L’ “autonomia differenziata” delle Regioni nella materia governo del territorio
Carlo Alberto Barbieri[1]
Le riforme istituzionali (costituzionali e di legislazione ordinaria della scorsa XVII legislatura), non hanno avuto seguito:
- il Referendum del 4.12.2016 (soprattutto), non ha confermato la riforma costituzionale in chiave meno regionalista e più centralista della Repubblica (la legge di riforma costituzionale del Governo Renzi, fra i suoi obbiettivi, prevedeva la modifica radicale del Titolo V, con l’eliminazione di tutte le materie concorrenti e loro “statalizzazione”, collocando così anche la matteria governo del territorio fra le competenze esclusive dello Stato);
- la legge elettorale è stata “folgorata” dalla Corte Costituzionale;
- la riforma Delrio delle Autonomie territoriali (con l’istituzione, per legge, delle Città metropolitane e delle Unioni di comuni, la marginalizzazione delle Province e il profilo elettivo di secondo grado di CM e Province) non è compiutamente attuata, non è in corso un suo aggiornamento al mantenimento originario del Titolo V e risulta quasi, se non del tutto, abbandonata a se stessa.
Permane dunque immutato il Titolo V della riforma costituzionale del 2001 con il suo profilo sussidiario, in un complesso impianto di unità nazionale e forte regionalismo.
La mozione di fiducia con cui ha preso vita l’attuale XVIII legislatura ed il Governo, per il perseguimento di azioni fondate sul rispetto ed attuazione del “Contratto di governo”, ha esplicitato fin da subito che fra gli impegni dell’ esecutivo vi è l’attuazione dell’art. 116 della Costituzione, terzo comma, “nei confronti delle Regioni che ne facciano motivata richiesta e precisando l’intenzione di assecondare i processi e le intese già in atto (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) in tal senso”[2].
Dunque, l’obiettivo è nel programma di governo e di legislatura ed il cammino sarà a breve avviato anche sul piano parlamentare; ciò non senza elementi di contraddizione rappresentati da una direzione di marcia politica (che anche si ispira sia ad un profilo “sovranista”, sia ad un neostatalismo economico, gestionale e istituzionale) visibile o annunciata in questo primo anno di attività del Governo in carica.
Occorre altresì tener conto che, già in fase di audizioni, sono emerse notevoli complessità e che ora tutte le Regioni (fra queste il Piemonte), con la sola eccezione dell’Abruzzo, hanno in vario modo avviato iniziative volte a rivendicare autonomie differenziate, al punto da poter assumere anche profili di carattere federalistico e forse oltre i limiti del senso e del dettato dell’art 116.
La riforma costituzionale del regionalismo italiano del 2001) era basata sul ritenere che la nuova allocazione delle funzioni legislative e amministrative, ispirata ai fondamentali principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, fosse diretta a garantire maggiore efficienza di governo e migliore gestione delle risorse, contribuendo così allo sviluppo della società italiana nel suo complesso. Una condivisibile visione positiva della sussidiarietà come intelaiatura sostenibile sulla quale poggiare un assetto istituzionale più democratico e rispondente alla plurale realtà dei sistemi economico-sociali e territoriali soprattutto, con riferimento al governo del territorio, in quelli più complessi e che esprimono una più forte domanda di innovazione delle forme di governo e di pianificazione.
Non a caso, a questo proposito, nel 2001, sono stati introdotti, oltre alle 20 “materie a legislazione concorrente” (art. 117, terzo comma, Cost.) anche alcuni presidi statali e meccanismi di “tenuta nazionale” (in particolare nello stesso art. 117, il comma 2, lett. m) in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, oltre al nuovo art. 119, con la previsione di obblighi perequativi che compensassero i naturali e non eliminabili squilibri[3].
La modifica dell’ art. 116 con l’inserimento di “Ulteriori forme di autonomia differenziata” era dunque immaginata in questa chiave e cioè nella consapevolezza del fatto che le “peculiarità di ciascun territorio e di ciascuna popolazione” dovessero prevedere la possibilità di ulteriori strumenti organizzativi, che consentissero la differenziazione ai medesimi fini per le Regioni a statuto ordinario. Correttamente tale possibilità, nell’art 116, è stata riferita (e circoscritta) soprattutto agli ambiti materiali di potestà legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) con le sole eccezioni delle seguenti 3 materie di potestà legislativa esclusiva statale ma con parziali limiti:
- organizzazione della giustizia di pace (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.);
- norme generali sull’istruzione (art. 117, secondo comma, lett. n), Cost.);
- tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.).
Fra le 20 materie legislative concorrenti vi è il Governo del territorio che insieme ai, beni paesaggistici e culturali, all’Ambiente ed alla Protezione civile e infrastrutture sono quelle maggiormente ricorrenti (con più o meno sottolineatura) fra le richieste delle Regioni (e fra queste certamente il Piemonte[4]) nell’applicazione dell’art. 116.
Il Governo del territorio è materia che deve essere considerata una competenza “oggettivamente” concorrente (oltre che a mio modesto avviso, anche per le autorevoli posizioni in merito e, fra le altre, quelle fermamente sostenute dall’Istituto Nazionale di Urbanistica[5], dal 2001 e sopratutto in occasione del formulazione della riforma del titolo V del 2014, non confermata dal Referendum del 2016); ciò sia per il carattere transcalare e multilivello istituzionale[6] di questa complessa “materia” (più che una materia andrebbe giuridicamente e tecnicamente considerata e condivisa come un insieme complesso di funzioni fra loro interagenti), sia per chiarire le indispensabili relazioni con alcune materie esclusive o concorrenti (tutele e valorizzazioni ambientali e dei beni culturali fra tutte), sia per fondamentali ragioni di merito qualii temi sostantivi che riguardano, non solo in primis, la conformazione delle proprietà (vincoli, espropriazione, principi di perequazione..), ma anche un’applicazione omogenea nazionale del principio di sussidiarietà-adeguatezza-differenziazione alla pianificazione e formazione d approvazione dei Piani e delle loro integrate valutazioni ambientali, il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana e territoriale, la garanzia di dotazione di standard di spazi e servizi pubblici, la fiscalità urbanistica, le grandi scelte infrastrutturali e ambientali, opportuni programmi straordinari per le città, i principi essenziali della disciplina edilizia, l’abusivismo edilizio e le sanzioni, …).
E’ in questo quadro che l’INU ha atteso, proposto ed incalzato (e lo sta facendo) lo Stato (Parlamento e Governi) ad emanare la necessaria organica[7] Legge di principi fondamentali e di cui ancora oggi sembrano perdute le tracce, con conseguenze negative per il governo del territorio, per la stessa necessaria attività legislativa delle Regioni e soprattutto per innovazione della pianificazione delle città e dei territori.
In altri termini, il Governo del territorio era e resta ancora difficile da attribuire come materia esclusiva allo Stato[8] e, per motivazioni opposte, altrettanto discutibile e irragionevole sarebbe anche una sua attribuzione esclusiva alle Regioni (per reali rischi di frammentazione legislativa, contenzioso fra Stato e Regioni, assenza di fondamentali riferimenti unitari, ecc.).
Tuttavia, non si può non sottolineare, anche ed ancora, la vistosa responsabilità dello Stato che, in 18 anni, non ha saputo redigere e approvare neanche una legge di principi fondamentali, condizione posta dal Titolo V del 2001 perché, a valle del telaio nazionale e fondamentale di esse, le Regioni avrebbero dovuto fare buone, e caratterizzate territorialmente leggi di contenuto e disciplina di una data “materia concorrente” e soprattutto, per quanto qui di interesse, del governo del territorio.
Inoltre, anche per il governo del territorio può ben valere quanto evidenziato da Rosario Ferrara in “La differenziazione possibile nella materia ambiente” (n. 1/2019 de Il Piemonte delle Autonomie) e cioè quello di essere un Valore oltre che una Materia[9]
La domanda che ritengo debba porsi è se il ricorso all’attuazione dell’art. 116 possa essere interpretata e sviluppata come positiva occasione, a 18 anni dal 2001, per un serio ripensamento e “ristrutturazione” (a costituzione invariata) di un elenco di materie concorrenti subito apparso troppo ampio e un pò frettolosamente (e poco) definito;ma soprattutto, in particolare per il Governo del territorio, le richieste di maggiore autonomia, quale nuova ripartizione fanno emergere fra Stato e Regioni e lo Stato cosa eventualmente mantiene?
Per quanto fin qui considerato, pensare che la competenza legislativa sul governo del territorio, ma anche sui nessi con infrastrutture e trasporti, ambiente e valutazione ambientale strategica, beni paesaggistici e culturali, ecc. sia in toto devoluta alle Regioni non è auspicabile (anzi forse è irragionevole) e ciò anche al netto da qualsiasi considerazione sulla qualità dei Consigli e Governi regionali.
Piuttosto il punto da considerare, e su cui spostare attenzione, impegno e la “trattativa”, può essere quello di come “scolpire” la massa della poco articolata e definita “materia” concorrente governo del territorio, per fare emergere (come esito della scultura) proprio quei pochi, essenziali, chiari indispensabili e condivisi oggetti dei “Principi fondamentali” (forse: la conformazione delle proprietà e la non durata a tempo indeterminato dei diritti di edificabilità privati assegnati dal Piano urbanistico, analogamente al tempo definito dei vincoli pubblici; la struttura e finalità della fiscalità urbanistica; la sussidiarietà nell’ approvazione dei piani[10]; alcune finalità strategiche nazionali come il contenimento del consumo di suolo,….) idonei ad evitare percorsi tortuosi, contenziosi continui, insostenibili frammentazioni, caleidoscopi ed eclettismi legislativi regionali su un campo così complesso e costituente valore e materia.
Su tutto il resto che attiene alla materia, a quel punto ed ai sensi dell’art. 116, si potrà attribuire piena potestà legislativa, in questo senso differenziata ed aumentata, alle Regioni. Sotto quest’ ultimo profilo, ad esempio, il Piemonte con la sua DCR n. 319-38783 del 6/11/2018 di “Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione per il riconoscimento di un’autonomia differenziata della Regione” ed il suo articolato e motivato Allegato, sul governo del territorio, beni paesaggistici e culturali, ambiente sembra già essersi, in parte ed implicitamente, mosso in questa direzione.
Più in generale, nei confronti di tutte le altre materie richieste con il procedimento dell’art. 116, sarebbe forse auspicabile che sulle singole materie oggetto di intesa il Parlamento definisse con atto legislativo, principi e i contenuti che restano nella competenza legislativa nazionale, proprio per definire un assetto ordinato e non conflittuale e considerando l’intesa come un sostanziale atto propositivo di impulso.
In conclusione ci si può ancora domandare se il diffuso ricorso all’art 116 da parte delle Regioni sia allora di tipo e profilo “tecnico” o sia più prevalentemente “politico”.
L’attuazione delle intese dell’art. 116 sarà prevedibilmente ed oggettivamente complesso perché la redistribuzione delle competenze legislative di oltre 20 materie concorrenti (e per quanto consentito dal 116, anche 3 esclusive dello Stato) tra Parlamento e Regioni non è certo agevole ed anche (soprattutto) sul lato finanziario persistono numerosi dubbi e problemi aperti[11].
Il dibattito (e il contrasto politico in atto nel Governo e in sede di Parlamento) sul regionalismo ad autonomia differenziatasi gioca però anche su un’ambiguità che dovrà prima o poi essere con certezza sciolta: è la questione di fondo del rapporto tra differenziazione e uguaglianza e tra competizione e cooperazione, in definitiva tra particolarismo e coesione. In altri termini, la dicotomia tra modello di differenziazione “solidaristico” scelto dalla Costituzione e modello più “competitivo” (e più “federalista”, che emergerebbe soprattutto a seguito dei referendum di Veneto e Lombardia (prodromici agli atti ex art 116 in esame e riguardanti anche l’Emilia Romagna).
Un punto certamente dirimente (ma non è il solo) è se la rivendicazione della differenziazione viene fatta a partire dal così detto “residuo fiscale” (da lasciare ai territori regionali che lo producono) spostando ciò che viene rivendicato dalla ricerca di una migliore allocazione ed efficienza delle funzioni (che di per sé dovrebbe limitarsi a comportare un aumento del trasferimento dallo Stato delle risorse destinate a finanziare le funzioni che esso non svolge più e che sono attribuite agli enti che rivendicano di poterle gestire meglio). Ciò che viene in realtà rivendicato è un trattamento differenziato (presumendolo migliore) delle popolazioni residenti nelle regioni che si differenziano, legato al maggior gettito fiscale di quelle regioni rispetto alle altre.
Non vi è soltanto un profilo “ tecnico” in questo percorso, ma appare il rischio del prevalere di una interpretazione “politica” dell’art. 116 Cost. che, anziché essere utilizzato per, come prima auspicato, “aggiornare” il quadro storico delle “speciali competenze” di alcune Regioni su poche e determinate funzioni, all’insegna della piena sostenibilità e maggiore efficacia ed efficienza di esse, ispira e sospinge la legislazione esclusiva delle Regioni, sul versante dell’“economia dei territori”[12].
Pensare di aggirare queste questioni e di ridurre un grande riordino di competenze legislative e finanze, tra Stato e Regioni, prevalentemente ad un” fatto tecnico”, sarebbe dunque un errore.
Il Parlamento è perciò chiamato ad un importante compito ma occorre anche che il dibattito nel Paese sia all’altezza di una grande questione nazionale.
[1] Professore Ordinario di Urbanistica, Dipartimento Interateneo Scienze Progetto e Politiche per il Territorio-DIST, Politecnico e Università di Torino.
[2] Nel “contratto di governo è scritto l’impegno ad attuare il “ regionalismo differenziato”, ai sensi dell’art. 116 Cost. e delle “ intese” sottoscritte con alcune regioni da parte del precedente Governo, secondo “..la logica delle geometrie variabili che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale..”. Nelle comunicazioni rese alle Camere il 5 giugno 2018, per il voto di fiducia al nuovo Governo, il presidente del Consiglio ha ribadito l’impegno all’attuazione dell’art. 116, terzo comma. Nel Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2019 è stato condiviso“ lo spirito delle intese” raggiunto con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.
[3] Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
[4] Vedi la DCR Piemonte n. 319-38783 del 6/11/2018 “Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione per il riconoscimento di un’autonomia differenziata della Regione Piemonte” ed il suo Allegato A “Avvio del procedimento di individuazione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione”.
[5] Vedi il sito dell’Istituto Nazionale di Urbanistica: www.inu.it.
[6] Il governo del territorio è di per sé caratterizzato dal multi level government, dovendosi inoltre ispirare ai principi di sussidiarieta’ e adeguatezza delle funzioni e n questo contesto in particolare, la legislazione non può essere confusa con l’amministrazione.
[7] Fra i molteplici atti legislativi in corso non organici, parziali e settoriali si possono citare: Legge 14 giugno 2019, n. 55 di Conversione in legge, con modificazioni, del DL 18 aprile 2019, n. 32, “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici”; l’AS n. 2383 “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”; le proposte di legge AS 1131/2019 “Misure per la rigenerazione urbana” e AC 113/2019 “Princìpi generali in materia di rigenerazione urbana nonché di perequazione, compensazione e incentivazioni urbanistiche”; inoltre, fra gli altri, almeno due Tavoli o Gruppi di lavoro quali: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, gruppo di lavoro istituito con D.M. n. 349/2018 “Adeguamento del DI 2 aprile 1968 n. 1444 alle nuove dotazioni urbanistiche necessarie per i processi di miglioramento della qualità urbana e per la disponibilità di nuovi presidi per la coesione sociale e disciplina dei parametri di altezza e distanza da osservare nella pianificazione urbanistica e nelle costruzioni”; Tavolo nazionale presso il Consiglio superiore dei LL.PP, per la revisione del DPR 380/2001 (parte urbanistica-edilizia).
[8] Lo Stato repubblicano, su una importante materia come il governo del territorio, molto più dell’urbanistica ereditata dal 1942 con la legge 1150 (ancora sostanzialmente in vigore come legge urbanistica italiana!), dal 1948 ha legiferato in modo incompiuto con la “legge ponte” nel 1967 e poi con la “Legge Bucalossi” nel 1977, entrambe oggetto di pesanti interventi della Corte Costituzionale. Dal 1977 lo Stato (con il DPR 616) ha lasciato parte della competenza legislativa urbanistica alle Regioni (senza però perdere la competenza su di una legge urbanistica nazionale). Nel totale silenzio legislativo dello Stato, tutte le Regioni da allora hanno prodotto leggi di “prima generazione” urbanistiche (fino all’inizio degli anni ‘90) e molte, dopo la riforma del Titolo V del 2001, si sono dotate di leggi di “seconda generazione” e “terza generazione”(vedi la Lr Emilia Romagna n.24/2017) sulla pianificazione per il governo del territorio, in un’attesa, mai finita, della obbligatoria Legge di principi fondamentali della materia concorrente Governo del Territorio da parte dello Stato.
[9] “la Corte costituzionale ha da subito affermato (cfr. già Corte cost., n. 407/2002) che la tutela dell’ambiente è più un “valore” che una materia oppure, più di recente, che essa è materia e valore (ex multis, Corte cost., n. 66/2018 e n. 69/2018). E, da ciò, il giudice delle leggi fa coerentemente discendere la conseguenza per cui le competenze in campo ambientale sarebbero riferibili, trasversalmente, a tutti i soggetti del sistema multilivello, anche in considerazione del fatto (cfr. l’art. 11 del TFUE) che “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.
[10] Un metodo convincente ispirato al principio di sussidiarierìtà è ad esempio quello previsto e proceduralmente disciplinato e sperimentato dalla legge urbanistica del Piemonte (L.r. 56/1977 con la sua modifica del 2013), basato sulle Conferenze di copianificazione e valutazione (metodo che però non trova omogeneità su base nazionale per le similitudini ma anche le rilevanti differenze nelle varie leggi regionali). Un metodo e una procedura ispirato alla governance, ed alla necessaria natura processuale e collaborativa richiesta del nuovo pianificare.E’ questa una strada per sostituire in modo sostenibile ed equilibrato, la tradizionale procedura di approvazione gerarchica e verticale basata su atti complessi di e fra Enti sovraordinati e sotto ordinati (e su fasi temporalmente assai lunghe). Le Conferenze rappresentano infatti la sede più idonea sia per concepire e recepire nel processo di formazione della piano urbanistico, gli indirizzi, le direttive o le prescrizioni transcalari (nazionali, regionali, metropolitane), attraverso i contenuti dei rispettivi piani e delle politiche, sia soprattutto per entrare nel merito dei problemi e delle soluzioni per essi individuate dalle scelte della pianificazione.
[11] Come noto, le risorse finanziarie saranno determinate in termini di compartecipazione o aliquota di gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale; le risorse dovranno comunque essere quantificate in modo da consentire alla Regione di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite; in una prima fase occorrerà prendere a parametro la spesa storica, sostenuta dallo Stato nella regione e riferita alle funzioni trasferite o assegnate ma progressivamente questo criterio sarà sostituito dal parametro dei fabbisogni standard, misurati in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale, in rapporto ai rispettivi valori nazionali, rimanendo però inalterati gli attuali livelli di erogazione dei servizi.
[12] Un simile più esplicito e obbiettivo in tal senso era contenuto anche nella riforma costituzionale della cosiddetta devolution federalista del 2005, peraltro nettamente respinto dal referendum confermativo del 25/26 giugno 2006 nella totalità delle regioni italiane (ad esclusione di Lombardia e Veneto).