Jörg Luther, giurista europeo
Enrico Grosso[1] e Anna Maria Poggi[2]
Ci ha prematuramente lasciato il professor Jörg Luther, dopo una breve malattia.
Questa rivista gli deve molto, come molto gli deve l’intera comunità dei costituzionalisti. Jörg è stato per tutti noi un punto di riferimento sul piano scientifico e umano. Un giurista originale e raffinato e un amico generoso, che sapeva sempre sorprendere e costringere i suoi interlocutori ad alzare l’asticella del confronto dialettico, ad elaborare pensieri più complessi, insomma a fare ogni volta uno sforzo in più e a non accontentarsi mai di ragionamenti facili o banali. Per quanto potesse essere a volte faticosa, ogni discussione scientifica con lui ti faceva sempre fare un passo in avanti, anche quando non ne condividevi i passaggi argomentativi o le conclusioni. E la sua personale cortesia, il suo sorriso ironico ma sempre buono e gentile, la generosità e lo slancio con cui era pronto a dare il suo contributo di pensiero alla comunità scientifica di cui faceva parte, inducevano tutti a perdonargli qualche spigolosità e rigidità, che a loro volta erano figlie di un fortissimo senso dell’ “etica del giurista”, un impasto di rigore e di idealismo, di intransigenza e di profonda autenticità.
Tracciare un profilo scientifico del prof. Luther non è semplice, tanto vasta è la sua produzione, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello degli interessi da lui sviluppati in oltre trent’anni.
Se volessimo dare una definizione complessiva del suo itinerario scientifico potremmo dire che Jörg Luther ha manifestato a tutto tondo, anche dal punto di vista della sua biografia personale, la figura del giurista europeo. “Cittadino europeo nato in Germania”, amava definirsi. E di questo suo essere – contemporaneamente – irriducibilmente “tedesco” e orgogliosamente “italiano” (e dunque una perfetta sintesi del migliore spirito europeo) ha riversato il frutto nei suoi numerosissimi scritti sull’Europa. La sua riflessione ha sempre intrecciato le tematiche del diritto pubblico europeo, che nella sua visione teorica rappresentava l’approdo ideale delle innate capacità espansive del diritto costituzionale. Il suo contributo alla costruzione di una teorica del “costituzionalismo europeo” rappresenta uno dei lasciti più fecondi del suo pensiero. Jörg era sinceramente convinto della necessità di professare adesione, oltre che attenzione, alla “costruzione dell’Europa” sotto il profilo del diritto e della cultura costituzionale. A questo, che riteneva un vero e proprio compito del giurista, ha dedicato una montagna di scritti, alcuni dei quali, ad un certo punto, ha ritenuto di raccogliere nel volume Europa Constituenda del 2007 (cfr. Europa constituenda. Studi di diritto, politica e cultura costituzionale, Torino, Giappichelli, 2007). Era un’epoca di grandi illusioni, alternate ad altrettanto pesanti disillusioni, l’epoca immediatamente successiva al deragliamento del progetto di Trattato costituzionale e al conseguente fallimento del processo costituente europeo, quando ancora Jörg si dedicava alle prospettive della politica costituzionale europea concludendo il suo volume con l’ammonimento che «la storia costituzionale europea non si conclude» (cfr. ivi, p. 231). Alla sempre pronosticata fine dell’Europa egli non si è mai arreso, sebbene, in tempi recenti, manifestasse in proposito tutte le sue preoccupazioni. In un lungo saggio sul futuro dell’Europa apparso nel 2018 (Il futuro dell’integrazione europea nel contesto globale: preoccupazioni del costituzionalista, in Nomos, 2018), utilizzava un interessante (e come sempre “alternativo”) angolo visuale, quello della “democrazia futurista” marinettiana del 1919, per svolgere un ardito quanto intrigante parallelismo tra l’antiparlamentarismo tecnocratico dei futuristi di allora e i meccanismi decisionali dell’Eurocrazia dei giorni nostri. Ma predicava, contro questa deriva che denunciava essere culturale prima ancora che istituzionale, l’«ottimismo delle costituzioni», capaci di costruire il futuro in forme diverse dal presente, grazie ai preziosi «strumenti di diritto pubblico che tendono a spersonalizzare ed istituzionalizzare i poteri, rendendoli più longevi delle persone umane che si compongono nel popolo, a proteggere beni ed interessi comuni per i posteri, a legittimare e limitare l’ordinamento giuridico attraverso ideali e valori comuni, con rappresentazioni simboliche» (ivi, p. 4).
Emerge anche qui l’incrollabile convinzione di Jörg Luther nella superiorità del fattore culturale di lungo periodo sulla miseria della contingenza politica. Per lui l’identità costituzionale europea è soprattutto, forse essenzialmente, un fatto culturale. E spetta quindi in primo luogo al giurista, e al costituzionalista specialmente, disseminarne il messaggio, senza compiere l’errore di soffermarsi sul particolare contingente, se è vero che «nel costituzionalismo europeo si è iscritta un’aspettativa di progresso attraverso la realizzazione di ideali e pertanto nel secolo dei lumi si proiettano speranze nell’ “avvenire” che nel tedesco settecentesco si traduce in Zukunft, quel che “avverrà” nel e col “tempo”» (ivi, p. 5).
Del resto, più in generale, per Jörg «chi si occupa di costituzione ha una responsabilità maggiore di quella di altri giuristi, perché l’oggetto del suo lavoro non riguarda questo o quello singolarmente, ma la vita buona dell’insieme della comunità». Da tale massima egli sapeva trarre precise conseguenze sul piano della teoria generale: non solo il diritto costituzionale è fattore dello sviluppo culturale di un’intera società, ma la dottrina della Costituzione è in sé stessa “scienza della cultura”, secondo l’insegnamento di uno dei suoi maestri, Peter Häberle, di cui tradusse uno dei saggi più noti (“Per una dottrina della Costituzione come scienza della cultura”). E proprio alla prospettiva di una «vita buona» per il futuro dei popoli (o del popolo) europeo era dedicato l’ultimo passo, denso di speranza, di quel saggio sull’integrazione: «Allo spettro della distruzione della terra, l’Unione europea ha opposto un ideale di sostenibilità verde, con politiche ambientali tuttavia ancora troppo timide nei confronti dei veleni e dei mezzi di circolazione. Alle regressioni della civiltà e all’imbarbarimento del capitalismo generato dall’Europa, l’Europa continuerà ad opporre una esile ma intramontabile speranza di incivilimento e di progresso sociale. Non si potrà negare che il capitalismo è stata un’invenzione europea, ma quel che rende questo capitalismo “europeo” non potrà non essere un’unione solidale di stati sociali» (ivi, p. 17).
Costante nel corso del tempo è stata la riflessione di Jörg Luther sulla giustizia costituzionale, a partire dal suo primo libro, pubblicato in Germania nel 1990 come rielaborazione della sua tesi di dottorato, sul controllo di costituzionalità delle leggi in Italia (Die Italienische Verfassungsgerichtbarkeit, Baden-Baden, Nomos Verlag, 1990). Decine di scritti sono dedicati ai modelli di giustizia costituzionale in Germania e in Italia, alla Verfassungsbeschwerde, allo sviluppo del canone della ragionevolezza come parametro di legittimità costituzionale, all’impatto della giurisprudenza costituzionale del Bundesverfassungsgericht sullo sviluppo dell’integrazione europea (magistrale, a tale proposito, il suo commento alla Lissabon Urteil – Il processo di Karlsruhe al trattato di Lisbona: alla ricerca di interpretazioni ragionevoli, in Giurisprudenza costituzionale, 2011, 925 ss. – condotto sempre nel tentativo, coraggioso ai limiti della temerarietà, di orientarne gli esiti a un positivo sviluppo del processo di integrazione).
Un posto particolare occupa in questo ambito – per il peculiare taglio storico e per il coraggioso sforzo di seguire, ancora una volta, un percorso controcorrente – la monografia su “Idee e storie di giustizia costituzionale nell’Ottocento” del 1991. Con l’obiettivo di andare alla ricerca delle radici storiche del processo costituzionale (anzi, di un vero e proprio diritto processuale costituzionale, categoria che – soprattutto in quegli anni – era tutt’altro che stabilizzata e univocamente accettata nella dottrina costituzionalistica), Jörg le ritrovò proprio in quel “secolo dimenticato”, quello che lui stesso definisce l’apparente «tempo perso per la giustizia costituzionale» (ivi, p. 26): il secolo intercorrente tra la sentenza Marbury vs. Madison del 1803 e l’istituzione del Verfassungsgerichthof austriaco del 1920. Tutt’altro che tempo perso, invece. L’Ottocento si manifesta come un’epoca feconda di tentativi e riflessioni, di esperimenti e disquisizioni teoriche: dal corpo degli Efori di Pagano al jury constitutionnaire dell’Abate Sieyès; dagli “arbitrati costituzionali” negli Stati tedeschi del primo Ottocento alle varie forme di Staatsgerichtsbarkeit introdotte dopo la Restaurazione per provare – senza troppo successo – a regolare le complesse relazioni tra le monarchie costituzionali sorte a seguito dell’esplosione del Sacro Romano Impero Germanico; dalla c.d. “giustizia costituzionale del federalismo” emersa, sempre negli Stati tedeschi, tra il 1815 e il 1848 al “contenzioso costituzionale” nella Germania unita bismarckiana. Di tutte queste esperienze embrionali, e del dibattito culturale e scientifico che ad esse fece ala, Jörg offre una ricostruzione minuziosa e mai banale, cercando di valorizzare gli elementi di continuità su quelli tralatici, le radici feconde su quelle destinate a inaridirsi, con l’obiettivo riuscito di costruire una sorta di “storiografia della giustizia costituzionale” che rifuggisse dalla mera archeologia giuridica, nella consapevolezza, del tutto adeguata e confacente al rigore e alla serietà del suo metodo scientifico, che su questi temi fosse impossibile scrivere una “storia”: piuttosto “storie”, appunto, rappresentative di una serie di tendenze ideali, senza la pretesa di offrire le ragioni dimostrative di un senso o di un disegno complessivo secondo i canoni storicistici della savigniana «Zustand».
Nella consapevolezza dell’impossibilità di dare conto di tutte le articolazioni di un’attività di ricerca davvero onnivora, specchio di una passione indefessa per ogni sfaccettatura del diritto costituzionale, non si può non fare cenno alla speciale sensibilità di Jörg Luther per i diritti fondamentali (cui ha dedicato, soprattutto nell’ultima fase della sua attività didattica, molti corsi monografici). Tra questi, un vero e proprio luogo elettivo del suo itinerario di pensiero ruota intorno all’ambiente, alla salute e alla loro protezione. Il suo primo scritto scientifico in assoluto, pubblicato su Giurisprudenza costituzionale nel 1986, era dedicato non a caso ai profili costituzionali della tutela dell’ambiente in Germania (Profili costituzionali della tutela dell’ambiente in Germania, in Giurisprudenza costituzionale, 1986, 2555 ss.). Ad esso hanno fatto seguito decine di titoli, nei quali l’autore mette a fuoco progressivamente i tratti di una dialettica tra “antropocentrismo” ed “ecocentrismo”. In tutti questi scritti egli mette a valore il suo profondo idealismo, che coniuga con una ferma visione del principio di responsabilità. Quel principio che lo portava ad esempio ad argomentare arditamente l’opportunità di coinvolgere i fumatori nel finanziamento della spesa ospedaliera per la cura delle malattie fumo-indotte, in applicazione del generale principio “chi inquina paga”, per cui il fumatore sarebbe libero di fumare e rischiare la propria salute, ma non a spese della collettività (cfr. Il fumo nella lotta per i diritti, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1992, p. 130 ss. spec. 142). Come si può notare, la sua prospettiva nella trattazione di qualsiasi questione concernente la protezione dei diritti fondamentali non era mai banale, era quasi sempre “fuori dal coro”, alternativa a costo di risultare irriducibilmente e a tratti anche abrasivamente minoritaria. Da Jörg non ti aspettavi mai una pedissequa sottomissione al pensiero unico. Piuttosto l’anticipazione di problematiche che la maggior parte di noi avrebbe cominciato a mettere a fuoco anni dopo (si pensi agli scritti degli anni ’90 in tema di conflitti tragici e libertà di coscienza o a quelli, assai precedenti rispetto all’esplosione del dibattito in Italia negli ultimi tempi, sui diritti culturali e sui diritti delle generazioni future).
Una più recente passione, anche ispirata da vicende personali e famigliari, era sbocciata negli anni ‘2000 per il diritto costituzionale dei paesi asiatici: il Nepal, l’India, la Cina. Anche qui, il suo punto di vista era sempre originale a costo di essere spiazzante (come nel suo riuscito tentativo di costruire radici storiche europee di un costituzionalismo cinese: cfr. Percezioni europee della storia costituzionale cinese, in G. Ajani (a cura di), Modelli giuridici europei nella Cina contemporanea, Napoli, Jovene, 2009), e sempre permeato di un assoluto rigore scientifico, scevro da qualsiasi anacronismo così come dallo sbrigativo eurocentrismo dei più, che ben si coniugava con un atteggiamento di massimo rispetto per l’identità culturale dei paesi indagati (esemplare, sotto questo profilo, è il saggio del 2017 Comparing Fundamental Sociel Rights in the European and Indian Union, in The Indian Yearbook of Comparative Law, 2016, 279 ss.).
E poi le decine di saggi sul regionalismo. L’interesse di Jörg Luther per la questione regionale, sempre presente nella sua produzione, si intensifica a partire dagli anni 2000, in considerazione delle riforme costituzionali “autonomistiche” varate in alcuni Paesi europei (tra cui anche l’Italia) già a partire dagli anni Novanta e in considerazione, altresì, della rinnovata attenzione che al tema riservano le istituzioni europee, sempre più sollecitate a rendere più democratica la “governance” dell’Unione.
La sua produzione in proposito si caratterizza per alcuni elementi di assoluta originalità sul piano metodologico e contenutistico. In primo luogo l’ampiezza di profili e sfaccettature attraverso cui osservare e valutare lo stato dell’arte dell’attuazione del principio autonomistico: il concetto di autonomia (Alla ricerca di un concetto giuridico europeo di autonomia in Annuario DRASD, 2012); la sussidiarietà (La sussidiarietà come principio sussidiario del diritto pubblico, in Il Piemonte delle Autonomie, 3/2019); la democrazia locale (Qualche referendum sulla nuova linea ferroviaria Torino-Lione, in Il Piemonte delle Autonomie, 3/2018 e I dubbi della democrazia regionale piemontese (prima e dopo le sentenze TAR 9-15 gennaio 2014, in Rivista AIC, 1/2014); il nesso tra costituzionalismo e regionalismo (Costituzionalismo e regionalismo europeo, in Il Mulino, 6/2007); le garanzie costituzionali statutarie (Osservazioni sulla prima esperienza della Commissione di garanzia della Regione Piemonte, in Le istituzioni del federalismo, 4/2011); l’architettura locale (Le province in trasformazione: miserere o resilienza?, in Il Piemonte delle Autonomie, 2/2015); il riformismo (Il bicameralismo si supera se si reinventa (ma anche se si rottama), in Il Piemonte delle Autonomie, 2/2014).
A tale ricchezza di profili (diventata rara nel panorama di una produzione dottrinale sempre più frequentemente caratterizzata dalla monotematicità), il Nostro unisce, in secondo luogo, una tenace capacità analitica.
Anche i problemi più intrinsecamente politici vengono sezionati nella loro dimensione giuridica allo scopo, poi, di formulare il giudizio di sintesi dal punto di vista del diritto costituzionale. Così nello scritto sopra citato sulla linea ferroviaria Torino-Lione, dopo aver riportato e puntualmente analizzato una imponente quantità di documenti legislativi e amministrativi, arriva, sulla base di quella ricostruzione, a formulare le questioni politiche sul “chi” può decidere, “che cosa” si può decidere e attraverso quale tipo di atti, per poi, in conclusione inquadrare quei temi politici alla luce dei principi costituzionali. Ed ancora, nello scritto riguardante la vicenda dell’annullamento delle elezioni regionali in Piemonte, dopo aver ricostruito la fittissima cronaca istituzionale che seguì la sentenza del TAR Piemonte poi confermata dal Consiglio di Stato, pone sul tavolo i numerosi problemi giuridici, allo scopo, come si conviene agli studiosi più seri, di illuminare i termini della questione democratica: «Nella loro complessità queste vicende insegnano che le vie della democrazia e dello stato di diritto possono essere lunghe e che i cittadini e i loro rappresentanti dovranno vivere con più di un dubbio (…) Conviene tanto ai cittadini quanto ai loro rappresentanti rileggere l’articolo primo della Costituzione come appello alla buona volontà e responsabilità repubblicana e come criterio ultimo di giudizio e decisione, criterio variamente interpretabile e forse non privo di ambiguità e paradossi, ma sempre riconosciuto valido da tutti nell’attuale contesto: ognuno decida “in dubbio pro democrazia”».
In terzo luogo – e come potrebbe essere altrimenti? – fondamentale risulta nella sua analisi delle questioni regionali il collegamento con la sfera europea, sia nella prospettiva della comparazione, sia nell’ottica della ricerca di principi fondanti una comune visione europea del regionalismo, sia, ancora più al fondo, nella prospettazione del valore intrinseco della stessa esperienza europea, anche su questa, come su qualsiasi altra questione di diritto costituzionale.
Ciò emerge, tra l’altro, nello scritto Costituzionalismo e regionalismo europeo, in cui dopo aver indagato sul concetto di regione e sul valore delle autonomie regionali in Europa, pur in considerazione dei molteplici e diversi modelli europei di regione (regioni con potere legislativo e garanzie giurisdizionali d’esistenza; regioni con potere legislativo e senza garanzie costituzionali d’esistenza; regioni con potere legislativo solo concorrente e con garanzie costituzionali d’esistenza; regioni con potere legislativo e senza garanzie costituzionali d’esistenza; regioni con poteri non legislativi e organi eletti direttamente; regioni con poteri non legislativi e organi eletti dagli enti locali), conclude sui virtuosismi del “pluralismo di modelli”: «Sarebbe peraltro pericoloso considerare i modelli ottenuti dalla comparazione come tappe di perfezionamento dell’autonomia, come se tutti gli Stati europei alla lunga dovessero approdare a un federalismo integrale su tutti i livelli. Il riferimento alla democrazia regionale consente viceversa insieme di relativizzare e di mantenere le differenze tra federalismo e del regionalismo. Innanzitutto neutralizza eventuali plusvalori dell’uno o dell’altro per ideologie politiche liberali o sociali. Inoltre consente di non rimuovere il problema della sovranità democratica che nello Stato regionale resta incardinata a livello nazionale, mentre in quello federale è duplicata nei livelli e moltiplicata nei demoi. Infine prospetta un processo di sviluppo culturale di tutti i modelli di regione, un dialogo pragmatico nel quale i fautori del federalismo possono imparare dalle esperienze del regionalismo allo stesso modo in cui i fautori del regionalismo possono imparare dal federalismo senza complessi di minorità».
Da ultimo, non può sottacersi un aspetto che ha direttamente a che fare con la nostra Rivista (e non solo): fin dalla sua istituzione, e generosamente, Jörg vi pubblicava molti dei suoi lavori sulle autonomie allo scopo, crediamo, sia di incentivare i colleghi senior a fare altrettanto, sia di mostrare ai più giovani l’utilità di impegnarsi in prima persona nella “costruzione” di una comunità di lavoro scientifico, come una Rivista, e qualunque lavoro collettivo di ricerca, necessariamente richiede. Un esempio e uno stimolo per tutti.
Insomma, Jörg Luther non è stato solo un fine e autorevole costituzionalista, ma anche una persona di grande statura umana, che nel proprio lavoro non vedeva esclusivamente lo strumento della propria realizzazione personale (comunque ampiamente conseguita) ma anche e soprattutto la strada dell’edificazione di una “comunità” di relazioni scientifiche e umane. Anche di questo gli siamo grati. Il modo migliore di onorare la sua memoria sarà l’impegno a non disperdere quel patrimonio.
[1] Professore ordinario di Diritto Costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.
[2] Professoressa ordinaria di Istituzioni di Diritto Pubblico, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.