La telemedicina nella Regione Piemonte: da strumento per fronteggiare l’emergenza sanitaria a mezzo di contrasto del digital divide

 

Elisa Bellomo[1]

Sommario: 1. Premesse. – 2. La Digital Health nella policy europea e nazionale. – 3. Verso un nuovo modello integrato dei servizi sanitari nella Regione Piemonte: prima attivazione di servizi sanitari di specialistica ambulatoriale in televisita. – 4. Diritto e telemedicina. – 4.1. Telemedicina e responsabilità. – 4.2. Il trattamento digitale dei dati sanitari: prospettive di applicazione dell’Information and Communication Technologies (ICT). – 5. Spunti conclusivi: oltre l’emergenza verso la riduzione del digital divide.

1. Premesse.

La pandemia da SARS-CoC-2, dall’impatto assolutamente incerto e non controllabile a priori, ha reso palese come un’insufficiente capillare assistenza territoriale possa mettere a dura prova il sistema ospedaliero su cui, come ormai noto, si è integralmente riversato il bisogno di assistenza, quanto meno nella primissima ondata pandemica[2].

1. Premesse.

1. Premesse.

Per ovviare, si è cercato di implementare l’utilizzo di strumenti digitali di controllo sullo stato di salute delle persone di ogni genere come: app su smartphone, dispositivi indossabili per il monitoraggio dei parametri biometrici, assistenti virtuali dotati di intelligenza artificiale capaci di comunicare con il paziente, piattaforme e software digitali per l’assistenza medica a distanza, algoritmi che generano biomarcatori fisiologici e comportamentali. Mai come prima d’ora, al fine di approntare soluzioni alla congestione degli ospedali[3] e fornire continuità di cura attraverso lo svolgimento di attività di screening e di servizi ordinari come diagnosi o monitoraggio delle cronicità, le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (Information and Communication Technologies – ICT), e più generale gli strumenti di digital health, sono fattore di forte cambiamento del rapporto tra medico e paziente.

Più in generale, la telemedicina, rientrante tra le ICT, da un lato garantisce alcune tipologie di cure ovviando alla necessità della compresenza nello stesso luogo del medico e del paziente, dall’altro rappresenta una spinta inedita di integrazione tra ospedale e territorio o, ancora più in generale, delle prestazioni ospedaliere al domicilio dei pazienti[4]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la telemedicina è “una fornitura di servizi sanitari in situazioni in cui la distanza è un fattore critico, da parte di qualsiasi professionista della salute, utilizzando tecnologie dell’informazione e della comunicazione per lo scambio di informazioni rilevanti per la diagnosi, il trattamento, la prevenzione, la ricerca e la formazione continua dei professionisti, con l’obiettivo ultimo di incrementare la salute di individui e di popolazione”[5].

La pandemia ha reso necessario imporre il distanziamento e ciò si è riversato sul settore sanitario chiamato ad approntare soluzioni per situazioni mai viste prima dove l’accesso ospedaliero è diventato fattore di rischio stesso alla salute; per questo sono sempre più attuali nuove forme di interazione da cui potrebbe discendere una diversa assistenza sanitaria distribuita sul territorio[6].

Da questo punto di vista, la tecnologia applicata alle cure e alla medicina non rappresenterebbe solo una diversa modalità di erogazione della prestazione sanitaria, bensì un “ponte” di innovazione verso la creazione di un modello di assistenza in cui quella ospedaliera diventa parte integrante di una rete di comunicazione e assistenza territoriale costituita da medici di base e da operatori che agiscono direttamente presso il domicilio del paziente.

Si può dunque ipotizzare che l’erogazione di prestazioni sanitarie anche al di fuori dei confini (fisici) dell’ospedale[7] possa rendere maggiormente elastica, fluida e reattiva l’assistenza sanitaria sul territorio, che, invece, in questo caso ha dimostrato forte rigidità del sistema sanitario.

La Regione Piemonte si è distinta per aver fornito agli operatori indicazioni essenziali perché si attuasse il servizio della televisita e della telemedicina emanando la Delibera della Giunta regionale 3 luglio 2020, n. 6-1613 «Prima attivazione dei servizi sanitari di specialistica ambulatoriale erogabili a distanza (Televisita), in conformità alle “Linee di indirizzo nazionali di telemedicina” (repertorio atti n. 16/CSR), ai sensi dell’intesa del 20 febbraio 2014, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano» che fornisce impulso all’applicazione dei servizi di telemedicina da parte delle Aziende Sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali. Dopo una breve rassegna delle fonti europee e nazionali, che costituiscono le basi per l’implementazione della telemedicina nelle pratiche mediche, con il presente contributo si intende analizzare gli spunti forniti dalla d. G.R. 6-1613, ritenendoli la base per un futuro modello regionale per la cui costruzione enti pubblici e privati sono chiamati ad operare in sinergia.

2. La Digital Health nella policy europea e nazionale.

Già in tempi non caratterizzati da emergenza sanitaria, l’Unione Europea ha profuso uno sforzo poderoso per incoraggiare i governi degli Stati membri a promuovere la diffusione dei servizi di telemedicina all’interno dei rispettivi servizi sanitari, stimolando la digitalizzazione dei processi assistenziali.

La Commissione Europea, con la COM (2008) 689 «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle Regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società»[8], ha definito la telemedicina una «rivoluzione culturale», fonte e fattore di riorganizzazione dei servizi su larga scala, per la cui applicazione occorre “sostenere e incoraggiare gli Stati membri in questo sforzo individuando e contribuendo ad affrontare le principali barriere che ostacolano un più ampio ricorso alla telemedicina e fornendo elementi atti a creare fiducia e a favorire l’accettazione”. La comunicazione definisce alcune azioni che dovranno essere intraprese dagli Stati membri, dalla Commissione e dalla comunità delle parti interessate in senso lato:

– creare fiducia nei servizi di telemedicina e favorire l’accettazione dei medesimi;

– apportare la chiarezza del diritto;

– risolvere i problemi tecnici e agevolare lo sviluppo del mercato.

In un crescendo di autonoma rilevanza della telemedicina tra i fattori di riorganizzazione dei servizi sanitari, l’Agenda Digitale Europea[9], uno dei sette pilastri su cui si fonda la “Strategia Europa 2020”, l’ha inquadrata come modello di miglioramento anche del rapporto costo-qualità dei servizi sanitari idoneo a limitare sprechi e inefficienze, ridurre le differenze tra i territori, nonché innovare le relazioni di front-end per accrescere la qualità del servizio percepita dal paziente. La Strategia prevede lo sviluppo di soluzioni completamente integrate, caratterizzate da una forte interazione dei sistemi informativi sanitari, aziendali e ospedalieri, basate sull’utilizzo diffuso di tecnologie cloud e sull’applicazione di criteri per standardizzare la raccolta e il trattamento dei dati sanitari. In particolare, poi, la direttiva 2011/24/UE in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera ha previsto che le prestazioni di assistenza sanitaria online rientrino tra quelle oggetto di rimborso da parte dello Stato membro di affiliazione se svolte da un prestatore stabilito in un altro Stato membro (art. 3, lett. d) e art. 7.7);[10] allo stesso tempo, essa incarica l’Unione di promuovere la cooperazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri operanti nell’ambito di una rete volontaria che colleghi le autorità nazionali responsabili dell’assistenza sanitaria online designate dagli Stati membri (art. 14).[11]

In Italia, al di là dell’attuazione della direttiva con d.lgs. n. 38/2014, i principi coniati a livello europeo hanno risentito di una non facile immediata applicazione a causa di una mancanza quasi totale di strumenti tecnologici a supporto dell’attività organizzativa sanitaria; infatti, è solo con l’entrata in vigore del D. L. n. 179 del 18 ottobre 2012 «Decreto convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221 – Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese» che sono stati istituiti veri e propri strumenti di “sanità digitale”: il fascicolo sanitario elettronico, la prescrizione medica, la cartella clinica digitale nonché la ricetta medica. Il fattore comune ai primi strumenti digitali sanitari è una maggiore condivisibilità dei dati di salute, al fine di conoscere la “storia sanitaria” dei pazienti indipendentemente dal luogo in cui viene erogata fisicamente la prestazione sanitaria. Il processo è chiarito espressamente nelle Linee guida del 2015 sul Fascicolo sanitario elettronico e dossier sanitario in cui il Garante della Privacy specifica che «le politiche di sanità integrata che si stanno sviluppando sia in ambito nazionale che regionale considerano la condivisione delle informazioni sulla salute del paziente tra gli operatori sanitari uno strumento per rendere più efficienti i processi di diagnosi e cura dello stesso, nonché per ridurre i costi della spesa sanitaria». Sempre a livello nazionale, la fonte programmatica che ha concesso spazio autonomo alla telemedicina è stato il Piano Sanitario Nazionale (2006-2008) dove si immagina l’utilizzo della stessa per far fronte ad alcune difficoltà di ordine organizzativo «Nelle aree non urbane, nelle zone montane, nelle isole minori, o comunque caratterizzate da popolazione sparsa, nelle quali non sia ipotizzabile l’uso di sedi uniche è necessario promuovere l’uso dell’informatica medica, del telesoccorso e della telemedicina, per i quali vanno definiti standard qualitativi, quantitativi e di accreditamento» mettendo in condivisione in alcune conoscenze isolate acquisite in realtà regionali e aziendali (Paragrafi 4.1. – Strategie del sistema e 3.5-Riorganizzazione delle cure primarie).

Tuttavia, è solo a partire dal 2016 che con il Patto per la sanità digitale la telemedicina compare tra le priorità di intervento in «regime di partenariato pubblico‐privato o comunque riconducibili a logiche di performance based contracting in ambiti dove l’efficientamento dei processi di erogazione dei servizi garantisce un battente significativo di economie gestionali realizzabili»[12].

Un secondo documento programmatico di fondamentale rilevanza in cui la telemedicina assurge a strumento di assistenza a malati con patologie croniche è il Piano Nazionale di cronicità[13] con cui si è previsto che: «telemedicina e la Teleassistenza rappresentano esempi di come le tecnologie possano migliorare l’operatività, nel luogo dove il paziente vive, favorendo così la gestione domiciliare della persona e riducendo gli spostamenti spesso non indispensabili e i relativi costi sociali. Inoltre, il cittadino/paziente usufruisce con facilità degli strumenti tecnologici che lo aiutano e lo accompagnano nella gestione della propria salute nella vita di tutti i giorni, attraverso diversi dispositivi e ovunque esso si trovi, anche nell’emergenza. I servizi forniti possono comprendere varie tipologie di prestazioni che si differenziano per complessità, tempi di attuazione, utilizzo diversificato di risorse in relazione alla tipologia dei bisogni dei pazienti» (Piano della Cronicità – p. 44).

Il Piano ha precisato che la telemedicina può contribuire al miglioramento della tutela delle persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla famiglia e sul contesto sociale, migliorandone la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini.

Tuttavia, a dispetto di tali linee programmatiche, al momento, l’unico nucleo organico di disposizioni attuative del servizio di telemedicina è costituito dalle Linee di Indirizzo Nazionali del 2014 che la definiscono come «un atto sanitario in cui il medico interagisce a distanza con il paziente. L’atto sanitario di diagnosi che scaturisce dalla visita può dare luogo alla prescrizione di farmaci o di cure. Durante la televisita un operatore sanitario che si trovi vicino al paziente, può assistere il medico. [..] Il collegamento deve consentire di vedere e interagire con il paziente e deve avvenire in tempo reale e differito» (Paragrafo 2.1).

Di più recente elaborazione il documento «Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina», oggetto dell’accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 17 dicembre 2020, che fornisce «indicazioni uniformi sull’intero territorio nazionale per l’erogazione delle prestazioni a distanza, con particolare riguardo alle attività specialistiche (Art.50, Legge n.326 del 24/11/2003 e s.m.i.) estendendo la pratica medica e assistenziale oltre gli spazi fisici in cui usualmente si svolge secondo le tradizionali procedure»[14], da cui anche la d. G.R. 6-1613 ha preso spunto.

3. Verso un nuovo modello integrato dei servizi sanitari nella Regione Piemonte: prima attivazione di servizi sanitari di specialistica ambulatoriale in televisita.

Tra i decreti legge emanati per far fronte alla decretazione d’urgenza, il d. l. n. 34 del 19 maggio 2020, «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonche’ di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19» c.d. “d.l. Rilancio”[15], reca misure riguardanti l’assistenza territoriale.

In apertura, l’art. 1 dichiara la necessità di “rafforzare l’offerta sanitaria e sociosanitaria territoriale” imprimendo un’accelerazione alla definizione di misure già delineate dal nuovo Patto per la salute 2019-2021 per lo sviluppo dei servizi di prevenzione e tutela della salute afferenti alle reti territoriali, aggiungendone ulteriori, individuate in ragione della pandemia in corso. Dal punto di vista programmatico, ciascuna Regione ha il compito di redigere i Piani di assistenza territoriale, che devono diventare parte integrante dei Programmi operativi per la gestione dell’emergenza da Covid-19, previsti dall’art. 18d. l. n. 18 del 2020 (“Cura Italia”), oggetto di approvazione dal Ministero della salute di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, ai quali congiuntamente spetta il monitoraggio dell’attuazione. Il co. 8 dell’art. 1 del d.l. Rilancio fornisce impulso alle dinamiche organizzative interne a ciascuna regione mediante l’istituzione di centrali operative regionali, che svolgano funzioni di raccordo con tutti i servizi e con il sistema di emergenza – urgenza, anche “mediante sistemi di telemedicina nonché strumenti tecnologici informatizzati”. In questa rete operano altresì sul territorio le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA)[16], e i Dipartimenti di prevenzione delle aziende territoriali in modo combinato con i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i medici di continuità assistenziale.

Sulla scorta delle previsioni nazionali, la Regione Piemonte ha attivato una serie di azioni di particolare rilievo volte a ottimizzare il modello di gestione territoriale, ponendo al centro il medico di famiglia, i servizi distrettuali delle ASL[17], nonché i servizi di televisita elargiti dalle azienda sanitarie pubbliche e dagli enti privati accreditati accogliendo e attuando i suggerimenti contenuti nel Rapporto COVID-19 n. 12/2020[18] «Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19», elaborato dal Ministero della Salute. Il documento, infatti, denunciando una mancanza di fiducia generalizzata nella tecnologia applicata al settore sanitario, fatto salvo per le applicazioni strettamente di natura chirurgica, incalza l’elaborazione di un’ univoca metodologia di valutazione delle soluzioni dal punto di vista sanitario e gestionale, al fine di realizzare servizi in telemedicina coerenti tra loro su tutto il territorio nazionale, adattabili quindi alle diverse realtà locali e così ottenere una stabilizzazione duratura nella pratica.

Occorre altresì sottolineare che la strategia di contenimento e gestione dell’emergenza si è articolata intorno all’adozione di una fitta serie di provvedimenti di urgenza del Presidente della Giunta regionale, un elevato numero di delibere della Giunta regionale nonché correlati provvedimenti attuativi[19]. In questo contesto, la d. G.R. n. 6-1613 del 3 luglio 2020 rappresenta un tassello aggiuntivo di modello di assistenza sul territorio regionale in via di elaborazione che vede l’affiancamento tra prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate in presenza e a distanza (c.d. televisita) andando ad arricchire un quadro disposizioni regionali già esistenti e volte a sostenere le cure domiciliari nei confronti degli i anziani[20]. Tuttavia, proprio le difficoltà di sviluppo della telemedicina su ampia scala ha evidenziato una generale impreparazione del sistema, dovuta, probabilmente, alla mancanza di chiari riferimenti normativi e all’assenza di una programmazione organica di integrazione socio- sanitaria sul territorio.

In un quadro normativo ancora piuttosto incerto, la delibera in commento ha il pregio di aver previsto alcuni punti cardine per la costruzione di un futuro utilizzo ordinario e diffuso della telemedicina a livello regionale.

In primo luogo, preso atto che diversi sono gli ambiti in cui la telemedicina viene applicata e che, a seconda della fase e della branchia della medicina cui si accosta, assume nomi differenti (ad es. Teleradiologia, teleassistenza domiciliare, telecardiologia, tele riabilitazione e tele consultazione), le disposizioni regionali si rivolgono, in modo circoscritto, alla “televisita”. Per tale, per espresso rimando alle Linee di indirizzo nazionali di medicina, si intende “atto sanitario in cui il professionista sanitario interagisce a distanza con il paziente con l’eventuale supporto del caregiver, e può dare luogo alla prescrizione di farmaci o di cure e/o di indicazioni terapeutico/riabilitative”

In secondo luogo, vengono circoscritte le categorie di pazienti cui può essere rivolta la prestazione ambulatoriale di televisita: devono essere già conosciuti dal medico curante, devono aver già fatto una prima visita in presenza, devono essere assistititi in terapia immunosoppressiva, a causa di trapianti d’organi e cellule, pazienti oncologici affetti da malattie autoimmuni o malati cronici. Questa metodica si colloca quindi nel processo di follow up del paziente, per il controllo dei parametri clinici metrici, delle sue indagini diagnostiche e delle analisi cliniche, assurgendo al ruolo fattore decongestionante gli ospedali, da sempre deputati a fornire prestazioni mediche emergenziali o di maggiore complessità tecnica.

Circoscritta la tipologia di servizio cui le disposizioni si riferiscono, è, in terzo luogo, individuato l’alveo degli enti destinatari delle previsioni: Aziende sanitarie pubbliche del SSR, enti erogatori privati accreditati e contrattualizzati ai sensi del d. lgs. 502/1992 «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421».

Un primo setting di casi per i quali legittimamente è applicabile la telemedicina sono direttamente previsti nella delibera in commento: inseriti in percorsi di follow up, in un PDTA formalizzato a livello aziendale o regionale, se necessitano di monitoraggio, o conferma o aggiustamento della terapia; che necessitano di una spiegazione da parte del medico di esiti di esami di diagnosi o stadiazione effettuati o di prescrizione di ulteriori esami o terapie. Per questa specifica casistica viene seguito l’iter ordinario: prescrizione con ricetta dematerializzata[21]; prenotazione attraverso il sistema CUP, che deve assicurare la gestione integrata delle disponibilità delle agende erogabili sia nella modalità tradizionale sia in quelle di televisita, nonché rendicontazione mediante l’inserimento di “televista” nella sezione “Luogo di erogazione”.

E’ stata poi ulteriormente contemplata la possibilità che, nelle more della promulgazione di disposizioni normative e regionali ulteriori, le direzioni delle Aziende Sanitarie regionali autorizzano l’applicazione di telemedicina a setting sanitari differenti da quelli sopra enucleati. Tuttavia, non senza adempiere a oneri burocratici, amministrativi e tecnici piuttosto complessi; infatti, è esplicitamente richiesta l’elaborazione di: un’analisi di progetto, individuando obiettivi, soggetti coinvolti, tecnologia e costi per l’implementazione del servizio; un Documento per l’erogazione del percorso clinico assistenziale (PCA o PDTA)[22]; un Documento recante gli standard di servizio propri delle prestazioni di telemedicina erogate dalla Regione Piemonte[23]; un’analisi costo-efficacia dei servizi di telemedicina tramite metodi Health Tecnology Assessment (HTA).

L’introduzione delle tecnologie è strettamente connessa all’analisi del costo complessivo dell’architettura elaborata per fornire il servizio di televisita, o più in generale, di telemedicina, aspetto di non poco rilievo. Sebbene la prestazione in televisita abbia i medesimi costi di quella in presenza, la scelta di operare per il tramite della tecnologia è subordinata all’analisi dei costi/benefici economici che dipendono dalla stessa.

Sul punto, con la d.G.R 36-6480 del 7 ottobre 2013, la Regione Piemonte ha previsto un Piano regionale delle tecnologie biomediche e costituito una commissione di governo delle tecnologie biomediche (GTB), ideata per la valutazione e l’approvazione delle richieste di attrezzature delle ASR e relative DD attuative (Tavolo Ingegneria Clinica, Regolamento procedure e percorsi valutazione GTB, ecc.).

Un ulteriore passo verso l’innovazione è stato possibile grazie all’emanazione della D.G.R. d n. 82-5513/2017 «Governo delle tecnologie biomediche e dell’innovazione in Sanità. Modifica D.G.R. n. 18-7208 del 10.3.2014» con cui si è riorganizzato il sistema regionale per la valutazione e il monitoraggio delle tecnologie biomediche [24].

Anche per la telemedicina occorre che all’interno delle aziende ospedaliere e delle aziende sanitarie locali si analizzino gli impatti economici.

4. Diritto e telemedicina.

L’ingresso della tecnologia nell’esecuzione dell’atto medico, già per sua stessa natura “complesso”, non può che sollevare alcune questioni di ordine giuridico, tra cui l’enucleazione delle responsabilità del medico che si rapporta al paziente per il tramite della tecnologia; il fenomeno della digital divide nonché quello della tutela della riservatezza di dati sanitari. Di queste problematiche la d.G.R. 6-1613 se ne fa sì carico ma per brevissimi cenni sollevando numerosi dubbi sul piano applicativo.

4.1. Telemedicina e responsabilità.

Sebbene si tenga presente la nota differenziazione tra medico strutturato e non strutturato[25], stante il riferimento nella delibera a prestazioni erogate dalle Aziende sanitarie pubbliche del sistema sanitario regionale e da erogatori privati e accreditati e contrattualizzati, si ritiene, in questa sede, di soffermarsi su alcune problematiche riguardanti la responsabilità in capo alla figura del medico strutturato[26] e alla struttura.

Sebbene la delibera regionale non ne faccia espressamente menzione, la legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli), al co. 1 dell’art. 7, prevede che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del Codice civile delle condotte dolose o colpose”. La responsabilità contrattuale dell’ente – precisa il co.2 – si estende “anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale nonché attraverso la telemedicina“.

Dunque, la responsabilità contrattuale della struttura non viene meno laddove le prestazioni sanitarie vengano “svolte attraverso la telemedicina”. Il professionista “strutturato” –che svolge, a qualsiasi titolo, attività assistenziale nell’ambito (o in favore) dell’ente sanitario – risponde, invece, del proprio operato “ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile“; sempre che, si noti poco sopra, egli non abbia agito “nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente” (co. 3 art.7).

La responsabilità del medico “strutturato” è così ricondotta, ex lege, nell’alveo dell’art. 2043 c.c. con la sola eccezione delle ipotesi in cui sia configurabile un vero e proprio rapporto contrattuale (anche) fra medico e paziente (e non soltanto fra quest’ultimo e la struttura sanitaria).

L’allegato A della d.G.R. 6-1613, con riferimento alla responsabilità del medico, precisa che egli “assume la responsabilità anche per la più piccola azione a distanza” e che a quest’ultimo spetta di scegliere tra le diverse possibilità, la soluzione più “proporzionato alle necessità cliniche”. La delibera regionale sembra porre al centro la figura del medico, responsabile della scelta a monte dello strumento da utilizzare e tanto da dover persino valutare lo standard qualitativo del servizio fornito dall’ente erogatore sulla base di specifici parametri: a) una chiara esplicitazione nella Carta dei Servizi delle prestazioni di telemedicina fornite; b) la designazione di un responsabile che garantisca l’organizzazione tecnico-sanitaria e la sussistenza degli standard prestazione; c) l’elaborazione di un piano di formazione per i medici; d) l’adozione di una procedura che garantisca la preventiva informazione al paziente sull’esecuzione della prestazione a “distanza”; e) modalità di esecuzione idonee a tutelare la sicurezza, riservatezza, conservazione e integrità dei dati.

È inoltre statuito che anche la valutazione circa la correttezza degli esiti della prestazione erogata a distanza resti in capo al medico cui spetta pronunciarsi, a fine visita, sul “raggiungimento degli obbiettivi che la prestazione si prefiggeva e, in ogni caso, l’insufficienza o meno del risultato raggiunto”; laddove per qualsiasi ragione di ordine tecnico, o relativo le condizioni fisiche del paziente, il professionista sanitario non ritenga adeguato il risultato ottenuto ha l’obbligo di riprogrammare la visita in presenza. Da ciò potrebbe evincersi che la prestazione in televisita avrebbe natura servente rispetto a quella svolta in presenza, o quanto meno, che vi sarebbe un rapporto binario (parallelo) tra le due, secondo cui quella svolta a distanza non per forza sostituirebbe in toto l’altra La delibera regionale, pur astrattamente prevedendo questa situazione, non fornisce ulteriori indicazioni con riguardo alla tariffazione della visita in presenza: e ciò se il pagamento di quella in presenza, a seguito del “fallimento” di quella a distanza, sarebbe una mera prosecuzione della prima (stesso costo per il SSN) o una seconda (doppio costo per il SSN).

Sebbene anche alla telemedicina si applichi il quadro normativo della responsabilità tanto in capo alla struttura quanto in capo al medico, si noti come l’”atto medico” sia connotato da ulteriori elementi che, quanto meno nei casi caratterizzati da maggiore complessità, rendono opaco il “contatto” tra paziente e medico da cui discende l’applicazione delle norme. Opacità frutto della tecnologia i cui processi non sono sempre di facile ed immediata o comune intelligibilità. Infatti, a seconda delle necessità la televisita può essere condotta mediante l’uso di tecnologie familiari come dispositivi tablet, smartphone o tramite l’applicazione di un software particolare o un servizio prestato da un ente erogatore. Ente erogatore che quindi si frappone tra i pazienti, il medico e la struttura o, secondo altre combinazioni non individuabili aprioristicamente.

Ad esempio, uno dei possibili modelli organizzativi di erogazione della prestazione potrebbe essere composto da: un Centro erogatore; una struttura del Servizio Sanitario Nazionale, e un Centro Servizi.

Sebbene nella delibera regionale si prevede in capo al medico l’onere di esaminare la qualità del servizio fornito, appare evidente come i medici non sempre possano facilmente orientarsi tra standard di gestione dell’appropriatezza clinica dei metodi utilizzati da ciascun Centro servizio o dentro erogatore enucleati a livello centralizzato. A parere di chi scrive, l’affidamento della valutazione dell’appropriatezza delle garanzie tecniche offerte dai prestatori di servizio ai soli medici potrebbe non garantire una piena e corretta stima che contempli tutte le possibili ricadute in termini di sicurezza; ciò soprattutto e se si tratta di servizi di monitoraggio di parametri vitali dalla cui inadeguatezza potrebbe scaturire un grave danno per la salute del paziente che alla tecnologia si è affidato. Non solo, occorre altresì evidenziare che la valutazione in argomento dovrebbe essere assunta dalle strutture a ciò preposte di Presidio ospedaliero, dunque, a livello aziendale e non solo individuale.

a maggior ragione ciò vale nei casi in cui il rapporto duale medico – paziente “a distanza” diventa una triade composta da operatori e addetti afferenti a Centri erogatori che si recano proprio al domicilio del paziente in veste di facilitatori dell’installazione e della messa a punto del mezzo con cui espletare la prestazione ambulatoriale in telemedicina. E’ chiaro che in questo caso, operatori non direttamente afferenti la struttura sanitaria operano quale sorta di longa manus operativa,o non solo, del medico strutturato per la messa punto delle prestazioni senza tuttavia essere parte della struttura aziendale.

Dalle azioni di coloro che, per conto del centro erogatore, operano tra il paziente e il medico curante potrebbero discendere responsabilità per danni cagionati al paziente, della cui analisi non è possibile in questo frangente occuparsi ma che non può essere sottaciuto a livello teorico in vista di una sempre più larga attuazione su larga scala della telemedicina.

A una prima analisi, possono quindi essere individuate almeno tre categorie di “soggetti” cui, con gradazione diversa e per cause diverse, può essere addebitata una qualche forma di responsabilità in caso di danno al paziente curato a distanza:

  1. le aziende sanitarie pubbliche e gli erogatori privati accreditati presso cui avviene l’elaborazione dei dati sanitari raccolti da parte del medico, deputati a selezionare il migliore Centro erogatore/Centro servizio laddove si ritengano non sufficienti i mezzi informatici ordinariamente a disposizione dei pazienti;
  2. il medico che segue in remoto il paziente[27];
  3. il Centro servizi/Centro erogatore produttore prestatore di servizio informatico.

A dispetto della rete mutevole composta dai diversi soggetti che, a vario titolo, come visto, possono comporre il mosaico della prestazione in telemedicina, la delibera in commento sembra, in ultima analisi, addossare alla struttura sanitaria il non lieve compito di “garantire la qualità del collegamento tra paziente e medico”, affinché sia idoneo ad assicurare la funzione attesa. Perciò, nuovamente, spetta alle Direzioni, mediante l’ausilio degli uffici preposti (questa volta informatici), analizzare – presumibilmente con atto autorizzativo – alcuni elementi tra cui: l’adeguatezza della rete di collegamento; l’esistenza di un portale web cui il medico può avere accesso tramite un account a titolo di identificazione personale; la predisposizione di un login anche per i pazienti affinché sia verificabile la loro presenza; la possibilità per gli scopi di cura prestabiliti di utilizzare gli strumenti già di uso quotidiano (es: Pc, tablet, smartphone) nonché il rispetto della normativa sul trattamento dei dati.

In altre parole, l’attuazione su larga scala richiede non solo una formazione adeguata in capo ai professionisti aziendali ma una vera e propria riorganizzazione dei servizi, almeno in alcuni casi.

La d.G.R. 6-1613 prevede, infatti, che Direzioni Generali delle aziende sanitarie pubbliche e degli enti accreditati privati spetti l’elaborazione di un “piano di valutazione dei rischi”, commisurato alla tipologia di servizi forniti in telemedicina, che contempli:

  1. la ponderazione dei rischi in relazione alla destinazione d’uso delle tecnologie, al quadro clinico del paziente e ai fattori ambientali;
  2. la presenza di procedure volte a mitigarli;
  3. la formazione continua al personale affinché conosca le procedure attuabili nonché i software;
  4. l’esplicitazione delle modalità di segnalazione e notifica di eventuali o mancati incidenti.

Tuttavia, sarebbe auspicabile la predisposizione, da parte delle Direzione sanitarie, non solo di atti e piani con valenza tecnica, ma anche di organigrammi funzionali con l’enucleazione di compiti e livelli di responsabilità dei soggetti a vario titolo coinvolti nell’utilizzo della tecnologia.

Ciò imporrebbe, a ben vedere, un cambiamento complessivo di prospettiva affinché sia applicata la telemedicina senza che ogni sforzo sia addossato al singolo operatore, con il rischio di disincentivare l’utilizzo.

4.2. Il trattamento digitale dei dati sanitari: prospettive di applicazione dell’Information and Communication Technologies (ICT).

Il primo risvolto pratico dell’utilizzo del “digitale” è la condivisione di dati e informazioni cliniche su piattaforme e per mezzo di software che favoriscono “una migliore garanzia per la realizzazione del diritto della salute, consentendo, tanto al sanitario, quanto al singolo utente, la possibilità di disporre di un unico contenitore di tutte le informazioni riguardanti la propria storia sanitaria”[28].

L’informazione è il cuore della cura; la medicina è informazione proveniente dal paziente, in quanto ogni diagnosi presuppone ed implica un flusso di dati che il medico deve sapere raccogliere, organizzare ed interpretare ma è altresì sul paziente, allorquando diventa frutto di confronto e condivisione nella comunità scientifica fine di ricerca.

Attività come l’accesso al dato sanitario, la rielaborazione dello stesso nonché l’archiviazione richiedono particolare attenzione in quanto il dato sanitario è patrimonio del soggetto[29].

Tuttavia, allorquando il dato personale sanitario acquisito diventa oggetto di condivisione (in formula aggregata) acquisisce un valore sociale; l’aggregazione e la standardizzazione delle informazioni sanitarie concessa dalla tecnologia digitale conferisce a queste informazioni oltre che una “dote” scientifica anche potenzialmente economica (si pensi al patrimonio genetico)[30].

Se sotto il profilo scientifico i dati sanitari acquisiti con applicazioni di telemedicina possono costituire un patrimonio importante se condiviso con le dovute cautele, oggetto di dibattito aperto e privo di approdi certi sono i rischi cui questo trattamento può andare incontro, specie per via della potenziale accessibilità da parte di una pluralità di soggetti.

Tanto la deontologia medica quanto il Garante per la protezione dei dati personali hanno riposto attenzione all’aspetto in questione. L’art. 11 del codice deontologico del Consiglio dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri del 2006 vieta infatti al medico di “collaborare alla costituzione di banche di dati sanitari, ove non esistano garanzie di tutela della riservatezza, della sicurezza e della vita privata della persona“.

Il Garante della privacy, in un Comunicato stampa del 20 luglio 2009, ha precisato che i dati personali del paziente possono essere impiegati esclusivamente a scopo di “cura“, non già per finalità di carattere lato sensu amministrativo[31].

Oggi la riservatezza dei dati è come noto presidiata da un complesso apparato di adempimenti e cautele previste dal sistema normativo, tra cui il Regolamento UE 679/2016 (GDPR), che ha comportato modifiche al Codice della Privacy volte ad apprestare una tutela rafforzata sancendo un generale divieto di trattamento di dati genetici e biometrici fatto salvo in presenza delle seguenti condizioni: consenso esplicito o, in mancanza, la tutela di un interesse indispensabile a salvare la vita, la finalità di medicina preventiva, i motivi di interesse pubblico e le finalità di archiviazione.

La delibera regionale prevede che il paziente debba essere “pienamente informato” circa le modalità e le finalità di trattamento dei dati sanitari nel corso della televisita. Quindi non solo il paziente deve essere informato del trattamento dei dati, ma deve esserlo “pienamente”. Il punto da cui prendere le mosse per ogni riflessione al riguardo sta allora nel concetto di “piena informativa”. Tanto che viene espressamente annunciato il contenuto che l’informativa al paziente deve prevedere:

  1. la descrizione della prestazione, degli obiettivi e dei vantaggi che ne possano derivare;
  2. la modalità di gestione e mantenimento dell’informazione nel software di raccolta;
  3. l’indicazione puntale delle persone che hanno contatto con i dati (indicazione della persona responsabile del trattamento);
  4. contatti del titolare del trattamento e del responsabile del trattamento;
  5. enucleazione dei diritti esercitabili.

Già dal delineato contenuto dell’informativa al paziente si comprende come il successo della tutela giuridica dei dati sensibili dipenderà in larga misura dal modo in cui la stessa tecnologia saprà interpretare (e rendere agevolmente azionabili nella prassi quotidiana) i criteri di controllo giuridico sui dati personali sanitari.

Prioritariamente, occorre valutare se e come la tecnologia possa rivoluzionare il consenso informato, che rappresenta ordinariamente la base giuridica di un legittimo trattamento dei dati personali. Certamente, la telemedicina non deve diventare fattore di spersonalizzazione nel rapporto medico-paziente, per questo occorre rendere il più possibile agevole il processo cognitivo circa la tipologia di prestazione in televisita e le modalità attraverso cui si attua. Stante la compresenza di elementi informatici, negli Stati Uniti, ad esempio, si è già applicato un metodo (sempre informatico) per procurare informazioni in formato multimediale al fine di guidare il paziente in plurime sessioni interattive attraverso percorsi divulgativi che consentono di misurare, attraverso una griglia di test a scelta multipla, l’effettivo grado di comprensione dell’informazione ricevuta, documentando su supporto informatico gli esiti del processo cognitivo seguito dal paziente[32].

Un secondo ordine di problemi attiene alle modalità di acquisizione del consenso: esclusivamente telematiche o con modalità cartacea. I canali diversi di acquisizione del consenso da parte del sanitario potrebbero dipendere dalla gestione della visita: nel primo caso, maggiormente raro, totalmente a distanza nel secondo caso a distanza in fase di follow up, dunque, previa acquisizione del consenso da parte del paziente nella fase iniziale, quindi in presenza.

Un terzo attiene al regime delle autorizzazioni all’accesso ai sistemi informatici di archiviazione dei dati sanitari[33]. Non a caso a ciascun incaricato del trattamento dovranno corrispondere sia un codice identificativo personale (ID) che una password necessari ai fini dell’accesso all’elaboratore. Né un medesimo codice può essere assegnato ad una pluralità di soggetti diversi. Infine, la trasmissione delle informazioni mediche non può essere alterata[34], e questo è un elemento che deve essere garantito, mediante adeguate forme di certificazione, sia dal software che dall’hardware del sistema prescelto. Sotto questo profilo “l’informazione medica viene in rilievo quale dato incorporato in un documento”, assoggettato a regole precise, che deve rispondere a requisiti formali suscettibili di attestarne l’integrità e la completezza. Si assiste, a ben vedere, ad una sorta di “eterogenesi dei fini“: l’informazione fornita per curare è, al contempo, un dato per giudicare lo stato di salute e la risposta da fornire[35].

Anche per questo aspetto, a parere di chi scrive, tutto quanto sopra brevemente illustrato sembra far propendere per l’instaurazione di un sistema al cui centro sono collocate le aziende sanitarie; chiamate a scegliere, secondo il paradigma di “privacy by design e by default” (Art. 25 GDPR) (ovvero la progettazione della stessa tecnologia in funzione della privacy), metodologie meno invasive possibili per la privacy dei propri pazienti dall’inizio alla fine del processo (trasmissione e archiviazione dei dati).

5. Spunti conclusivi: oltre l’emergenza verso la riduzione del digital divide.

Da ultimo, fermo restando la bontà dell’implementazione della telemedicina nel rispetto delle regole e delle normative, che, ci si auspica, siano promulgate a livello nazionale, non può non tradursi in preoccupazione l’utilizzo della stessa solo nelle aree geografiche pronte ad accoglierla. Si pensi a come, nel caso di specie, la mancanza di infrastrutture di rete adeguate possano acuire forme di disuguaglianza di accesso al SSN e di ricezione di cura. Affinché a pieno titolo si possa parlare di sanità digitale occorre che, quanto meno, siano previste infrastrutture tecnologiche adeguate a garantire l’uguaglianza dei cittadini all’accesso alla banda larga diffusa su tutto il territorio nazionale. La Strategia per la crescita digitale (2015-2020) auspicava, per l’implementazione della telemedicina, la necessità di «sviluppare soluzioni completamente integrate, caratterizzate da una forte interazione dei sistemi informativi sanitari, aziendali e ospedalieri, e basate sull’utilizzo diffuso di tecnologie cloud, sull’applicazione di criteri per omogeneizzare e standardizzare la raccolta e il trattamento dei dati sanitari. L’integrazione è il presupposto per favorire una corretta interazione di tutti gli attori interessati. Su queste linee di intervento, e con l’obiettivo primario di garantire la continuità assistenziale, si potranno consolidare sistemi informativi territoriali su cui impiantare modelli organizzativi innovativi, in grado di erogare servizi ad assistiti e operatori anche a supporto delle attività sociosanitarie territoriali, come agevolare la diagnostica, sostenere i percorsi di cura e gestire le cronicità»[36].

Tuttavia, proprio la carenza di capillarità territoriale di banda larga, insieme alla mancanza di un sistema di interoperabilità delle cartelle cliniche elettroniche – che permetta una piena interoperabilità dei dati – rappresentano le maggiori cause del diffondersi del fenomeno del digital divide[37], per tale intendendosi la mancanza delle stesse condizioni di accesso alla tecnologia in forza di diversi fattori (sociali, culturali, economici nonché tecnologici, infrastrutturali). E’ chiaro, oggi più che mai, che la forza del cambiamento sta nell’intercettare i bisogni di cura diffusi sul territorio mediante un ripensamento del modello integrato di ricerca pubblica e privata[38] affinché la sanità digitale diventi realtà.

Dottoressa di ricerca nell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” (Alessandria).

Per un’ampia disamina delle criticità cui si è assistito nella Regione Piemonte vedasi il contributo di F. Pallante, Il Servizio sanitario regionale piemontese di fronte alla pandemia da covid-19, in questa rivista, Anno VII, Numero 2 – 2020.

G. Ricci, L. Leondina Campanozzi, G. Nittari, A. Sirignano, La telemedicina come una risposta concreta alla pandemia da Sars-Cov – 2 Telemedicine as a concrete response to covid-19 pandemic, in Riv. It. di Medicina Legale, 2, 2020, 925.

Per un’ampia disamina della tematica si rinvia al saggio di M. Campagna, Linee guida per la Telemedicina: considerazioni alla luce della emergenza Covid-19, in Corti supreme e salute, 2020, 3.

Per un’analisi critica dell’impatto della pandemia sull’integrazione sanitaria integrazione socio-sanitaria, ed in particolare sull’assistenza residenziale e domiciliare si rimanda al lavoro di V. Molaschi, Integrazione socio-sanitaria e COVID-19: alcuni spunti di riflessione, in questa rivista, Anno VII, Numero 2 – 2020.

Organizzazione Mondiale della Sanità, Telelemedicine. Opportunities and development in member states. Report on the Second Global Survey on e-Health, 2010, Ginevra, reperibile sul sito https://www.who.int/goe/publications/goe_telemedicine_2010.pdf

A. Bianchi, R. Ascione, Così la digital health migliora qualità delle cure e della vita dei pazienti, in Quotidiano Sanità24, 18 febbraio 2021.

La telemedicina può far sconfinare non solo in modo figurato l’assistenza ospedaliera sul territorio ma anche l’assistenza sanitaria in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di affiliazione

COM (2008) 689 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle Regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società, reperibile sul sito https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2008/IT/1-2008-689-IT-F1-1.Pdf

Nel quadro dell’Agenda Digitale Europea, l’Italia ha sviluppato l’Agenda Digitale Italiana “Strategia per la crescita digitale 2014-2020” della Presidenza del Consiglio dei ministri, reperibile al seguente indirizzo: https://www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/documenti_indirizzo/strategia_crescita_digitale_ver_def_21062016.pdf

Al riguardo, con propria risoluzione sull’attuazione della direttiva in parola del 12 febbraio 2019 il Parlamento europeo ha deplorato che l’applicazione della direttiva in materia di telemedicina «abbia portato a una certa mancanza di chiarezza sui sistemi di rimborso, in quanto alcuni Stati membri rimborsano o forniscono consulenze a distanza con medici generici o specializzati, mentre altri non lo fanno; invita la Commissione a sostenere l’adozione delle norme in materia di rimborso, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, e all’articolo 4, paragrafo 1, affinché si applichino, se del caso, anche alla telemedicina; incoraggia gli Stati membri ad allineare le loro modalità di rimborso della telemedicina».

A questo proposito, vedasi la 2011/890/UE Decisione di esecuzione della Commissione, del 22 dicembre 2011, che stabilisce le norme per l’istituzione, la gestione e il funzionamento della rete di autorità nazionali responsabili dell’assistenza sanitaria on line, cd. rete eHealth.

Reperibile sul sito http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1787122.pdf

Reperibile sul sito https://www.trovanorme.salute.gov.it/ attuato in Regione Piemonte tramite l’approvazione delle linee di indirizzo con deliberazione n. 306-29185 del 10/7/2020, p. 44.

Reperibile sul sito http://www.statoregioni.it/media/3221/p-3-csr-rep-n-215-17dic2020.pdf

Per un commento A. Pioggia, Il decreto di “rilancio”. Sanità e sicurezza, in Giornale di dir. Amm. ,2020, 5, 560.

Sul rapporto tra medici di famiglia e USCA, previsti dall’art. 4 bis del d.l n. 18/2020, si è di recente pronunciata la Terza Sezione del Consiglio di Stato, n. 8943/2020, accoglie il ricorso della Regione Lazio e ribalta la recente decisione del Tar, n. 11991/2020, che aveva ritenuto sussistente, sulla base dell’articolo 4 bis del d.l. n. 18/2020, il divieto per i medici di medicina generale di effettuare visite domiciliari ai pazienti Covid in quarantena domiciliare. Il Consiglio di Stato ha infatti chiarito che “il senso della disposizione emergenziale in commento” non è quello di esonerare i medici di medicina generale, ma è solo “quello di alleggerire i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i medici di continuità assistenziale, dal “carico” derivante dall’esplosione pandemica, affiancando loro una struttura capace di intervenire a domicilio del paziente“, in www.giustizia-amministrativa.it .

Tra gli atti che hanno concorso alla realizzazione di un nuovo modello organizzativo di sanità territoriale in Piemonte si ricorda altresì la d. G.R. n. 3-2190/2020 (B.U., n. 46 12 novembre 2020), «Recepimento dell’Accordo Integrativo Regionale COVID raggiunto tra la Regione Piemonte e le OOSS dei medici di medicina generale. Modifica e integrazione dell’Accordo di cui alla D.G.R. n. 30-1380 del 15.05.2020, prorogata dalla D.G.R. n. 21-2070 del 9 ottobre 2020». La d. G.R. n. 1-2188/2020 (B.U. n. 46 12 novembre 2020) «L. n. 27 del 24 aprile 2020 e L. n. 77 del 17 luglio 2020. Piani di potenziamento territoriale: linee d’indirizzo sul ruolo e sulle funzioni delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) nella rete dei servizi distrettuali delle ASL del Piemonte, nell’ambito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e criteri di riparto delle risorse».

F. Gabrielli, L. Bertinato, G. Defilippis, M. Bonomini, M. Cipolla, Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19,2020. Rapporto reperibile sul sito https://www.iss.it/rapporti-covid-19 del Ministero della Salute insieme ad altri dedicati a settori specifici.

Per un’approfondita panoramica si rimanda al contributo di G. Boggero, F. Paruzzo, Risposte regionali alla pandemia da COVID-19: il caso della Regione Piemonte, in Regioni, 2020; in questa stessa rivista G. Boggero, Un decentramento confuso, ma necessario. Poteri di ordinanza di Regioni ed enti locali nell’emergenza da COVID-19, in questa stessa rivista, Anno VII, Numero 1 – 2020.

Con legge regionale n. 17 del 9 aprile 2019 «Promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo» sono state promosse politiche di sostegno alla persona anziana nell’abituale contesto familiare e territoriale sostenendo la cura domiciliare.

Nel periodo emergenziale sono state promulgate delle misure anche con riferimento alla ricetta elettronica come quelle contenute nel Ocdpc n. 651 del 19 marzo 2020. G.U. Serie Generale, n. 74 del 21 marzo 2020 «Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile».

Il percorso clinico-assistenziale (PCA o PDTA) è uno strumento di orientamento della pratica clinica che, adattandosi alle linee guida internazionali, coinvolge e integra tutti gli operatori interessati al processo, con l’obiettivo di un progressivo passaggio da una gestione “per specialità” a una gestione “per processi” e tende a ridurre la variabilità dei comportamenti, mantenendo quelli più appropriati e virtuosi, attraverso la definizione: della migliore sequenza di azioni, del tempo ottimale degli interventi, del riesame dell’esperienza conseguita per il miglioramento continuo di qualità in sanità (Par. 5.4 delle Linee nazionali). In sostanza il PCA sarebbe lo strumento per integrare la prestazione di telemedicina nel complesso dei servizi erogati dal sistema sanitario definendo la riorganizzazione dei percorsi assistenziali.

Il Documento di definizione degli standard di servizio prevede che da parte di ciascuna struttura sanitaria siano definiti livelli di competenza fornendo garanzie di accesso al servizio, tecnologiche, professionali, organizzative e cliniche (Par. 5.5. delle Linee nazionali).

La d. G.R. 82-5513 enuclea tre macro obiettivi: 1) migliorare la programmazione degli investimenti in grandi tecnologie e in tecnologie innovative e favorire un utilizzo più efficiente di tali tecnologie da parte delle strutture sanitarie; 2) mettere a punto un nuovo sistema di monitoraggio dell’introduzione e dell’uso dei device, in particolare di quelli innovativi, che consenta di definire gli ambiti di uso appropriato e i risultati ottenuti nel contesto di reale applicazione; 3) diffondere sul territorio regionale le conoscenze sull’efficacia delle tecnologie disponibili, divulgare le buone pratiche adottate per la loro gestione, condividere linee guida e indicazioni d’uso finalizzate a garantire equità ed omogeneità di accesso alle prestazioni a tutti i cittadini.

Una tematica di particolare rilievo, stante il modello integrativo di assistenza richiesto per l’applicazione della telemedicina e della televisita, da parte non solo ed esclusivamente di medici strutturati presso le aziende ospedaliere pubbliche , è quella se, con riferimento al caso in cui sia stata accertata la responsabilità civile del “medico di medicina generale MMG” per i pregiudizi da questo arrecati ad un paziente iscritto al Servizio Sanitario Nazionale, del risarcimento dei danni debba farsi carico anche la A.S.L., con la quale il professionista è convenzionato, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. e/o dell’art. 2049 cod. civ. Si è pronunciata la Cass. civ. Sez. III, 27 marzo 2015, n. 6243, commento di R. Pucella, La responsabilità dell’A.S.L. per l’illecito riferibile al medico di base, in Nuova Giur. Civ., 2015, 10, 10934.

M. Savini Nicci, A. Amidei, La responsabilità medica – la responsabilità civile del medico “strutturato”, in Giur. It., 2021, 2, 456; Comandè, Nocco, La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria tra artt. 1218 c.c. e 2043 c.c., in Gelli, Hazan, Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione – Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n. 24, 2017; Brizzi, Il medico “strutturato”, in Ruffolo (a cura di), La nuova responsabilità medica, cit., 94-95.

Tra gli altri F. G. Cuttaia, La responsabilità medica a due anni dalla riforma Gelli – Riflessioni e problemi aperti, reperibile sul sito https://formazionesalute.fbk.eu/

G. De Vergottini – C. Bottari (a cura di), La sanità elettronica, Bologna, 2018,7.

U. Izzo, Medicina e diritto nell’era digitale: i problemi giuridici della cybermedicina, in Danno e Resp., 2000, 8-9, 807

S. Rodota’, Le informazioni genetiche, in Aa. Vv., Società dell’informazione, tutela della riservatezza, Milano, 1998, 73; A. Santuosso, La genetica: problemi di legittimazione medica e di controllo sociale, in A. Santuosso, M. Barni (a cura di), Medicina e diritto. Prospettive e responsabilità della professione medica oggi, Milano, 1995, 327 ss.

V.R. Imperiali, La tutela dei dati personali. Vademecum sulla privacy informatica, Il sole 24 ore (collana Legale), 1997.

I tutorial su CD ROM sono in uso e da tempo in commercio negli Stati Uniti; si consultino i seguenti siti: http://www.patient-education.com; http://www.acogpace.com.

C. Filaluro, Telemedicina, cartella clinica elettronica e tutela della privacy, in Danno e Resp., 2011, 5, 472.

La tematica della trasmissione garantita dei dati sanitari può essere inquadrata nella fattispecie relativa al documento informatico, definito quale “rappresentazione informatica di un atto, fatto o dato giuridicamente rilevante” che rinviene la disciplina nel “Codice dell’amministrazione digitale” (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

U. Izzo, op. cit., 807 ss.

Documento reperibile sul sito internet: https://www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/documentazione/strategia_crescita_digitale_ver_def_21062016.pdf, 89. P. Piras, Il tortuoso cammino verso un’amministrazione nativa digitale, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (Il), 1, 2020, 43.

D. Donati, Digital divide e promozione della diffusione delle ICT, in F. Merloni (a cura di), Introduzione all’eGovernment, Torino, 2005. Con il tempo il concetto di digital divide ha finito per assumere un significato plurale, intendendo fare con esso riferimento alla “differenza che intercorre tra i maschi e le femmine, tra i diversamente abili e non, tra i giovani e i vecchi, tra i lavoratori e i disoccupati” in relazione al possesso del computer, alla fruizione della rete internet e alla consapevolezza degli utenti nell’utilizzo degli strumenti, così G. Saraceni, Digital Divide e povertà, in Dirittifondamentali.it., 2019, 1-19,. 7.; M. Campagna, op.cit., 19; per una definizione di digital divide maggiormente versatile per accogliere mutamenti L. Attias, M. Melchionda, M. Piacitelli, A. Ruggiero, Mind the gap, in Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, n. 3-2017, 94-103; A. F. Spagnuolo, E. Sorrentino, Alcune riflessioni in materia di trasformazione digitale come misura di semplificazione, in Federalismi.it., 24 marzo 2021.

Per una prima riflessione si veda L. Alberghina, Recovery Plan: una filiera integrata ricerca-innovazione – impresa per la sanità digitale, in Quotidiano Sanità24, 02, 2021.