Il Tribunale di Torino dichiara inammissibile il ricorso per l’accertamento del diritto a votare il referendum costituzionale separatamente dalle elezioni amministrative
Giovanni Boggero1 e Edoardo Caterina 2
Nonostante la nota sia il frutto di riflessioni comuni, il paragrafo 2 si deve a Giovanni Boggero e il paragrafo 3 si deve a Edoardo Caterina. Introduzione e conclusioni sono state scritte in maniera congiunta.
1. Introduzione.
Con ordinanza del 14 agosto 2020 (R.G. 13057/2020, rel. Sburlati ) la Sezione feriale del Tribunale ordinario di Torino, in composizione monocratica, ha dichiarato inammissibile il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con il quale due cittadini iscritti nelle liste elettorali della Città di Torino avevano chiesto di veder accertato il loro «diritto di votare in conformità alla Costituzione nel referendum ex art. 138 Cost. fissato per la data del 20-21 settembre 2020 con votazione distinta e separata da ogni altra votazione».
Tale asserito diritto soggettivo sarebbe risultato leso dall’art. 1-bis del d.l. 26/2020, introdotto con legge di conversione n. 59/2020, e, in particolare, dal comma 3 di tale articolo, che aveva esteso anche al referendum confermativo del testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari il principio della concentrazione delle scadenze elettorali, meglio noto come election day, originariamente previsto dall’art. 7 del d.l. 98/2011 per vari tipi di consultazioni elettorali, escluso appunto il referendum.3 Secondo i ricorrenti, tale disposizione si sarebbe posta in contrasto con diversi parametri costituzionali, tra i quali, da un lato, sotto il profilo procedimentale, gli artt. 72, co. 4 e 77 Cost. e, dall’altro, sotto il profilo sostanziale, gli artt. 21 e 48 Cost. Per questa ragione, si chiedeva al giudice adito di sospendere il processo incardinato avanti a sé e di sollevare questione di legittimità costituzionale delle disposizioni richiamate dinanzi alla Corte costituzionale.
Il giudice ha rigettato il ricorso in ragione della carenza di interesse ad agire dei ricorrenti, i quali, proprio in quanto iscritti nelle liste elettorali del Comune di Torino, non avrebbero potuto dolersi della lesione del diritto in parola, considerato che nessun’altra consultazione diversa dal referendum costituzionale si sarebbe svolta a Torino il 20 e 21 settembre 2020. Benché una tale statuizione abbia assunto valore assorbente per la decisione de qua, il Tribunale ha giudicato che, «per la natura degli interessi coinvolti», fosse «opportuno svolgere comunque alcune considerazioni di merito sulle questioni di legittimità costituzionale prospettate, che risultano manifestamente infondate». Tali considerazioni, accanto a quelle preliminari inerenti alle condizioni dell’azione, meritano un commento, tenuto conto che, a partire dalla nota sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale, la tutela atipica di mero accertamento ex art. 700 c.p.c. riveste ormai una funzione dirimente nel quadro dei diversi meccanismi di giustizia elettorale esistenti nel nostro ordinamento.
2. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, ma vi è carenza di interesse ad agire e di legittimazione attiva da parte dei ricorrenti.
In via preliminare, occorre sottolineare che il Tribunale non ha accolto l’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione formulata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri resistenti. In maniera piuttosto eccentrica, l’Avvocatura distrettuale dello Stato aveva, infatti, eccepito che la scelta della data in cui indire il referendum costituzionale fosse di per sé sottratta a sindacato giurisdizionale. Una tesi siffatta avrebbe trovato conforto in una consolidata giurisprudenza amministrativa e ordinaria (T.A.R. Lazio sent. n. 10445/2016 e Suprema Corte di Cassazione, Sez. Unite, ord. n. 24624/2016). Al proposito, va, tuttavia, osservato che la giurisprudenza invocata dai resistenti concerneva casi di impugnazione del decreto presidenziale di indizione del referendum – che, a detta del T.A.R. Lazio, avrebbe avuto «funzioni di garanzia e di controllo aventi carattere neutrale poste a presidio dell’ordinamento» – e non riguardava domande di accertamento della portata di un diritto soggettivo ex art. 700 c.p.c. le quali, semmai, contestano in radice le disposizioni legislative che giustificano il decreto di indizione.
Pertanto, la tesi dei resistenti per cui la scelta della data del referendum è un atto politico libero nel fine del tutto sottratto a sindacato giurisdizionale prova troppo. Peraltro, a ben vedere, non solo non corrisponde al vero che il decreto di indizione del referendum sia ex se sottratto a sindacato giurisdizionale,4 ma, nel caso di specie, a essere contestata non era sic et simpliciter la data della consultazione, bensì la scelta legislativamente fondata di abbinare il referendum con elezioni suppletive per la Camera dei Deputati, elezioni regionali e comunali. E tale scelta, a partire dalla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale, pare pienamente sindacabile per il tramite dell’instaurazione di un giudizio di mero accertamento nella misura in cui essa sia suscettibile di riverberarsi in maniera irragionevole sulla libertà di esercizio del voto. Del resto, pur essendo stata invocata a proprio sostegno dai resistenti anche l’ordinanza n. 169/2011 della Corte – la quale aveva risolto un conflitto di attribuzioni tra Comitato promotore e Governo su una questione di mancato accorpamento – va osservato come quest’ultima faccia esplicitamente salva e, anzi, confermi l’ipotesi che la discrezionalità del Governo nello scegliere la data della consultazioni incontri necessariamente il limite dell’ipotesi in cui «sussistano oggettive situazioni di carattere eccezionale idonee a determinare un’effettiva menomazione dell’esercizio del diritto di voto referendario» (così già: Corte costituzionale, ordinanze n. 38/2008, n. 198/2005 e n. 131/1997).
Rispetto all’anzidetta eccezione, il Tribunale di Torino non si esprime esplicitamente, ma, addentrandosi nell’esame dell’ammissibilità, si limita a esercitare la propria giurisdizione. Premesso, quindi, che il giudice ordinario ha giurisdizione per decidere di eventuali menomazioni del diritto di voto cagionate anche dalla scelta della data di indizione del referendum, rectius del suo abbinamento con altre consultazioni aventi natura non referendaria, il ricorso de quo è stato, tuttavia, ritenuto inammissibile per carenza di interesse ad agire dei ricorrenti ai sensi dell’art. 100 c.p.c. Tale carenza di interesse viene motivata dal giudice sulla base della circostanza che i ricorrenti non avrebbero potuto lamentare la lesione del diritto invocato, visto che nella circoscrizione nelle cui liste elettorali essi sono iscritti non è previsto lo svolgimento di consultazioni elettorali altre dal referendum costituzionale e, pertanto, la concentrazione delle scadenze elettorali non potrebbe avere effetto sulle modalità o meglio sulla libertà di esercizio del loro voto; esso, infatti, avrebbe potuto essere espresso unicamente in occasione del referendum. Vero, è, che la Corte costituzionale ha ricordato come «la natura dell’azione di accertamento non richieda necessariamente la previa lesione in concreto del diritto, ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire, ben potendo tale azione essere esperita anche al fine di scongiurare una futura lesione» (§ 3.3 sent. n. 35/2017), ma, nel caso di specie, era in radice escluso che un qualche pregiudizio potesse anche solo potenzialmente verificarsi, sicché, a differenza dei giudizi a quibus che avevano originato le note sentenze nn. 1/2014 e 35/2017, nel caso in oggetto non si presentava nessuno stato di incertezza o di dubbio, neanche in astratto, sull’esatta portata del diritto di voto dei ricorrenti e sul suo libero esercizio, trattandosi piuttosto, secondo la nota espressione del Liebman, di un’incertezza puramente interna al soggetto o accademica.5
Né sarebbe, del resto, stato possibile per gli attori in giudizio aggirare l’ostacolo del difetto di interesse sulla base di una legitimatio ad causam fondata su un’actio popularis, visto e considerato che per far valere un diritto altrui in nome proprio occorre che si verta in uno dei casi tassativamente previsti dalla legge per una sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.). A questo riguardo, il Tribunale ha sostenuto che l’esclusione di una siffatta soluzione, fondata su una legittimazione straordinaria, avrebbe, del resto, ricevuto una implicita conferma dall’ordinanza n. 195/2020 (rel. Amato), con la quale la Corte costituzionale aveva da poco dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dal Comitato promotore per il referendum nei confronti delle Camere, del Presidente della Repubblica e del Governo e avente ad oggetto la richiesta di annullare un abbinamento di consultazioni idoneo a produrre un’illegittima contaminazione di istituti di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta aventi matrice ontologicamente differente. La Corte, infatti, nel respingere il ricorso e la richiesta di misure cautelari, aveva ricordato, tra l’altro, che la Costituzione non attribuisce al Comitato promotore «una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale». Sembra, cioè, doversi dedurre da quanto esposto dal Tribunale che se tale sostituzione non può in alcun modo inverarsi qualora a rivendicarla sia il Comitato promotore, a maggior ragione ciò non possa verificarsi per due semplici cittadini elettori.
In realtà, per quanto suggestiva, tale argomentazione non convince, innanzitutto perché a essa è sottesa una ricostruzione inesatta dell’ordinanza della Corte costituzionale, la quale non ha affatto dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti, ma per loro difetto di interesse al ricorso in relazione all’asserita lesione delle loro prerogative costituzionali. In particolare, occorre osservare che l’inciso della Corte, richiamato dal Tribunale, secondo cui «la Costituzione non attribuisce al Comitato promotore una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale» – in effetti piuttosto ambiguo – non stava a significare che i promotori non potessero sollevare il conflitto interorganico avanti ad essa. Val la pena, infatti, rammentare che, nel caso di specie, il conflitto era stato sollevato nel corso di un procedimento referendario attivato non su iniziativa popolare, ma su istanza di più di un quinto dei membri del Senato della Repubblica. Pertanto, non esisteva alcun Comitato promotore propriamente detto, visto che l’art. 6, co. 2 della legge n. 352/1970 richiede allo scopo la semplice designazione di tre delegati. I soggetti che hanno sollevato il conflitto non rappresentavano, quindi, il corpo elettorale genericamente inteso, bensì soltanto una minoranza parlamentare. La Corte avrebbe, pertanto, potuto agevolmente negare la loro auto-qualifica di “potere dello Stato” e disconoscerne la legitimatio ad causam.6 Preso atto, invece, del riconoscimento della legittimazione attiva dei delegati a sollevare il conflitto, se si volesse comunque tentare di offrire un’interpretazione processualmente corretta dell’anzidetto inciso, bisognerebbe osservare quanto segue: ove non esista un Comitato promotore, ma vi sia soltanto un gruppo di delegati, questi ultimi, pur legittimati al ricorso, qualora contestino l’abbinamento tra consultazioni elettorali, agirebbero al di fuori delle proprie attribuzioni, ossia difetterebbero di interesse ad agire, poiché, non rappresentando il corpo elettorale, ma soltanto una minoranza parlamentare, non potrebbero farsi interpreti di una funzione di generale tutela del miglior esercizio del diritto di voto. L’inciso è quindi riferito all’interesse ad agire (dei delegati) e non alla legittimazione (del Comitato promotore). Così stando le cose, il riferimento all’ordinanza n. 195/2020 da parte del Tribunale pare fuorviante e, anzi, idoneo a condurre a un esito opposto a quello a cui è invece addivenuto il giudice torinese. Ammesso e non concesso che le condizioni dell’azione nel conflitto interorganico davanti alla Corte costituzionale e quelle esistenti per il processo ex art. 700 c.p.c. davanti al giudice civile possano essere assimilate, il riconoscimento della legittimazione attiva dei delegati avrebbe semmai dovuto condurre all’accertamento della sussistenza anche di quella dei ricorrenti. A quel punto, a differenza della minoranza parlamentare, sarebbe stato difficile argomentare che un gruppo più o meno numeroso di cittadini elettori non potesse farsi interprete del corretto esercizio del diritto di voto. In realtà, anziché far uso di un’argomentazione a fortiori del tutto inadatta al caso, il Tribunale di Torino avrebbe forse dovuto limitarsi a evidenziare l’impossibilità di assimilare la posizione del Comitato promotore e così di quella dei delegati della minoranza parlamentare (nel processo costituzionale) a quella dei singoli componenti del corpo elettorale (in altra sede processuale), i quali solo eccezionalmente sono legittimati ad agire uti cives, anziché uti singuli.7
Infine, val la pena ancora spendere qualche parola rispetto all’eccezione dell’Avvocatura distrettuale dello Stato circa l’inammissibilità del ricorso per difetto di strumentalità dell’azione ex art. 700 c.p.c. Tale eccezione risulta assorbita dall’accoglimento delle precedenti eccezioni in ordine al difetto di interesse ad agire e di legittimazione attiva dei ricorrenti e non è, quindi, stata affrontata. Nondimeno, è curioso notare che l’Avvocatura erariale ritenga di dover ancora eccepire il difetto di strumentalità tra la domanda cautelare proposta e il diritto soggettivo da far valere nel procedimento principale sul presupposto che non sarebbero rinvenibili provvedimenti urgenti da adottare da parte del giudice adito. Come noto, invece, già anche prima della sent. n. 1/2014 della Corte costituzionale (cfr., ex multis, ord. nn. 393/2008, 25/2006, sentt. nn. 183/1997, 367/1991, 444/1990), nell’ambito della tutela d’urgenza atipica di mero accertamento, la domanda cautelare coincide con la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale, richiesta che dovrà necessariamente risultare funzionale a impedire la dedotta lesione del diritto di voto esercitabile dai ricorrenti in sede elettorale. Nel dettaglio, l’adozione del provvedimento sospensivo dell’atto impugnato non esaurisce, infatti, il potere cautelare del giudice a quo, dal momento che la pronuncia cautelare, nella sua prima fase, viene pur sempre accolta “a termine”, ossia con un atto interinale e provvisorio, efficace fino alla decisione della questione di legittimità costituzionale contestualmente sollevata; dopodiché, all’esito del giudizio dinanzi alla Corte, il giudice deciderà “in via definitiva”, tenendo conto, ai fini della valutazione del fumus boni iuris, della decisione della Corte costituzionale (così già: Tribunale di Alba, ord. 22 gennaio 2013, che riprende Consiglio di Stato, Sez. VI, Pres. Severini; rel. Giovagnoli, sent. 28 novembre 2011, n. 6277). Peraltro, va tenuto conto che la strumentalità dell’art. 700 c.p.c. è una strumentalità ormai attenuata o allentata. Il nuovo art. 669-octies, comma 6 c.p.c. (introdotto con l. 80/2005) non richiede, infatti, più la stretta strumentalità del procedimento cautelare alla instaurazione di una fase di merito, sicché tutto l’interesse del ricorrente potrà concentrarsi anche solo nel conseguimento della misura cautelare.8
3. La libertà del voto non è lesa dall’accorpamento del referendum… indipendentemente dall’emergenza pandemica?
Il Tribunale di Torino non si è limitato ad accertare la carenza di interesse ad agire, ma, in modo invero originale, ha ritenuto di addentrarsi anche nel merito della questione in ragione della «natura degli interessi coinvolti»; quasi a rafforzare col merito una argomentazione in rito non del tutto incontrovertibile. Le questioni di costituzionalità evidenziate dagli attori ruotavano essenzialmente intorno a tre aspetti. I primi due concernono vizi formali della legge di conversione del summenzionato d.l. 26/2020. Si lamentava in primo luogo la violazione dell’art. 72, comma 4 Cost. per via della questione di fiducia apposta «in materia elettorale» durante l’iter di conversione; in secondo luogo la violazione dell’art. 77 Cost. in ragione della estraneità dell’art. 1-bis, approvato in sede di conversione, rispetto alla materia oggetto del d.l. originario. Il terzo aspetto riguardava, invece, la «violazione della libertà e genuinità del voto», asseritamente cagionata dall’accorpamento di elezioni con referendum (i parametri costituzionali invocati a tal proposito sono gli artt. 21 e 48 Cost.). Proprio quest’ultimo aspetto risulta di maggiore interesse e merita quindi maggiore spazio nella trattazione, laddove gli altri due possono essere affrontati in poche battute.
Circa il problema della questione fiducia «in materia elettorale» (art. 72, comma 4 Cost.), del tutto esatto appare il rilievo del giudice per il quale la decisione di abbinamento del referendum esulerebbe dalla suddetta materia. A parere di chi scrive, la questione va posta più precisamente in questi termini: alla autonomia delle Camere (art. 64 Cost.) va riconosciuta una certa discrezionalità circa la definizione della «materia elettorale». Si segnala che alla Camera dei deputati, il c.d. lodo Casini (2002) ha stabilito, seppure ai fini della «secretabilità del voto», che «per leggi elettorali devono intendersi solo le norme che riguardano i meccanismi di trasformazione dei voti in seggi»9. L’interpretazione dell’art. 72, comma 4 Cost. data su questo punto dalle Camere non potrà essere sindacata, stante la ben nota giurisprudenza inaugurata dalla sent. n. 9 del 1959, salvo che essa non risulti palesemente contra constitutionem. Il che non è certamente il caso dell’election day. Un simile rilievo è assorbente rispetto alla vexata quaestio della compatibilità con l’art. 72, comma 4 della questione di fiducia sulle leggi elettorali10.
Quanto all’eterogeneità della legge di conversione del decreto-legge, la censura appare invero bizzarra, ove solo si legga il titolo del d.l. 26/2020: «Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020». La Corte costituzionale ha infatti individuato ne «l’evidente estraneità della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita» (sent. n. 22 del 2012) la premessa necessaria a una dichiarazione di illegittimità costituzionale, né mai si è spinta a chiedere una completa identità di materia11. Anzi, nella recente sent. n. 247 del 2019 la Corte ha chiaramente affermato, coerentemente con la giurisprudenza pregressa, che «la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente ‘estranee’ o addirittura ‘intruse’, cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione».
Venendo all’ultima censura, essa attiene essenzialmente alla lesione della libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.12 L’art. 21 Cost. viene richiamato nella sua declinazione di «diritto a essere informati»13 in relazione alla presunta disuguaglianza nella «fruizione della campagna elettorale» tra cittadini chiamati al solo voto referendario e cittadini chiamati anche al voto regionale e locale. Tale richiamo risulta, tuttavia, improprio, atteso che nella libertà del voto rientra certamente anche il diritto a una corretta informazione pre-elettorale14. Ciò posto, non si può negare che, in via di principio, l’abbinamento di consultazioni referendarie ad altre elezioni non sia un fattore del tutto neutrale rispetto all’esito delle stesse elezioni. È, infatti, evidente che si tratta di una tecnica volta a incentivare la partecipazione elettorale. In passato, l’accorpamento di elezioni politiche e consultazioni referendarie era stato proposto proprio per disincentivare l’astensionismo che aveva fatto fallire numerosi referendum abrogativi15. Il Tribunale di Torino ritiene infondata la censura riprendendo l’assertiva argomentazione svolta dalla Corte costituzionale nella detta ord. n. 195 del 2020 per la quale non «può dirsi che la contestualità tra differenti campagne elettorali comporti, di per sé, una penalizzazione degli spazi d’informazione dedicati alla campagna referendaria»; viene, inoltre, richiamata l’ord. n. 169 del 2011 che viene letta come espressiva «dell’indifferenza di tale scelta organizzativa rispetto ai valori costituzionali».
Singolarmente, il giudice non si appoggia all’argomento della eccezionalità delle circostanze dettate dalla crisi pandemica. Si lascia intendere che anche in circostanze normali l’accorpamento del referendum costituzionale sarebbe senz’altro legittimo. In questo senso, del resto, va anche l’anzidetta pronuncia del T.A.R. Lazio, ove si rileva che «non è possibile ritenere ex ante che la contestualità con altre elezioni e l’articolazione su due giorni comporti alterazioni del voto referendario»16. A posteriori, si può dire che il timore di una partecipazione «a macchia di leopardo» (che affiora, sia pure in modi diversi, sia nella ord. n. 195/2020 che nella sentenza in commento) è stato ridimensionato dai fatti17; in ogni caso, da una analisi del voto può desumersi che l’accorpamento non ha spiegato alcuna decisiva influenza sull’esito delle consultazioni referendarie18.
La Corte costituzionale sembra, invece, tracciare un quadro assai più sfumato. Innanzitutto, essa fa leva sull’eccezionalità della situazione pandemica19; in secondo luogo, nota che nel referendum costituzionale non è previsto un quorum strutturale. Il che, a contrario, farebbe calare qualche ombra sulla legittimità di un simile accorpamento in tempi «normali» e con riferimento a un referendum abrogativo (si noti che l’ord. n. 169 del 2011 si pronunciava su un caso opposto: il Governo non aveva accorpato le consultazioni, contrariamente alle richieste del comitato promotore).
Queste vicende giurisprudenziali lasciano aperta la questione circa la legittimità di eventuali accorpamenti in tempi non pandemici. Anche le differenze tra referendum costituzionali e referendum abrogativi non sono ben chiarite a tal proposito20. Eppure, la distinzione pare opportuna, dal momento che l’eventuale ratio ostativa all’accorpamento sarebbe diversa a seconda che il referendum fosse indetto ex art. 75 ovvero ex art. 138 Cost. Nel primo caso, come implicitamente riconosce anche la Corte costituzionale, si avrebbe un intervento del Governo volto a promuovere l’affluenza e, quindi, a favorire la riuscita del referendum (che, come noto, trova oggi il suo maggiore ostacolo nel raggiungimento del quorum strutturale). Nel secondo caso, l’accorpamento non potrebbe essere certo considerato un escamotage per superare il quorum, ma risulterebbe comunque problematico per altri versi. Si potrebbe, infatti, sostenere che abbinando una consultazione politica a un referendum costituzionale si «contaminerebbe» un processo decisionale di rango costituzionale con le logiche della normale competizione elettorale politico-partitica21. Certamente questa «contaminazione» è in parte inevitabile, ma lo Stato – potrebbe sostenersi – dovrebbe fare il possibile per evitarlo, cercando di preservare la consultazione nella sua “purezza costituzionale” Del resto, è innegabile che, in caso di abbinamento, la campagna elettorale dedicherebbe meno spazio all’informazione e al dibattito sulla revisione costituzionale, tendendo inevitabilmente a mescolare i contenuti delle diverse consultazioni22. Ciò si è in parte verificato anche nel corso dell’ultima campagna elettorale, a giudicare dalle delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) che hanno ripetutamente tenuto per «assolutamente inadeguato» lo spazio garantito da diverse emittenti alla campagna referendaria23. Da questo punto di vista le affermazioni del Tribunale di Torino e anche quelle della Corte costituzionale paiono, allora, apodittiche o comunque opinabili. Non si può certo affermare che l’accorpamento causerebbe di per sé una inadeguata informazione, ma non si può neppure negare che le chances di una informazione migliore aumentino in assenza di accorpamento. Bisogna in ogni caso riconoscere che quella dell’accorpamento si presta a essere una tecnica che consente al Governo di esercitare un’influenza sull’andamento delle consultazioni referendarie. Nel caso di specie va rilevato che i promotori delle varie iniziative volte a scongiurare l’accorpamento appartenevano allo schieramento che sosteneva il “No”. Essi ritenevano, sulla base di sondaggi e opinioni di analisti politici24, che una maggiore affluenza avrebbe avvantaggiato il “Sì”, sul presupposto che la fascia di popolazione potenzialmente astensionista fosse prevalentemente favorevole alla revisione costituzionale. Come già detto, l’accorpamento non si è in realtà mostrato decisivo in uno scenario dove la proposta di revisione ha ottenuto quasi il 70% di voti favorevoli. Tuttavia non si deve escludere che nel futuro l’affluenza possa dimostrarsi decisiva e che un referendum costituzionale possa avere esiti diversi a seconda che sia abbinato o meno ad altre consultazioni.
4. Conclusioni: i limiti della «giustificazione pandemica».
In conclusione, la sentenza de qua offre un interessante esempio di azione di mero accertamento in materia elettorale, rispetto alla quale il Tribunale di Torino ha negato la sussistenza dell’interesse ad agire e la legittimazione attiva dei ricorrenti. Benché la via del ricorso ex art. 700 c.p.c. si presti a facilitare l’esame di questioni di legittimità costituzionale in via incidentale da parte della Corte costituzionale, questo caso mostra come una corretta disamina dei profili di ammissibilità della domanda da parte del giudice adito consenta di evitare che essa si trasformi in una surroga del ricorso diretto paventata da parte della dottrina25. Senonché, le argomentazioni del Tribunale non sono sempre lineari e, forse anche perché influenzate dalle eccezioni sollevate dall’Avvocatura erariale, appaiono, talora, incoerenti rispetto alla giurisprudenza costituzionale citata. In particolare, il richiamo all’ordinanza n. 195/2020 della Corte costituzionale risulta fuorviante, poiché teso ad assimilare le condizioni dell’azione nel processo costituzionale a quelle del processo ex art. 700 c.p.c.
Anche la scelta irrituale di approfondire il merito delle doglianze in ordine alla asserita illegittimità costituzionale delle disposizioni ritenute lesive del diritto di voto lascia qualche dubbio, specie perché il Tribunale sembra motivare la loro manifesta infondatezza a prescindere dall’evento pandemico. Di contro, non si può non condividere in proposito l’opinione di chi, in dottrina, ha invitato alla cautela circa l’abbinamento di referendum ad altre elezioni e ha giudicato l’election day giustificabile solo alla luce dell’eccezionalità dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-1926. Allo stesso tempo, occorre notare come anche il richiamo alla pandemia in corso richieda pur sempre un minimo di argomentazione. È senz’altro vero che la diffusione del virus ha rappresentato una circostanza straordinaria e imprevedibile, ma ciò non porta logicamente alla conclusione che essa giustifichi ipso facto l’accorpamento; anche perché se la circostanza da straordinaria e imprevedibile si stabilizzasse, facendosi nel frattempo ordinaria, non sarebbe illogico pretendere che il Governo fosse gravato dell’onere di organizzare le consultazioni, pur con tutte le necessarie precauzioni del caso, secondo i crismi, appunto, dell’ordinarietà o della “nuova” ordinarietà, ossia senza il sacrificio, ancorché parziale, della libertà di esercizio del voto.
A questo proposito, vale la pena ricordare che anche in un contesto siffatto, chi esercita la giurisdizione (specie quella costituzionale) è chiamato ad accertare la non irragionevolezza ossia la non sproporzione della misura adottata dal legislatore. Nelle vicende giurisprudenziali esaminate, invece, stupisce che il test di proporzionalità non sia stato neppure abbozzato. Nessun giudice, nemmeno quello costituzionale nell’anzidetta ord. n. 195/2020, si è, infatti, domandato se l’accorpamento delle elezioni fosse non soltanto idoneo, ma anche necessario e adeguato rispetto allo scopo di impedire la diffusione del contagio.
1 Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Torino.
2 Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Macerata.
3 Sul rinvio del referendum e sulle problematiche costituzionali ad esso legate si veda per tutti: G. Tarli Barbieri, Il rinvio delle elezioni in tempo di coronavirus nell’ottica delle fonti del diritto, in: Osservatorio sulle fonti, n. 2/2020, 967 e sgg.
4 T.A.R. Lazio (Sez. II bis, Pres. Stanizzi; rel. Mangia), n. 10445/2016. Come si ricava da tale decisione, la sottrazione al sindacato non è assoluta, ma inerente al profilo della formulazione del quesito referendario, dato che esso è stato recepito nel decreto dopo il controllo dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione. Cfr. in proposito: F. Politi, Diritto pubblico, Torino, 2017, 264. Per quanto concerne l’impugnazione del decreto di indizione del referendum costituzionale in oggetto vedasi: T.A.R. Lazio (Sez. II bis, Pres. Stanizzi; rel. Gatto), n. 9188/2020. In tale caso, era stato originariamente censurato il differimento sine die del referendum, doglianza rispetto al cui accoglimento i ricorrenti non avrebbero, tuttavia, avuto più interesse, stante la fissazione nelle more del giudizio della data della consultazione; i ricorrenti avevano insistito per la sussistenza dell’interesse anche a fronte della successiva fissazione della data celebrativa del referendum, ma il T.A.R. aveva rigettato la doglianza perché inammissibile, ancor prima che infondata, in quanto contenuta in memoria non notificata. Ai fini di quanto si è detto, resta, tuttavia, che i decreti di indizione di referendum non possono ritenersi ex se sottratti a sindacato giurisdizionale.
5 Così: E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984, 161. Sulle azioni di mero accertamento e la necessità che ai fini dell’interesse ad agire sussista quantomeno l’oggettività della contestazione e la potenzialità del conseguente pregiudizio: C. Mandrioli, Diritto processuale civile, Vol. I, 2017, 70-72. Cfr. anche di recente: G. D’Amico, Azione di accertamento e accesso al giudizio di legittimità costituzionale, Napoli, 2018, 65-67.
6 Si vedano in dottrina: R. Pinardi, Conflitto tra poteri e referendum confermativo: alcune annotazioni critiche sull’ordinanza della Corte costituzionale n. 195/2020, in: Consulta Online, n. 3/2020, 480-481; P. Logroscino, Le ordinanze sui conflitti contro le consultazioni elettoral-referendarie del 2020: una risposta a mosaico con tessere diverse?, in: www.federalismi.it n. 32/2020, 127-128; M.G. Rodomonte, Il diritto ad essere informati quale profilo fondamentale della tutela del diritto di voto e la controversa questione dell’abbinamento del referendum costituzionale alle elezioni. Alcune riflessioni a partire dall’ordinanza n. 195 del 2020 della Corte costituzionale, in: Osservatorio AIC, n. 6/2020, 531-532.
7 Cfr. A. Amato, Vecchi e nuovi casi di tutela dei diritti fondamentali alla luce della giurisprudenza costituzionale sull’azione di accertamento, in: www.dirittifondamentali.it, n. 2/2020, 656, il quale osserva come l’accesso alla giustizia costituzionale tramite ricorso ex art. 700 c.p.c. è tutto fuorché indiscriminato. In particolare, il giudice civile dovrebbe verificare attentamente le condizioni dell’azione, tra cui la legittimazione attiva in mancanza della quale saremmo di fronte ad un’azione popolare.
8 Sul punto si veda: A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 648 e sgg.
9 Cfr. Giunta per il Regolamento, 7 marzo 2002. La giurisprudenza parlamentare più recente ha confermato questo orientamento: cfr. Giunta per il Regolamento, 12 gennaio 2015.
10 Cfr. R. Ibrido, La materia elettorale nel Regolamento della Camera: ragionando sull’iter di approvazione dell’Italicum, in N. Lupo, G. Piccirilli (a cura di), Legge elettorale e riforma costituzionale: procedure parlamentari “sotto stress”, Bologna, 2016, 59 (nel senso della ammissibilità della questione di fiducia su una legge elettorale); D. Casanova, Il procedimento legislativo di approvazione dell’”Italicum” e le sue numerose anomalie, in: Osservatorio AIC, luglio 2015 (che invece ritiene la questione di fiducia su leggi elettorali non compatibile con l’art. 72, comma 4).
11 Cfr. anche le sentt. nn. 171 del 2007 e 128 del 2008. Il caso di scuola è la nota sent. n. 32 del 2014 che dichiarava l’illegittimità costituzionale di disposizioni in materia di stupefacenti del decreto-legge sulle olimpiadi invernali di Torino.
12 Riconduce il problema dell’accorpamento all’art. 48 Cost.: E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, in: Forum di Quaderni Costituzionali, n. 4/2020, 313.
13 Cfr. ex multis le sentt. Corte cost. nn. 105 del 1972, 202 del 1976, 148 del 1981, 826 del 1988.
14 Cfr. Corte cost. n. 155 del 2002; G. Tarli Barbieri,La legislazione elettorale nell’ordinamento italiano, Milano, 2018 20 s.
15 Si veda in proposito: AA.VV. L’accorpamento delle consultazioni elettorali: verso l’election year, in: Astrid online, dicembre 2006, http://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Pape/Paper-election-year-01_12_06.pdf (ultimo accesso 16 dicembre 2020).
16 T.A.R. Lazio (Sez. II bis, Pres. Stanizzi, rel. Gatto), n. 9188/2020.
17 Così anche: G. Tarli Barbieri, Le consultazioni del 20 e 21 settembre 2020: continuità e discontinuità di elezioni (comunque) rilevanti, in: Le Regioni, n. 4/2020, 721 e sgg.
18 Così E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, cit., 323 s.
19 «Nel caso di specie, già in sede di mera delibazione degli argomenti del ricorrente emerge che essi, a fronte della situazione eccezionale legata all’epidemia che ha portato all’accorpamento, non adducono circostanze, che dovrebbero risultare esse stesse eccezionali, in ragione delle quali l’accorpamento inciderebbe sul diritto all’effettuazione del voto referendario e sul suo esercizio (ordinanza n. 169 del 2011)».
20 Ma in dottrina si veda da ultimo: M. Plutino, Esiste un divieto di accorpamento, e in generale di abbinamento, dei referendum costituzionali alle elezioni?, in: Nomos, n. 1/2020.
21 In questo senso cfr: A. Celotto, Memoria per audizione Senato – I Commissione Affari costituzionali. Conversione in legge del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020. AS 1845, in www.senato.it, 2-3; M. Plutino, Esiste un divieto di accorpamento, e in generale di abbinamento, dei referendum costituzionali alle elezioni?, cit., 10 s. Si noti tuttavia che anche per il referendum abrogativo può forse individuarsi la stessa ratio, dal momento che la legge n. 352 del 1970 ne vieta lo svolgimento in contemporanea con le elezioni politiche: cfr. E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, cit., 326 s.
22 Così anche V. De Santis, Il voto in tempo di emergenza. Il rinvio del referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, in: Osservatorio AIC, 3/2020 (che parla di un rischio di «trascinamento del voto»).
23 Cfr. delibere nn. 387/20/CONS; 388/20/CONS; 389/20/CONS; 390/20/CONS; 391/20/CONS; 392/20/CONS. Cfr. anche: E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, cit., 325.
24 Si veda ad esempio: M. Perrone, Referendum e incognita astensionismo. Pregliasco (YouTrend): «Potrebbe favorire il No», in: Il Sole 24 ore, 26 agosto 2020, https://www.ilsole24ore.com/art/referendum-e-incognita-astensionismo-pregliasco-youtrend-potrebbe-favorire-no-ADLA87k (ultimo accesso 16 dicembre 2020).
25 Cfr. A. Mangia, L’azione di accertamento come surrogato del ricorso diretto, in: www.lacostituzione.info, 15 febbraio 2017.
26 Questa in sintesi la posizione di E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, cit., 328.