.

L’esistenza di ipotesi speciali di segreto è stata esplicitata dall’art. 24, comma 1, lett. a) della legge 241/1990 che esclude il diritto di accesso “(…) nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge (…)”, riferendosi a casi in cui l’esigenza di segretezza è volta alla protezione di “interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi[21].

Si è così affermato che il diritto non è esercitabile nei confronti di alcuni tipi di atti, quali gli atti legali redatti a fini consulenziali per l’amministrazione e relativi a processi pendenti, da ritenersi segreti e non sufficientemente protetti dal semplice obbligo di non divulgazione delle notizie ivi riportate[22].

Se così non fosse, l’accesso del consigliere ai documenti coperti da segreto “assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale)[23].

Le esigenze connesse all’espletamento del mandato non potrebbero, pertanto, autorizzare un privilegio incondizionato a scapito di altri soggetti interessati e a sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto[24].

 

2.2 La disciplina specifica prevista dal Codice della giustizia contabile.

Ai fini di una migliore disamina della sentenza in commento è necessario ricostruire in sintesi la specifica disciplina del diritto di accesso ai documenti contenuti nel fascicolo formato dalla Procura della Corte dei Conti.

Il Codice della giustizia contabile[25] introduce, infatti, un caso espresso di esclusione della conoscibilità degli atti che si applica anche al consigliere comunale.

L’art. 71[26], rubricato “Accesso al fascicolo istruttorio”, garantisce un ampio diritto di accesso, pur se limitato al soggetto destinatario dell’invito a dedurre, a tutti i documenti contenuti nel fascicolo istruttorio, senza differenziare sulla base della provenienza del documento (documento acquisito direttamente dal pubblico ministero, documento prodotto dall’invitato, documento fornito da terzi su delega del pubblico ministero ai sensi dell’art. 56[27]).

L’invitato non solo ha la facoltà di partecipare alla fase pre-processuale prendendo visione dei documenti, ma ha anche la possibilità di alimentare il fascicolo con elementi a suo favore. In alternativa, potrà posticipare la sua difesa alla fase processuale.

Un sistema sicuramente garantistico ma che potrebbe fortemente condizionare la possibilità di conoscenza dei motivi, seppur infondati, e degli atti alla base delle indagini. Infatti, l’invitato-ente pubblico potrebbe già dimostrare in questa sede la sua estraneità ai fatti contestati. Qualora poi l’ente sia anche chiamato ad esercitare le funzioni di polizia giudiziaria, i cui atti devono rimanere segreti, almeno fino a quando non vengano prodotti nel processo, disporrà di un ulteriore vantaggio conoscitivo che gli consentirebbe di predefinire con largo anticipo la sua difesa.

Si andrebbe così a prefigurare una limitazione di conoscenza in base alla tattica processuale del Comune che mal si concilia con le esigenze di trasparenza e controllo dell’attività dell’ente promananti dalla collettività, per mezzo dei suoi rappresentanti, in virtù delle funzioni di interesse pubblico svolte.

È comunque esclusa[28], anche per gli invitati, la facoltà di accesso ai documenti del fascicolo acquisiti da un procedimento penale ancora in fase di indagini preliminari poiché tali atti sono, secondo le norme del codice di procedura penale, coperti da segreto investigativo.

D’altronde se così non fosse ci si potrebbe trovare nella paradossale situazione per cui eventuali atti pervenuti al procuratore erariale diverrebbero liberamente accessibili con la conseguente evenienza di renderli conoscibili a terzi in violazione dell’art. 329 c.p.p..

Ai sensi dell’art. 57[29] è esclusa la conoscenza degli atti di indagine, compresi quelli delegati alla pubblica amministrazione, per ragioni in realtà più di segretezza che non (solo) di riservatezza per i dati personali contenuti nel fascicolo, nonostante la rubrica “Riservatezza della fase istruttoria” sembri introdurre una disposizione volta alla tutela della sola privacy.

Tale interpretazione sarebbe suffragata dalla possibilità di superare il vincolo di segretezza unicamente con decreto motivato del pubblico ministero qualora sia necessario per la prosecuzione delle indagini[30].

Infine, si prevede la comunicazione dell’archiviazione[31] esclusivamente al destinatario dell’invito a dedurre.

Non sfugge l’assenza di qualsivoglia previsione che prenda in considerazione la posizione di altri eventuali soggetti coinvolti nel procedimento quali il denunciante il presunto danno erariale o  colui in qualunque modo toccato dalle indagini.

Si pensi, ad esempio, alla persona lesa dal danno, al soggetto inizialmente indagato e poi non invitato a dedurre o all’ente delegato a svolgere attività di indagine per conto della Procura. Costoro potrebbero vedere soddisfatte eventuali istanze conoscitive solo qualora si arrivasse a celebrare il giudizio e, comunque, limitatamente agli atti transitati nel fascicolo del dibattimento.

Ciononostante, sarebbe possibile individuare situazioni legittimanti l’ostensione degli atti del fascicolo che non accedono al processo attraverso l’interpretazione di regole implicitamente racchiuse nel codice[32] e principi del sistema legislativo complessivo.

Innanzitutto, il decreto di archiviazione dovrebbe essere notificato anche all’ente pubblico che, in adempimento di un obbligo di legge, ha sporto denuncia di danno consentendo l’inizio delle indagini al fine di consentirgli di formulare eventuale opposizione, sempre qualora abbia richiesto di essere avvisato dell’archiviazione. L’indirizzo sarebbe sostenuto dall’interpretazione analogica, in senso favorevole al soggetto leso, delle norme del codice di procedura penale che consentono alla persona offesa di opporsi all’archiviazione[33]

Nessun diritto di ostensione spetterebbe, in assenza di previsioni normative o esigenze difensive, ai soggetti toccati dalle indagini ma non destinatari dell’invito a dedurre o ai denuncianti spontanei di presunto danno erariale.

Costoro potrebbero al massimo vantare un diritto alla conoscenza dell’esito dell’indagine[34].

Ad ogni modo, la risposta del pubblico ministero dovrebbe contenere esclusivamente la comunicazione di definizione del giudizio con archiviazione o citazione senza estendersi alla diffusione, anche indiretta, di dati personali o informazioni idonee a rivelare i soggetti e oggetti degli accertamenti[35].

La risposta alla richiesta, comunque non obbligatoria per il pubblico ministero, avrebbe solo il fine di informarsi al principio di massima trasparenza che caratterizza tradizionalmente l’attività della Procura della Corte dei conti, addirittura secondo standard di pubblicità e chiarezza maggiori rispetto quelli imposti dall’ordinamento[36] nell’esercizio delle funzioni amministrative[37].

 

3. Il caso sottoposto ai giudici amministrativi.

Il Comune di Cassola riceveva da un consigliere comunale in carica richiesta di accesso a una nota della Procura regionale della Corte dei Conti, nonché delle risposte di riscontro fornite dall’Ente al requirente in relazione alla richiesta ricevuta.

Il consigliere motivava la richiesta sul presupposto dell’utilità dell’accesso per l’espletamento del mandato, incidendo le questioni su profili finanziari collegati alla corretta tenuta del bilancio la cui approvazione è di competenza del Consiglio comunale. Precisava che i documenti richiesti erano confluiti in un fascicolo già archiviato dalla Corte dei Conti e, pertanto, non potevano sussistere ragioni di segretezza[38].

L’amministrazione negava l’accesso poiché gli atti in questione erano assoggettati a segreto istruttorio, nonché esclusi esplicitamente tra gli atti accessibili in base al regolamento comunale per l’accesso civico semplice e generalizzato, documentale e ai sensi dell’art. 43 T.U.E.L..

Avverso tale decisione il consigliere proponeva ricorso ritenendo illegittimo il diniego in quanto:

–  la domanda era stata presentata in qualità di consigliere comunale al quale, per legge e costante giurisprudenza, non può essere negato l’accesso quando utile all’esercizio del mandato, durante il cui espletamento è vincolato al segreto d’ufficio;

–  la motivazione dell’assoggettamento degli atti richiesti al segreto istruttorio non sarebbe stata contestualizzata al caso di specie e, comunque, sarebbe priva di fondamento poiché il fascicolo aperto presso la Corte dei Conti era stato archiviato;

–  il Comune per motivare il diniego faceva riferimento al nuovo regolamento comunale in materia di accesso che aveva introdotto limitazioni inesistenti al momento della richiesta, formulata sotto la vigenza del precedente regolamento che, in linea con l’art. 43, comma 2, del T.U.E.L., non prescriveva limiti all’accesso dei consiglieri comunali[39].

 

3.1 La decisione di primo grado.

Il Tribunale amministrativo regionale[40] ritiene le doglianze mosse dal consigliere comunale infondate in quanto non sarebbe stata dimostrata “un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni di bilancio o altre questioni poste all’ordine del giorno di una seduta del consiglio” che avrebbe potuto comunque trovare soddisfazione accedendo alla documentazione contabile adottata ed emessa dell’ente.

A ben vedere con tale affermazione si introduce una limitazione non prevista dalla norma e che contraddice l’ampia legittimazione sino ad ora riconosciuta al consigliere, mai circoscritta solo alle questioni finanziarie dell’ente, né tanto meno agli argomenti oggetti di trattazione durante la seduta consiliare.

Il giudicante, inoltre, ritiene che l’istituto dell’accesso oggetto di disamina sarebbe azionabile esclusivamente nei confronti di atti formati dall’Amministrazione ovvero provenienti dall’esterno, ma comunque afferenti un’attività amministrativa di competenza della stessa.

Nel caso di specie, la documentazione riguardava un procedimento aperto dalla magistratura contabile, pur collegato ad un’attività dell’Ente, e avente ad oggetto atti formati dall’amministrazione in funzione di polizia giudiziaria su delega della Procura.

Il ragionamento appare logicamente coerente con le norme di sistema previste per siffatte speciali attività, ma non considera neppur minimamente che si tratta comunque di documenti presenti nell’archivio del Comune e formati da suoi funzionari.

Di più, prosegue il giudicante, le prerogative riconosciute ai consiglieri si scontrerebbero con le esigenze di segretezza e/o riservatezza del procedimento inquisitorio regolato da norme speciali[41] che pongono limiti all’accesso degli atti anche in presenza di una disciplina comunale non restrittiva, come era quella a suo tempo prevista dall’amministrazione.

Devono, pertanto, trovare applicazione le particolari norme del giudizio contabile che prevedono la possibilità di accesso ai soli interessati dall’attività inquirente, in specie quelli invitati a dedurre, al quale è indirizzato il provvedimento di archiviazione.

Concludendo, secondo i giudici di primo grado vi sarebbe un concorso di norme che impedisce di annoverare la documentazione richiesta tra gli atti per i quali il consigliere comunale può esercitare il diritto di accesso ai sensi dell’art. 43 T.U.E.L..

Ad eccezione che per la categoria degli invitati a dedurre, a cui si applica il particolare regime previsto dal Codice contabile[42], troverebbe dunque esclusiva applicazione la disciplina generale prevista dall’art. 24 della l. 241 del 1990 con la conseguente necessità, anche per il rappresentante comunale, di dover dimostrare un interesse diretto concreto e attuale.

 

3.2 La decisione del Consiglio di stato.

Il consigliere comunale presentava appello avverso la sentenza di primo grado riproponendo gli stessi motivi di gravame già vagliati dal giudice di prime cure, seppur con alcune precisazioni.

In particolare, la ratio sottesa al diritto di accesso in esame impedirebbe di gravare la richiesta di alcun onere motivazionale qualora la richiesta sia da ritenersi utile all’espletamento delle proprie funzioni, peraltro vincolate al segreto d’ufficio.

Inoltre, nessuna rilevanza potrebbe essere data alle norme del Codice di giustizia contabile richiamate in sentenza, nonché all’art. 24 della legge n. 241 del 1990, poiché il regime speciale di segretezza e/o riservatezza ivi previsto sarebbe già salvaguardato dall’art. 43 del T.U.E.L. che impone di mantenere il segreto per gli atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi. Esigenza di segretezza istruttoria comunque non sussistente giacché il procedimento era stato archiviato al momento della richiesta.

Il Consiglio di Stato[43], nel respingere le doglianze proposte, ribadisce che l’esercizio del diritto come previsto dal regolamento comunale vigente all’epoca dei fatti (e, in generale, dall’art. 43 del T.U.E.L.) non è riconosciuto al consigliere comunale in ragione della carica istituzionale, ma è pur sempre strumentale all’esercizio delle sue funzioni nell’assemblea consiliare. L’esigenza che la richiesta sia collegata a questioni di competenza dell’assemblea costituisce allo stesso tempo il presupposto e il limite del diritto in questione, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere[44].

I Giudici di Palazzo Spada, a differenza dei colleghi veneziani, richiamano correttamente le funzioni consiliari in senso ampio e generico, senza alcuna esplicitazione circoscrittiva delle attività a cui deve essere collegato l’esercizio del diritto.

La prerogativa riguarderebbe però solo gli atti formati dall’amministrazione o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa a prescindere dalla loro provenienza.

Nel caso di specie, invece, la documentazione oggetto dell’istanza di accesso attiene ad un procedimento formato su delega della magistratura contabile e come tale soggetto a regole proprie rispetto a quelle sul procedimento amministrativo, in particolare per la previsione di un regime speciale di segretezza o riservatezza, a tutela dell’interesse generale o di terzi, che non ammette un’applicazione estensiva delle prerogative riconosciute al consigliere dal T.U.E.L.

Le norme del Codice della giustizia contabile presentano, pertanto, carattere di specialità con la conseguenza che solo il soggetto che riceve l’invito a dedurre può avere accesso agli atti che confluiscono nel fascicolo istruttorio e piena contezza dell’attività d’indagine del pubblico ministero contabile.

La circostanza che il fascicolo sia stato archiviato è, tra l’altro, inconferente posto che il codice estende l’esigenza di riservatezza, già alla base dell’inaccessibilità del fascicolo istruttorio, anche al provvedimento di archiviazione, e al relativo fascicolo, inoltrato solo a chi abbia assunto la veste di invitato a dedurre, dovendo di norma rimanere ignoto ai terzi.

In definitiva, in assenza della qualifica di invitato a dedurre, è escluso che il caso in esame rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 43 del T.U.E.L..

Anche il consigliere comunale sarà quindi soggetto alle regole generali sull’accesso agli atti previste dalla legge 241 del 1990: posto che gli atti in questione devono rimanere riservati, trattandosi di casi di esclusione dell’accesso ex lege, solo dimostrando l’esigenza di difendere i propri interessi giuridici il consigliere potrebbe vedere soddisfatta la propria richiesta[45].

 

4. Gli orientamenti espressi in casi analoghi.

L’orientamento di cui si fa portatore il Consiglio di Stato non sembra essere univoco.

In un caso riguardante la richiesta di accesso di un consigliere comunale alle note e relativi allegati forniti dall’amministrazione alla Procura della Corte dei Conti, nonché della relativa corrispondenza intercorsa, i giudici amministrativi[46] hanno ritenuto il diniego (tacito) all’accesso da parte dell’amministrazione illegittimo.

Dopo aver ribadito i principi consolidati in materia di accesso ai sensi dell’art. 43 T.U.E.L., secondo cui il diritto de quo sarebbe dotato di particolare ampiezza, tale da non consentire alcuna limitazione nemmeno derivante dalla natura riservata dei documenti, salvo il rispetto del divieto di non divulgazione, i giudici hanno ritenuto che il consigliere può legittimamente pretendere i  documenti in quanto utili per l’esercizio della sua funzione.

A nulla rileverebbe che gli atti sono stati formati dall’amministrazione nell’ambito di una richiesta (o, meglio, di un procedimento di indagine) della Procura della Corte dei Conti coperti come tali da riservatezza (rectius segretezza), anche sul presupposto che la magistratura contabile non aveva in alcun modo segnalato il carattere riservato degli atti richiesti.

Non differentemente, il Ministero degli Interni[47], rispondendo ad una richiesta di parere della Prefettura che aveva rilevato l’illegittimità di un diniego alla istanza di accesso presentata da un consigliere al Comune di appartenenza per acquisire il riscontro dell’ente a una nota della Corte dei Conti, ha riconosciuto la particolare natura del diritto che conferirebbe ampia legittimazione all’accesso onde poter esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza dell’amministrazione.

Pur se in questo caso i documenti richiesti non erano inerenti a procedimenti di natura giudiziale, motivo per cui la loro conoscenza non avrebbe comportato la violazione del segreto istruttorio, anche in tale ipotetica evenienza gli atti sarebbero stati comunque accessibili stante l’assoggettamento del consigliere al vincolo di riservatezza.

Secondo la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, nei procedimenti giudiziari in corso, l’accesso alla documentazione tra la Corte dei Conti e l’ente dovrebbe comunque essere garantito per consentire una compiuta valutazione dell’operato dell’amministrazione, anche al fine di esprimere un voto consapevole. Al più l’istanza dovrebbe essere oggetto di differimento fino alla conclusione dei procedimenti[48].

Ciononostante, la Commissione nella medesima seduta non dimentica l’orientamento espresso dal Consiglio di stato[49] secondo cui il diritto di accesso deve essere comunque coordinato con le altre norme vigenti che “tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto nei casi espressamente determinati dalla legge e i divieti di divulgazione dei dati personali”.

In conformità a tale insegnamento arriva ad escludere il diritto di accesso del consigliere alla corrispondenza tra l’ente e la Procura della Corte dei Conti[50].

Infatti, il principio di trasparenza imporrebbe comunque limitazioni collegate a particolari valori e interessi protetti dall’ordinamento attraverso l’espressa previsione del loro carattere riservato e/o segreto che, lungi dal costituire riaffermazione del principio di riservatezza dell’azione amministrativa, intendono salvaguardare interessi di carattere non esclusivamente amministrativo apprestando una tutela differenziata.

In particolare, gli atti formati dall’amministrazione per conto della magistratura sarebbero veri e propri atti di indagine estranei all’attività amministrativa dell’ente, poiché svolti in funzione di polizia giudiziaria, come tali meritevoli di una tutela rafforzata attuata mediante la previsione di un regime di segretezza. Pertanto, la loro visione potrebbe essere autorizzata esclusivamente dall’autorità giudiziaria.

 

5. Conclusioni.

Riassumendo, quindi, ad oggi dovrebbe essere inibito l’accesso del consigliere agli atti afferenti le indagini della Procura della Corte dei Conti e, in genere, delle Autorità giurisdizionali, dacché soggetti a disposizioni speciali che, nel concorso tra norme, limitano l’accesso privilegiato in esame. La regola, almeno con riferimento al giudizio contabile, si estenderebbe inoltre ai procedimenti oggetto di archiviazione.

Il ragionamento seguito dal giudicante è condivisibile poiché il bisogno di conoscenza del consigliere deve essere contemperato con l’esigenza, posta a tutela delle indagini e, in subordine, alla protezione dei dati personali, di segretezza e/o riservatezza dell’attività inquisitoria.

Non è pertanto assimilabile l’accesso agli atti della Procura erariale al consueto accesso agli atti amministrativi esercitato dal consigliere trattandosi di atti che confluiscono nel fascicolo istruttorio, formati dal pubblico ministero o suoi delegati, nell’esercizio di funzioni giudiziarie, e non di funzioni amministrative, alle quali non può applicarsi la disciplina ordinaria.

La conclusione alla quale è giunto il Consiglio di Stato si presta però anche ad alcune osservazioni critiche dell’attuale sistema.

Se è pur vero che la limitazione al diritto di accesso del consigliere sarebbe imposta da un’ipotesi speciale di segreto, non si può dimenticare che l’accessibilità del consigliere agli atti dell’ente di appartenenza costituisce ormai principio di riferimento nel nostro ordinamento espressione della legittima esigenza di controllo e informazione della cittadinanza per mezzo dei suoi rappresentanti.

Pertanto, la sua esclusione estesa anche ai casi di archiviazione, pur essendo prevista dal codice contabile, si potrebbe ritenere sproporzionata, giacché la chiusura delle indagini farebbe venire meno la ratio dell’obbligo di segretezza che si impone nella fase inquirente.

L’eccezione per cui comunque permarrebbe un’esigenza di tutela di dati personali eventualmente maneggiati durante le indagini non dovrebbe estendersi alle ipotesi in cui siano coinvolti nelle indagini enti la cui attività è pubblica. La tutela di dati personali altrui d’altronde ben potrebbe essere sostenuta mediante tecniche di anonimizzazione.

In ugual modo, l’obiezione per cui tali atti non costituiscono un atto amministrativo formato dall’ente, bensì un servizio di informazione in favore dell’attività investigativa delegata dalla procura, non esclude che comunque si tratta di atti di fatto entrati nella disponibilità dell’ente. Infatti, l’atto ha acquisito un numero di protocollo andando così a confluire nell’archivio dell’amministrazione.

Anche se non accessibili, il diritto alla loro conoscenza dovrebbe quanto meno incontrare una minima tutela trattandosi di documenti esplicativi in grado di fornire, magari solo parzialmente, un’utile chiave di lettura per l’esercizio delle funzioni consiliari. Dire invece che il diritto di accesso è ammesso solo per le questioni di bilancio o poste all’ordine del giorno costituirebbe una limitazione esorbitante dall’ambito applicativo della norma[51].

La mediazione potrebbe essere quella di considerare ragionevole ammettere la conoscibilità oltre che del dispositivo di archiviazione ovvero della citazione a giudizio, al pari di quanto già concesso nella prassi ad altri soggetti coinvolti nel procedimento[52], anche della motivazione e/o di copia integrale del provvedimento, dopo l’avvenuta notifica agli invitati, in cui vengano esposti almeno sinteticamente i documenti oggetto di ostensione del consigliere.

Di più, si potrebbe ammettere la presentazione di una richiesta di accesso direttamente al magistrato per ottenere un nulla osta basato sulla propria posizione legittimante ex art. 43 T.U.E.L..

Sarà evidentemente onere del consigliere avanzare la domanda non trovando tale diritto di conoscenza fondamento normativo esplicito nell’ordinamento. Tuttavia, sarebbe auspicabile un intervento dell’ente di appartenenza al fine di facilitare la conclusione positiva dell’istanza, magari presentando o direttamente la richiesta di ostensione nel caso in cui l’amministrazione sia il soggetto leso o la domanda di autorizzazione per consegnare la documentazione formata e/o detenuta in virtù della delega investigativa.

La modulazione fra le varie possibilità di risposta risentirà, ovviamente, della discrezionalità del giudice. La soluzione, pur non essendo definita, dovrebbe però essere di accoglimento soprattutto in ragione della virtuosa prassi volta a garantire ampia trasparenza instaurata nella magistratura contabile, potendosi in via evolutiva configurare anche in termini di doverosità.

Nel caso di indagini in corso, invece, la strada che si prefigurerebbe dovrebbe essere quella del differimento temporale più che del rifiuto tout court.

Un accenno va fatto anche all’ipotesi in cui l’ente, oltre ad assumere la veste di soggetto delegato dalla Procura, ricopra anche la posizione di invitato a dedurre. È evidente che in tal caso l’amministrazione potrebbe condizionare lo svolgimento del procedimento, con la possibilità di incidere sul diritto dei consiglieri.

L’ente avrebbe la facoltà, dopo aver adempiuto la delega e a seguito del ricevimento di invito a dedurre, di far confluire nel fascicolo istruttorio documentazione a suo discarico che potrebbe indurre il procuratore ad archiviare il procedimento.

Allo stato attuale i consiglieri hanno la possibilità di conoscere gli atti processuali solo a seguito dell’apertura del processo avanti il giudicante. Nel corso delle indagini, invece, tale evenienza è inibita non trovando la loro posizione giuridica alcuna tutela.

Ebbene, la scelta processuale del Comune, seppur legittima, si configurerebbe quale ulteriore compressione del diritto di conoscenza limitando la possibilità di accedere a documenti di cui, invece, il rappresentante comunale avrebbe potuto avere contezza in sede cognitiva.

La conoscenza degli atti confluiti nel fascicolo istruttorio verrebbe dunque condizionata dalla strategia processuale dell’ente, di fatto legittimando possibili comportamenti scorretti e lasciando il consigliere alla mercé delle scelte operate in seno alla Giunta comunale, consentendo condotte che vanno ben oltre le possibilità processuali che il legislatore ha voluto esplicitare con tali norme.

Concludendo, si ritiene opportuno almeno ammettere al termine delle indagini l’accesso diretto, anche previo nulla osta, ai documenti oggetto di corrispondenza tra Procura erariale ed ente comunale ovvero l’accesso indiretto mediante riepilogo degli stessi nel provvedimento di archiviazione o di citazione. L’istanza dovrebbe poter essere presentata direttamente dal consigliere, ovvero dall’amministrazione al fine di garantire l’effettivo esercizio dei diritti dei rappresentanti dei cittadini e di questi ultimi stessi.

Si consentirebbe così il superamento delle attuali restrizioni del diritto non supportate dalla ratio posta alla base della limitazione, ovvero la tutela della segretezza delle indagini, in tal modo dissuadendo tentativi di abuso del diritto da parte degli enti, resi possibili dal vuoto di tutela e da una normativa opaca.


 


[1] Dottorando di ricerca in “Autonomie, diritti pubblici, servizi” presso l’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.

 

[2] L’art. 43 rubricato “Diritti dei consiglieri” recita: “1. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio. Hanno inoltre il diritto di chiedere la convocazione del consiglio secondo le modalità dettate dall’articolo 39, comma 2 e di presentare interrogazioni e mozioni. 2. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge. 3. Il sindaco o il presidente della provincia o gli assessori da essi delegati rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri. Le modalità della presentazione di tali atti e delle relative risposte sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare. 4. Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative”.

 

[3] Occorre sin da subito precisare che, secondo la recente giurisprudenza, i principi sui quali si fonda la disciplina del diritto di accesso per i consiglieri comunali e provinciali si estendono, mutatis mutandis, anche alla disciplina sul diritto di accesso prevista normalmente dagli Statuti regionali per i consiglieri regionali (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 1 febbraio 2018, n. 1298).

 

[4] La disposizione ha i suoi antecedenti nell’articolo 24 della L. n. 816/1985 recante “Esercizio delle funzioni consiliari” secondo cui “I consiglieri comunali, i consiglieri provinciali e i componenti delle assemblee delle unità sanitarie locali e delle comunità montane, per l’effettivo esercizio delle loro funzioni hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato“, e nell’articolo 31 comma 5 L. n. 142/1990 recante “Consigli comunali e provinciali” secondo cui “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

 

[5] F. Fedriani, Brevi premesse sul diritto d’accesso del Consigliere comunale e provinciale e sul rapporto con il segreto d’ufficio, L’amministrazione italiana n.11/2011. Sull’“azione popolare” si veda, tra gli altri, D. Borghesi, Azione popolare, Enc. giur., IV, Roma, 1988, p. 10 ss.; L. Paladin, Azione Popolare, in Noviss. dig. it., II, Torino, 1958, p. 58 ss.; C, Mignone, Azione popolare, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1987, p. 145 ss.; V. Crisafulli, Azione popolare, in Nuov. dig. it., vol. II, Torino, 1937, p. 138 ss., F. LIGUORI, Azione popolare e tutela del diritto di voto nel processo amministrativo, Napoli, 1993, p. 12. Per la connessione di suddetta nozione con il diritto di accesso A. Romano Tassone, Il controllo del cittadino sulla nuova amministrazione, in Dir. amm., 2002, p. 269 ss.; S. Del Gatto, nota a Cons. St., 29 aprile 2002, n. 2283, in Riv. giur. ed., 2002, p. 1406 ss..

 

[6] Parere n. 2.5 del 23 ottobre 2012 della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, in “Relazione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione (anno 2012)” – paragrafo 6.1. La commissione è un organismo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a seguito dell’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, preposto alla vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità e trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, al quale possono rivolgersi privati cittadini e pubbliche amministrazioni (“Relazione per l’anno 2016 sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione” disponibile su www.commissioneaccesso.it).

 

[7] L’art. 22 (Definizioni e principi in materia di accesso) della legge 7 agosto 1990, n. 241 così recita: “1. Ai fini del presente capo si intende: a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso; (…) e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. 2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6. 4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono. (…)”.

 

[8] Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2004, n. 1969.

 

[9] Sul diritto di accesso ai documenti amministrativi in generale, tra i numerosissimi riferimenti bibliografici, si veda F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2007.

 

[10] Consiglio di Stato, sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471.

 

[11] Consiglio di stato, sez. V, 8 settembre 1994, n. 976.

 

[12] Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855.

 

[13] Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2005, n. 5879.

 

[14] La commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha, inoltre, precisato che “l’accesso ai documenti deve essere concesso nei tempi più celeri e ragionevoli possibili in modo tale da consentire il concreto espletamento del mandato da parte del consigliere ex art. 43 T.U.E.L., fatti salvi i casi di abuso del diritto all’informazione, attuato con richieste non contenute entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza e che determini un ingiustificato aggravio dell’ente” (Parere 2.1 del 17 gennaio 2012). Di più, secondo la Commissione “il diritto di accesso agli atti del Consigliere comunale non può subire compressioni per pretese esigenze di ordine burocratico dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del suo mandato istituzionale; l’unico limite è rappresentato dal fatto che il Consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutagli dall’ordinamento, interferendo pesantemente sulla funzionalità e sull’efficienza dell’azione amministrativa dell’Ente civico (nel caso di specie sulle funzioni dell’Organismo Indipendente di Valutazione), con richieste che travalichino i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza” (Parere n. 2.5 del 17 gennaio 2012). Ancora, a parere di una parte della giurisprudenza la richiesta dovrebbe essere “precisa e puntuale…non potendosi richiedere indiscriminatamente di accedere a tutti i fascicoli adottati successivamente ad una determinata data ed a quelli ancora da adottare” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 26 maggio 2004, n. 1762). In sostanza, l’accesso dovrebbe concretarsi in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e non dovrebbe sostanziarsi in richieste generiche o meramente emulative che si traducono in un sindacato generale sull’attività amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 846).

 

[15] L’accesso è stato riconosciuto anche per la documentazione detenuta dalle società partecipate nei limiti in cui queste siano qualificate come sostanzialmente pubbliche amministrazioni. Si veda R.M. Carbonara, Il diritto di accesso “incombe” anche sulle società partecipate, Il nuovo diritto amministrativo n. 6/2014.

 

[16] Cassazione Civile, Sez. III, sent. 3 agosto 1995, n. 8480. Sull’ampiezza del diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri si veda P. Virga, L’amministrazione locale, Milano, 2003.

 

[17] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Dike giuridica, X edizione, pag. 1175.

 

[18] Sullo scontro tra il diritto di accesso  e la riservatezza del terzo si legga tra tanti F. Astiggiano, Illecito trattamento di dati “supersensibili” e risarcimento del danno, in Famiglia e Diritto, 2016, 5, 468 e ss.; C.M. Nanna, Accesso ai dati personali e tutela dei diritti fondamentali nel sistema del d. lgs. 196/2003, in Corriere Giuridico, 2013, 12, 1543 e ss.

 

[19] Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716.

 

[20] Consiglio di Stato, sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940.

 

[21] Consiglio di Stato, sez. V , 2 aprile 2001, n. 1893.

 

[22] La sentenza citata richiama la previsione contenuta nell’articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio 26 gennaio 1996, n. 200 (“Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso”) che sottrae all’accesso i pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza, gli atti defensionali e la relativa corrispondenza. Tale norma detterebbe una regola di portata generale, codificando il principio secondo cui sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali “in considerazione delle esigenze di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie”. Viene inoltre fatta una distinzione tra: 1) ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, poi richiamato nella motivazione dell’atto finale. Ne deriva che la consulenza è soggetta all’accesso perché oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo; 2) ipotesi in cui, dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, l’amministrazione si rivolge ad un professionista, al fine di definire la propria strategia difensiva. Il parere non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi. Ne deriva che le consulenze legali restano caratterizzate da riservatezza; 3)  ipotesi nelle quali la richiesta della consulenza legale interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso. La consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive. Ne deriverebbe pertanto l’esigenza di garantire il segreto.

 

[23] Ibidem.

 

[24] Si tratta di un segreto che per di più gode di una tutela qualificata dimostrata dalla specifica previsione di fattispecie di reato in caso di sua violazione.

 

[25] Il codice è stato introdotto con il Decreto legislativo del 26 agosto 2016, n. 174 recante “Codice della giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124”.

 

[26] L’articolo al comma 1 recita: “1. Il destinatario dell’invito a dedurre ha il diritto di visionare e di estrarre copia di tutti documenti inseriti nel fascicolo istruttorio depositato presso la segreteria della procura regionale, previa presentazione di domanda scritta, salva la tutela della riservatezza di cui all’articolo 52, comma 1. (…)”. L’art. 67 (Invito a fornire deduzioni) prosegue stabilendo che “il presunto responsabile (rectius l’invitato a dedurre) puo’ esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contestazione formulata e depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti.

 

[27] L’articolo rubricato “Deleghe istruttorie” recita: “1. Il pubblico ministero può, motivatamente, svolgere attività istruttoria direttamente, ovvero può delegare gli adempimenti istruttori alla Guardia di Finanza o ad altre Forze di polizia, anche locale, agli uffici territoriali del Governo e, in casi eccezionali e motivati, salvo quanto disposto dall’articolo 61, comma 7, ai dirigenti o funzionari di qualsiasi pubblica amministrazione individuati in base a criteri di professionalità e territorialità’; può, altresì, avvalersi di consulenti tecnici.

 

[28] L’articolo 58 rubricato “Richieste di documenti e informazioni“ al primo comma recita: “1. Il pubblico ministero può chiedere alla autorità giudiziaria l’invio degli atti e dei documenti da essa detenuti. Gli atti e i documenti restano coperti da segreto investigativo, anche nei confronti dei destinatari di richieste istruttorie del pubblico ministero contabile, salvo nulla osta del pubblico ministero penale.

 

[29] L’articolo recita: “1. Le attività di indagine del pubblico ministero, anche se delegate agli organi di cui all’articolo 56, comma 1, sono riservate fino alla notificazione dell’invito a dedurre. 2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può consentire, con decreto motivato, la visione di singoli atti o parti di essi.  3. Nei casi di cui all’articolo 58, comma 1, anche dopo la notificazione dell’invito a dedurre, il pubblico ministero contabile dispone il differimento della visione e dell’estrazione di copia di singoli atti dell’indagine preliminare penale, fino a che non sia rilasciato nulla osta dal pubblico ministero penale. Durante il periodo di differimento, il termine per la presentazione delle deduzioni ai sensi dell’articolo 67 é interrotto e inizia nuovamente a decorrere dal perfezionarsi della notificazione dell’atto con cui il pubblico ministero revoca il decreto di differimento. Il termine non é interrotto qualora il pubblico ministero contabile ritenga inutilizzabili, ai fini dell’invito a dedurre, gli atti dell’indagine preliminare penale. La valutazione di inutilizzabilità non é rivedibile, salvo che ne faccia richiesta la parte interessata.

 

[30] A. Sperandeo (Sostituto Procuratore Generale della Corte dei conti), Codice di giustizia e diritto di accesso agli atti trattati dal pm contabile per valutare la sussistenza di responsabilità amministrativa; brevi correlazioni con altri argomenti disciplinati nel codice, reperibile su www.contabilita-pubblica.it.

 

[31] Ai sensi dell’articolo 69 “Quando, anche a seguito di invito a dedurre, la notizia di danno risulta infondata o non vi siano elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità, il pubblico ministero dispone l’archiviazione del fascicolo istruttorio. 2. Il pubblico ministero dispone altresì’ l’archiviazione per assenza di colpa grave quando l’azione amministrativa si é conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi. 3. Il decreto di archiviazione, debitamente motivato, é sottoposto al visto del procuratore regionale. 4. Il decreto di archiviazione, vistato dal procuratore regionale, è comunicato al destinatario dell’invito a dedurre. 5. Qualora il procuratore regionale non condivida le motivazioni dell’archiviazione, formula per iscritto le proprie motivate osservazioni, comunicandole al pubblico ministero assegnatario del fascicolo. 6. Nel caso permanga il dissenso, il procuratore regionale avoca il fascicolo istruttorio, adottando personalmente le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione erariale.

 

[32] A. Sperandeo, op. cit.

 

[33] Si fa riferimento all’art. 408 c.p.p. secondo il quale “entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. L’avviso della richiesta è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione. Nell’avviso è precisato che, nel termine di venti giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.”.

 

[34] Tale possibilità si potrebbe desumere dall’art. 110-bis disp.att.c.p.p. (Richiesta di comunicazione delle iscrizioni) il quale prevede che “quando vi è richiesta di comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato a norma dell’articolo 335, comma 3, del codice, la segreteria della procura della Repubblica, se la risposta è positiva, e non sussistono gli impedimenti a rispondere di cui all’articolo 335, commi 3 e 3-bis del codice, fornisce le informazioni richieste precedute dalla formula: “Risultano le seguenti iscrizioni suscettibili di comunicazione”. In caso contrario, risponde con la formula: “Non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione.

 

[35] Secondo l’opinione di Alberto Avoli (Procuratore generale presso la Corte dei conti) questa sarebbe la prassi seguita dalla maggioranza delle Procure (v. relazione al “Convegno sull’Azione di responsabilità amministrativa con particolare riferimento all’attività istruttoria del pubblico ministero contabile. Perugia 18 e 19 aprile 2008” disponibile su http://www.corteconti.it/attivita/formazione/convegni/atti_convegni_contributi/).

 

[36] Secondo Sperandeo op. cit., tale scelta di “fornire informazioni anche a chi non ha diritto di riceverne, nei limiti del possibile e secondo le circostanze del caso, corrisponde, come da tradizione consolidata presso il Requirente contabile, alla precisa scelta di privilegiare, su di ogni altra, l’esigenza di assicurare in misura rinforzata il prestigio, l’indipendenza e la trasparenza della funzione giudiziaria espletata dalla Corte dei conti.”

 

[37] Per la nozione di“trasparenza amministrativa”, cfr. G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., vol. XXXI, Roma, 1995; G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Atti del XXXV Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 21-23 settembre 1989, Milano, 1991, p. 7 ss.; R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, ivi, p. 53 ss.; R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in La disciplina generale del procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso, Atti del XXXII Conv. st. sc. amm., Varenna, 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, p. 151 ss.; R. Chieppa, La trasparenza come regola della pubblica amministrazione, in Dir. econ., 1994, p. 623 ss.

 

[38] Tale appunto si era reso necessario in quanto analoga richiesta di accesso era già stata presentata da altro consigliere comunale del medesimo Comune e respinta dall’Amministrazione sul presupposto dell’esistenza di ragioni di segretezza.

 

[39] Il “Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso ai documenti” del Comune di Cassola vigente all’epoca dei fatti prevedeva: art. 52 “I consiglieri comunali hanno diritto di ottenere dagli uffici e dagli enti e aziende dipendenti dal Comune tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, nello stato in cui sono disponibili, utili all’espletamento del mandato”; art. 54 “Non può essere inibito ai consiglieri l’esercizio del diritto di accesso agli atti interni di cui all’art. 41, ai documenti dichiarati riservati e agli atti preparatori di cui all’art. 45”.

 

[40] T.A.R. Veneto, Venezia, sez. I, 21 novembre 2017, n. 1036.

 

[41] La sentenza richiama in particolare gli artt. 71 (Accesso al fascicolo istruttorio), 57 (Riservatezza della fase istruttoria) e 69 (Archiviazione) del Codice della giustizia contabile.

 

[42] Gli invitati a dedurre, come precisato nel paragrafo 2.2, non avrebbero limitazioni  per l’accesso alla documentazione contenuta nel fascicolo ai sensi dell’art. 71 del Codice della giustizia contabile.

 

[43] Consiglio di stato, sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12 in commento.

 

[44] Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109.

 

[45] Per completezza si segnala che il Consiglio di Stato respinge anche il secondo motivo di impugnazione con il quale si lamentava che il primo giudice non avrebbe considerato che il ricorrente aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento di diniego giacché reso in applicazione di norme inesistenti, ossia dell’art. 41 del nuovo “Regolamento Comunale per l’accesso civico obbligatorio e generalizzato di cui al D.Lgs. n. 33/201,3 per l’accesso documentale di cui alla Legge n. 241/1990, per l’accesso di cui all’art. 43 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – T.U.E.L.”, non ancora approvato al momento dell’adozione del diniego, norma che invece l’amministrazione avrebbe preteso di applicare al caso di specie. L’articolo in questione esclude esplicitamente l’accesso dei consiglieri comunali nei casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dalla legge e dal regolamento stesso. Specificamente, vengono sottratti all’accesso da parte dei consiglieri i documenti formati o detenuti dall’amministrazione in connessione a procedimento penale e/o amministrativo-contabile, oppure a rapporti o denunce all’Autorità giudiziaria penale, la cui diffusione potrebbe concretizzare violazione del segreto istruttorio, salvo acquisizione nulla osta da parte degli organi competenti (es. Procura della Repubblica, Procura della Corte dei Conti, ecc.). Secondo i magistrati neppure questo motivo sarebbe fondato in quanto il richiamo al nuovo regolamento non infirma la correttezza dell’esclusione della normativa prevista dall’art 43 T.U.E.L. per le ragioni esposte con riferimento al primo motivo di appello.

 

[46] T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 novembre 2017, n. 1745.

 

[47] Ministero degli Interni – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali – parere del 6 aprile 2017.

 

[48] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, plenum del 25 gennaio 2005 in “L’accesso ai documenti amministrativi 9.1” pag. 55.

 

[49] Consiglio di Stato, sez. V , 2 aprile 2001, n. 1893.

 

[50] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, plenum del 8 luglio 2014.

 

[51] In tal senso si era espresso il T.A.R. nella sentenza di primo grado.

 

[52] Si fa riferimento all’ente pubblico che abbia subito un danno, al soggetto denunciante e a colui che in qualsiasi modo sia stato coinvolto nelle indagini con la qualifica di indagato, come meglio precisato nel paragrafo 2.2.