Le richieste di differenziazione della Regione Piemonte in materia di lavoro e istruzione

Tanja Cerruti[1]

1. Il 6 novembre 2018, sulla base di un’iniziativa presentata dalla Giunta[2], il Consiglio regionale del Piemonte ha adottato una delibera con cui ha approvato un documento di indirizzo, allegato alla stessa, “che costituisce parte integrante e sostanziale, per l’avvio del procedimento di individuazione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia per la Regione, ai sensi dell’art. 116, comma terzo, della Costituzione”, affidando al Presidente della Giunta il mandato a negoziare con il Governo e impegnando altresì la Giunta ad assicurare il coinvolgimento degli enti locali, attraverso gli appositi organi di raccordo, nonché ad aggiornare il Consiglio sull’iter procedurale.

L’allegato in questione si caratterizza in quanto antepone alle richieste di maggiore competenza nelle singole materie una Premessa che, dando atto delle caratteristiche peculiari della Regione dal punto di vista economico, demografico e istituzionale, si propone di fornire una giustificazione alle istanze autonomiste, radicandole nelle specifiche esigenze che discendono dal contesto.

Gli aspetti che paiono meritevoli di nota, nelle riflessioni sulle richieste di differenziazione in materia di “tutela del lavoro, istruzione tecnica e professionale, istruzione e formazione professionale e istruzione universitaria”, sono quelli concernenti la conformazione del territorio, la distribuzione della popolazione sullo stesso, alcuni dati demografici e le loro stime per il futuro nonché le informazioni sull’andamento del mercato del lavoro.

A questo proposito, benché il 2016 denoti per il terzo anno consecutivo una modesta ripresa dell’occupazione, il Piemonte si conferma fanalino di coda fra le Regioni settentrionali per il tasso di disoccupazione (che è al 7,6% ma sale drammaticamente al 24,3% fra la popolazione giovanile) assestandosi poco al di sotto della media nazionale (11,7%). Questo dato è debolmente compensato da quello inerente i redditi familiari la cui contrazione sembra essersi arrestata, a partire dal 2015, benché non in modo omogeneo fra tutta la popolazione[3].

Dal punto di vista demografico, a differenza di altre Regioni del Centro-Nord il Piemonte continua ad assistere ad una riduzione del numero dei suoi abitanti, dovuta al “saldo naturale negativo, in aggravamento, non compensato da flussi migratori sufficienti” e accentuato anzi da un “crescente numero di espatri”. Questi dati, uniti a quelli sull’invecchiamento dei piemontesi, di cui solo il 12,6% è costituito da soggetti infraquattordicenni[4], lasciano verosimilmente prevedere una futura significativa contrazione della popolazione studentesca.

Un ultimo dato che pare meritevole di nota, soprattutto ai fini dell’esercizio delle competenze in materia di istruzione e, nello specifico, dell’organizzazione della rete scolastica, concerne l’elevato numero dei Comuni, 1197, di cui 519 (il 43,3%) montani e 1061 (l’88,6%) al di sotto dei 5000 abitanti[5].

 

2. L’esplicazione delle singole istanze di differenziazione, oggetto della seconda parte dell’Allegato A (Le materie oggetto di richiesta. Per ulteriori competenze legislative ed amministrative), è preceduta dall’enunciazione dei quattro criteri che hanno portato all’identificazione delle materie e cioè:

1) funzionalità delle stesse rispetto alle scelte strategiche per lo sviluppo economico e territoriale che la Regione intende perseguire;

2) riunificazione di competenze di alcune materie che solo parzialmente sono state attribuite all’intervento legislativo regionale;

3) raggiungimento di obiettivi di semplificazione nel rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino e tra Pubblica Amministrazione ed imprese;

4) individuazione di specificità nel contesto della programmazione ed erogazione di servizi in relazione soprattutto al contesto demografico[6].

Segue l’elenco delle materie vere e proprie che, pur ricomprendendo settori di rilievo e, soprattutto, della massima importanza ai fini della garanzia dei diritti sociali[7], si presenta ben più circoscritto di quello che costituisce attualmente oggetto di trattativa fra lo Stato e le tre Regioni “pioniere” di questa nuova ondata di richieste (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna)[8], ricordando i più modesti preaccordi che quegli stessi enti avevano stipulato nel febbraio dello scorso anno[9].

 

3. Il punto c) del sopracitato elenco annovera in un’unica voce due diversi ambiti di competenze, peraltro strettamente interconnessi, “tutela e sicurezza del lavoro” ed “istruzione tecnica e professionale, istruzione e formazione professionale e istruzione universitaria”, che verranno qui affrontati separatamente.

 

3.1. In riferimento al primo il documento regionale si preoccupa di specificare che alla materia “tutela e sicurezza del lavoro” di cui all’art. 117, c. 3 della Costituzione vanno ricondotti due elementi, i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro, che, favorendo “il proficuo incontro fra domanda e offerta”, devono essere capillarmente e contestualmente presenti sul territorio “al fine di favorire un adeguato inserimento al lavoro delle persone che a diverso titolo ne siano escluse e per sostenere la ricerca e la formazione di professionalità necessarie allo sviluppo delle imprese”.

Dal punto di vista normativo su entrambi questi aspetti il Piemonte risulta essersi efficacemente attivato già in passato, soprattutto grazie alla legge regionale 22.12.2008, n. 34, Norme per la promozione dell’occupazione, della qualità, della sicurezza e regolarità del lavoro e le successive modifiche. Oltre ad attribuire alla Regione “le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento delle politiche attive del lavoro” (art. 4[10]) la legge dedica loro l’intero capo VI (Interventi di politica attiva del lavoro, artt. 29-47) che ne prevede diverse tipologie (tirocini formativi e di orientamento, cantieri di lavoro, sostegno all’inserimento lavorativo, progetti di ricollocazione professionale, promozione di iniziative finalizzate all’invecchiamento attivo delle persone, misure in favore dell’autoimpiego, come lavoro autonomo o creazione d’impresa), specificandone i destinatari e l’intento di procedere in sinergia con gli enti locali[11].

La l.r. n. 34/2008 interviene altresì sulla rete dei servizi territoriali per il lavoro in relazione ai quali è stata recentemente modificata, come lo stesso documento consiliare ricorda, dalla l.r. 7/2018[12] che l’ha adeguata alle novità intervenute al livello statale. La l.r. del 2018 ha così ridisciplinato l’Agenzia Piemonte Lavoro, preponendola “ai nuovi compiti in materia di servizi per l’impiego previsti in attuazione del d.lgs. 150/2015” (art 6, c. 1) e incaricandola di “assicurare l’erogazione dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro di cui all’art. 18, c. 1 del d.lgs. 150/2015”[13] (art. 6, c. 3) per poi intervenire sul Capo VI della legge che, regolando il Sistema regionale dei servizi per l’impiego (artt. 19-28)[14], si sofferma in particolare su tutti i soggetti che vi sono coinvolti.

 

3.2. In riferimento alle politiche attive del lavoro e dei soggetti coinvolti le richieste regionali non si appuntano tanto sull’espansione della potestà legislativa, che è stata probabilmente già esercitata in forma piuttosto ampia, considerando che la normativa statale alla quale si rifà qualifica espressamente alcuni aspetti come LEP, quanto di quella finanziaria e gestionale, presentando quattro richieste che ricordano in parte le rivendicazioni della più recente fase dell’Emilia Romagna (che le estende però spesso anche alla competenza legislativa).

La prima ha ad oggetto “un quadro di risorse stabile” da destinare ai “costi del personale e agli altri costi di funzionamento dell’Agenzia regionale per il lavoro”, con l’obiettivo di “ottimizzare la spesa complessiva statale e regionale”, aumentando il personale, riducendo i tempi di attesa per gli utenti e apportando alcuni altri miglioramenti che consentano di recuperare “l’enorme ritardo rispetto agli standard europei”. L’incremento delle risorse viene giustificato con il fatto che quelle attualmente disponibili non consentono alla Regione un’erogazione dei servizi in grado di soddisfare i livelli essenziali fissati dal d.lgs. 150/2005 ma si ribadisce che “tutto ciò” avverrebbe “alla luce della legislazione corrente”. Il quadro di risorse servirebbe poi a rafforzare la rete informatica e a soddisfare i LEP di cui al sopracitato art. 18 del d.lgs. 150, garantendo alle diverse fasce di utenza alcuni servizi[15].

Il secondo punto menziona una “maggiore autonomia programmatoria e finanziaria”[16] che consenta un uso flessibile dei diversi strumenti e la loro integrazione con i percorsi formativi, per la cui definizione si richiede altresì una maggiore discrezionalità al fine di meglio coordinarli con il mercato del lavoro locale e ricondurre “ad unità” gli interventi per la tutela. La richiesta viene motivata anche alla luce della caratterizzazione regionale dei mercati del lavoro, che renderebbe auspicabile una maggiore libertà di movimento della Regione in relazione alla regolamentazione degli strumenti di politica attiva, con la possibilità di individuare le priorità e modulare gli interventi rispetto ai beneficiari del sostegno al reddito.

La terza richiesta vorrebbe analogamente un “completo livello di autonomia”[17] nella gestione dei programmi di politica attiva in capo a Ministero e ANPAL. Di questa esigenza dovrebbero tenere conto anche la programmazione dei Fondi strutturali europei e l’organizzazione di ANPAL Servizi, che opererebbe così a sostegno delle strutture regionali e dell’Agenzia Piemonte Lavoro nell’attuazione delle “politiche ricondotte alla regia regionale”.

A completamento di quanto già domandato, il quarto punto concerne la “vigilanza”, in collaborazione con gli Ispettorati territoriali, “sulla regolarità degli strumenti di politica attiva del lavoro”, con particolare riferimento ai tirocini, con l’obiettivo di “riuscire a contrastare tempestivamente eventuali situazioni di irregolarità nell’utilizzo degli strumenti di politica attiva, ricondotti alla regia regionale”.

A differenza di quanto rivendicano oggi Lombardia e Veneto[18], la delibera piemontese non manifesta velleità interventiste nei confronti delle “professioni”[19].

 

4. Per quanto concerne il secondo ambito del punto c), “istruzione tecnica e professionale, istruzione e formazione professionale e istruzione universitaria”, occorre innanzitutto rilevare che, come si evince dalla stessa denominazione, le richieste si concentrano su alcuni profili dell’istruzione, non contemplandola nella sua interezza.

 

4.1. In seguito alla revisione del Titolo V della Costituzione del 2001, il Piemonte è intervenuto, al pari di altre Regioni, regolamentando in modo organico la materia con la legge regionale 28.12.2007, n. 28, Norme sull’istruzione, il diritto allo studio e la libera scelta educativa.

Sin dal suo primo articolo (dedicato proprio alle finalità) tale legge enuncia le linee guida che devono ispirare le scelte regionali e che paiono fondamentalmente riconducibili a due principi: la necessità di costruire le politiche intorno agli utenti, con una particolare attenzione per quelle categorie risultanti, a vario titolo, più deboli (art. 1, c. 1, 2, 4, 6) ed una modalità “concertata” di conduzione delle politiche stesse, che coinvolga sia gli enti locali, sia le istituzioni scolastiche autonome, di cui si riconosce “il fondamentale ruolo” (c. 3 e 5).

A proposito del primo profilo, la legge prospetta diversi interventi (artt. 2 e 4), di carattere prettamente finanziario, che, pur concretizzandosi prevalentemente in azioni di sostegno per le fasce più svantaggiate, includono anche iniziative volte alla valorizzazione del merito (art. 10). Le linee che devono guidare l’azione regionale sono stabilite in un atto d’indirizzo, approvato dal Consiglio su proposta della Giunta, sentita la Conferenza regionale per il diritto allo studio e la libera scelta educativa (art. 27).

Per quanto invece concerne la conduzione delle politiche, dal punto di vista del riparto delle funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo il Piemonte ha scelto di non seguire l’esempio di molte Regioni italiane, che hanno sostanzialmente riprodotto, pur con alcune varianti, lo schema proposto dal d.lgs. 112/1998 e si è ispirato non tanto al criterio di una netta divisione dei compiti con gli enti locali[20], quanto a quello di un’azione sinergica con essi, pur nella titolarità di ruoli diversi (spesso, infatti, alla Regione è attribuito il solo finanziamento di funzioni che vengono poi svolte dal Comune)[21].

Sul fronte della formazione professionale il Piemonte si è sempre distinto, nel panorama nazionale, per la “mole delle iniziative”[22]. Negli anni Settanta del secolo scorso, con l’assunzione delle prime competenze, ha realizzato investimenti finalizzati ad aumentare l’offerta, istituito nuovi corsi, in cooperazione con gli enti locali e le forze imprenditoriali e sindacali, concesso incentivi ai soggetti privati già operanti nel settore[23]. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta la Regione ha avviato le prime sperimentazioni di iniziative integrate fra sistema scolastico e formazione professionale, per poi approvare una riforma della stessa. La privatizzazione del sistema e la moltiplicazione delle offerte vede oggi la partecipazione di molti soggetti, ma l’attenzione rimane concentrata sull’intento di arginare la dispersione scolastica e di operare in collaborazione con il mondo del lavoro. La tendenza della nostra Regione di distinguersi a livello nazionale per la pluralità dei suoi interventi non è venuta meno neanche dopo la riforma del 2001 (che ha ricondotto istruzione e formazione professionale alla competenza regionale), pur nell’oggettiva inidoneità del suo sistema ad accogliere tutti gli studenti che abbandonano anticipatamente il percorso dell’istruzione[24].

 

4.2. Alla luce del contesto sopra illustrato, in riferimento agli ambiti dell’istruzione tecnica e professionale, dell’istruzione e formazione professionale e dell’istruzione universitaria, le richieste di differenziazione del Piemonte paiono finalizzate, in sintonia con quanto enunciato nella Premessa della Delibera consiliare ed in linea con la sua tradizione, ad assicurare un migliore collegamento fra questa branca del percorso formativo ed il tessuto economico e sociale di contorno.

L’oggetto delle richieste ha carattere variegato, spaziando dalla piuttosto generica rivendicazione degli “strumenti, anche normativi, atti a realizzare un’offerta educativa e formativa integrata di Istruzione tecnica professionale e di Istruzione e Formazione professionale che, nel rispetto delle istituzioni scolastiche, permetta di contrastare la dispersione scolastica…” a quella, apparentemente più circoscritta, della “definizione di accordi con l’Ufficio scolastico regionale per una programmazione dell’offerta fondata sul pieno e concordato utilizzo degli strumenti di flessibilità e autonomia, con particolare riferimento all’Istruzione tecnica e all’Istruzione professionale”, nell’ambito della quale si chiede però che la Regione disponga “di poteri relativi all’organizzazione del Servizio Istruzione”, “a partire dalle dotazioni di personale e tecnologiche complessivamente previste per il territorio regionale dal MIUR”.

Rivendicano una competenza di tipo normativo sia le domande, che ineriscono ad ambiti specifici, di provvedere alla disciplina dell’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie (funzione prevista dall’attuale legge regionale)[25] e dell’educazione degli adulti (non contemplata dalla legge attuale), sia la richiesta, più “a tutto tondo”, di esercitare la “competenza legislativa nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni universitarie” in materia di connessione fra il sistema universitario e quello produttivo, “funzionale alla creazione di percorsi di formazione terziaria universitaria”, che rappresenta peraltro l’unico riferimento all’istruzione universitaria menzionata alla lettera c).

Circoscritta dal punto di vista dell’oggetto pare anche la richiesta delle “funzioni di competenza statale in materia di edilizia scolastica e diritto allo studio”. Sulla prima la sopracitata l.r. 28/2007 prevede l’intervento della Regione nel quadro di quanto disposto dalla normativa statale, mentre sul secondo la autorizza a disporre diverse forme di interventi nei limiti delle risorse disponibili ma senza particolari vincoli normativi[26].

Non chiarissime dal punto di vista della tipologia di competenza auspicata paiono le domande relative al “conseguimento di un’adeguata qualificazione dei luoghi della formazione” e alla “valorizzazione delle forme di alternanza e diffusione delle diverse forme di apprendimento sui luoghi di lavoro in tutti i livelli di formazione e istruzione, attraverso un maggior raccordo con gli uffici scolastici regionali e le autonomie scolastiche…”.

Più connotate sul piano finanziario sono invece le rivendicazioni delle “risorse necessarie a garantire il diritto dei giovani di scegliere se assolvere il diritto-dovere all’istruzione e formazione nel ‘sistema di istruzione’ o nel ‘sistema di istruzione e formazione professionale’” e del “finanziamento continuativo riguardo ai percorsi IFTS e ITS per dare certezza e continuità ai giovani e alle imprese”[27].

La proposta della Giunta includeva poi un’ulteriore competenza, concernente “la definizione dei criteri per l’attività di reclutamento regionale e la sua successiva attuazione”, non recepita però dal documento consiliare.

A questo proposito non si può non osservare come in riferimento all’istruzione le richieste della Regione Piemonte si distinguano significativamente da quelle negoziate di recente dalla vicina Lombardia e dal Veneto che, oltre ad includere profili rilevanti delle “norme generali” in materia, rivendicano la competenza a disciplinare aspetti alquanto delicati, come la gestione del personale con l’istituzione di ruoli regionali, risultando invece più vicine a quelle, seppure di più ampio respiro, presentate dall’Emilia Romagna.

 

5. Complessivamente l’enunciazione delle finalità perseguite nel campo dell’istruzione lascia intendere che l’obiettivo principale della differenziazione sarebbe quello di utilizzare quella più approfondita conoscenza del tessuto economico e sociale piemontese – comprensiva delle piaghe della disoccupazione e della dispersione scolastica – che la Regione può vantare per gestire in piena autonomia il sistema formativo alternativo ai percorsi liceali, facendo in modo che questo da un lato arricchisca la sua offerta (rafforzando anche il livello terziario), dall’altro lato sia in grado di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro regionale, tentando di fornire ai suoi utenti le competenze necessarie per entrare a farne parte e contribuendo altresì alla riduzione dell’abbandono scolastico[28]. La competenza piuttosto ampia che il Piemonte esercita nel settore farebbe dedurre che, al di là delle maggiori risorse, esso potrebbe probabilmente raggiungere tali obiettivi grazie agli strumenti di cui già dispone; sicuramente però la prospettiva di una gestione indipendente, supportata da finanziamenti più consistenti, se davvero efficiente potrebbe consentire una canalizzazione degli interventi verso i settori in cui questi risulterebbero più utili e necessari. 

Considerazioni analoghe valgono per le richieste avanzate nell’ambito della tutela del lavoro, a loro volta prevalentemente convergenti verso l’obiettivo di favorire l’occupazione, i cui bassi livelli, soprattutto fra le fasce giovani della popolazione, costituiscono realmente in Piemonte uno degli ambiti più meritevoli di intervento.

 


[1] Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Torino.

 

[2] Delibera della Giunta regionale del Piemonte n. 2-7227 del 20.7.2018 (d’ora in avanti D.G.R. n. 2-7227).

 

[3] Delibera del Consiglio regionale del Piemonte n. 319-38783 del 6.11.2018, Allegato A (d’ora in avanti Allegato A), Premessa. La situazione regionale di contesto, pp. 4-6. I dati sulla disoccupazione si riferiscono al 2016.

 

[4] Allegato A, pp. 6, s e p. 9, Tab. 5.

 

[5] Allegato A, p. 11, s, Tab. 7 e 8. Per il numero dei Comuni la Regione è seconda solo alla Lombardia.

 

[6] Allegato A, p. 15.

 

[7] A questo proposito M. Dogliani, Quer pasticciaccio brutto del regionalismo italiano, 8.2.19, in Il Piemonte delle Autonomie, 2018, n. 3, osserva che il processo di attuazione del regionalismo differenziato rischia di “mettere in discussione il principio di uguaglianza tra gli italiani nella fruizione di alcuni grandi servizi pubblici nazionali: proprio di quei servizi che siamo soliti chiamare ‘le istituzioni dell’eguaglianza’, a partire dalla scuola”. Individua i due punti cruciali di tutto il processo nei settori della sanità e dell’istruzione anche E. Balboni, Per scongiurare la “secessione dei ricchi” basterebbe la buona amministrazione, in forumcostituzionale Rassegna, 2019, n. 2, p. 2.

 

[8] V. le bozze di intesa fra il Presidente del Consiglio dei Ministri e, rispettivamente, i Presidenti delle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna datate 14.2.2019 (i cui contenuti, per le parti concernenti le singole materie, non sono ancora stati concordati fra Governo e Regione).

 

[9] Accordo preliminare in merito all’Intesa prevista dall’art. 116, terzo comma, della Costituzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Regione [rispettivamente] Emilia Romagna/Lombardia/Veneto, in www.affariregionali.gov.it.

 

[10] A partire dalle modifiche del 2015 la legge prevede però che la Regione svolga tale funzione “in raccordo con le linee guida stabilite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL)”.

 

[11] Su tali aspetti v. amplius C. Tripodina, Lavoro e politiche economiche e sociali, in M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (cur.), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 116, ss..

 

[12] Legge regionale 29.6.2018, n. 7, Disposizioni urgenti in materia di bilancio di previsione finanziario 2018-2010.

 

[13] D.lgs. 14.9.2015, n. 150, Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, il cui art. 18, c. 1, recita “Art. 18. Servizi e misure di politica attiva del lavoro 1. Allo scopo di costruire i percorsi più adeguati per l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano costituiscono propri uffici territoriali, denominati centri per l’impiego, per svolgere in forma integrata, nei confronti dei disoccupati, lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro e a rischio di disoccupazione, le seguenti attività: a) orientamento di base, analisi delle competenze in relazione alla situazione del mercato del lavoro locale e profilazione; b) ausilio alla ricerca di una occupazione, anche mediante sessioni di gruppo, entro tre mesi dalla registrazione; c) orientamento specialistico e individualizzato, mediante bilancio delle competenze ed analisi degli eventuali fabbisogni in termini di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del lavoro, con riferimento all’adeguatezza del profilo alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europea; d) orientamento individualizzato all’autoimpiego e tutoraggio per le fasi successive all’avvio dell’impresa; e) avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, dell’autoimpiego e dell’immediato inserimento lavorativo; f) accompagnamento al lavoro, anche attraverso l’utilizzo dell’assegno individuale di ricollocazione; g) promozione di esperienze lavorative ai fini di un incremento delle competenze, anche mediante lo strumento del tirocinio; h) gestione, anche in forma indiretta, di incentivi all’attività di lavoro autonomo; i) gestione di incentivi alla mobilità territoriale; l) gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosufficienti; m) promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile, ai sensi dell’articolo 26 del presente decreto”.

 

[14] La legge si limita talvolta a recepire il contenuto del d.lgs. 150/2015 (v. l’art. 20, c. 1, della l.r. che riprende l’elenco delle attività previste per i Centri per l’impiego dall’art. 18, c. 1, del d.lgs).

 

[15] Fra tali servizi vengono annoverati: orientamento di base e specialistico; supporto alla ricerca del lavoro; orientamento e supporto all’autoimpiego; attività per la qualificazione professionale; supporto all’attivazione di tirocini e strumenti di conciliazione.

 

[16] La delibera della Giunta faceva solo riferimento ad una “maggiore autonomia”, senza caratterizzare la stessa come “programmatoria e finanziaria”, v. D.G.R. n. 2-7227.

 

[17] La delibera della Giunta rivendicava un più modesto e indefinito “adeguato livello di autonomia”, v. D.G.R. n. 2-7227.

 

[18] L’art. 25 del “testo che recepisce le osservazioni dei Ministeri” della Bozza d’intesa con la Regione Veneto del 14.2.2019 e l’art. 23 di quello con la Lombardia dispongono che la Regione possa istituire nuove professioni, non ordinistiche, purché “riguardanti competenze connesse alle caratteristiche specifiche regionali”.

 

[19] Sul pregresso contenzioso della Regione in materia di professioni v. amplius V. Marcenò, Contenzioso, in M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (cur.), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 392, s.. Il Piemonte è anche intervenuto “a sostegno delle professioni intellettuali ordinistiche” con la legge regionale del 10.10.2011, n. 19.

 

[20] D. lgs. 31.3.1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, artt. 138 e 139.

 

[21] Sul punto sia consentito rinviare a T. Cerruti, Istruzione e cultura, in M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (cur.), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 138-142.

 

[22] S. Musso, La formazione professionale, in M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (cur.), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Giappichelli, Torino, 2018, p. 131.

 

[23] V. amplius S. Musso, op. cit, p. 125, s, che rileva come la Regione abbia cercato di “fare della formazione professionale un autentico sistema”.

 

[24] S. Musso, op. cit, p. 130, ss..

 

[25] L’assegnazione di contributi alle scuole paritarie dell’infanzia è prevista dalla l.r. 28/2007, art. 4, c. 1, d) e art. 14, che non menziona però espressamente la sua disciplina.

 

[26] V. gli elenchi degli interventi di cui agli artt. 2 e 4. Sul diritto allo studio che, insieme al diritto all’assistenza scolastica, permea tutta la norma, v. anche gli artt. 11-13; sull’edilizia v. l’art. 22.

 

[27] Allegato A, pp. 21-23.

 

[28] Oltre a quelle già menzionate nel testo, fra le finalità delle varie richieste si leggono quella di “innalzare le competenze dei giovani in coerenza con le opportunità occupazionali del territorio e rendere disponibili al sistema delle imprese le competenze e professionalità necessarie”, Allegato A, p. 21 e di “agire, nell’ambito del disegno complessivo del sistema educativo e formativo, per garantire una risposta educativa qualificata, rispondente e coerente con le specificità dei sistemi produttivi territoriali, che permetta di conseguire gli obiettivi di incremento dell’occupazione, di ridurre il tasso di dispersione scolastica e di innalzare la percentuale dei giovani che hanno una istruzione di livello secondario e terziario”, Allegato A, p. 22.