L’evoluzione della Comunità montana: da strumento di tutela, sviluppo e promozione della montagna a Unione montana di Comuni
Stefano Rossa1
Sommario: 1. Introduzione: la questione affrontata dal TAR Piemonte (ord. 16 aprile 2015) e dalla Corte costituzionale (ord. n. 61 del 2017); 2. La Comunità montana come strumento di promozione, sviluppo e tutela della montagna; 3. Conclusioni: dalla Comunità montana all’Unione montana di Comuni.
1. Introduzione: la questione affrontata dal TAR Piemonte (ord. 16 aprile 2015) e dalla Corte costituzionale (ord. n. 61 del 2017).
A seguito del giudizio di legittimità costituzionale promosso con ordinanza del 16 aprile 2015 dal TAR Piemonte2, la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 61 del 2017 (redattore Criscuolo3 si è trovata nuovamente a intervenire, seppur en passant, sul tema delle Comunità montane4.
La Comunità montana Alpi del Mare aveva, infatti, proposto ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte al fine di ottenere l’annullamento degli atti con cui la Regione Piemonte aveva indetto la selezione pubblica finalizzata a nominare i commissari liquidatori della Comunità montana, nonché l’annullamento del conseguente decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina del commissario liquidatore a cui erano stati attribuiti i poteri degli ormai decaduti organi della Comunità montana in questione5.
L’annullamento asserito dalla Comunità montana ricorrente si fondava sulla legge della Regione Piemonte n. 11 del 28 settembre 2012, rubricata Disposizioni organiche in materia di enti locali6, approvata con «l’obiettivo di procedere al riassetto dei livelli di governo del sistema delle autonomie locali del Piemonte»7 sulla base di ragioni di «semplificazione amministrativa e contenimento della spesa pubblica»8.
In particolare il Capo VII di tale legge, intitolato Norme relative alle Comunità montane, dopo aver affermato nei principi generali che la Regione avrebbe disposto «il riassetto dell’associazionismo intercomunale tenendo conto delle specificità dei territori montani e collinari»9, agli artt. 12-18 dettava una disciplina normativa di superamento10 delle Comunità montane prevedendone prima il commissariamento, successivamente la soppressione e infine l’istituzione dell’Unione montana di Comuni.
Il meccanismo previsto dalla legge regionale de qua, infatti, era il seguente:
– l’Assemblea dei Sindaci di ogni Comunità montana avrebbe potuto chiedere alla Regione, tramite una deliberazione a maggioranza ed entro il termine perentorio di 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, che l’ambito territoriale della Comunità montana fosse individuato come ambito territoriale ottimale di gestione associata per la costituzione di una o più Unioni montane di Comuni, (art. 12 co. 1);
– nel termine perentorio di 15 giorni dalla deliberazione, la richiesta di cui al punto precedente doveva essere notificata ai singoli Comuni della Comunità montana, i quali entro il termine perentorio di 60 giorni dovevano o recepire o respingere la proposta trasmettendo il relativo provvedimento alla Regione e al Presidente dell’Assemblea dei Sindaci (art. 12. co. 2 e 3);
– a seguito dell’accoglimento della proposta da parte dei Comuni della Comunità montana, la quale poteva essere unanime o a maggioranza e poteva essere finalizzata alla costituzione di una o più Unioni montane, la Giunta Regionale sanciva l’istituzione dell’Unione montana cui dovessero essere trasferite le funzioni e i servizi da gestire e prestare in forma associata (art. 12 co. 4-8)11;
– invece nel caso di non rispetto del termine perentorio di 60 giorni (indicato al secondo punto), nonché conseguentemente in caso di non accoglimento della proposta da parte dei Comuni della Comunità montana, il Presidente della Giunta Regionale con proprio decreto nominava un commissario liquidatore per ogni Comunità montana e dichiarava altresì la decadenza degli organi della Comunità montana dei quali il commissario assumeva ogni potere (art. 14 co. 1 e 2)12;
– infine, al termine della procedura di liquidazione, con decreto del Presidente della Giunta Regionale la Comunità montana veniva dichiarata estinta (art. 16 co. 1)13.
Secondo la Comunità montana ricorrente le suddette norme, prevedendo prima il commissariamento e poi la soppressione della Comunità montana, violavano alcuni parametri costituzionali – artt. 3, 5, 44, 97, 120 e 123 Cost. – anche in relazione agli artt. 3, 4 e 8 dello Statuto della Regione Piemont14.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte adito aveva ritenuto che unicamente l’asserita violazione dell’art. 123 Cost. non fosse manifestamente infondata.
In particolare, la parte ricorrente sosteneva che la Comunità montana avesse natura di ente necessario, dato che in più disposizioni dello Statuto della Regione Piemonte – art. 3 co. 2, art. 4 co. 2, art. 8 co. 2 – tale ente veniva identificato come livello sussidiario di governo intermedio che, da un lato, oltre a essere dotato dell’esercizio di funzioni amministrative proprie per il sostegno dei territori montani (e collinari)15 in considerazione del proprio centrale ruolo di programmazione regionale per le politiche montane16, dall’altro partecipava anche all’esercizio di funzioni amministrative nelle materie di competenza residuale ex art. 117 co. 4 Cost. unitamente a Comuni e Province17.
Da ciò derivava che la Comunità montana, in quanto ente necessario, dovesse essere ricondotta ai principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, materia ex art. 123 co. 1 Cost. coperta da riserva di Statuto: «[c]iascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali».
Conseguentemente, la soppressione con legge regionale ordinaria della Comunità montana – ente necessario riconducibile alla materia coperta da riserva statutaria di principi fondamentali di organizzazione e funzionamento – violava l’art. 123 co. 2 Cost. ai sensi del quale «[l]o statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. […]»18.
A fronte di tali ragioni la seconda sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, con l’ordinanza succitata, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale ai Giudici delle Leggi.
La Corte costituzionale ha affrontato la questione all’udienza del 7 febbraio 2017 e, con l’ordinanza n. 61 del 2017, ha restituito gli atti al TAR Piemonte in considerazione della mutata disciplina normativa in proposito affinché questi, a fronte del mutamento del quadro normativo, proceda a un rinnovato esame della rilevanza e dei termini delle questioni.
Sul punto, infatti, era intervenuta la legge statutaria n. 7 del 3 maggio 2017 che, modificando gli artt. 3 co. 2, 4 co. 2, 8 co. 2 e 97, ha attuato a livello statutario le previsioni che si era cercato di introdurre con la legge regionale ordinaria n. 11 del 2012: invero nello Statuto piemontese è venuto meno il riferimento alle Comunità montane con l’introduzione delle Unioni montane e delle forme associative comunali19.
Nella vicenda sopra descritta la Corte non è scesa nel merito della questione legata alle Comunità montane, essendosi soffermata su questioni formali.
Il tema in questione, tuttavia, era stato portato più volte all’attenzione dei Giudici delle Leggi, in particolar modo a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione del 200120. E questo in quanto le Comunità montane fin dalla loro istituzione hanno sollevato numerosi interrogativi.
2. La Comunità montana come strumento di promozione, sviluppo e tutela della montagna.
Il territorio italiano è composto per il 23,2% di territorio pianeggiante, per il 41,6% di territorio collinare e per il 35,2% di territorio montano21. Quest’ultimo, oltre a rappresentare il totale della superficie di due Regioni (Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige), costituisce dunque più di un terzo di tutto il territorio della Repubblica.
Questo aspetto non era sfuggito ai Costituenti che, infatti, introdussero il capoverso dell’art. 44 all’interno del testo definitivo della Costituzione, il quale recita che «[l]a legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane»22, proprio in considerazione degli svantaggi che tali contesti generan23.
La sensibilità nei confronti dei territori montani dei Costituenti24 è stata recepita anche sul piano delle leggi ordinarie, in particolare di quelle che hanno istituito le Comunità montane, «esplicitamente intese e disciplinate come strumenti istituzionali a disposizione delle popolazioni residenti nelle zone montane per compensare le condizioni di disagio derivanti dall’ambiente montano attraverso la autonoma predisposizione e attuazione di specifici programmi di sviluppo e piani territoriali dei rispettivi comprensori»25. Il riferimento è al d.P.R. n. 987 del 1955 e, soprattutto, alla legge n. 1102 del 1971.
Il d.P.R. n. 987 del 195526, attuando la disposizione del capoverso dell’art. 44 Cost., aveva previsto la possibilità per i Comuni compresi all’interno di un’area montana di costituirsi in consorzi permanenti denominati Consigli di Valle o Comunità montane27, e ciò al fine di consentire lo sviluppo tecnico ed economico dei territori montani.
La legge n. 1102 del 197128, invece, riprendendo il meccanismo di zonizzazione territoriale della montagna29, ha superato i Consigli di Valle30 e ha stabilito che in ogni zona montana fosse costituita, fra i Comuni ricompresi nella zona, la Comunità montana, definita genericamente ente di diritto pubblico31.
Nel disegno delineato dalla l. n. 1102 del 1971, la Comunità montana assumeva natura di ente a carattere obbligatorio, nel senso che la sua «costituzione dipende[va] dalla legge regionale e non dalla volontà dei comuni interessati»32, posto che si rinviava alle leggi regionali per la formulazione degli statuti nonché degli organi della Comunità montana, vale a dire un organo rappresentativo e un organo esecutivo composto dagli amministratori locali (Consiglieri, Assessori, Sindaci) dei Comuni della Comunità.
Al contempo, invece, la legge stessa attribuiva alla Comunità montana importanti funzioni proprie che dovevano essere esercitate in ottica di programmazione e di pianificazione33.
In sostanza, dal combinato disposto del d.P.R. n. 98 del 1955 e della l. n 1102 del 1971 era emerso un ente locale innovativo, la Comunità montana: obbligatorio, di secondo grado, avente natura programmatoria e strumentale in riferimento alle politiche regionali.
La dottrina, dunque, si interrogò sulla collocazione e sulla configurazione della Comunità montana nel novero degli enti locali. Alcuni autori sostennero la riconducibilità di questo ente agli enti di zona o consorzi impropri34, mentre altri, invece, negarono la natura consortile delle Comunità montan35; altri ancora qualificarono le Comunità montane come enti funzionali regionali36; taluni evidenziarono come la novità di questi enti non potesse essere ricondotta ad altri tipologie di enti37; altri ancora38, invece, ritennero che tale ente potesse rientrare, in quanto ente “composto da altri enti primari”, nell’insieme degli «altri enti locali» espressamente previsti dalla prima formulazione dell’art. 118 co. 1 Cost.39, ai sensi del quale le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale potevano essere attribuite con legge statale, oltre a Province e Comuni, anche ad «altri enti locali».
Sebbene la Comunità montana fosse al centro di dibattiti accademici circa la sua natura, le varie anime della dottrina erano concordi nell’affermare che essa non fosse soltanto un ente funzionale ma, soprattutto, un ente locale a base comunitaria40.
Si dovettero aspettare, tuttavia, gli anni Novanta del secolo scorso affinché alla Comunità montana venisse riconosciuta la natura di ente locale, grazie alla legge n. 142 del 199041.
È proprio grazie a tale legge che esse vennero per la prima volta definite come «enti locali costituiti con leggi regionali tra comuni montani e parzialmente montani della stessa provincia, allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane, l’esercizio associato delle funzioni comunali, nonché la fusione di tutti o parte dei comuni associati»42.
La legge n. 142 del 1990 venne in seguito modificata dalla legge n. 265 del 199943, la quale intervenne anche sulla disciplina delle Comunità montane. Queste ultime – le cui funzioni amministrative furono aumentate ad opera della legge n. 97 del 199444 istitutiva altresì del Fondo Nazionale della Montagna – per la prima volta vennero definite Unioni di Comuni45, definizione che venne recepita anche dal c.d. Tuel, il d.l.gs. n. 267 del 200046.
Nel 2001 vi fu la riforma costituzionale che interessò, come è noto, il Titolo V della Costituzione: la legge costituzionale n. 3 del 2001 modificò fra le varie norme anche la disposizione dell’art. 118 che, nella prima versione, conteneva il riferimento agli «altri enti locali» di cui si è detto supra47.
In tal modo è venuto meno il (seppur minimo) appiglio interpretativo che parte della dottrina vedeva nella precedente formulazione dell’art. 118 Cost. per poter garantire una base costituzionale alle Comunità montane. Ma i problemi più urgenti continuavano a riguardare il riparto di competenze di questi enti fra Stato e Regioni.
Il novellato art. 117 co. 2 Cost., infatti, stabilisce alla lett. p) che lo Stato ha competenza esclusiva riguardo alla materia concernente la «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane»48. La questione era di primario interesse, in considerazione del fatto che ricondurre le Comunità montane alle materie di competenza esclusiva dello Stato o alle materie di competenza residuale significava stabilire chi, fra lo Stato e le Regioni, avrebbe dovuto provvedere al loro finanziamento.
A fronte di tale incertezza aumentavano le spinte atte ad aumentare l’autonomia delle Comunità montane: da un parte, successivamente all’intervento della legge di attuazione della riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, la legge n. 131 del 200349, tali enti si si videro destinatari oltre al potere di dotarsi di un proprio statuto altresì della potestà regolamentare; dall’altra, invece, «la giurisprudenza amministrativa, almeno in parte, ha progressivamente tentato di accentuare tali elementi autonomistici delle Comunità montane, in particolare riducendo l’incidenza sulle stesse da parte dei Comuni, enti originari»50.
In siffatto contesto intervenne la Corte costituzionale che, con un primo filone di sentenze – fra le quali le nn. 244 del 200551, 456 del 200552 e 397 del 200653 – ha ricondotto alle materie di competenza residuale la disciplina delle Comunità montane, basando il proprio ragionamento sia sull’assenza di tali enti all’interno della disposizione dell’art. 114 Cost., sia sulla loro non riconducibilità agli organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane espressamente contemplati dall’art. 117 co. 2 lett. p) Cost..
Sebbene parte della dottrina non si trovasse in accordo con tale interpretazione54, la giurisprudenza costituzionale ha continuato a percorrere il cammino intrapreso pochi anni prima con altre sentenze – ex multis le nn. 237 del 200955, 326 del 201056 e 91 del 201157 – che confermarono la linea interpretativa di riconducibilità delle Comunità montane alle materie di competenza residuale.
Mentre le Regioni, dunque, si trovavano nella condizione di dover finanziare le Comunità montane, il cui numero andava ad aumentare di anno in anno58, venne promulgata la legge n. 244 del 2007 (la c.d. legge finanziaria per il 2008)59, la quale conteneva disposizioni che, in ottica di contenimento dei costi della politica, imponevano alle Regioni di adottare con legge regionale misure di ridimensionamento del numero delle Comunità montane.
Il meccanismo delineato da tale legge, infatti, prevedeva che le Regioni avrebbero dovuto, tramite legge regionale, ridimensionare di almeno un terzo la spesa corrente per il funzionamento delle Comunità montane, riducendo il numero dei loro componenti e delle rispettive indennità. Nel caso di inadempienza delle Regioni, la legge «stabiliva la produzione di effetti automatici, in gran parte soppressivi delle comunità stesse»60.
Tralasciando la circostanza per cui è intervenuta la Corte costituzionale61 in conseguenza del fatto che «l’affermata autonomia regionale nella regolazione di tali enti locali si scontra[va] con l’evidente volontà del legislatore statale di porre un freno alla […] istituzione [delle Comunità montane], incentivando, anzi, la progressiva abolizione delle stesse, facendo leva sullo strumento delle esigenze di finanza pubblica»62, in Piemonte è stata approvata la già citata legge regionale n. 11 del 201263, che si lega profondamente a un’altra legge regionale piemontese – la legge regionale n. 3 del 201464.
Quest’ultima legge non soltanto è fondamentale – sia consentito il jeu de mot – nel panorama montano piemontese al punto da essere stata rubricata Legge sulla montagna, ma è lo strumento con cui la Regione ha cercato di «dare vigore e impulso al processo di trasformazione della geografia territoriale degli enti locali appartenenti all’ambiente montanaro»65, in un’ottica di superamento della Comunità montana a favore dell’Unione montana.
La legge regionale n. 3 del 2014 è stata approvata al fine di dare attuazione all’art. 44 Cost.66 all’interno dei confini piemontesi e proprio per raggiungere questo obiettivo ha individuato come forma organizzativa ideale l’Unione montana67, definita come «[l]’unione di comuni costituita tra comuni montani», della quale oltre ai Comuni classificati montani e parzialmente montani possono fare parte anche «i comuni non montani già appartenenti o appartenuti a comunità montane»68.
3. Conclusioni: dalla Comunità montana all’Unione montana di Comuni.
La geografia istituzionale della Repubblica italiana è caratterizzata, come noto, dall’imponente numero di Comuni esistenti, aspetto che contraddistingueva il territorio della Penisola già nell’epoca preunitaria69 – seppur con notevoli differenze da Regione a Regione in considerazione di molteplici fattori fra i quali, in primis, la morfologia del territorio.
Come risaputo, la dimensione territoriale di un ente locale è una variabile fortemente in grado di influenzare l’esercizio ottimale delle funzioni amministrative e, più in generale, la predisposizione di un’organizzazione ottimale ed efficiente nella prestazione dei servizi pubblici locali70.
L’influenza della dimensione territoriale è determinante sia che essa risulti estesa sia che essa risulti ristretta, e per tale ragione il legislatore ha cercato di adottare adeguati strumenti correttivi.
Come è stato sottolineato in dottrina, infatti, è «evidente che la dimensione dell’ente territoriale non necessariamente coincide con l’ottimale organizzazione dei servizi (o con le caratteristiche fisiche e geografiche) e che, pertanto, occorre rimuovere ogni vincolo di corrispondenza, talvolta con il ricorso a forme di aggregazione tra Enti locali per la gestione associata (quando la optimal size è più ampia della ripartizione territoriale dell’ente), talaltra con meccanismi di affidamento in lotti distinti (nel caso in cui la optimal size sia più ridotta)»71.
A partire dal d.P.R. n. 616/1977, se non in alcuni casi addirittura prima72, sì è teorizzata l’esistenza di un ambito territoriale che fosse dimensionalmente adeguato (id est: efficiente) alla gestione di servizi pubblici, per poi attuarlo sul piano concreto73.
È dagli anni Settanta che periodicamente l’attenzione del legislatore ricade più o meno accentuatamente sull’individuazione di un ambito territoriale adeguato per la gestione dei servizi pubblici, il che dimostra come sia sentita una vera e propria «esigenza di dare risposte soddisfacenti ai problemi del collegamento di un dato territorio, di una comunità e dei suoi bisogni, ad uno specifico governo [che] non ha mai abbandonato lo sviluppo del sistema delle autonomie»74.
A maggior ragione tale esigenza risulta essere più sentita in situazioni di crisi economico-finanziarie, allorquando i c.d. diritti finanziariamente condizionati75 vengono mediaticamente in rilievo.
In base all’ultimo censimento ISTAT del 2011, risulta che il Comune con il numero minore di abitanti (rectius: residenti) sia quello di Pedesina, in provincia di Sondrio, con 30 abitanti, mentre quello con il numero maggiore sia Roma, con 2.617.175 abitanti (rectius: residenti)76. Al di là del caso limite, risultano altresì esserci ben 8092 Comuni77, molti dei quali con un numero inferiore al migliaio di abitanti e per ciò ribattezzati, grazie alla definizione coniata da Massimo Severo Giannini, per l’appunto Comuni polvere78.
Appare allora intuibile la difficoltà che si incontra nell’esercizio di funzioni amministrative in contesti territorialmente così ristretti, in quanto le «dimensioni stesse dei piccoli enti […] producono tendenzialmente diseconomie»79. In tal modo risulta essere naturale che al fine di aumentare l’efficienza del sistema l’interesse del legislatore si sia indirizzata più volte nel senso di porre rimedio a tale situazione, giustappunto anche tramite lo strumento delle Unioni di Comuni, grazie alle quali i Comuni di ridotte dimensioni dovrebbero essere in grado di prestare servizi in maniera efficace tramite la gestione associata delle funzioni amministrative.
L’ultima legge che ha riguardato gli enti locali, e che su di essi ha inciso profondamente, ovverosia la legge n. 56 del 201480, ha stabilito una disciplina che punta all’incentivazione di forme di Unioni di Comuni, unitamente a forme di fusioni di Comuni81.
Tale circostanza, in considerazione sia del fatto che la legge n. 56 del 2014 non detta una disciplina per le Comunità montane – le quali vengono “citate” dalla legge de qua unicamente in riferimento alle Unioni e alle fusioni di Comuni82 – sia che essa, però, introduce la figura delle Province montane sulla base dei principi di differenziazione, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa83, si lega all’orientamento che guida ormai il legislatore (in questo caso nazionale e regionale) da un po’ di tempo.
Questo corso porta a rilevare come oggi de jure et de facto le Comunità montane siano destinate a diventare, laddove non ancora divenute, a tutti gli effetti Unioni montane di Comuni.
Tale aspetto viene in evidenza se si analizza la transizione di funzioni amministrative attribuite alla Comunità montana. Infatti, se inizialmente a seguito della legge n. 1102 del 1971 la Comunità montana era stata investita di funzioni di natura pianificatoria e di programmazione84, con la legge regionale piemontese n. 3 del 201485 la Comunità montana-Unione montana si trova ad esercitare funzioni prettamente di carattere gestorio in forma associata86.
In questo modo si coglie il marcato ruolo di subentro delle Unioni montane nei confronti delle Comunità montane: infatti, oltre alle funzioni di tutela, di promozione e sviluppo della montagna, in aggiunta alle funzioni che i Comuni facenti parte dell’Unione stessa decidono di conferirle, e oltre alle funzioni conferite dalla Regione ai vari Comuni per la gestione in forma associata in relazione alla specificità delle zone montane, le Unioni montane esercitano altresì le funzioni precedentemente conferite dalla Regione alle Comunità montane.
La transizione di attribuzione delle funzioni amministrative comporta anche un mutamento della natura di tali enti, aspetto che pone alcuni fondati interrogativi: l’Unione montana di Comuni, oltre a consentire la gestione efficiente ed ottimizzata delle funzioni amministrative in ambito montano, sarà anche in grado di rappresentare anche un efficace strumento di promozione, sviluppo e tutela della montagna? Inoltre, in che modo l’Unione montana di Comuni si rifletterà sulla democrazia di prossimità senza marginalizzare le popolazioni rurali?
1 Dottorando di ricerca in Diritto Amministrativo, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”.
2 Il testo dell’ordinanza del TAR Piemonte è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa all’indirizzo https://goo.gl/XDiiUS.
3 Il testo dell’ordinanza della Corte costituzionale, invece, è reperibile sul sito istituzionale della Corte costituzionale all’indirizzo https://goo.gl/RmYnX.
4 In tema di Comunità montane, per un primo inquadramento sistematico nel sistema degli enti locali in chiave storica, fondamentali risultano essere G.C. De Martin, Comunità montane, in Dig. Disc. Pubbl., Vol. III, CHIES-CONS, UTET, Torino, 1989, pp. 267-269; C. Desideri, Montagna, in Enc. Dir., Vol. XXVI, MECC-MORA, Giuffrè, Milano, 1976, pp. 878 ss.; F. Merloni, Comunità montane e consigli di valle, in Enc. Giur., Vol. VII, COMM-CONDI, ed. Treccani, Roma, 1988, pp. 1-6; G. Vesperini, Enti Locali, in S. Cassese (dir.), Dizionario di Diritto Pubblico, Vol. III, DAN-GUE, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 2212 ss.. In proposito si ritornerà funditus nei paragrafi successivi.
5 Più precisamente: 1) la deliberazione della Giunta regionale n. 52-5890 del 3 giugno 2013 (L.R. n. 11/2012 – Disposizioni organiche in materia di enti locali – Approvazione criteri, requisiti e modalità per la nomina con decreto presidenziale dei Commissari liquidatori delle Comunità montane) e la determinazione della Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montana e Foreste della Regione Piemonte n. 1461 del 18 giugno 2013; 2) il decreto del Presidente della Giunta regionale n. 45 del 15 aprile 2014 (Comunità montana delle Alpi del Mare. Nomina del Commissario (artt. 12 e 14 l.r. 11/2012, come modificata dalla l.r. 3/2014 – art. 13 l.r. 3/2014).
6 Tale legge è stata pubblicata nel B.U. Regione Piemonte n. 39 – Suppl. ord. del 28 settembre 2012 n. 2.
7 Cfr. art. 1 co. 1 l.r. n. 11 del 2012.
8 Ibidem.
9 Cfr. art. 1 co. 4 l.r. n. 11 del 2012.
10 Così proprio l’art. 1 co. 6 l.r. n. 11 del 2012: «Nell’ottica di tale valorizzazione la Regione utilizza la regolamentazione della gestione associata e del superamento delle attuali comunità montane quale fase di avvio del procedimento di riassetto dei livelli di governo. A tale scopo la Regione sottopone a rivisitazione critica le esperienze associative esistenti, al fine di rendere più efficiente ed efficace il sistema delle autonomie locali del Piemonte».
11 Cfr. art. 12 l.r. n. 11 del 2012.
12 Cfr. art. 14 l.r. n. 11 del 2012.
13 Cfr. art. 16 l.r. n. 11 del 2012.
14 Ovverosia la Legge regionale statutaria n. 1 del 4 marzo 2005 s.m.i..
15 L’art. 8 co. 2 dello Statuto piemontese così recitava: «La Regione riconosce la specificità dei territori montani e collinari e prevede politiche di intervento a loro favore, al fine di assicurarne le opportunità di sviluppo e la conservazione del particolare ecosistema. Individua nelle Comunità montane e nelle Unioni di Comuni collinari, l’organizzazione dei Comuni atta a rendere effettive le misure di sostegno ai territori montani e collinari».
16 L’art. 4 capoverso dello Statuto statuiva: «La Regione, nel realizzare le proprie finalità, assume il metodo della programmazione e della collaborazione istituzionale, perseguendo il raccordo tra gli strumenti di programmazione della Regione, delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane, delle unioni di Comuni collinari».
17 L’art. 3 co. 2 dello Statuto disponeva: «La Regione, ispirandosi al principio di sussidiarietà, pone a fondamento della propria attività legislativa, amministrativa e di programmazione la collaborazione con le Province, i Comuni e le Comunità montane nonché con le autonomie funzionali e con le rappresentanze delle imprese e dell’associazionismo per realizzare un coordinato sistema delle autonomie».
18 Sul punto R. Tarchi, D. Bessi, Art. 123, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. III, Artt. 101-139, UTET, Torino, 2006, pp. 2451 ss..
19 Oggi lo Statuto dispone: all’art. 3 co. 2 «La Regione, ispirandosi al principio di sussidiarietà, pone a fondamento della propria attività legislativa, amministrativa e di programmazione la collaborazione con le Province, i Comuni, le Unioni montane, le forme associative comunali, nonché con le autonomie funzionali e con le rappresentanze delle imprese e dell’associazionismo per realizzare un coordinato sistema delle autonomie»; all’art. 4 co. 2 «La Regione, nel realizzare le proprie finalità, assume il metodo della programmazione e della collaborazione istituzionale, perseguendo il raccordo tra gli strumenti di programmazione della Regione, delle Province, dei Comuni, delle Unioni montane, delle forme associative comunali»; all’art. 8 co. 2 «La Regione riconosce la specificità dei territori montani e collinari e prevede politiche di intervento a loro favore, al fine di assicurarne le opportunità di sviluppo e la conservazione del particolare ecosistema. Individua nelle Unioni montane, nelle forme associative collinari, l’organizzazione dei Comuni atta a rendere effettive le misure di sostegno ai territori montani e collinari»; e all’art. 97 «La Regione, in base al principio di leale collaborazione, promuove e favorisce rapporti di sistema con i Comuni, le Unioni montane, le forme associative comunali e le Province. Disciplina altresì le funzioni amministrative e determina la loro allocazione alle autonomie locali, ispirandosi al principio di differenziazione. La Regione valorizza le forme associative sovracomunali».
20 Così N. Viceconte, Le comunità montane nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, Giuffrè, Milano, 2011, p. 75.
21 Si veda il Catalogo ISTAT 2011, Capitolo I, Ambiente e Territorio, consultabile in http://www3.istat.it/dati/catalogo/20111216_00/PDF/cap1.pdf.
22 In proposito si veda F. Angelini, Art. 44, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. I, Artt. 1-54, UTET, Torino, 2006, pp. 902 ss..
23 Per quanto concerne il tema in senso più ampio, sul punto G. C. De Martin, L’evoluzione dell’ordinamento per le zone montane tra differenziazione e collaborazione, in M. Busatta (a cura di), La montagna oltre il duemila. Una sfida per l’Europa, Tipografia Piave, Belluno, 1998; B. Di Giacomo Russo, Il governo della montagna a livello diarea vasta, in B. Di Giacomo Russo, L. Songini (a cura di), La specificità montana. Analisi giuridica ed economica, ESI, Napoli, 2015; G. Gorla, Le determinanti economiche degli svantaggi relativi della montagna, in G. Cannata, G. Folloni, G. Gorla, Lavorare e vivere in montagna. Svantaggi strutturali e costi aggiuntivi, Bologna, Bononia University Press, 2007.
24 In realtà «[n]el “progetto di costituzione” non vi era alcun accenno alle zone montane. Il testo dell’attuale art. 44 u. c. è frutto di un emendamento aggiuntivo presentato dall’on. Gortani ed altri all’art. 41 del “progetto”. L’emendamento fu poi approvato a larga maggioranza», F. Teresi, Profilo giuridico delle Comunità montane, Ed. i.l.a. Palma, Palermo, 1975, pp. 17, nota 35. Sulla figura di Michele Gortani, si veda in proposito A. Desio, Michele Gortani, in Atti dell’Accademia di Udine, s. VII, VII (1966-1969), pp. 44 ss..
25 G.C. De Martin, Comunità montane, in Dig. Disc. Pubbl., op. cit, p. 267.
26 Il d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, rubricato Decentramento di servizi del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, è pubblicato in G.U.R.I. del 5 novembre 1955, n. 255.
27 Cfr. art. 13 del d.P.R. n. 987 del 1955.
28 La legge 3 dicembre 1971, n. 1102, rubricata Nuove norme per lo sviluppo della montagna, è pubblicata in G.U.R.I. del 23 dicembre 1971, n. 324. Sulla legge in questione risulta essere fondamentale, oltre al già citato F. Teresi, Profilo giuridico delle Comunità montane, op. cit., anche G. Piazzoni (a cura di), La comunità montana: nuova legge per lo sviluppo della montagna (legge 3-12-1977 n. 1102), note illustrative e commenti, studi preliminari al piano di sviluppo zonale, elenco delle comunità montane, bibliografia, Il Montanaro, Milano, 1972. Si veda, altresì, G. Piazzoni, La comunità montana nelle leggi istitutive e nell’esperienza del primo decennio, in Giurisprudenza Agraria, 1983, n. 4, pp. 215 ss..
29 «[Z]onizzazione, cioè l’ulteriore suddivisione dei territori montani in zone omogenee al fine di consentire, attraverso la riorganizzazione dei soggetti e la programmazione organica degli interventi, una maggiore articolazione e caratterizzazione dell’intervento pubblico in montagna», F. Merloni, Comunità montane e consigli di valle, in Enc. Giur., op. cit., p. 1.
30 A riguardo si veda M. Bosco, I Consigli di Valle nell’ordinamento amministrativo italiano, Roma, 1955, pp. 10 ss. e R. Lucifredi, La genesi del Consiglio di Valle, in Atti del Convegno Nazionale dei Consigli di Valledi Torino, 3-4 giugno 1963, Torino, 1963, pp. 33 ss..
31 Cfr. art. 4 della l. n. 1102 del 1971.
32 G.C. De Martin, Comunità montane, in Dig. Disc. Pubbl., op. cit, p. 267.
33 Cfr. art. 2 l. n. 1102 del 1971.
34 Così ad esempio E. Grassi, F. Merusi, La comunità montana nel quadro delle autonomie locali, in Com. dem., n. 4-5, 1974, pp. 26 ss..
35 In tal senso U. Pototschnig, Profili giuridici della Comunità montana nel quadro delle autonomie locali, in Il Montanaro d’Italia, suppl. n. 3-4, 1974.
36 Si confronti D. Cosi, Le comunità montane nell’ordinamento delle autonomie locali conseguente al D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in Giurisprudenza Agraria, 1977, pp. 365 ss..
37 Così ex multis C. Desideri, Montagna, in Enc. Dir., op. cit..
38 Tale opinione era sostenuta anche da A. Orsi Battaglini, D. Sorace, Contributo alla individuazione degli “altri” enti locali di cui all’art. 57 dello Statuto toscano e all’art. 118 della Costituzione, in Foro Amm., 1971, pp. 550 ss..
39 Come noto l’art. 118 Cost., prima che venisse sostituito dall’art. 4 l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 nella formulazione attuale, recitava: «1. Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali. 2. Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative. 3. La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegando alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
40 «Sul piano della natura e della fisionomia istituzionale, pur non potendo essere inclusa tra le autonomie territoriali costituzionalmente riconosciute e garantite, la comunità montana non può certo essere qualificata come un mero ente locale funzionale, operante solo limitatamente a compiti determinati e settoriali, né tantomeno un ente dipendente dalla regione, bensì va considerata come un ente locale a base comunitaria, dotato di una serie aperta di compiti – in special modo legati agli interventi speciali per la montagna – e di specifica autonomie statutaria e amministrativa, quindi per molti versi assimilabile agli enti autonomi territoriali», G.C. De Martin, Comunità montane, in Dig. Disc. Pubbl., op. cit, p. 268.
41 La legge 8 giugno 1990, n. 142, rubricata Ordinamento delle autonomie locali, è pubblicata in G.U.R.I. del 12 giugno 1990, n. 135. In proposito si faccia riferimento a C. Mignone, P. Vipiana, P. M. Vipiana, Commento alla legge sulle autonomie locali, UTET, Torino, 1993. Più specificatamente invece A. Crosetti, Le Comunità montane dalla legge 142/1990 alla legge 97/1994: analisi e prospettive, in Riv. Dir. Agr., 1994, I.
42 Cfr. art. 28 della l. n. 142 del 1990 nella sua originaria versione.
43 La legge 3 agosto 1999, n. 265, rubricata Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L. 8 giugno 1990, n. 142, è pubblicata in G.U.R.I. del 6 agosto 1999, n. 183.
44 Legge 31 gennaio 1994, n. 97, rubricata Nuove disposizioni per le zone montane, è pubblicata in G.U.R.I. del 9 febbraio 1994, Suppl. ord. n. 24. In proposito si veda, oltre a A. Crosetti, Le Comunità montane dalla legge 142/1990 alla legge 97/1994: analisi e prospettive, op. cit., anche A. Abrami, Lo sviluppo delle aree montane nella l. 31 gennaio 1994, n. 97, in Le Regioni, n. 4/1994, pp. 1063 ss..
45 Cfr. art. 28 della legge n. 142 del 1990 così come era stato modificato dalla legge n. 265 del 1999.
46 Il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, rubricato Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, è pubblicato in G.U.R.I. del 28 settembre 2000, n. 227. L’art. 27 del Tuel, che contiene la definizione di Comunità montana come Unione di Comune corrispondeva all’art. 28 della l. n. 142 del 1990 così come modificata dalla l. n. 265 del 1999 succitata. Si veda la nota precedente. Sul punto di veda A. Corsini, Art. 27, in R. Cavallo Perin, A. Romano (a cura di), Commentario breve al Testo unico sulle autonomie locali, CEDAM, Padova, 2006, pp. 166 ss. e F. Miscioscia, Le comunità montane, in G. De Marzo, R. Tomei (a cura di), Commentario al nuovo T.U. degli enti locali, CEDAM, Padova, 2002, pp. 207 ss..
47 Infatti il vigente art. 118 Cost. sancisce: «1.Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. 2. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. 3. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. 4. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». In proposito si veda Q. Camerlengo, Art. 118,in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. III, Artt. 101-139, UTET, Torino, 2006, pp. 2333 ss..
48 In proposito si faccia riferimento a L. Antonini, Art. 117, 2°, 3° e 4° co., in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. III, Artt. 101-139, UTET, Torino, 2006, pp. 2227 ss..
49 La legge 5 giugno 2003, n. 131, rubricata Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3., è pubblicata in G.U.R.I. del 10 giugno 2003, n. 132. A riguardo G. Falcon (a cura di), Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131, il Mulino, Bologna, 2003.
50 N. Viceconte, Le comunità montane nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, op. cit., p. 78. Fra le sentenze l’autore richiama, ex multis, Cons. Stato, Sez. I, n. 1506 del 2002 e Cons. Stato, sez. V, n. 707 del 2003.
51 Sul punto C. Mainardis, Regioni e Comunità montane, tra perimetrazione delle materie e “controllo sostitutivo” nei confronti degli organi, in Le Regioni, 1/2006.
52 In proposito P. Vipiana, In margine a due recenti pronunce della Corte costituzionale sulle Comunità montane: commento congiunto delle sentenze nn. 244 e 456 del 2005, in Quaderni regionali, n. 3/2006, pp. 699-714.
53 A riguardo M. Mengozzi, I poteri sostitutivi regionali rispetto agli organi delle Comunità montane, in Giurisprudenza costituzionale, 6/2006.
54 Ex multis N. Viceconte, Le comunità montane nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, op. cit., p. 81, per il quale tale interpretazione «non pare armonia con il sistema delle autonomie nel nuovo ordinamento costituzionale italiano, spettando solo alle Regioni speciali, in virtù di specifiche previsioni statuarie, una competenza piena in materia; il che a ben vedere (e come la stessa Corte sembra implicitamente confermare nella sentenza n. 48 del 2003), costituirebbe tuttora un elemento di differenziazione rispetto alle Regioni ordinarie». In tema di Regioni a Statuto speciale, in riferimento alla Regione Valle d’Aosta, si veda M. Cavino, L’esercizio associato delle funzioni nel sistema locale della Valle d’Aosta, in Il Piemonte delle Autonomie, Anno II, n. 2/2015.
55 Sul punto G.C. De Martin, M. Di Folco, Un orientamento opinabile della giurisprudenza costituzionale in materia di comunità montane, in Giurisprudenza costituzionale, 2009.
56 A riguardo G. Di Cosimo, La razionalizzazione alla prova: il caso delle comunità montane, in Le Regioni, n. 5-6/2012.
57 Si veda in proposito N. Viceconte, La corte chiarisce sulle comunità montane, in Rivista AIC, n. 2/2011, n. 19/04/2011.
58 «Per le comunità montane si è verificato un fenomeno opposto a quanto accaduto per le altre unioni tra Comuni tanto che per esse si è dovuto procedere a creare meccanismi di disincentivazione. Il motivo della loro forte proliferazione […] è identificabile nel fatto che alle comunità montane spettano anche funzioni proprie», F. Pinto, Diritto degli enti locali, III ed., Giappichelli, Torino, 2012, p. 339.
59 La legge 24 dicembre 2007, n. 244, rubricata Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008), è pubblicata in G.U.R.I. del 28 dicembre 2007, n. 300, Suppl. ord. n. 285.
60 P. Morbioli, R. Tommasi, Il riordino territoriale e istituzionale delle comunità montane, in Istituzioni del federalismo, Suppl. 4/2008, pp. 26. Più precisamente, come sottolinea F. Pinto, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 341, «[l]a normativa prevedeva che […] avrebbero cessato di appartenere alla comunità montana i Comuni capoluogo di Provincia, i Comuni costieri e i Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti. Sarebbero inoltre state soppresse le comunità il cui territorio non avesse superato parametri definiti, legati alla altitudine sul livello del mare e al dislivello tra quota altimetrica inferiore e superiore».
61 Si vedano le sentenze cui fanno riferimento le note 55 e 56. Sul punto C. Losavio, Le norme sul finanziamento e sul riordino delle Comunità montane al vaglio della Corte costituzionale, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, n. 1/2011, pp. 105 ss..
62 N. Viceconte, Le comunità montane nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRASD 2011, op. cit., p. 75.
63 Cfr. nota 6. Così anche E. Bellomo, La lenta trasformazione delle Comunità montane piemontesi in Unioni montane di Comuni. Nota alla sentenza del TAR Piemonte del 25.06.2014, n. 1116, in OPAL – Osservatorio per le Autonomie Locali, n. 6, 1/2015, per la quale «[l]a soppressione delle comunità montane è avvenuta ad opera della legge regionale del 28 settembre 2012, n. 11 […] che fa seguito all’art. 2 comma 18 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria per il 2008) e successiva disposizioni ulteriori, nonché ad alcune riforme in altre Regioni».
64 La legge della Regione Piemonte 14 marzo 2014, n. 3, rubricata Legge sulla montagna, è pubblicata nel B.U. Regione Piemonte del 17 marzo 2014, n. 11.
65 E. Bellomo, La lenta trasformazione delle Comunità montane piemontesi in Unioni montane di Comuni. Nota alla sentenza del TAR Piemonte del 25.06.2014, n. 1116, in OPAL – Osservatorio per le Autonomie Locali, op. cit..
66 Si veda la nota 22.
67 Cfr. art. 1 l.r. n. 3 del 2014.
68 Cfr. art. 2 l.r. n. 3 del 2014.
69 Per una ricostruzione e per un inquadramento storico dell’ordinamento degli enti locali si veda la monumentale opera in tre tomi di A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano: storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Neri Pozza, Venezia, 1962, così come S. Sepe, L. Mazzone, I. Portelli G. Vetritto, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1661-2006), Roma, Carocci editore, 2006.
70 «Il rapporto tra giurisdizione politica e ambito spaziale di efficacia degli interventi regolativi e amministrativi si fa particolarmente critico quando viene in gioco la giurisdizione economica, ovvero la disciplina di attività economiche che, perlomeno sopra una certa soglia di sviluppo, appaiono parzialmente delocalizzate. I limiti derivanti dalla dimensione sovralocale degli interessi sottesi alla localizzazione di attività economiche sul territorio induce alcune teorie economiche del diritto a considerare il territorio come una variabile esogena rispetto alle esigenze delle funzione amministrativa. In proposte più moderate è invece suggerita una ridefinizione dei confini degli enti territoriali», G. Napolitano, M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 319.
71 M. De Benedetto, Gli Ambiti territoriali ottimali e la programmazione locale. Il ruolo delle Autorità di bacino e degli Enti di governo d’ambito. I rapporti con l’Aeegsi, in Amministrazione in cammino, 31 maggio 2017, pp. 1-2, già in L. Carbone, G. Napolitano, A. Zoppini (a cura di), Il regime dell’acqua e la regolazione dei servizi idrici, Annuario di Diritto dell’Energia, Il Mulino, Bologna, 2017.
72 «In generale, la scelta del legislatore di avvalersi del concetto di ambito territoriale ottimale viene ricondotta dalla dottrina alla legge Galli del 1994 per la gestione del servizio idrico integrato, ed al decreto Ronchi del 1997 in cui l’ATO è l’estensione territoriale per la gestione dei rifiuti urbani. […]. In realtà, la nozione di ambito ha origini più remote ed è mutata da un contesto molto diverso rispetto all’industria dei servizi idrici e di igiene ambientale, nascendo nel settore socio-sanitario. Già negli anni ’70, subito dopo l’istituzione delle regioni, in molti territori della repubblica, si avvertirono invero criticità nell’amministrazione e gestione di alcuni servizi sociali, specie servizi alla persona, dovute sia al ridotto dimensionamento dei comuni che rendeva difficoltoso il pieno esercizio delle funzioni amministrative, sia alla necessità di garantire unitarietà nella gestione e amministrazione dei servizi citati; […] Occorreva dunque trovare uno strumento di amministrazione e gestione associata delle funzioni di organizzazione, attinenti ai servizi sociali, e dei servizi sociali stessi. Alcune regioni, anticipando il d.P.R. n. 616/1977, costituirono, così, con legge, gli ambiti territoriali delle Unità locali dei servizi, in cui da quell’epoca venne ripartito il territorio regionale. Dall’esame di tali risalenti leggi regionali si evince che detti Ambiti rappresentano la dimensione territoriale sulla quale si articola il complesso integrato di tutti i servizi di base che costituiscono, nel loro insieme, l’Unità Locale dei Servizi,[…] Dall’Unità locale dei servizi così organizzati si passa poi alla costituzione dei consorzi socio-sanitari per la migliore gestione unitaria delle funzioni, pur restando invariati gli ambiti, ed in seguito, alla creazione delle Unità socio-sanitarie locali. Come si diceva, sono questi gli anni a ridosso dell’approvazione del d.P.R. n. 616/1977 che condurrà ad una progressiva istituzionalizzazione dell’evoluzione in atto», M. Passalacqua, La regolazione amministrativa degli ATO per la gestione dei servizi pubblici locali a rete, in federalism.it, 3 gennaio 2016, n. 1/2016, pp. 2-3.
73 Si cfr. in particolare l’art. 25 d.P.R. n. 616/1977.
74 G. Napolitano, M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, cit., p. 319. Come sottolinea M. De Benedetto, vi è stata «una vera e propria altalena in cui il legislatore ha mostrato di considerare diversamente il criterio politico-amministrativo nella definizione degli Ato: dapprima rilevante, nel quadro della legge Galli, poi recessivo nel Codice dell’ambiente, nuovamente centrale nell’intervento del 2007, solo residuale in quello del 2012, ancora una volta centrale nello schema di Testo unico sui servizi locali. Altri provvedimenti normativi, ora all’esame del Parlamento, confermano la logica dell’altalena», M. De Benedetto, Gli Ambiti territoriali ottimali e la programmazione locale. Il ruolo delle Autorità di bacino e degli Enti di governo d’ambito. I rapporti con l’Aeegsi, op. cit., pp. 4-5.
75 Il riferimento è ovviamente alla definizione coniata da Fabio Merusi. Si cfr. F. Merusi, I servizi pubblici negli anni ottanta, in F. Merusi, Servizi pubblici instabili, il Mulino, Bologna, 1990, pp. 15-34.
76 Si cfr. il già citato 15° censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 9 ottobre 2011, pag. 7 (https://goo.gl/EqCqN3).
77 Si cfr. il 15° censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 9 ottobre 2011. Un estratto dei risultati del censimento è consultabile al link https://goo.gl/EqCqN3.
78 Sul punto M.S. Giannini, I Comuni, in M.S. Giannini (a cura di), I Comuni, Vol. I, L’ordinamento comunale e provinciale, in Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Neri Pozza, Venezia, 1967, pp. 9 ss.. Si veda anche C. D’Andrea, I Comuni polvere: tra dissoluzione pilotata e salvataggio delle funzioni. Alcune note a commento dell’art. 16 della “manovra-bis”, in federalismi.it, n. 20/2011, 19 ottobre 2011 e F. Pizzetti, Piccoli comuni e grandi compiti: la specificità italiana di fronte ai bisogni delle società mature, in D. Formiconi (a cura di), Comuni insieme, più forti, EDK, Torriana, 2008.
79 F. R. Fieri, L. Gallo, M. Mordenti, Le Unioni di comuni, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012, p. 31.
80 La legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, è pubblicata in G.U.R.I. del 7 aprile 2014, n. 81. A titolo non esaustivo, si faccia riferimento a F. Pizzetti, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unione di comuni. Legge 7 aprile 2014, n. 56 (Legge “Delrio”), Giuffrè, Milano, 2015 e a L. Vandelli, Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. La legge Delrio, 7 aprile 2014, n. 56 commentata comma per comma, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2014.
81 Infatti la prima parte dell’art. 1 co. 4 della legge n. 56 del 2014 detta la definizione di Unione di Comune: «[l]e unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni per l’esercizio associato di funzioni o servizi di loro competenza».
82 Cfr. rispettivamente art. 1 co. 107 e co. 131.
83 Cfr. art. 1 co. 3 della legge n. 56 del 2014. Sull’argomento F. Mauri, Le Province montane di confine e il concetto di specificità montana tra legislazione statale e attuazione regionale, in Forum di Quaderni costituzionali, 8 febbraio 2016.
84 Ai sensi dell’art. 2 della l. n. 1102 del 1971 era stato stabilito: «La presente legge si propone:
1) di concorrere, nel quadro della programmazione economica nazionale e regionale, alla eliminazione degli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, alla difesa del suolo e alla protezione della natura mediante una serie di interventi intesi a:
a) dotare i territori montani, con la esecuzione di opere pubbliche e di bonifica montana, delle infrastrutture e dei servizi civili idonei a consentire migliori condizioni di abitabilità ed a costituire la base di un adeguato sviluppo economico;
b) sostenere, attraverso opportuni incentivi, nel quadro di una nuova economia montana integrata, le iniziative di natura economica idonee alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale;
c) fornire alle popolazioni residenti nelle zone montane, riconoscendo alle stesse la funzione di servizio che svolgono a presidio del territorio, gli strumenti necessari ed idonei a compensare le condizioni di disagio derivanti dall’ambiente montano;
d) favorire la preparazione culturale e professionale delle popolazioni montane;
2) di realizzare gli interventi suddetti attraverso piani zonali di sviluppo da redigersi e attuarsi dalle Comunità montane e da coordinarsi nell’ambito dei piani regionali di sviluppo».
85 Invece ai sensi dell’art. 3 co. 1 e 2 l.r. n. 3 del 2014: «1. L’unione montana esercita le funzioni di tutela, promozione e sviluppo della montagna conferite in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 44, secondo comma, della Costituzione e della normativa in favore dei territori montani. 2. L’unione montana, oltre alle funzioni di cui al comma 1, esercita:
a) le funzioni e i servizi propri dei comuni che gli stessi decidono di esercitare tramite l’unione;
b) le funzioni amministrative nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione conferite dalla Regione ai comuni che, in ragione della specificità delle zone montane, sono esercitate in forma associata;
c) le funzioni già conferite dalla Regione alle comunità montane, fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 4».
86 Questo rilievo è stato sottolineato anche dalla dottrina. Ex multisF. Miscioscia, Le comunità montane, in G. De Marzo, R. Tomei (a cura di), Commentario al nuovo T.U. degli enti locali,op. cit., p. 217, autore per il quale «analizzando i provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tempo, emerge con evidenza che i legislatore ha progressivamente ridimensionato i compiti di pianificazione delle comunità montane accentuandone il ruolo di ente di gestione delle funzioni in forma associata».