La retribuzione delle mansioni superiori nel pubblico impiego ai tempi della crisi
Chiara Spada[1]
1. Il pubblico impiego e il contenimento della spesa pubblica.
Con la sentenza n. 108/2016, la Corte Costituzionale si pronuncia sull’impatto dello ius superveniens su un contratto di pubblico impiego in essere, alla luce del principio di tutela dell’affidamento.
Occorre da subito rilevare come la pronuncia avrebbe potuto avere una portata ben più ampia, poiché tali erano le questioni sollevate dal giudice a quo (Tribunale di Torino).
La fattispecie all’esame della Corte riguarda, infatti, il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, c. 44 e 45, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013), i quali prevedono, per gli assistenti amministrativi del comparto Scuola incaricati – ai sensi dell’art. 52, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – di svolgere le mansioni superiori di direttore dei servizi generali e amministrativi, la liquidazione del compenso per tale incarico in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dall’assistente amministrativo incaricato, dunque con riduzione – o sinanco azzeramento – del relativo compenso tutte le volte in cui l’interessato abbia una significativa anzianità di servizio, cui può essere correlata una retribuzione anche superiore a quella spettante a un neo assunto direttore[2].
Detta previsione sostituisce il previgente criterio, che viceversa imponeva la determinazione del corrispettivo per mansioni superiori in ogni caso in misura pari alla differenza di retribuzione tra direttore dei servizi generali e amministrativi e assistente amministrativo entrambi a livello iniziale.
Sono le ben note esigenze di contenimento della spesa pubblica a giustificare una riduzione siffatta, esigenze sempre più sentite in questi anni di crisi economica, ove anche a livello costituzionale è fissato l’obiettivo del c.d. pareggio di bilancio (art. 81, c. 1, e art. 97, c. 1, Cost.)[3].
Essa si inserisce, appunto, nell’approccio che a partire dal 2009 ha portato il legislatore ad intervenire sulle variabili che determinavano l’andamento della spesa nel settore del pubblico impiego, ossia il numero dei dipendenti[4], la contrattazione collettiva e integrativa, gli automatismi stipendiali, le progressioni economiche e gli avanzamenti di carriera[5].
Il fenomeno non è solamente nazionale, bensì investe anche gli altri paesi europei, con una curva delle misure di contenimento della spesa per il lavoro pubblico che cresce in maniera progressiva all’incidenza della crisi economica[6].
Non è chiaro se la via intrapresa comporti dei miglioramenti nel settore, poiché se da un lato viene rilevato come la spesa per il lavoro pubblico negli ultimi anni sia diminuita in maniera superiore alle aspettative – ferma restando la differenza tra misure che comportano risparmi meramente temporanei e quelle che, invece, ne assicurano la stabilità – dall’altro si sottolinea come l’efficacia e l’efficienza della pubblica amministrazione italiana appaiano spesso al di sotto degli standard europei[7], anche in ragione di una media anagrafica del 50% dei dipendenti pubblici superiore ai 50 anni, nonché dell’aumento dei carichi di lavoro portati dal blocco delle assunzioni dell’ultimo decennio[8].
2. La retribuzione delle mansioni superiori nel pubblico impiego.
Come noto, nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, la qualifica presuppone atti formali di inquadramento – emanati a seguito del superamento di un pubblico concorso[9] o negli altri casi previsti dalla legge – e non può desumersi dalla natura dei compiti assegnati o da atti diversi da quelli prescritti dalla legge per il conferimento della qualifica stessa (d.lgs. n. 165 del 2001, art. 52, c. 1)[10].
La stessa retribuibilità delle c.d. “mansioni superiori” è, in realtà, una previsione di recente introduzione, che ha trovato collocazione nella seconda fase della contrattualizzazione del pubblico impiego (c.d. riforme Bassanini, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), coerentemente con un indirizzo di fondo che coglieva nell’incentivo economico un’importante leva motivazionale dei dipendenti pubblici, secondo un’evoluzione che per le qualifiche di più alto livello ha portato a trattamenti retributivi che non conoscono equivalenti nei paesi OCSE[11].
Sino a tempi recenti l’esercizio di mansioni superiori alla qualifica posseduta era assolutamente irrilevante: la giurisprudenza aveva escluso l’immediata applicabilità nei confronti degli impiegati pubblici del diritto costituzionale a una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro» prestato(art. 36 Cost.[12]), ritenendo prevalente la tutela del buon andamento della p.a. (art. 97, co. 2, Cost.), che osta ad aumenti delle retribuzioni dovute a disfunzioni organizzative. Si argomentava, infatti, che l’art. 36 Cost. non potesse trovare applicazione incondizionata nei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione in quanto, in tale ambito, concorrono altri principi di rilevanza costituzionale quali quelli di cui, appunto, agli artt. 97 e 98 Cost.[13].
Sul punto, anche la Corte costituzionale, pur non riconoscendo in astratto un’incompatibilità tra i principi costituzionali sopra menzionati e la retribuzione per lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, ha in passato dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità sollevata nei confronti di una norma che neghi detta retribuzione qualora giustificata da esigenze eccezionali di garantire il buon andamento dell’amministrazione[14]. Dunque, la deroga ai diritti costituzionali sanciti per tutti i lavoratori dall’art. 36 Cost. non è ammissibile tout court, ma solo ove superi il vaglio di ragionevolezza.
Si afferma, inoltre, che per ottenere un aumento della retribuzione in ragione delle mansioni superiori svolte non possa invocarsi l’azione di indebito arricchimento (art. 2041 c.c.), non solo per la natura sussidiaria di essa, bensì anche per la mancanza di un depauperamento in capo al dipendente pubblico, atteso che – come noto – tale azione consente a chi abbia arrecato ad altri un arricchimento privo di giustificazione di ottenere il riconoscimento della differenza tra la locupletazione altrui e il depauperamento subito[15].
Il principio dell’irrilevanza dello svolgimento di fatto da parte del dipendente pubblico di mansioni superiori a quelle relative al proprio inquadramento non impedisce che il prestatore di lavoro sia eccezionalmente adibito alle mansioni della qualifica immediatamente superiore – con riconoscimento del relativo trattamento economico – qualora si verifichi un’ipotesi di vacanza del posto in organico (per non più di sei mesi), o, ancora, in caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto (d.lgs. n. 165 del 2001 art. 52, c. 2).
Proprio da quest’ultima evenienza origina la controversia giunta davanti alla Corte Costituzionale, ove – come si è anticipato – il legislatore è specificamente intervenuto sulla misura del compenso spettante agli assistenti amministrativi della scuola eccezionalmente adibiti all’esercizio delle mansioni del direttore dei servizi amministrativi, determinando una significativa riduzione dei corrispettivi.
3. La tutela dell’affidamento e il factum principis nella giurisprudenza costituzionale.
Vari i profili dei quali il Tribunale di Torino ha dubitato della legittimità costituzionale.
Innanzitutto, si è rilevata la mancanza di ragionevolezza[16] (art. 3 Cost.) di una previsione che correli – seppur indirettamente – la riduzione del compenso per le mansioni superiori alla progressione dell’anzianità di servizio – e quindi a quella economica – del dipendente.
Si è rinvenuto, poi, un contrasto con il principio di non discriminazione[17], nella specie in ragione dell’età, poiché risultano indirettamente penalizzati coloro che abbiano maturato una significativa anzianità di servizio, il che ovviamente presuppone una più o meno elevata anzianità anagrafica (Dir. 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000).
La Corte Costituzionale ha analizzato, tuttavia, unicamente la censura relativa alla violazione del principio dell’affidamento (art. 3 Cost.)[18], ritenendola assorbente.
Nella pronuncia si afferma, infatti, che tale principio trova tutela ogniqualvolta il legislatore intervenga modificando la disciplina di un rapporto contrattuale[19]. Nello specifico, la legge n. 228 del 2012 prevede che la nuova disciplina del compenso per l’esercizio delle mansioni superiori da parte degli assistenti amministrativi si applichi anche ai contratti già stipulati per l’anno in corso e, quindi, retroattivamente.
Proprio questo aspetto interessa i giudici costituzionali, i quali, pur ribadendo l’orientamento che non rinviene nel contratto un limite alla retroattività di una disposizione normativa[20], evidenziano come non sia possibile negare un “nesso eziologico” tra l’accettazione delle mansioni superiori e il compenso superiore pattuito, cui consegue la meritevolezza di tutela dell’affidamento del singolo.
Inoltre, con un ragionamento che porta alla mente la nota teoria dei c.d. diritti acquisiti[21], si nega che l’esigenza di contenimento della spesa pubblica addotta dal legislatore possa giustificare il sacrificio del diritto sorto in capo al contraente con la stipula dell’accordo, in quanto la stima dei risparmi ottenibili non è evidente poiché le situazioni in capo a coloro che potrebbero esercitare le mansioni superiori sono eterogenee[22]. In questo senso il sacrificio imposto al titolare del diritto sorto dal contratto stipulato con l’amministrazione non appare proporzionato rispetto all’interesse pubblico perseguito, nella specie, appunto, del contenimento della spesa[23].
La scelta della Corte Costituzionale di ritenere assorbite le ulteriori censure sollevate dal giudice a quo sulla previsione normativa in oggetto – della quale viene dichiarata l’illegittimità costituzionale unicamente «nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i contratti di conferimento delle mansioni superiori di direttore dei servizi generali ed amministrativi stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore» – lascia aperti degli interrogativi.
Soffermandosi unicamente sui profili di diritto intertemporale, infatti, la Corte Costituzionale sembra avallare la scelta operata dal legislatore di utilizzare, per il computo del corrispettivo dovuto per l’esercizio delle mansioni superiori, parametri disomogenei[24]. Se, infatti, la previsione legislativa non può produrre effetti per il passato poiché la Corte ritiene preminente l’affidamento ormai sorto nel dipendente pubblico, lo stesso non può dirsi per i contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore. Per essi, dunque, pare ritenersi legittimo un calcolo della retribuzione dovuta per l’esercizio delle mansioni superiori che comporti la penalizzazione dei lavoratori con una maggiore anzianità di servizio, i quali vedono, per ciò solo, decrescere proporzionalmente alla loro anzianità di servizio la c.d. indennità di funzioni superiori.
Non sfugge, poi, che tale ragionamento comporta da un lato un arretramento della tutela del dipendente pubblico adibito a mansioni superiori, nonché un vulnus al buon andamento dell’amministrazione, aggravato dal blocco delle assunzioni, in quanto difficilmente i lavoratori con una maggiore anzianità di servizio (e di esperienza) saranno disponibili ad esercitare funzioni non retribuite.
Nulla di più lontano dall’impostazione che rinviene una razionalizzazione della spesa pubblica non nel blocco delle assunzioni e nei tagli c.d. lineari, bensì in procedure concorsuali volte all’individuazione in maniera efficiente ed imparziale delle professionalità necessarie alle organizzazioni, così da trasformare una crisi economica in un’occasione di rinnovamento di una pubblica amministrazione che – come già ricordato – è anziana e sottodiplomata[25].
Alla luce di tale statuizione, sembra tornare attuale la via inizialmente scartata dal giudice remittente, ossia quella di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia affinché essa valuti la compatibilità della norma in oggetto con il principio di non discriminazione in ragione dell’età[26].
[1]Collaboratrice alla cattedra di Diritto amministrativo del prof. Cavallo Perin, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.
[2]L. n. 228 del 2012, art. 1, c. 44 e 45: «A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, l’articolo 1, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, trova applicazione anche nel caso degli assistenti amministrativi incaricati di svolgere mansioni superiori per l’intero anno scolastico ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la copertura di posti vacanti o disponibili di direttore dei servizi generali e amministrativi. 45. La liquidazione del compenso per l’incarico di cui al comma 44 è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dall’assistente amministrativo incaricato».
[3]Sul contenimento della spesa pubblica nel pubblico impiego: B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, Napoli, 2012, 265 ss.; Cfr. anche: A. Brancasi, L’introduzione del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della Costituzione, in Quad. cost., 2012, 108 ss.; D. Cabras, L’introduzione del c.d. pareggio di bilancio: una regola importante per la stabilizzazione della finanza pubblica, ivi, 111 ss.; R. Dickmann, Le regole della governance economica europea e il pareggio di bilancio in Costituzione, in www.federalismi.it, 2012.
[4]D.l. 25 giugno 2008, n. 112, art. 66, c. 3, 7 e 9, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133; d.l. 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, c. 7, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica, conv. con mod. in l. 30 luglio 2010, n. 122; d.l. 6 luglio 2012, n. 95, art. 14, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, conv. con mod. in l. 7 agosto 2012, n. 135; l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, c. 460 (Legge di stabilità 2014); d.l. 24 giugno 2014, n. 90, art. 3, c. 1, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, conv. con mod. in l. 11 agosto 2014, n. 114; Da ultimo: l. 38 dicembre 2015, n. 208, art. 1, c. 227 (Legge di stabilità 2016) che ha comportato un ulteriore inasprimento delle misure relative alla limitazione delle assunzioni che, per il triennio 2016-2018, sono consentite nei limiti di una spesa pari ad un quarto di quella sostenuta per il personale cessato nell’anno precedente.
[5]D.l. 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, cit. Si veda anche Corte Cost., 8 ottobre 2012, n. 223, la quale ha dichiarato non conformi agli artt. 3 e 53 Cost. alcune previsioni del d.l. n. 78 del 2010, cit., art. 9, c. 2 e 22 nella parte in cui prevedevano il blocco degli adeguamenti retributivi spettanti al personale della magistratura e un taglio all’indennità giudiziaria. Un’inversione di tendenza viene attuata dalla l. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, c. 254, 255 e 256 (Legge di stabilità 2015), con la quale vengono prorogate solo alcune delle misure originariamente recate dal d.l. n. 78 del 2010, cit., prevedendo un ulteriore anno di rinvio della contrattazione collettiva e dell’applicazione di automatismi stipendiali per le categorie non contrattualizzate. Sul punto è intervenuta Corte Cost., 24 giugno 2015, n. 179 dichiarando l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del rinvio della contrattazione collettiva, in quanto il complessivo quadro normativo, derivante da reiterate estensioni temporali della normaoriginariamente contenuta nel d.l. n. 78 del 2010, cit., evidenziava una tendenza a rendere strutturale il rinvio delle procedure negoziali, venendo in tal modo a porsi in contrasto con il principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, c. 1, Cost. Si veda da ultimo: l. n. 208 del 2015, art. 1, c. 466 (Legge di stabilità 2016) la quale stanzia per il rinnovo dei contratti relativi al triennio 2016-2019 risorse per 300 milioni.
[6]Per una comparazione tra i vari paesi: Corte dei Conti, Sezioni riunite di controllo, Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico, Roma, 2016, 34 ss.
[7]Commissione europea, Country report Italy, Bruxelles, 2016, 72 ss.
[8]Corte dei Conti, Sezioni riunite di controllo, Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico, cit., 100 ss.
[9] In tutti i moderni stati di diritto il concorso si è affermato sin dal XIX secolo quale strumento utile ad una maggiore professionalizzazione della pubblica amministrazione. La scelta meritocratica svincola il giudizio da ogni considerazione personale, politica o sociale, garantendo, in questo modo, che i dipendenti pubblici siano «al servizio esclusivo della Nazione» (art. 98 Cost.). Fra molti: R. Cavallo Perin, Le ragioni di un diritto ineguale e le peculiarità del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, in Diritto amministrativo, 2003, 119-132; B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, cit., 146 ss.
[10]D.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 52 «Disciplina delle mansioni. 1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione. 1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore. 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico; per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza. 3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. 4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti. 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. 6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore».
[11]OECD (2013), Government at a Glance 2013, OECD Publishing, doi: 10.1787/gov_glance-2013-en, 107; R. Cavallo Perin – B. Gagliardi, La dirigenza pubblica al servizio degli amministrati, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2014, 309-336.
[12]Dopo aver, infatti, in un primo momento, confutato la natura precettiva dell’art. 36 Cost., la giurisprudenza ha seguitato a negare che esso potesse essere fonte di diritti, bensì, piuttosto, data la sua funzione di norma regolatrice del potere dell’amministrazione, «di un interesse alla legittimità dell’azione». Sul punto si vedano tra le molte: Corte Cost., 10 aprile 2003, n. 115; Cons. St., 16 dicembre 2010 n. 9016; Cons. St., sez. V, 8 giugno 2011, n. 3456; Cons. St., sez. V, 7 aprile 2011, n. 2166; Cons. St., Sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 467; Cons. St., sez. V, 18 gennaio 2016, n. 124. Per una disamina dell’argomento: A. Pioggia, La Corte costituzionale e il modello italiano di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in Diritto Amministrativo e Corte Costituzionale, a cura di G. Della Cananea e M. Dugato, Napoli, 2006, 280 ss.
[13]Si è già detto nel testo del contrasto tra la possibilità di retribuire le mansioni superiori di fatto esercitate dal dipendente pubblico e il principio del buon andamento dell’amministrazione; quanto all’art. 98 Cost. si è sostenuto che la previsione in virtù della quale i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione osti ad una valutazione del rapporto di impiego pubblico in termini di mero rapporto di scambio. In tema: Cons. St., ad. plen., 18 novembre 1999, n. 22; Cons. St., ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10; Cons. St., ad. plen., 23 febbraio 2000, n. 11; Cons. St., 17 gennaio 2000, n. 286.
[14]In questo senso: Corte Cost., 27 maggio 1992, n. 236. Per un approfondimento: A. Pioggia, La Corte costituzionale e il modello italiano di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in Diritto Amministrativo e Corte Costituzionale, cit., 287 ss.
[15]In materia tra le molte: Cons. St., 19 novembre 2012, n. 5852; Cons. St., IV, 9 luglio 2012, n. 4045; Cons. St., 24 settembre 2013, n. 4688; Cons. St., 24 gennaio 2013, n. 441.
[16]Sull’ampio dibattito sul principio di ragionevolezza si vedano da ultimo: M. Dogliani – I. Massa Pinto, Elementi di diritto costituzionale, Torino, 2015, 173 ss.
[17]Il principio di non discriminazione ha ampliato la sua portata nel corso del tempo; dapprima ha trovato riconoscimento nella CEDU (art. 14) come garanzia della parità di trattamento nel godimento dei diritti riconosciuti nella Convenzione, per poi essere esteso dal Protocollo n. 12 della stessa CEDU a tutti i diritti, compresi quelli riconosciuti dalla legislazione nazionale. Del pari esso si è affermato anche nei Trattati e nella giurisprudenza europea (art. 2 e 3, § 3, TUE),come divieto di discriminazioni sia in ragione della nazionalità (artt. 18 e 45, § 2, TFUE) che «fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale» (art. 10 e 19 TFUE). In attuazione del principio sono state emanate diverse direttive: 76/207/CEE del Consiglio, 9 febbraio 1976; 5/117/CEE del Consiglio, 10 febbraio 1975; 86/378/CEE del Consiglio, 24 luglio 1986; 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000; 2000/78/CE del Consiglio, 27 novembre 2000; 2006/54/CE, del Consiglio, 5 luglio 2006. Nel divieto di discriminazioni sono ricomprese sia le discriminazioni dirette, ossia quelle previsioni che riconoscono un trattamento deteriore ad una persona che si trova in una situazione analoga ad un’altra, che quelle indirette, che si realizzano quando criteri o prassi apparentemente neutri producono in realtà l’effetto di porre in una condizione di svantaggio una persona (art. 2, § 1, lett. a) e b) della direttiva 2006/54/CE, del Consiglio, 5 luglio 2006). In tema fra molti: L. Sitzia, Pari dignità e discriminazione, Napoli, 2011, 121 ss.; M. Barbera, Il principio di eguaglianza nel sistema europeo “multilivello”, in I diritti fondamentali in Europa, a cura di E. Paciotti, Roma, 2011, 63 ss.; G. Della Cananea – C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2010, 74-75; E. Palici di Suni, Il principio di eguaglianza nell’Unione Europea, in Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi studi sulla Costituzione europea, a cura di A. Lucarelli – A. Patroni Griffi, Napoli, 2009, 255 ss.In particolare sul diritto anti-discriminatorio: D. Izzi,Eguaglianza e differenze nei rapporti di lavoro. Il diritto antidiscriminatorio tra genere e fattori di rischio emergenti, Napoli, 2005, 131 ss.Sul principio di non discriminazione sulla base dell’età da ultimo: C. giust., UE, 16 giugno 2016, C-159/15, Franz Lesar. È necessario ricordare come la Dir. 2000/78/CE del Consiglio, 27 novembre 2000, art. 6 § 1, preveda la possibilità per gli Stati membri di prevedere disparità di trattamento in ragione dell’età «laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».. In tema B. Gagliardi, Il divieto di discriminazioni in ragione dell’età nell’ordinamento dell’Unione europea e i pubblici concorsi, in Giorn. dir. amm., 2015, 233 – 242;
[18]Il principio del legittimo affidamento, che alcuni volevano proprio del solo diritto privato, trova il suo campo di applicazione anche ai rapporti tra soggetti pubblici e privati, con riferimento altresì all’operato del legislatore. Non vi è uniformità di vedute, invece, sul suo rapporto con il principio della certezza del diritto, in quanto, da un lato, si afferma la derivazione del primo dal secondo, mentre dell’altro si sostiene siano distinti e autonomi. In tema: F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Dagli anni “trenta” all’”alternanza”, Milano, 2001, 2 ss.; P. Carnevale, I diritti, la legge e il principio di tutela del legittimo affidamento nell’ordinamento italiano. Piccolo divertissement su alcune questioni di natura definitoria, in Scritti in onore di Alessandro Pace, III, 2012, 1939.
[19]Si ritiene che l’art. 11 disp. prel. non abbia carattere imperativo e sia derogabile dal legislatore fatti salvi i principi costituzionali quali l’irretroattività della legge penale sfavorevole (art. 25, c. 2, Cost.). Per quanto concerne gli effetti dispiegati dallo ius superveniens sui contratti, alla iniziale teoria dei c.d. diritti acquisiti si è andata man mano sostituendo quella del c.d. fatto compiuto, alla luce della quale la disciplina sopravvenuta potrebbe disciplinare gli effetti di un contratto di durata ma non la struttura o la validità del fatto generatore del rapporto. Sul punto si vedano: C.F. Gabba, Teoria della retroattività delle leggi, I, Torino, 1891, 191; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, 365; G.U. Rescigno, Disposizioni transitorie, in Enc. dir., XIII, Milano, 1974, 219; F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, I, Dottrine generali, Roma, 1921, 273; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, Milano, 1910, 102.
[20]Vd. nota precedente. Inoltre sul punto anche: Corte Cost., 28 dicembre 1971, n. 210; Corte Cost., 13 febbraio 1985, n. 36; Corte Cost., 17 dicembre 1985, n. 349, nella quale si afferma che «non é interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)». Si ritiene, inoltre, che l’emanazione di norme con efficacia retroattiva debba essere giustificata sul piano della ragionevolezza e non debba porsi in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti quali l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica. Tra le molte: Corte Cost., 31 marzo 1988, n. 368; Corte Cost., 26 luglio 1995, n. 390; Corte Cost., 4 novembre 1999, n. 416; Corte Cost., 22 novembre 2000, n. 525, nelle quali viene ravvisato come l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica sia elemento essenziale dello Stato di diritto e, come tale, non possa essere leso da norme retroattive che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti.
[21]Vd. nota n. 7.
[22]È evidente, infatti, che, essendo il compenso per gli assistenti amministrativi che esercitano mansioni didirettore dei servizi generali ed amministrativi calcolato in base alla differenza tra il trattamento previsto per il livello iniziale di quest’ultima figura e quello complessivamente in godimento all’assistente amministrativo, il risparmio ottenibile varia in base all’anzianità di servizio del singolo lavoratore.
[23]Come noto il perseguimento dell’interesse pubblico deve avvenire imponendo il minor sacrificio possibile alle posizioni dei terzi coinvolti. La Corte Costituzionale ha in più occasioni censurato disposizioni legislative eccessivamente rigide e, come tali, incapaci di attagliarsi alla realtà. Per una disamina del principio di ragionevolezza formulato in termini di proporzionalità: M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, relazione presentata alla Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Roma, 24-26 ottobre 2013, reperibile al sito www.cortecostituzionale.it.
[24]Con espresso riferimento a detta scelta il giudice remittente ha rilevato come «L’irrazionalità del criterio disomogeneo previsto da tale norma, è di tutta evidenza: man mano che sale l’anzianità di servizio e quindi il relativo trattamento dell’assistente amministrativo, decresce in pari tempo e proporzionalmente la c.d. indennità funzioni superiori, in caso di assegnazione alle superiori mansioni di DSGA»
[25]B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, cit., 265 ss.
[26]Il Tribunale di Torino in prima battuta non ha infatti rilevato l’opportunità di investire la Corte di Giustizia UE della questione ritenendo sufficiente sollevare questione di legittimità costituzionale. L’art. 267, § 2, TFUE sancisce la possibilità per un organo giurisdizionale di uno Stato membro di domandare alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi su una questione sulla quale esso deve statuire. Sul punto, da ultimo: C. giust. UE, 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica Facility Esco SpA (PFE), la quale ha affermato che nessuna norma nazionale può limitare la facoltà dei giudizi nazionali di sottoporre alla Corte una questione di interpretazione delle disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione, tanto che «l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest’ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione dell’adunanza plenaria di tale organo giurisdizionale, è tenuta a rinviare la questione all’adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale».