L’incostituzionalità della “legge Delrio” nei ricorsi proposti dalle Regioni Campania, Puglia e Veneto
Luca Geninatti Satè1
1. Premessa.
In questa nota verranno sintetizzate le principali questioni di legittimità costituzionale (e le relative argomentazioni) sollevate dalle Regioni Campania2, Puglia3 e Veneto4 con riferimento alla legge 7 aprile 2014, n. 56, recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” (c.d. “legge Delrio”)5.
Si tratta di una sintesi puramente ricognitiva: non saranno perciò discussi né la fondatezza delle questioni, né gli argomenti a sostegno della superabilità delle censure6, perché lo scopo dello scritto è soltanto quello di riepilogare, in forma schematica, i punti su cui si concentrano i rilievi delle Regioni (e di chiarire, in alcuni casi, i profili costituzionali che ne costituiscono lo sfondo più ampio).
2. La titolarità della potestà legislativa per la “istituzione” delle Città metropolitane.
Il primo rilievo sollevato da tutte le Regioni ricorrenti attiene alla competenza legislativa per l’istituzione delle Città metropolitane, che le Regioni negano sussistere in capo allo Stato perché da ricondurre alla potestà normativa delle Regioni.
La questione si fonda sull’interpretazione letterale dell’art. 117, Cost.: poiché nell’elencazione che esso contiene non compare la voce “istituzione delle Città metropolitane”, ma soltanto (alla lettera p) del comma 2) la materia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, non spetterebbe alla legge statale, ma a quella regionale, disporre l’istituzione di questi ultimi organi.
L’interpretazione che fonda questa eccezione di competenza scarta, quindi, l’argomento a fortiori, in base al quale sarebbe invece argomentabile che, proprio in quanto la Costituzione riserva alla legge statale la disciplina elettorale, la regolamentazione delle funzioni fondamentali e della forma di governo delle Città, a maggior ragione spetta allo Stato la decisione di “istituirle”.
In realtà, l’interpretazione letterale muove (soprattutto nell’argomentazione svolta dalla Regione Veneto) sull’implicito assunto che il termine “istituzione” sia da intendere come l’atto che dà vita alle Città metropolitane, e che quindi si distingue, costituendone presupposto, dalla disciplina delle relative caratteristiche.
Questo accorto stratagemma linguistico (che è tale perché, in effetti, l’art. 1, comma 5, della l. n. 56/2014 non contiene il termine “istituzione” o i suoi derivati, che pure lo stesso articolo mostra di conoscere, impiegandolo, a proposito dei Comuni e delle Unioni di Comuni, per esempio ai commi 22, 105, 117, e 123-124-125) conduce a prospettare la l. n. 56/2014 non come una fonte che disciplina organi “istituiti” dall’art. 114 Cost., ma come una legge che direttamente “istituisce” (ossia: che fa sorgere ex nihilo) le Città metropolitane, attività che le Regioni rivendicano come spettante alla potestà legislativa regionale perché non espressamente menzionata dall’art. 117, c. 2, Cost..
Costituisce un’indiretta conferma di questo modo d’intendere la “istituzione” (ossia come funzione che introduce nell’ordinamento un ente prima inesistente) l’ancillare argomento con cui (soprattutto nel ricorso della Regione Veneto) si argomenta il concorrente profilo di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 133, c. 1, Cost.
Il rinvio a quest’ultima disposizione rimanda, infatti, allo stesso concetto di “istituzione”, che riguarda però, nella norma costituzionale, le Province.
Stabilisce infatti la norma che “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione”.
Argomenta allora la Regione Veneto: (i) quand’anche si configuri implicitamente “l’ente Città metropolitana come sostitutivo dell’ente Provincia”, e quindi (ii) quand’anche la legge statale intenda trarre il proprio fondamento di competenza nell’art. 133, c. 1, Cost. (leggendo tale disposizione come riferita, anziché alla “istituzione di nuove Province” alla “istituzione delle Città metropolitane”), sarebbe comunque violata la scansione procedimentale imposta dalla norma costituzionale, che richiede l’iniziativa dei Comuni e il parere delle Regioni (requisiti non sussistenti nel caso della l. n. 56/2014).
In questo secondo argomento l’eccezione d’incompetenza si trasforma dunque in una censura di violazione della Costituzione.
Aggiunge un’ulteriore censura il ricorso della Regione Campania, che intende l’identificazione delle nove Città metropolitane, sostitutive delle preesistenti Province, come espressione di una legge-provvedimento carente dei necessari fondamenti di ragionevolezza, mostrando (a) di intendere la legge come “legge materiale” (anziché “formale”7) e (b) di interpretare (ii) le leggi-provvedimento come leggi che difettano dei requisiti di generalità e astrattezza8 e (ii) la generalità e astrattezza delle leggi come necessaria inclusione, nell’oggetto della disciplina, di un numero ragionevolmente congruo di soggetti (rispetto alla totalità di quelli che presentano le stesse caratteristiche; come a dire: sostituendo solo nove Province – sulle oltre cento esistenti – con altrettante Città metropolitane, la legge non è generale e astratta).
3. L’inosservanza delle disposizioni costituzionali in materia di territorio dei Comuni.
I ricorsi delle Regioni Puglia e Veneto individuano un autonomo profilo d’incostituzionalità della l. n. 56/2014 nella disciplina che essa stabilisce in materia di territorio dei Comuni e delle Città metropolitane.
In ordine alla necessaria articolazione del territorio del Comune capoluogo in più Comuni (art. 1, c. 22, l. n. 56/2014), la Regione Puglia eccepisce (a) l’incompetenza della legge statale per lo stesso motivo che già fonda la censura sulla spettanza del potere di “istituzione” delle Città metropolitane, ossia la mancanza di un’espressa attribuzione del potere di modifica delle circoscrizioni comunali all’interno dell’art. 117 Cost. (implicitamente ritenendo inidoneo, a tal fine, il ruolo dell’art. 133, c. 1, Cost., che attribuisce alla legge statale il potere di modificare le circoscrizioni “provinciali”, e non quelle comunali, la cui modifica è attribuita alla legge regionale dal comma 2 dello stesso articolo); (b) la violazione dell’art. 133, c. 2, Cost., nella parte in cui la l. n. 56/2014 condizionerebbe la legge regionale di modifica delle circoscrizioni alla proposta del Comune capoluogo (interpretazione asimmetrica del comma 22, il quale impone sì al Comune di proporre la modifica di articolazione territoriale, ma di per sé non impedisce che la Regione proceda, con legge, ai sensi dell’art. 133, c. 2, Cost.).
In materia, invece, di adesione dei Comuni alla Città metropolitana, la Regione Veneto individua (a) un vizio d’irragionevolezza della l. n. 56/2014 nella parte in cui, essendo consentita l’adesione alle Città dei Comuni capoluogo delle Province limitrofe, sarebbe violato il principio della continuità territoriale (principio – ovviamente estraneo all’omologo istituto del diritto marittimo – dedotto implicitamente dall’art. 5 Cost. come principio di rilevanza costituzionale, ma che a rigore trova fondamento solo nella legislazione ordinaria), e (b) una violazione dell’art. 133, c. 1, Cost., per la ragione che, in caso di parere contrario all’aggregazione da parte della Regione, ove non si raggiunga intesa tra la Regione e i Comuni interessati, spetta al Governo decidere in via definitiva la presentazione alle Camere del disegno di legge per la modifica territoriale (elemento in effetti non previsto dall’art. 133, c. 1, ma facilmente riconducibile all’iniziativa governativa delle leggi ordinarie, ex art. 70 Cost.).
Le Regioni Campania e Puglia sviluppa infine una serie di argomentazioni volte a eccepire l’incostituzionalità delle disposizioni che regolamentano le unioni (e, la Puglia, anche le fusioni) di Comuni, essenzialmente sulla base del rilievo (a) che non sussiste la potestà legislativa statale in materia di assetto organizzativo delle unioni, perché “lo Stato non ha una competenza generale in materia di ordinamento di enti locali, potendo intervenire solo nei limiti di quanto consentito” dall’art. 117, c. 2, lett. p), Cost. (argomento analogo a quello sviluppato dalla Regione Veneto con riguardo alla “istituzione” delle Città metropolitane9, ripreso dalla Puglia anche rispetto alle norme sulle fusioni dei Comuni), e (b) che le disposizioni concernenti le funzioni dei Comuni risultanti da fusione sono incostituzionali laddove riguardino funzioni corrispondenti alle materie di potestà legislativa esclusiva statale oppure di potestà legislativa concorrente (argomento che ripropone lo stesso rilievo configurandolo come una particolare versione del principio del parallelismo delle funzioni10).
4. L’illegittimità costituzionale dei poteri sostitutivi.
I ricorsi delle Regioni Campania e Puglia censurano la disciplina dei poteri sostitutivi.
Entrambe le Regioni ritengono costituzionalmente illegittimo l’art. 1, c. 95, della l. n. 56/2014, ai sensi del quale, decorsi i sei mesi dall’entrata in vigore della legge senza che le Regioni provvedano a dare attuazione all’accordo della Conferenza Unificata relativo alla nuova allocazione delle funzioni amministrative, interviene il potere sostitutivo del Governo, ai sensi della l. n. 131/2003.
La norma è ritenuta in contrasto con l’art. 120 Cost., nella parte in cui non prevede “un procedimento nel quale l’ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento”11.
La Regione Puglia eccepisce inoltre l’illegittimità delle disposizioni della l. n. 56/2014 che prevedono l’esercizio da parte del Governo del potere sostitutivo nel caso di mancato tempestivo esercizio della potestà statutaria da parte delle Città metropolitane e delle Province (art. 1, cc. 17, 81 e 83).
L’eccezione è fondata su di un rilievo di merito, ossia il giudizio secondo cui non sussisterebbe nella fattispecie il presupposto della “tutela dell’unità giuridica”, che è tra le condizioni fondanti il potere sostitutivo ex art. 120, Cost.: ritiene infatti la Regione Puglia che “l’eventuale mancanza dello statuto di autonomia darebbe solo luogo a qualche inconveniente”, ma non sarebbe idonea a determinare una lesione alla “unità giuridica”12 tale da richiedere l’intervento sostitutivo del Governo.
5. L’allocazione delle funzioni amministrative.
La Regione Puglia argomenta in modo esteso anche l’illegittimità delle disposizioni in materia di allocazione delle funzioni amministrative (vizio censurato indirettamente anche dalla Campania).
Oggetto di censura è il comma 91 dell’art. 1, l. n. 56/2014, che prevede il già citato accordo mediante il quale lo Stato e le Regioni sono chiamati a individuare le funzioni “oggetto del riordino”.
Eccepisce anzitutto la Regione il difetto di competenza, poiché, in violazione dell’art. 117, cc. 3 e 4, e dell’art. 118, c. 2, la norma statale include nell’accordo anche funzioni ricadenti in materie diverse da quelle sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva.
Si tratta di un’eccezione d’incompetenza in senso puro, che non guarda – cioè – all’effettiva lesione che potrebbe discendere dalla norma in capo alle Regioni (di per sé equiparate allo Stato rispetto alla previsione che attribuisce il compito di individuare le funzioni a un accordo da concludere in Conferenza unificata), ma censura il fatto stesso che la legge statale disciplini una modalità di allocazione di funzioni correlate alla potestà legislativa regionale (enfatizzando, quindi, il tradizionale principio del parallelismo tra le prime e la seconda13).
6. Legittimazione democratica e principio autonomista.
Uno specifico motivo di ricorso è dedicato dalla Regione Veneto alla incostituzionalità delle disposizioni che disciplinano la “forma di governo” delle Città metropolitane, ritenute contrastanti con il principio autonomista e con la necessaria legittimazione democratica degli organi delle autonomie locali.
In particolare, ritiene la Regione che le disposizioni che comportano l’assunzione delle funzioni di Sindaco metropolitano da parte del Sindaco del Comune capoluogo (art. 1, c. 16), l’identificazione del Sindaco metropolitano con il Sindaco del Comune capoluogo (art. 1, c. 19), nonché l’attribuzione alla Conferenza metropolitana (organo che sorge dall’elezione popolare) di poteri unicamente propositivi e consultivi (art. 1, cc. 8 e 9) impongano “una soluzione che non è in alcun modo riferibile [… all’intero corpo elettorale metropolitano ma solo agli elettori del Comune capoluogo”.
La questione s’innesta (pur essendo in parte più ampia) nel dibattito circa la connessione dell’autonomia (come caratteristica costitutiva degli enti locali) con il principio di elezione diretta e di rappresentanza degli interessi locali, connessione a propria volta ritenuta espressione del principio democratico‐rappresentativo.
La prospettazione del vizio è completata dalla Regione Veneto con il riferimento al principio autonomista ricavato dall’art. 5 (e dall’art. 117) Cost., richiamato anche attraverso il rinvio all’art. 3 della Carta europea delle autonomie locali e all’obbligo di prevedere l’elezione diretta degli organi dei livelli intermedi di governo14.
Lungo questa argomentazione, la Regione Veneto censura anche la “degradazione” delle Province “da ente politico rappresentativo della popolazione inclusa nell’ambito territoriale di riferimento ad ente di secondo grado”, fenomeno considerato fonte di incostituzionalità perché in contrasto con la natura esponenziale delle comunità territoriali provinciali, natura a propria volta derivante dall’essere tali comunità elementi costitutivi della Repubblica, ex art. 114 Cost15.