La Strettoia. La copertura finanziaria come strumento di contenimento dell’attività legislativa di iniziativa parlamentare (a cura di G. De Filio e P. Vicchiarello, Jovene Editore, Napoli, 2018)
Giovanni Boggero[1]
Il dato economico-finanziario è rientrato ormai a pieno titolo tra i principali oggetti degli studi costituzionalistici. Lo testimoniano i lavori sempre più frequenti che indagano profili minuti della Costituzione fiscale e del bilancio, specie dopo l’entrata in vigore della legge di revisione costituzionale n. 1/2012, ma anche quelli meno numerosi, ma altrettanto significativi che gettano luce sul rapporto sempre più stretto tra giurisdizione costituzionale e giurisdizione contabile. Anche gli studi parlamentaristici risentono di questo clima culturale, tanto che, accanto a opere di più ampio respiro teorico-analitico, incominciano a fiorire anche le pubblicazioni di preziosi case study sulle prassi parlamentari in tema di copertura finanziaria delle leggi di spesa.
Tra queste merita di essere segnalata “La Strettoia”, agile libriccino scritto da due volenterosi consiglieri parlamentari, Gianluca de Filio e Paolo Vicchiarello e pubblicato dall’editore Jovene di Napoli nel 2018. La tesi è eloquente fin dal sottotitolo: l’obbligo per il legislatore di prevedere una copertura finanziaria delle spese non è un limite neutro, ma opera in maniera diversificata a seconda che l’iniziativa legislativa sia di provenienza governativa oppure parlamentare. Rispetto a quest’ultima, l’obbligo di copertura, sancito all’art. 81, co. 3 Cost., costituisce un vero e proprio ostacolo o, per usare le parole degli autori, “uno strumento di contenimento” della legislazione. La tesi, molto suggestiva, è ricavata per via induttiva dalla prassi di Camera e Senato della XVII legislatura, ma, ricordano sempre gli autori nell’Introduzione, essa sembra suscettibile di essere confermata anche in quella corrente.
Ma per quale ragione il principio in parola riceve applicazioni diverse a seconda che sia il Governo oppure il Parlamento a proporre leggi recanti conseguenze finanziarie? Il libro lo spiega servendosi di tredici esempi, corrispondenti a tredici proposte di legge di iniziativa parlamentare. A differenza dei disegni di legge governativi, degli schemi di decreto legislativo e degli emendamenti governativi, che devono sempre essere corredati di una relazione tecnica, predisposta dalle Amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione (art. 17. co. 3 della l. 196/2009, cd. legge di contabilità e finanza pubblica), per le proposte di legge parlamentare, invece, il comma 5 del medesimo art. 17 stabilisce che le Commissioni competenti – molto spesso la Commissione bilancio – possano richiedere al Governo la relazione di cui al comma 3 per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati. Tale relazione dovrà pervenire nel termine indicato dalla Commissione e comunque non più tardi di 30 giorni dalla richiesta. Il meccanismo, così concepito, sconta, però, qualche difficoltà applicativa, visto che il termine è puramente ordinatorio e al suo decorrere non è ricollegata alcuna specifica sanzione. Sicché il Governo non avrà particolare interesse a trasmettere la relazione tecnica nei termini oppure avrà magari interesse a formulare parere negativo per impedire l’approvazione della proposta, specie se essa comporti rilevanti conseguenze finanziarie. E così, infatti, frequentemente accade. Certo, si potrebbe legittimamente sostenere che una tale prassi, per quanto deprecabile, rientri in pieno nella logica di determinazione dell’indirizzo politico spettante al Governo, specie in materia di bilancio. Senonché, come giustamente notano gli autori, in molti casi non è solo l’apparato ministeriale a far mancare la propria risposta, ma è proprio la Ragioneria Generale dello Stato (RGS), ossia un organo squisitamente tecnico, incardinato presso il MEF, a ritardare la cd. bollinatura o a non bollinare proprio, piegandosi così alle esigenze prettamente politiche del Governo di riferimento o, magari addirittura, facendo prevalere le proprie autonome determinazioni su quelle della maggioranza governativa.
La dimostrazione di tale problematico sviamento tecnocratico è offerta dagli autori a partire dall’esame di una serie di proposte di legge, per ciascuna delle quali è stato analiticamente riassunto l’iter legis complessivo e, in particolare, i diversi passaggi tra i due rami del Parlamento. Rispetto ad essi vengono segnalati i frequenti ritardi nella presentazione della relazione tecnica (tre anni nel caso della proposta di legge in materia di abbattimento delle barriere architettoniche), i quali spesso preludono all’affossamento di un’iniziativa sgradita al Governo (come nel caso della legge sul conflitto di interessi) o sulla quale il Governo ritiene non vi sia sufficiente consenso politico. Talora, invece, i ritardi servono a dar tempo al Parlamento di modificare il testo legislativo in senso conforme a quanto auspicato dal Governo (come è avvenuto per la proposta di legge di riordino della agenzia aerospaziale italiana, rispetto alla quale la mancata presentazione della relazione tecnica e della nota di verifica sono servite da pungolo per influenzare e modificare il contenuto del provvedimento), mentre in qualche caso, alla relazione “fantasma” del Governo si sostituisce in tempi record la relazione della Ragioneria Generale dello Stato al solo fine di consentire l’approvazione del testo (così è accaduto per la legge sul cd. cyberbullismo). In qualche occasione, poi, le note della Ragioneria contengono persino considerazioni ultronee rispetto ai profili finanziari (come per la proposta di legge sul riconoscimento della lingua dei segni o LIS), mentre in altri casi ancora si verificano incredibili incongruenze su identiche disposizioni finanziarie tra le note di verifica predisposte dalla Ragioneria nell’una e nell’altra Camera (è questo il caso della proposta di legge sui minori non accompagnati nell’ambito della quale una disposizione era stata ritenuta di spesa al Senato, benché non fosse stata così valutata nel precedente passaggio alla Camera).
In alcune circostanze, poi, le resistenze sulla mancata copertura della Ragioneria vengono clamorosamente aggirate o, per così dire, risolte attraverso emendamenti approvati nel corso della conversione di un decreto-legge, ledendo alla radice anche il criterio dell’omogeneità stabilito dalla l. n. 400/1988. Così è avvenuto, ad esempio, per la proposta di legge per l’indennizzo di persone affette dalla sindrome da talidomide, originariamente ritenuta eccessivamente onerosa e, dopo tre anni di navette parlamentare provocata dalle note di verifica negative della RGS, riprodotta integralmente come emendamento parlamentare all’interno di un decreto-legge in materia di enti locali, ma rispetto al quale non è stato necessario richiedere ulteriore documentazione tecnica. In altri casi, ancora, il contrasto di vedute è tra apparati ministeriali, specie tra il Ministero della Salute e la Ragioneria Generale, la quale è solita imporre le ragioni di tutela erariale quale organo di verifica di ultima istanza rispetto alle valutazioni degli altri dicasteri (si pensi alla vicenda della proposta di legge sulla ludopatia mai approvata), talora persino senza mantenersi coerente, ma anzi manifestando un atteggiamento schizofrenico (così è avvenuto per la legge sullo screening neonatale, approvata soltanto dopo che la Ragioneria aveva smentito una propria precedente nota negativa verso la relazione ministeriale).
Le impasse registrate nella prassi parlamentare sulle coperture influiscono inevitabilmente sulla qualità e chiarezza della legislazione, oltreché sulla sua sistematicità, tanto che spesso il legislatore preferisce stralciare disposizioni onerose per consentire un iter di approvazione più rapido per la proposta di legge in questione. Così è avvenuto nel caso dell’introduzione del reato di tortura, rispetto alla quale le disposizioni riguardanti il fondo in favore delle vittime di tortura sono state soppresse in corso d’opera proprio al fine di assicurare una veloce approvazione del testo. Questo fenomeno assicura, senz’altro, un generale contenimento delle spese pubbliche, benché esso si realizzi non “a ragion veduta”, bensì come esito involontario di un procedimento tortuoso che non ha nulla di trasparente, ma che costituisce l’ennesima dimostrazione dell’assenza di capacità programmatoria del legislatore di spesa. Il volume spinge, quindi, lo studioso del diritto del bilancio a misurarsi con le tecnicalità dei rapporti finanziari tra istituzioni governative e parlamentari e non può che fare da battistrada per analoghi lavori che interessino gli ancora più oscuri meandri delle Amministrazioni finanziarie regionali.
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[1] Ricercatore in diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.