Il sistema delle autonomie locali in Spagna. Osservazioni a margine del libro di Giovanni Boggero, Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe, Brill-Nijhoff, Leiden, 2017
Valentina Faggiani [1]
Il volume Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe [2] del dott. Giovanni Boggero affronta un tema sul quale la dottrina non si è ancora soffermata abbastanza ma che si potrebbe definire chiave in questo momento in cui sono necessarie più Europa, più integrazione e soprattutto più democrazia. La concretizzazione di tali obiettivi richiede, infatti, di elaborare soluzioni che coinvolgano, innanzitutto, gli enti locali per la loro maggiore prossimità al cittadino.
Dal punto di vista metodologico, questo testo si occupa delle garanzie costituzionali dell’autonomia locale dalla prospettiva del diritto costituzionale europeo, ovvero analizzando come sono state recepite nei diversi livelli e spazi di regolazione del sistema, attraverso un approccio comparato.
In particolare, si centra sul ruolo della Carta delle autonomie locali (CEAL) in questo processo. La CEAL, che è un trattato internazionale firmato nel 1985 nel seno del Consiglio d’Europa e oggi ratificato da tutti i suoi 47 membri, costituisce una fonte non solo del c.d. diritto internazionale delle autonomie locali ma anche del diritto dell’UE e del diritto interno. Tali principi generali sono stati progressivamente recepiti negli ordinamenti degli Stati membri della Grande Europa sia a livello costituzionale sia legislativo, al fine di assicurare la democrazia, il pluralismo istituzionale e, in generale, il federalismo europeo.
I principi fondamentali dell’organizzazione territoriale costituiscono il «nucleo duro», il «contenuto essenziale», che deve essere preservato e protetto adeguatamente, in quanto costituente la base a partire dalla quale istituire un insieme di «garanzie costituzionali comuni del governo locale». Come sottolinea il dott. Boggero, in tal modo, si intende «armonizzare» tali principi non «uniformarli» (p. 34).
In questo senso, la CEAL avrebbe creato un «sistema», che ha contribuito allo sviluppo di un diritto costituzionale europeo degli enti locali, promuovendo la circolazione e l’integrazione, la «convergenza orizzontale» (p. 291), dei diversi modelli consolidatisi a livello statale e la loro diffusione negli Stati dell’Europa centro-orientale. Questi Paesi hanno iniziato il cammino verso la democrazia recentemente, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), durante il terzo periodo di transizione.
La CEAL esorta gli Stati parte a riconoscere nella legislazione interna, in particolare di rango costituzionale, il principio dell’autonomia locale (art. 2 CEAL), inteso come «il diritto e la capacità effettiva per le collettività locali (con l’inclusione delle Regioni) di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante degli affari pubblici» (art. 3, par. 1, CEAL). Questo diritto, volto ad assicurare l’indipendenza politica funzionale al libero esercizio del mandato, amministrativa e finanziaria di tali enti, è esercitato da Consigli ed Assemblee, costituiti da membri eletti secondo il metodo democratico a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale (art. 3, par. 2, CEAL).
L’obiettivo è quello di concretizzare, in consonanza con il principio di sussidiarietà, il decentramento, permettendo al livello di autogoverno più prossimo al cittadino di prestare determinati servizi. I diritti degli enti locali sono tutelati da una serie di garanzie come la possibilità di modificare i confini territoriali solo previo consenso della collettività interessata (art. 5 CEAL) e la previsione sia a livello costituzionale sia legislativo di procedimenti di controllo degli atti amministrativi (art. 8 CEAL) e di un ricorso giurisdizionale per garantire il libero esercizio delle competenze ed il rispetto dei principi dell’autonomia locale contro eventuali violazioni da parte delle autorità di governo superiore (art. 11 CEAL).
Nell’ambito sovranazionale europeo il controllo del rispetto del «nucleo duro» di tali principi da parte degli Stati, che hanno ratificato la CEAL, spetta al Congresso dei poteri locali e regionali e alla Commissione di Venezia. Da una parte, il Congresso, essendo l’organo rappresentativo dei poteri locali e regionali istituito nell’ambito del Consiglio d’Europa, svolge la funzione di monitorare sistematicamente il rispetto della democrazia territoriale, verificando l’applicazione della CEAL negli Stati membri, per favorire il rafforzamento dell’autonomia locale e regionale, mediante il dialogo con i Governi nazionali; dall’altra la Commissione di Venezia, in qualità di organo consultivo del Consiglio d’Europa su questioni aventi particolare trascendenza costituzionale, adotta pareri sulle istituzioni democratiche e sul rispetto da parte dei progetti di legge in materia elettorale degli standard europei.
Per quanto riguarda l’importanza della CEAL ed i suoi effetti sugli ordinamenti interni, è interessante soffermarsi sull’esperienza spagnola. La Spagna ratificò la CEAL nel 1989 (BOE, n. 47, 24.02.1989). Secondo il Tribunal Supremo (TS, Corte di Cassazione), la CEAL «è un importante strumento di interpretazione del principio dell’autonomia locale», riconosciuto nella Costituzione spagnola (CE) agli articoli 137, 140 e 141 (STS, del 26 luglio 2006, RC 1346/2004).
L’ordinamento spagnolo non si limita solo a riconoscere tali principi nel testo costituzionale e a svilupparli a livello legislativo ma al fine di garantire loro una maggiore protezione ha introdotto nel 1999 un ricorso specifico, il c.d. ricorso per la difesa delle autonomie locali (Ley Orgánica 7/1999, de 21 de abril, de modificación de la Ley Orgánica 2/1979, de 3 de octubre, del Tribunal Constitucional, BOE, n. 96, 22.04.1999), che si può presentare davanti al Tribunal constitucional (TC, Corte costituzionale), quando gli enti locali considerino che una determinata legge o un atto con forza di legge dello Stato o della Comunità Autonoma leda l’autonomia locale costituzionalmente garantita.
Malgrado l’ordinamento spagnolo assicuri formalmente un elevato livello di protezione a questi principi, in consonanza con la CEAL, l’autonomia delle collettività locali è stata fortemente limitata dalle nuove tendenze centripete, che si sono sviluppate a seguito della crisi economica degli ultimi anni. La riforma costituzionale dell’art. 135 CE, realizzata di fretta a fine agosto del 2011, mediante la quale è stato recepito a livello costituzionale il principio della stabilità di bilancio, ha legittimato l’adozione di un «pacchetto di misure anticrisi», culminate con l’approvazione della legge 27/2013, del 27 dicembre, sulla razionalizzazione e la sostenibilità dell’amministrazione locale (Ley 27/2013, de 27 de diciembre, de racionalización y sostenibilidad de la Administración Local, BOE, n. 312, 30.12.2013), che ha determinato una forte spinta verso la ricentralizzazione del sistema, a discapito degli enti locali e del pluralismo politico territoriale.
La legge 27/2013, adottata con il proposito di ottenere un presunto risparmio di addirittura 7.600.000 euro, proprio nel momento in cui la Spagna aveva superato la cifra dei 6.200.000 disoccupati, ha fortemente ridimensionato le competenze degli enti territoriali, in particolare di quelli con una popolazione inferiore ai 20.000 abitanti, modificando il modello delle autonomie locali, costituzionalmente garantito e regolato nella legge 7/1985 (Ley 7/1985, de 2 de abril, Reguladora de las Bases del Régimen Local, BOE, n. 80, 3.04.1985, LBRL).
Sebbene l’affermato proposito di questa riforma fosse quello di rendere effettivo il principio «un’amministrazione una competenza», evitando eventuali sovrapposizioni e duplicità nella prestazione dei servizi, in realtà, la legge 27/2013 ha ridotto sostanzialmente le competenze dei municipi. Gli enti locali possono ora esercitare competenze «proprie», le quali sono stabilite per legge, competenze «delegate» da parte dello Stato o delle Comunità Autonome, a seconda dei casi, e competenze «improprie», cioè «distinte da quelle proprie e da quelle attribuite per delega», quando non vi siano rischi per la sostenibilità finanziaria del municipio e il servizio in questione non sia prestato contemporaneamente da un’altra amministrazione pubblica (art. 7 e artt. da 25 a 27 LBRL). La verifica dell’assenza di duplicità e dell’esistenza di risorse sufficienti è rimessa ad una valutazione di opportunità sulla base del contenuto dei rapporti elaborati dall’amministrazione competente in materia, i quali avranno carattere obbligatorio e vincolante.
Questa riforma ha suscitato molte polemiche; ancor prima della sua adozione il Consejo de Estado (Consiglio di Stato) è stato molto critico al riguardo nel parere del 26 giugno 2013 (Dictamen sobre el Anteproyecto de Ley de Racionalización y Sostenibilidad de la Administración Local) e, poco dopo la sua entrata in vigore, contro questa misura è stato interposto il primo ricorso a difesa dell’autonomia locale, sollevato da 2.393 municipi governati da partiti dell’opposizione (PSOE), i quali rappresentavano 17.000.000 di cittadini, ovvero più di un sesto della popolazione (art. 75 ter.1.b) LOTC). Al ricorso per la difesa dell’autonomia locale si sono sommati nove ricorsi sollevati dai Parlamenti dell’Estremadura, Catalogna, Navarra e Andalusia e dai Governi autonomici dell’Andalusia, Asturie, Catalogna e Canarie e da più di 50 deputati di vari gruppi dell’opposizione.
In questi ricorsi, si lamentava che la legge 27/2013 determina una perdita di poteri da parte dei municipi e la conseguente violazione della garanzia costituzionale dell’autonomia locale ex artt. 137, 140 e 141 CE, rappresentando un vero e proprio attacco al municipalismo. I municipi, infatti, non dovrebbero assumere il valore di istituzioni meramente amministrative ma dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti un terzo livello di governo, strumentale alla garanzia dello Stato sociale e democratico di diritto, un vero e proprio potere pubblico territoriale, che costituisce un’importante espressione del pluralismo politico e del principio democratico in virtù della maggior prossimità di tali enti ai cittadini.
Per quanto riguarda i ricorsi di incostituzionalità, a prima vista, il TC ratifica la riforma, confermando l’intervento dello Stato nella configurazione della mappa locale in relazione al sistema delle competenze ivi stabilito, alla creazione di nuovi municipi solo a partire dai 5.000 abitanti, agli incentivi statali alla loro fusione volontaria e alla limitazione della creazione di entità minori. I pochi precetti dichiarati incostituzionali, tuttavia, riguardano aspetti centrali della riforma, che in questo modo è stata bloccata.
Si osserva, inoltre, che il TC ha precisato il significato di determinate disposizioni, particolarmente controverse. Ha considerato, ad esempio, che l’elenco delle materie ex art. 25.2 LBRL, che possono essere attribuite come competenze proprie ai municipi, non costituisce un numerus clausus, riconoscendo quindi al legislatore, sia statale sia autonomico, la possibilità di attribuire competenze agli enti locali in altri settori diversi da quelli previsti dalla legge cornice statale (STC 41/2016, del 3 marzo 2016,FFJJ 10.b) e 12.a)). In modo simile, ha reinterpretato le disposizioni che vietavano alle CCAA di cedere agli enti locali competenze in materia di assistenza sociale e di assistenza sanitaria primaria, affermando che la legge 27/2013 avrebbe limitato la potestà delle Comunità di decentralizzare queste competenze, trasferendole agli enti locali (STC 41/2016, del 3 marzo 2016,FJ 13). Infine, in linea con le precedenti pronunce, la STC 107/2017, del 21 settembre 2017, ha avallato la costituzionalità della controversa legge, respingendo il ricorso per la difesa dell’autonomia locale per perdita sopravvenuta dell’oggetto.
La crisi economica degli ultimi anni ha inciso profondamente anche sulla gestione e sulla configurazione degli enti locali. La necessità di razionalizzare questo sistema, in conformità con gli stringenti parametri economici imposti dall’UE, tuttavia, non dovrebbe alterare irrimediabilmente i principi fondamentali dello Stato sociale e democratico di diritto, duramente conquistati, decostituzionalizzandoli, come è accaduto in più di un’occasione negli ultimi anni.
In Spagna, ad esempio, l’adozione sulla base dell’art. 135 CE del pacchetto di misure di austerità ha permesso di superare la terribile crisi economica che l’aveva coinvolta e di riattivare lo sviluppo, a discapito però della garanzia di alcuni diritti fondamentali che sono stati lesi in modo evidente da tali politiche. In questa situazione di transizione verso una nuova fase del costituzionalismo, in cui vi è un evidente rischio di strumentalizzazione delle politiche economiche restrittive, sia il legislatore sia i giudici dovrebbero essere chiamati a realizzare un’interpretazione costituzionale della crisi economica, utilizzando il parametro della stabilità finanziaria non in funzione di presunte esigenze economiche ma al fine di difendere in modo effettivo i diritti fondamentali e i principi strutturali dello Stato sociale e democratico di diritto, tra i quali è inclusa la garanzia dell’autonomia locale.
[1] Profesora Ayudante Doctora de Derecho Constitucional, Università di Granada (Spagna).
[2] Il presente contributo è tratto dall’intervento presentato al Covegno: Le autonomie locali: tra istanze democratiche ed esigenze di razionalizzazione. Presentazione del libro di Giovanni Boggero, Constitutional Principles of Local Self-Government in Europe, Brill, 2017, svoltosi il 4 giugno 2018 presso il Dipartimento di Economia dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, Capua.