La Corte costituzionale “salva” il Fattore famiglia piemontese
Tanja Cerruti1
Abstract (it)
Prendendo spunto dalla sent. 91/2020 della Corte costituzionale, il contributo si sofferma sulle scelte compiute dalla Regione Piemonte, soprattutto nell’ultimo quinquennio, in materia di assistenza sociale, per poi riflettere sulle modalità con cui è ripartita fra lo Stato e le Regioni la competenza relativa alla compartecipazione degli utenti alle prestazioni sociali.
Abstract (en)
Moving on from ruling n. 91/2020 of the Constitutional Court, the paper retraces the main choices of Piedmont Region in the field of social policies, especially during the last five years. Then it reflects on the way the State and the Regions share their power of determining the contribution of assisted people to the costs of social services.
Sommario: 1. Il caso. – 2. La legislazione regionale piemontese in materia di assistenza sociale. – 3. La determinazione della compartecipazione alle prestazioni sociali fra Stato e Regioni. – 4. Due parole di conclusione.
1. Il caso.
Nella decisione in commento la Corte costituzionale si pronuncia sulla legge della Regione Piemonte 9 aprile 2019, n. 16, Istituzione del Fattore famiglia, che introduce il sopracitato Fattore «quale specifico strumento integrativo per la determinazione dell’accesso alle prestazioni erogate dalla Regione e dai soggetti aventi titolo» (art. 1) nei settori relativi a: a) prestazioni sociali e sanitarie, comprese le compartecipazioni alla spesa; b) servizi socio-assistenziali; c) misure di sostegno per l’accesso all’abitazione principale; d) servizi scolastici, di istruzione e formazione, anche universitari, comprese le erogazioni di fondi per il sostegno al reddito e per la libera scelta educativa; e) trasporto pubblico locale», con la possibilità, per la Giunta, di estenderlo ad ambiti ulteriori (art. 3).
Oggetto dell’impugnazione sono gli artt. 3, c. 1, lett. a) e l’art. 4.
L’art. 3, c. 1 viene sottoposto a giudizio in quanto, includendo, alla lett. a), le prestazioni sanitarie fra gli ambiti di applicazione della legge senza chiarire come si intenda utilizzare il nuovo indicatore nell’accesso e nelle compartecipazioni alla spesa ad esse relativa, violerebbe l’art. 117, c. 2, lett. m) della Costituzione nonché il c. 3, in relazione ai principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica», fissati, nel caso specifico, dagli artt. 8, c. 15, della l. 537/1993 e 17, c. 6, del d.l. 98/20112.
L’art. 4, demandando alla Giunta regionale la definizione dei parametri e delle modalità attuative del Fattore famiglia, nel rispetto di alcuni criteri delineati dall’articolo stesso (fra cui l’acquisizione del parere di un apposito Osservatorio), è accusato a sua volta di arrecare un vulnus all’art. 117, c. 2, lett. m), Cost in quanto «si sovrapporrebbe alla regolamentazione statale nella determinazione e nell’applicazione dell’indicatore della situazione economica (ISEE) ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate».
Entrambe le questioni vengono rigettate.
In riferimento all’art. 3, la Corte costituzionale procede a una ricostruzione della normativa in materia di ticket per poi concludere che, ferme restando le quote di compartecipazione fissate da quella statale, della suddetta disposizione è possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, per cui essa non inciderebbe sulla compartecipazione ai costi delle prestazioni sociosanitarie ma si applicherebbe solo alle altre, non vincolate dal criterio dell’uniformità sul territorio nazionale.
A proposito dell’art. 4 la Consulta ripercorre invece le tappe che, attraverso il d.l. 201/2011 e il D.P.C.M. 159/2013 hanno portato alla previsione dell’ISEE e al suo inserimento fra i livelli essenziali delle prestazioni (d’ora in avanti LEP) di cui all’art. 117, c. 2, lett. m) Cost, facendo salve le prerogative regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali (art. 2), in riferimento alle quali gli enti territoriali possono continuare a esercitare la loro competenza residuale3.
Molteplici i profili di interesse che emergono da questa vicenda e che paiono potersi ricondurre a due principali filoni, uno inerente le politiche in materia sanitaria, per il quale si rinvia alle considerazioni spese su questo numero della Rivista da M. Bergo, l’altro relativo all’assistenza sociale, sul quale si soffermeranno invece i paragrafi successivi, con particolare attenzione alla stagione riformista che ha visto protagonista, negli ultimi anni, la realtà piemontese.
2. La legislazione regionale piemontese in materia di assistenza sociale.
Com’è noto, in materia di assistenza sociale la lunga fase contrassegnata da interventi frammentari e di carattere settoriale che ha segnato i primi decenni della storia repubblicana conosce una svolta decisiva – anticipata da alcune importanti innovazioni, come l’istituzione, nel 1997, del Fondo nazionale per le politiche sociali – con l’approvazione della l. 328/2000, che, oltre ad attribuire finalmente una disciplina unitaria e organica alla materia, ne consolida l’ispirazione a principi innovativi fra cui la centralità della persona e della famiglia, destinataria ma anche potenziale erogatrice dei servizi e l’integrazione fra i diversi soggetti coinvolti nella loro gestione (enti territoriali, ASL, soggetti del Terzo settore, singoli cittadini)4.
La revisione costituzionale del Titolo V del 2001, non inserendo i servizi sociali né fra le materie di legislazione esclusiva statale, né fra quelle di legislazione concorrente, li ascrive alla competenza residuale regionale, il cui esercizio – come bene emergerà anche in sede di contenzioso costituzionale – è però vincolato al rispetto delle decisioni che assume lo Stato in virtù di altri titoli competenziali, quali appunto i LEP o i principi fondamentali nella materia coordinamento della finanza pubblica.
Il nuovo riparto della potestà legislativa mette in discussione la stessa applicabilità alle Regioni della legge quadro del 20005, che continua però a improntarne e vincolarne le discipline, sia in quanto espressione, in alcune sue parti, dei livelli essenziali delle prestazioni, sia in quanto, risultando a sua volta debitrice delle leggi in materia sociale adottate in precedenza dagli enti territoriali, viene da questi percepita in qualche modo come propria e quindi “riprodotta”, pur con notevoli aspetti di differenziazione, nella normativa successiva alla revisione costituzionale del 20016.
A questo proposito, dopo la riforma la Regione Piemonte è una delle prime ad approvare una legge organica sui servizi sociali che, oltre a disciplinare i profili di carattere organizzativo, promuovendo l’effettiva integrazione fra tutti gli enti, territoriali e non, coinvolti nella loro erogazione, si sofferma anche sulle singole politiche, sancendo la centralità della famiglia, «ambito di riferimento unitario» per gli interventi riguardanti i suoi componenti (art. 41) e la potenziale accessibilità degli interventi stessi a tutta la popolazione, nel superamento della concezione previgente, che li riservava alle situazioni di marginalità7. La legge dedica comunque una particolare attenzione ad alcune categorie fragili, come minori, disabili, anziani, detenuti, persone senza fissa dimora o affette da dipendenza.
Il complesso disegno che ha dato vita alla l.r. 1/2004 aveva fra i suoi pilastri la ridefinizione delle competenze professionali8, su cui il nuovo dettato normativo ha dovuto fare i conti con dei rilievi di costituzionalità che hanno portato alla caducazione di due disposizioni, colpevoli di aver invaso i principi fondamentali nella materia di competenza concorrente “professioni”9; pur avendo poi subito alcune modifiche di carattere settoriale, per il resto il suo impianto è rimasto sostanzialmente invariato.
Negli anni successivi la legislazione piemontese in materia sociale vede sporadici interventi a favore di singole categorie di beneficiari come i genitori divorziati (2009), le persone non autosufficienti (2010) e non udenti (2012)10, per poi lasciare spazio a una florida stagione che, apertasi nel 2016, si è conclusa (per ora) nel 2019, con l’approvazione di un vero e proprio pacchetto di riforme, di cui fa parte anche la normativa sottoposta all’attenzione della Consulta nella decisione che si commenta.
Le prime tappe di questo corso sono segnate, nel 2016, da tre leggi dedicate, rispettivamente, alla violenza di genere, al divieto di discriminazione e alla cittadinanza attiva.
La prima si pone in linea con provvedimenti analoghi adottati da altre Regioni italiane, dai quali si distingue per la maggiore organicità e completezza dei contenuti, che contemplano, oltre alla disciplina di centri antiviolenza e case rifugio, la destinazione di appositi contributi e l’istituzione di un tavolo di coordinamento permanente presso la Giunta – presenti, seppur con le debite differenze, anche negli altri enti – una programmazione triennale, la collaborazione con i servizi sanitari, la prevenzione nei confronti di problematiche specifiche come le mutilazioni femminili o la tratta11.
In continuità con la precedente, la l.r. 5/2016 intende dare seguito ai principi di non discriminazione ed eguaglianza sostanziale sanciti rispettivamente agli artt. 21 della Carta dei Diritti dell’Unione europea e 3, c. 1, Cost e all’art. 3, c. 2, Cost, impegnando la Regione ad assicurare la parità di accesso in diversi ambiti, anche attraverso la previsione di azioni positive e di appositi organi12.
La terza legge di quell’anno si inserisce invece sul fronte organizzativo, prefiggendosi di dare attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, c. 4, Cost attraverso la promozione della cittadinanza umanitaria attiva e ponendo una serie di linee guida che la Regione s’impegna a seguire nel favorire le iniziative dei cittadini singoli e associati13.
Si tratta, soprattutto nel caso delle ultime due, di leggi che si limitano per lo più a porre dei principi ma la cui approvazione denota la sensibilità della Regione verso i temi in oggetto e la volontà di adeguarsi alle tendenze più innovative che permeano la normativa nazionale e internazionale.
La sussidiarietà orizzontale viene poi valorizzata anche sul fronte operativo attraverso due iniziative di diversa natura, i Patti per il Sociale e WeCare.
I primi, avviati nel 2015, consistono in forme di concertazione fra diverse parti sociali finalizzate a far emergere le principali esigenze dei territori per la ricerca delle relative soluzioni14, a conferma di quell’approccio partecipazionista che anche in altri settori connota le politiche piemontesi..
L’iniziativa WeCare – Welfare Cantiere Regionale si annida invece nell’ambito delle opportunità offerte dal Fondo Sociale europeo e dal Fondo europeo di sviluppo regionale e mira all’affermazione di una concezione innovativa di assistenza sociale, con la partecipazione alla loro gestione dei soggetti del mondo economico, nel tentativo di rafforzare il legame fra politiche economiche e politiche sociali e di coinvolgere nel perseguimento del bene comune tutte le realtà operanti sul territorio (pubbliche amministrazioni, soggetti dell’economia e della società civile), in attuazione di una sussidiarietà che viene così definita “circolare”15.
Proseguendo nella rassegna delle innovazioni, il 2018 vede un intervento in materia di bullismo e cyberbullismo, sostanzialmente contestuale alla normativa di analogo tenore adottata da altre Regioni e dallo Stato16, ma è nel 2019 che la stagione riformista assiste al suo apice, con la promulgazione di cinque leggi, quasi tutte di ampio contenuto, che ambiscono a innovare diversi aspetti delle politiche sociali.
In particolare, la l.r. 3 mira a favorire i disabili attraverso linee di azione che abbracciano diversi ambiti fra cui l’informazione, il lavoro, il sostegno alla vita indipendente, l’istruzione, la sanità e lo sport e prevede l’istituzione di un’apposita Cabina di regia presso la Giunta17. La categoria di beneficiari in oggetto è peraltro già menzionata dalla l.r. 1/2004, che si ripropone, fra le altre cose, di garantirne il benessere psico-fisico e la piena integrazione in tutti i contesti sociali (artt. 46-48).
La successiva l.r. 6 si rivolge ai giovani e va ancora una volta oltre quanto enunciato nella l.r. 1/2004 che, prevedendo le politiche per i minori, si concentra soprattutto sulle situazioni di disagio (artt. 44 e 45 e art. 12, sulla partecipazione al servizio civile). La legge propone iniziative attivate anche in altre Regioni, come l’istituzione di un Forum presso il Consiglio regionale, gli sportelli informagiovani, la promozione di spazi di aggregazione; dalle sue disposizioni si evince però che l’intenzione del legislatore piemontese, il quale predilige, fra i settori di intervento, quelli relativi alla cittadinanza attiva, alla partecipazione sociale, alla mobilità e agli scambi, è mirare alla formazione in senso lato dei giovani in generale e dei giovani amministratori locali, in particolare, nonché rafforzare il loro sentirsi parte della comunità territoriale, anche attraverso il ricorso agli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia (è prevista la creazione di un Portale regionale e sono promossi progetti di e-democracy, open government e open data) o a figure innovative come lo youth worker18.
Nella disciplina del riparto delle funzioni è confermata l’impostazione basata sulla concertazione, richiedendosi il coinvolgimento degli enti locali – assegnatari di vari compiti, fra cui l’erogazione dei servizi – anche nelle fasi di programmazione, coordinamento e monitoraggio, riservate alla Regione e la partecipazione dei rappresentanti del mondo giovanile. Sono poi istituitiun coordinamento presso la Giunta e un registro regionale delle associazioni giovanili.
Il terzo intervento del 2019 è dedicato all’invecchiamento attivo e trova a sua volta riscontro nelle iniziative analoghe portate avanti da altre Regioni. Caratteristica peculiare dell’impostazione delle leggi in materia è che tendono a considerare l’età avanzata non come un problema da risolvere, talvolta nel contesto della disabilità e della non autosufficienza (secondo quanto emerge invece sia dalle leggi regionali dedicate a tali problematiche, sia da alcune di quelle sull’assistenza sociale) ma come una risorsa da valorizzare. Il Piemonte conferma questa tendenza: se la legge organica, pur contemplando già l’obiettivo del «sostegno alla vita di relazione nella comunità locale, valorizzando le risorse positive delle persone anziane e il loro apporto alla vita familiare e sociale», dedica le sue disposizioni soprattutto alle situazioni di necessità19, la nuova normativa nasce proprio nell’ottica di «valorizza[re] il ruolo delle persone anziane nella comunità e promuove[r]ne la partecipazione alla vita sociale, civile, economica e culturale» (art. 1). A tal fine e per favorire l’invecchiamento attivo la Regione s’impegna ad avviare una serie di azioni in svariati ambiti fra cui la salute e il benessere, la permanenza in famiglia, la formazione permanente, il completamento dell’attività lavorativa, l’impegno e il volontariato civile in determinati settori, la gestione del terreno comunale e mira a favorire la partecipazione delle persone anziane attraverso la costituzione di reti di supporto che coinvolgono enti locali, aziende sanitarie e diversi altri attori. E’ prevista infine l’istituzione di un tavolo di confronto permanente e di una cabina di regia20. Quanto alla delimitazione della categoria dei destinatari, in Piemonte (come in Abruzzo, Basilicata, Campania), essa è determinata dal compimento del sessantacinquesimo anno, mentre in altre realtà (Calabria, Liguria, Marche) vi si rientra già alla scadenza del sessantesimo.
A riprova del perseguimento di un disegno unitario da parte del legislatore piemontese viene anche osservato che, mentre la normativa dedicata a giovani e anziani pone l’accento sull’importanza della partecipazione alle attività culturali per i primi e sulla valorizzazione dell’apporto alle stesse dei secondi, la quasi coeva novella in materia di cultura sottolinea l’aspetto dell’inclusione e dell’accessibilità a tutti e, sul piano organizzativo, del principio di sussidiarietà orizzontale21.
Un ulteriore momento saliente delle riforme del 2019 è costituito dalla l.r. 13 che interviene, questa volta modificando il testo della legge organica in materia di assistenza sociale (oltre che di quella sugli asili nido), proprio in riferimento alla famiglia22. In particolare, la novella normativa promuove la creazione di reti di solidarietà e l’individuazione di nuclei di disagio, delinea politiche intersettoriali per favorire le nuove famiglie, la genitorialità, la natalità, anche attraverso la conciliazione dei tempi, valorizza i Centri per le famiglie specificandone le funzioni e prevede una Consulta regionale presso l’Assessorato competente.
L’ultimo (non in ordine cronologico) tassello del mosaico è costituito proprio dalla legge 16, istitutiva del Fattore famiglia, sulla quale si tornerà nel paragrafo successivo23, non senza prima richiamare, condividendola, l’opinione di chi ritiene che la stagione di riforme appena conclusa, pur in parte indotta dall’obiettivo di adeguare la normativa regionale alle innovazioni introdotte in ambito statale, abbia saputo “calare” tali riforme e «adattarle al contesto piemontese, valorizzando le specificità e meglio rispondendo alle necessità del territorio», incentivando al suo interno la coesione e il sentimento di appartenenza24.
3. La determinazione della compartecipazione alle prestazioni sociali fra Stato e Regioni.
La normativa piemontese presa in esame dalla Consulta s’inserisce quindi in un più ampio contesto di riforma delle politiche sociali che, pur ponendosi in linea di continuità con le scelte compiute dalla Regione sin dall’indomani della revisione, denota la volontà di adeguarsi alle più recenti istanze emerse in materia.
Rimanendo nell’ambito dell’assistenza sociale e ripercorrendo rapidamente le vicende relative alla definizione dei parametri economici che consentono anche agli enti territoriali di modulare l’accesso ai servizi, occorre fare riferimento al d.lgs. 109/1998, secondo cui la valutazione delle condizioni economiche dei richiedenti doveva avvenire tramite l’applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente e di altri strumenti con cui gli enti erogatori potevano «prevedere criteri differenziati in base alle condizioni economiche e alla composizione della famiglia» (art. 1)25. La l. 328/2000 non è intervenuta su questo aspetto se non per rinviare a tale decreto (art. 25), sulla base delle cui disposizioni talune Regioni si sono attivate introducendo propri strumenti di valutazione.
Nel 2011, come la Consulta ricorda, il d.l. 201 ha demandato a un D.P.C.M. la modifica di alcuni aspetti dell’ISEE. Impugnato dalla Regione Veneto, il decreto è incorso nella dichiarazione d’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva il coinvolgimento delle Regioni nel procedimento di adozione di tale atto. Pur costituendo infatti esercizio della competenza statale relativa alla fissazione dei LEP, la determinazione dell’ISEE incide significativamente nella sfera di attribuzioni regionali in materia di servizi sociali, rendendo così necessario il ricorso agli istituti di leale collaborazione26.
Nel 2013 è stato quindi approvato il decreto di riforma27 ai sensi del quale l’ISEE costituisce lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica dei richiedenti i servizi, nonché un livello essenziale ai fini dell’accesso alle prestazioni e della determinazione della compartecipazione al costo delle stesse. Come già anticipato, non è escluso che, per determinate prestazioni e nel rispetto della normativa regionale, gli enti erogatori gli possano affiancare altri parametri di selezione degli aventi diritto, fermo restando il suo utilizzo nella valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare (art. 2).
Sul fronte regionale, le aperture sulla possibilità di fissare criteri ulteriori, previste dal d.lgs. 109/1998 prima e dal D.P.C.M. 159/2013 poi, hanno visto le Regioni attivarsi sia approvando disposizioni di carattere generico, che alludevano all’opportunità di considerare elementi ulteriori, sia con previsioni di carattere più puntuale, che hanno portato all’introduzione di veri e propri strumenti di valutazione integrativi di quello statale.
A proposito del primo tipo e rimanendo in Piemonte, l’art. 40 della legge sull’assistenza sociale stabilisce che «La compartecipazione degli utenti ai costi si applica ai servizi ed alle prestazioni sociali richieste prevedendo la valutazione della situazione economica del richiedente, con riferimento al suo nucleo familiare, attraverso il calcolo degli indicatori della situazione economica equivalente o attraverso altri strumenti individuati dalla Regione» (c. 1), per poi specificare che «Gli enti gestori istituzionali, con riferimento alla valutazione della situazione economica del beneficiario del servizio, determinano l’entità della compartecipazione ai costi sulla base dei criteri di valutazione determinati dalla Giunta regionale con proprio provvedimento…». La legge rinvia quindi a un successivo provvedimento dell’esecutivo, sul quale precisa che «La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, adotta linee guida atte ad assicurare una omogenea applicazione nel territorio regionale degli indicatori di cui al comma 1, anche in considerazione di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 (…), così come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130» (c. 5).
Estendendo lo sguardo oltre i “confini” piemontesi, nel determinare la compartecipazione degli utenti altre Regioni, le cui previsioni non sempre sono state attuate, fanno specifico riferimento all’opportunità di tutelare i nuclei familiari: così l’Emilia-Romagna, che menziona le famiglie numerose, il Lazio, che cita il quoziente familiare, la Toscana, che impone la considerazione della composizione e delle caratteristiche del nucleo familiare, con particolare riferimento alla presenza di disabilità28.
Proprio in Toscana, si possono ricordare ancora la legge finanziaria del 2012, che concedeva «[al]la Regione, per quanto attiene i servizi sanitari e socio-sanitari e gli enti locali, erogatori dei servizi» la facoltà di determinare le fasce di reddito in relazione ai valori ISEE e definire le misure di contribuzione o agevolazione29 e la nota vicenda, originata invece da una previsione di carattere puntuale, che ha dato origine alla sent. 296/2012. In tale occasione la Regione, che nel 2008 era intervenuta in materia di servizi per la non autosufficienza, prevedendo che la quota di compartecipazione dovuta dalla persona assistita ultrasessantacinquenne fosse calcolata tenendo conto altresì della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado, era incappata in un giudizio di costituzionalità il cui parametro era costituito dall’art. 117, c. 2, lett. m), in riferimento, in particolare, all’art. 3, c. 2ter del d.lgs. 109/199830.
La Corte aveva assolto la legge regionale ritenendo che la disposizione statale sopracitata non costituiva un livello essenziale e, fra le altre cose, aveva specificato che le Regioni, a fronte della mancata fissazione dei LIVEAS da parte dello Stato e della scarsità delle risorse disponibili, cercavano anzi di garantire prestazioni adeguate alla categoria dei soggetti non autosufficienti31. La soluzione della Consulta, influenzata dal fatto che la normativa toscana fosse antecedente al D.P.C.M. 159/2013, che, come già ricordato, dichiara l’ISEE livello essenziale anche ai fini della determinazione della compartecipazione, non ha mancato di suscitare i rilievi di chi riteneva che la sua interpretazione spianasse la strada alla prescrizione di ulteriori restrizioni regionali32, con il rischio di acuire le differenze fra i territori33, e di chi rilevava come nel bilanciamento fra autonomia e diritti, la Consulta tendesse a dare un’interpretazione estensiva dei LEP (assecondando la legislazione statale) quando questo comportava il sacrificio delle competenze regionali e una lettura più restrittiva quando si trattava invece di tutelare i diritti degli individui34.
Come sottolineato dalla stessa difesa regionale piemontese, il più diretto corrispondente dell’istituto sottoposto all’esame della Consulta nella decisione in commento è rappresentato dal già rodato esempio del Fattore famiglia, previsto nella vicina Lombardia «quale specifico strumento integrativo per la definizione delle condizioni economiche e sociali che consentono alla famiglia di accedere alle prestazioni erogate da Regione Lombardia, nonché alle prestazioni erogate dai comuni per interventi e finanziamenti di Regione Lombardia»35.
La nuova norma, che, in sintonia con quanto disposto dalla legge organica sull’assistenza sociale36,istituzionalizza in realtà una prassi già sperimentata negli anni precedenti, si inserisce nel solco delle politiche portate avanti, soprattutto nell’ultimo decennio, dalla Lombardia per agevolare la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, con particolare riguardo a quelle numerose37, confermando così, anche in questo caso, il perseguimento da parte della Regione di un disegno complessivo unitario.
Il Fattore famiglia integra l’ISEE in modo che il calcolo dei punteggi per accedere alle prestazioni di welfare tenga in considerazione, fra gli altri parametri, il numero dei figli, la loro età e la presenza nel nucleo familiare di situazioni meritevoli di particolare attenzione come donne in stato di gravidanza, anziani, disabili. I settori coinvolti dalle nuove modalità di calcolo sono ampi e quasi analoghi a quelli previsti in Piemonte, in quanto includono, «tenendo conto delle diverse modalità di erogazione delle prestazioni», l’ambito sociale e la quota a valenza sociale delle prestazioni sociosanitarie, il sostegno per l’accesso all’abitazione principale, ad eccezione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, i servizi scolastici e di formazione anche per favorire la libertà di scelta educativa, il trasporto pubblico locale e i servizi al lavoro.
Da un raffronto fra la legge piemontese e quella lombarda emerge che entrambi gli aspetti per cui la prima è stata sottoposta al sindacato di costituzionalità si ritrovano anche nella seconda: anche questa infatti delega alla Giunta regionale la puntuale definizione dei parametri, accompagnata dall’elencazione dei criteri da rispettare e prevede ambiti di applicazione sostanzialmente coincidenti, salva la specificazione che le prestazioni sanitarie rilevano solo per la quota a valenza sociale. Forse è proprio tale differenza testuale ad aver preservato la legge lombarda dall’impugnazione oppure hanno contribuito ragioni di altra natura.
4. Due parole di conclusione.
La lettura della sent. 91 rivela che se sui profili sanitari la Consulta ha fatto un piccolo sforzo, fornendo un’interpretazione costituzionalmente orientata a una disposizione che avrebbe forse potuto caducare, sull’applicazione del Fattore famiglia alle prestazioni sociali essa si è limitata invece a riconoscere l’esercizio di una competenza pacificamente attribuita alle Regioni38 e sulla quale la scelta piemontese risulta in linea con quella di altri enti che, soprattutto dopo la crisi economica iniziata nello scorso decennio e nella mancanza di indicazioni di carattere sistemico da parte dello Stato, sono intervenuti a sostegno dei nuclei familiari, in forme diversificate ma con particolare attenzione alle situazioni di criticità, contraddistinguendosi anche per le iniziative di sostegno alla povertà39. Come la stessa Corte sottolinea, il nuovo indicatore sintetico della situazione reddituale introdotto dalla legge piemontese, «integrativo di ogni altro, rappresentando le condizioni economiche reali dei nuclei familiari, favorisce quelli con carichi maggiori, in considerazione del numero di figli minorenni, di disabili non autosufficienti o di anziani».
La Regione sembra del resto intenzionata a proseguire nel cammino avviato dalla legge: pochi giorni dopo la sentenza in commento, è stato approvato un ODG che impegna la Giunta regionale ad adempiere alle prescrizioni normative, istituendo l’Osservatorio per l’attuazione del Fattore famiglia (previsto all’art. 5) e «implementando la dotazione delle misure medesime attingendo ai Fondi Strutturali europei nel frattempo entrati in vigore»40.
Se antecedentemente all’inserimento della compartecipazione fra i livelli essenziali di assistenza il margine di scelta riconosciuto alle Regioni poteva includere la possibilità di accentuare leggermente la pressione sugli utenti, come emerso in occasione della sent. 296/2012, oggi anche tale rischio sembra essersi diradato e gli enti infrastatuali, forti di una conoscenza dei bisogni dei territori più capillare di quella dello Stato, paiono nella condizione di poter esercitare le proprie prerogative soprattutto al fine di agevolare – pur “facendo i conti” con le risorse disponibili41 – i loro cittadini, continuando così a meritare quell’appellativo di veri e propri «ammortizzatori sociali» riconosciuto loro più volte nell’ultimo decennio42.
1 Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico, Università degli Studi di Torino.
2 L. 24 dicembre 1993, n. 537, Interventi correttivi di finanza pubblica, il cui art. 8, c. 15 impone a tutti i cittadini il pagamento delle prestazioni specialistiche ambulatoriali fino a un tetto massimo per ricetta, con assunzione a carico del Servizio sanitario nazionale degli importi eccedenti tale limite; d.l. 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, nella l. 15 luglio 2011, n. 111, il cui art. 17, c. 6, impone l’applicazione dell’art. 1, c. 796, lett. p) e p-bis), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), in base al quale è previsto, riprendendo le parole della Corte, «per i non esenti, il pagamento di un’ulteriore quota fissa sulla ricetta, pari a euro 10 (cosiddetto “super ticket”), ma è altresì consentito alle Regioni di adottare misure alternative che assicurino il medesimo gettito».
3 V. anche infra, par. 3.
4 L. Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Sulle novità introdotte dalla legge, ex plurimis, Poggi A. (2014), I diritti delle persone. Lo stato sociale come Repubblica dei diritti e dei doveri, Torino, Mondadori, pp. 81, ss..
5 Sul punto v. amplius Vivaldi E. (2008), Regioni e servizi sociali, Torino, Giappichelli, pp. 145, ss..
6 Lo sostengono, in riferimento a singoli aspetti, Angeletti S. (2017), Le politiche sociali nello Statuto della Regione Umbria, in Volpi M., F. Clementi F. (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Umbria, Torino, Giappichelli, p. 375; Redi C. (2015), Salute, assistenza sociale, benessere delle persone, in Carrozza P., Romboli R., Rossi E. (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Toscana, Torino, Giappichelli, p. 308; Leotta F. (2012), in Ruggeri A., Verde G. (a cura di), Le potestà di normazione: le potestà legislative, in Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Sicilia, Torino, Giappichelli, p. 180.
7 L.r. Piemonte 8 gennaio 2004, n. 1, Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento.
8 Poggi A. (2018), I servizi sociali, in Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, in Dogliani M., Luther J., Poggi A. (a cura di), Torino, Giappichelli, p. 162.L.r. Piemonte 8 gennaio 2004, n. 1, Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento.
9 Corte cost. sent. 153/2006.
10 L.r. Piemonte 30 dicembre 2009, n. 37, Norme per il sostegno dei genitori separati e divorziati in situazione di difficoltà; l.r. 18 febbraio 2010, n. 10, Servizi domiciliari per persone non autosufficienti; l.r. 30 luglio 2012, n. 9, Disposizioni per la promozione del riconoscimento della lingua dei segni italiana e per la piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva.
11 L.r. Piemonte 24 febbraio 2016, n. 4, Interventi di prevenzione e contrasto della violenza di genere e per il sostegno alle donne vittime di violenza ed ai loro figli, in cui a seguito di una modifica del 2017 viene prevista anche l’ipotesi di abuso sessuale online nei confronti di minori.
12 L.r. Piemonte 23 marzo 2016, n. 5, Norme di attuazione del divieto di ogni forma di discriminazione e della parità di trattamento nelle materie di competenza regionale.
13 L.r. Piemonte 16 maggio 2016, n. 10, Attuazione dell’articolo 118, comma quarto, della Costituzione: norme per la promozione della cittadinanza umanitaria attiva con la quale s’intende «l’effettiva partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali alle politiche di governo della cosa pubblica, nonché una proficua collaborazione fra cittadini e pubblica amministrazione per una organizzazione solidale della comunità», art. 2.
14 D.G.R. 19 ottobre 2015, n. 38-2292, Approvazione del “Il Patto per il sociale della Regione Piemonte 2015-2017. Un percorso politico partecipato”.
15 D.G.R. 22 maggio 2017, n. 22-5076; Position Paper Coniugare coesione sociale, welfare e sviluppo economico in una prospettiva locale ed europea, settembre 2016, in https://www.regione.piemonte.it/web/ ; le Decisioni della Commissione C(2014) 9914 del 12.12.2014, C(2015) 922 del 12.2.2015 e successive modifiche e, amplius, Buzzacchi C. (2018),Coesione, welfareinnovativo e risorse europee: la politica sociale della Regione Piemonte, in Diritti regionali, n. 3.
16 Lo Stato è intervenuto con la l. 29 maggio 2017, n. 71, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo; il Piemonte con L.r. 5 febbraio 2018, n. 2, Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo.
17 L.r. Piemonte 12 febbraio 2019, n. 3, Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità, su cui Bellomo E. (2020), Tra abbattimento di barriere culturali e costruzione di un nuovo approccio multisettoriale dei diritti a favore delle persone con disabilità. Un primo commento alla l.r. 3/2019 “Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità”, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 1, sottolinea l’opportunità che le azioni previste siano sostenute da un aumento delle risorse finanziarie.
18 L.r. Piemonte 1 marzo 2019, n. 6, Nuove norme in materia di politiche giovanili. La norma demanda la propria attuazione a un regolamento, da adottarsi entro un anno, che, complice forse la cessazione della legislatura, non è ancora stato approvato. Parte dei contenuti della legge riprendono peraltro, in versione più moderna e ampliata, quanto previsto dalla previgente l.r. 13 febbraio 1995, n. 16, Coordinamento e sostegno delle attività a favore dei giovani.
19 L.r. Piemonte 1/2004, artt. 49, 50.
20 L.r. Piemonte 9 aprile 2019, n. 17, Promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo.
21 Così Fusco A., Le rilevanti peculiarità del Testo Unico in materia di cultura della Regione Piemonte, in corso di pubblicazione in Le Regioni, Osservatorio a commento della l.r. Piemonte 1 agosto 2018, n. 11, Disposizioni coordinate in materia di cultura.
22 L.r. Piemonte 5 aprile 2019, n. 13, Disposizioni in materia di promozione e valorizzazione della famiglia e della genitorialità in ambito regionale. Modifiche alle leggi regionali 8 gennaio 2004, n. 1 (…) e 15 gennaio 1973, n. 3 (…).
23 La rassegna compiuta nel testo si è limitata alle leggi approvate nel quinquennio 2014-2019 relative alle singole politiche sociali. In materia di organizzazione dei servizi sono intervenuti anche altri atti normativi fra cui la l.r. Piemonte 2 agosto 2017, n. 12, Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e la l.r. 13 aprile 2015, n. 7, Norme per la realizzazione del servizio civile nella Regione Piemonte.
24 Bertolino C. (2019), Un bilancio della X Legislatura piemontese e un auspicio per la nuova, in II Piemonte delle Autonomie, n. 2.
25 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
26 Corte cost. sent. 297/2012, che aveva ad oggetto il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante…
27 D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
28 L.r. Emilia-Romagna 12 marzo 2003, n. 2, Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, art. 49; l.r. Lazio 10 agosto 2016, n. 11, Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio, art. 65; l.r. Toscana 24 febbraio 2005, n. 41, Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, art. 47. Sulle modalità di applicazione dell’ISEE prima e subito dopo l’approvazione del D.P.C.M. 159/2013 in Emilia-Romagna v. amplius Sgaragli G. (2016), Il sistema di welfare in Emilia-Romagna e l’applicazione delle norme in materia di ISEE, in Sanità pubblica e privata, n. 1, pp. 54, ss..
29 L.r. Toscana 27 dicembre 2011, Legge finanziaria per l’anno 2012, n. 66, art. 108.
30 Benché il d.lgs. 109/1998 prevedesse in via generale che la compartecipazione al costo delle prestazioni sociali si determinasse guardando alla situazione dell’intero nucleo familiare, per alcune categorie di soggetti, fra cui gli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, l’art. 3, c. 2ter, imponeva di attenersi a un successivo D.P.C.M, mai emanato, che mirasse a «evidenziare la situazione economica del solo assistito».
31 Corte cost. sent. 296/2012. Oggetto d’impugnazione è, in particolare, la l.r. Toscana 18 dicembre 2008, n. 66, Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza, nella parte in cui dispone quanto esposto nel testo in riferimento a prestazioni di tipo residenziale a favore di persone disabili. Sulla pronuncia v. le osservazioni di Venturi A., Corvetta G. (2013), Regioni e servizi sociali: la Consulta legittima i modelli regionali fondati sulla partecipazione degli utenti (ma non solo) al costo delle prestazioni (nota a margine di Corte costituzionale nn. 296 e 297 del 2012), in Le Regioni, pp. 451-455. Paventa le conseguenze negative che sarebbero derivate a molte famiglie dall’applicazione della sentenzaSantanera F. (2013),Le devastanti conseguenze della sentenza della Corte costituzionale n. 296/2012 sulle contribuzioni economiche, in Dir. famiglia, pp. 741, ss,asserendo che il caso de quo, avendo ad oggetto una persona malata di SLA, avrebbe dovuto essere ascritto nella sfera del diritto alla salute anziché di quello all’assistenza sociale.
32 Tega D. (2014), Welfare e crisi davanti alla Corte costituzionale, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, p. 314.
33 Candido A. (2012), LIVEAS o non LIVEAS. Il diritto all’assistenza e la riforma dell’ISEE in due pronunce discordanti, in Giurisprudenza Costituzionale, pp. 4615, ss..
34 M. Belletti (2013), Le Regioni «figlie di un Dio minore». L’impossibilità per le Regioni sottoposte a Piano di rientro di implementare i livelli essenziali delle prestazioni, in Le Regioni, pp. 1087, s, che legge tale tendenza alla luce dell’obiettivo di ridurre la spesa pubblica.
35 L.r. Lombardia 27 marzo 2017, n. 10, Norme integrative per la valutazione della posizione economica equivalente delle famiglie – Istituzione del fattore famiglia lombardo), art. 1, c. 1.
36 L.r. Lombardia 12 marzo 2008, n. 3, Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale, il cui art. 8, più volte modificato, nella versione attuale ai primi due commi recita «L’accesso alla rete delle unità d’offerta sociosanitarie prevede la compartecipazione al costo delle prestazioni, per la parte non a carico del fondo sanitario regionale, nel rispetto della disciplina statale inerente i livelli essenziali di assistenza, secondo modalità e criteri stabiliti dalla Giunta regionale. L’accesso agevolato alle prestazioni sociosanitarie e sociali e il relativo livello di compartecipazione al costo delle medesime è stabilito dai comuni nel rispetto della disciplina statale sull’indicatore della situazione economica equivalente e dei criteri ulteriori, che tengano conto del bisogno assistenziale, stabiliti con deliberazione della Giunta regionale».
37 Sulle politiche sociali della Regione Lombardia nella X legislatura (2013-2018) v. amplius Ceffa C.B. (2018), Legislazione e politiche in materia socio-assistenziale nell’esperienza di Regione Lombardia: stato dell’arte e prospettive di sviluppo, in www.polis.lombardia.it, che dedica particolare attenzione alle iniziative concernenti la famiglia.
38 La Corte specifica ancora che «In sostanza la norma regionale impugnata non è altro che la necessaria proiezione nel programma e nel bilancio dell’ente territoriale delle modalità e dei costi di erogazione dei servizi».
39 Sul punto, ex plurimis, Biondi Dal Monte F., Casamassima V. (2014), Le Regioni e i servizi sociali a tredici anni dalla riforma del Titolo V, in Le Regioni, pp. 1070, ss; Violini L. (2018), I dilemmi irrisolti delle politiche di contrasto alla povertà. Solo centralismo?, in Le Regioni, p. 365; Ceffa C.B. (2019), Disuguaglianze e fragilità nel welfare che cambia. Il ruolo e le risposte della legislazione regionale davanti alle nuove sfide sociali, in Diritti regionali, n. 2, p. 15.
40 ODG n. 273 presentato il 19 maggio 2020 e approvato il 16.06.2020, in http://www.cr.piemonte.it/mzodgfo/legislatura/11/atto/273/.
41 Sulle criticità della situazione economica del Piemonte, soprattutto se paragonata a quella di altre Regioni del Nord, Piperno S. (2019), Sviluppo regionale e istituzioni in Piemonte: spunti di riflessione, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 3, p. 3, che attribuisce la riduzione della spesa nei servizi sanitari e socio-sanitari ai vincoli derivanti dalla sottoposizione fino al 2017 al piano di rientro.
42 Ex plurimis Mangiameli S. (2013), Crisi economica e distribuzione territoriale del potere politico. Relazione al XXVIII Convegno annuale dell’AIC, in Rivista AIC, n. 4, p. 29.