L’informazione ambientale accessibile come garanzia della libertà di ricerca scientifica (nota a a Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza del 6 luglio 2023, n. 6611)
Valentina Galliano[1]
Sommario:
1. Il caso controverso – 2. L’estensione della nozione di informazione ambientale accessibile – 3. “Forze espansive” e “riduttive” della nozione di informazione ambientale accessibile – 4. La libertà della ricerca universitaria in rapporto con la tutela ambientale – 5. Considerazioni conclusive
1. Il caso controverso
Con sentenza 6 luglio 2023, n. 6611 il Consiglio di Stato (Sez. VII) confermando la sentenza di I grado, decide un caso riguardante l’accesso agli accordi tra il Politecnico di Torino ed ENI, in risposta al ricorso presentato da Greenpeace Onlus contro il diniego iniziale.
Nell’aprile 2021 l’associazione ambientalista Greenpeace Onlus presenta al Politecnico di Torino l’istanza di accesso agli atti ex art. 25 della Legge 241/1990 in combinato disposto con il D. Lgs 195/2005. In particolare, oggetto d’istanza è: documentazione attestante “accordi quadro”, “contratti applicativi”, nonché “convenzioni” e “accordi di collaborazione”, anche sotto forma di rinnovi, stipulati negli anni 2019, 2020 e 2021 dalla citata università con ENI S.p.A. e con le società Versalis S.p.A., ENI Rewind S.p.A (ex Syndial S.p.A.), Eni Corporate University S.p.A. e Fondazione Eni Enrico Mattei; documentazione attestante l’elenco dei corsi di laurea e post laurea (comprensivo di finalità, programma, numero borse di studio, finanziamento economico) finanziati, in tutto o in parte, negli anni 2019, 2020 e 2021 dalle predette società; documentazione attestante eventuali finanziamenti ad altro titolo erogati, dalla società sopra menzionate, a favore del Politecnico di Torino negli anni 2019, 2020 e 2021.
A sostegno dell’istanza di accesso, Greenpeace si qualifica portatrice riconosciuta di interessi diffusi per la tutela ambientale, e pertanto legittimata attiva[2] all’esercizio del diritto di accesso[3] alla documentazione elencata per la tutela ambientale. L’accesso in questione riguardava informazioni ambientali[4]. L’estesa nozione di informazione ambientale accessibile è strumentale alla tutela l’ambiente, consentendo la conoscenza di elementi necessari all’esercizio di una consapevole partecipazione dei consociati ai procedimenti ambientali, nel rispetto delle previsioni della Convenzione di Aarhus e della sua ratifica nell’ordinamento interno[5]. In ultima analisi la richiesta di accesso riposa sulla considerazione che il finanziamento di ENI al Politecnico potrebbe determinare una ingerenza della società nelle scelte didattiche, formative e più in generale scientifiche dell’ateneo, e questo potrebbe avere delle implicazioni negative in materia di tutela ambientale. Complessivamente, l’istanza era finalizzata a permettere un’analisi di scelte amministrative di natura accademica idonee a incidere sulle politiche ambientali del nostro Paese.
Il Politecnico di Torino respingeva l’istanza di accesso di Greenpeace, adducendo come motivazione che, pur sussistendo in capo a Greenpeace Onlus la legittimazione soggettiva, i documenti a cui si richiedeva l’accesso non avessero ad oggetto e non riguardassero informazioni ambientali[6]. Vedendo respinta l’istanza d’accesso Greenpeace Onlus impugna dinnanzi al TAR Piemonte il provvedimento di rigetto chiedendone l’annullamento[7].
Il TAR ha ritenuto fondato nel merito tale ricorso poiché, in applicazione del principio di massima conoscibilità e trasparenza di tutte le informazioni relative alla materia ambientale, ha valutato che l’accesso alla documentazione richiesta da Greenpeace Onlus non soddisfacesse semplicemente un interesse privato dell’istante, ma fosse condizione per la realizzazione dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente nella sua accezione più ampia possibile.
Tuttavia, la sentenza del TAR è stata impugnata con due ricorsi in appello, rispettivamente da parte del Politecnico di Torino e da parte di ENI. Gli appelli riuniti sono stati ritenuti infondati dal Consiglio di Stato in quanto “(…) non appare censurabile la ricostruzione del giudice di prime cure che inquadra il diritto di accesso a tali informazioni, introdotto nel nostro ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, come il più ampio possibile, per la speciale rilevanza del bene giuridico in questione e il diretto impatto che le scelte ambientali rivestono sulla vita della Comunità, anche in termini di coinvolgimento e partecipazione al momento decisionale”[8].
Parte ricorrente, in quanto associazione ambientalista, gode di una qualificata legittimazione ad agire secondo la citata Convenzione di Aarhus basata su distinto ed autonomo fondamento normativo (rispetto al criterio determinato dalla vicinitas[9]). La Convenzione conferisce diritti ai singoli e formazioni sociali (anche ultra-statali) che si proiettano nell’ordinamento amministrativo e “comprende nello spettro dei soggetti legittimati anche associazioni ambientaliste non nazionali, che risultino comunque implicate nella tutela di un interesse ambientale”[10].
Alla luce della ricostruzione della vicenda giudiziaria così operata, la questione dell’accesso agli accordi di collaborazione tra Politecnico ed ENI si presta ad alcuni approfondimenti: innanzitutto, sulla nozione di informazione ambientale accessibile (§ 2); poi sul peso attribuito alla trasparenza e alla partecipazione nell’ambito del procedimento amministrativo per l’accesso ambientale (§3) e infine – aspetto alquanto sottaciuto – su quale sia la declinazione della libertà accademica che è possibile ricavarne (§ 4).
2. L’estensione della nozione di informazione ambientale accessibile operata dal Consiglio di Stato
La definizione del perimetro della nozione di informazione ambientale accessibile è il punto dirimente della vicenda giudiziaria: le informazioni relative all’ambiente seguono il regime di massima diffusione che l’art. 2, comma 1, del d.lgs. 195/2005 specificamente prescrive. Diversamente, le informazioni che non vengono considerate attinenti al bene ambiente seguono il regime individuato dalla legge sul procedimento amministrativo o le altre ipotesi individuate dall’ordinamento.
Ai fini dell’applicazione della disciplina sul diritto d’accesso c.d. “ambientale” la sentenza oggetto di commento ricostruisce la nozione di “informazione ambientale accessibile”. La sentenza del Consiglio di Stato (di seguito, per brevità CdS) rappresenta un approdo giurisprudenziale importante nella definizione del significato dell’accesso ambientale, che si è formato in via prettamente giurisprudenziale data l’ampiezza (invero volontaria del legislatore sovranazionale prima, nazionale dopo) della norma.[11] La volontarietà di una formulazione normativa di ampio respiro si desume dai considerando della Dir. EU 2003/04/CE, secondo cui la definizione di informazione ambientale accessibile deve poter ricomprendere qualsiasi dato concernente lo stato dell’ambiente, i fattori, le misure o le attività che incidono o che possono incidere sull’ambiente[12].
In linea di prima approssimazione rileva la nozione di informazione ambientale accessibile riportata dal citato art. 2, comma 1, del d.lgs. 195 del 2005[13]. Tale nozione richiede un’interpretazione estensiva per dare effettività alla diffusione che il legislatore europeo ha immaginato per l’accesso ambientale. Come sostenuto in sede giurisprudenziale[14], l’esigenza che le informazioni ambientali trovino ampia diffusione si fonda essenzialmente sul fatto che la conoscenza di questo tipo di dati non realizza solo un interesse del privato, ma è la condizione per la realizzazione di un interesse pubblico: la tutela dell’ambiente e della salute della collettività.
Con la pronuncia in esame si registra un’estensione del concetto di informazione ambientale ad atti amministrativi che sono soltanto idonei a determinare un impatto sull’ambiente[15]. In altri termini: se esaminiamo l’istanza di accesso da cui scaturisce la vicenda giudiziaria cogliamo una richiesta che interessa documenti attestanti accordi di ricerca tra il Politecnico di Torino ed ENI, documenti che attestano e magari quantificano un finanziamento da parte di ENI nei confronti del Politecnico. Per comprendere come questi atti possano essere considerati informazioni ambientali è necessario analizzare congiuntamente le motivazioni della sentenza del TAR e del CdS che ricostruiscono la nozione di informazione ambientale, avendo cura di dimostrare come questi documenti, apparentemente lontani dalla tematica ambientale, in realtà vi rientrino appieno.
Il Collegio, riprendendo il ragionamento del giudice di primo grado[16], richiama, innanzitutto, la ratifica della Convenzione di Aarhus[17] e lo fa per dare un rilievo più ampio possibile al bene giuridico oggetto di protezione da parte della norma interna: l’ambiente deve ottenere una tutela particolarmente efficace che si dispieghi anche attraverso un diritto di accesso alle informazioni ad esso relative – qualunque esse siano – altamente coinvolgente e partecipato. La massimizzazione della tutela ambientale per il tramite del diritto d’accesso si realizza ampliando tale diritto in senso soggettivo ed in senso oggettivo, prevedendo un regime di pubblicità tendenzialmente integrale per l’informativa ambientale[18].
Con riferimento al versante soggettivo di legittimazione ad esercitare il diritto di accesso, l’ampliamento della fattispecie si realizza nella misura in cui il richiedente non è tenuto a specificare il proprio interesse. L’interesse parrebbe presente in re ipsa, costruendo un diritto d’accesso alle informazioni ambientali che sussiste incondizionatamente rispetto alla dimostrazione della sua qualifica[19]. Sul versante oggettivo l’apertura è nuovamente massima: la definizione di informazione ambientale è vasta ed è in grado di inglobare al suo interno il portato dello sviluppo dei settori del sapere che plasmano un concetto interdisciplinare di informazione ambientale[20]. Coerentemente con la logica ampliativa della disciplina dell’accesso ambientale anche le ipotesi limitative (quelle che daranno luogo ad un legittimo diniego da parte della Pubblica Amministrazione che riceve l’istanza di accesso) sono rigidamente tipizzate. Le ipotesi in cui è consentito il rigetto delle istanze di accesso si limitano alle richieste manifestamente irragionevoli e formulate in termini eccessivamente generici[21]. L’articolo 5 del d.lgs. n. 195 /2005 illustra i casi che espressamente vengono previsti come ipotesi che giustificano il diniego all’ostensione dei documenti, ed in particolare il comma terzo impone un’interpretazione restrittiva di questi casi[22].
L’informazione ambientale, dunque, esiste non solo “in forma scritta, visiva, sonora elettronica od in qualunque altra forma materiale” che possa avere direttamente o meno impatto sull’ambiente e sui processi decisionali che ne riguardano la tutela, ma altresì nelle “misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell’ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi”. In questi termini, l’accesso all’informazione ambientale si configura come una facoltà rivolta anche alle scelte e alle azioni che potrebbero avere un impatto diretto o indiretto sul bene ambiente.
Il Consiglio di Stato assume, quindi, un punto di vista ampio sul concetto di informazione ambientale, che si concreta anche quando una determinata attività (come nel caso di specie la collaborazione nelle attività di ricerca tra il Politecnico ed ENI) può rilevare in modo indiretto nella determinazione di future scelte e politiche ambientali. In questa prospettiva, i documenti oggetto dell’istanza di accesso proposta da Greenpeace Onlus diventano la traccia materiale di un’attività amministrativa che involge l’ambiente e la sua tutela e in quanto tali rilevanti ai sensi della disciplina dell’accesso ambientale. Pertanto, trattasi di informazioni la cui circolazione è necessaria ai fini della sensibilizzazione in merito alle questioni ambientali.
3. Forze espansive e riduttive della nozione di informazione ambientale accessibile
Per quanto analizzato sin ora, come da taluno già osservato in dottrina, pare che la vis espansiva del diritto di accesso ambientale sia incontenibile, onnicomprensiva ed incondizionata[23]. Tuttavia, la nozione di informazione ambientale accessibile sembra, comunque, un concetto in tensione tra differenti interessi contrapposti, tra i quali, in particolare: da un lato, i principi di trasparenza e partecipazione, dall’altro, la concorrenza commerciale o industriale e la riservatezza di informazioni sensibili. Diritto alla trasparenza e diritto alla partecipazione agiscono espansivamente sulla fattispecie del diritto all’accesso ambientale perché nella realizzazione di tali principi il legislatore ha attuato una disciplina di accesso volutamente molto ampia. Diversamente, come per altro accade nella disciplina dell’accesso documentale (l. n. 241/1990, cit.) possono esserci dei controinteressati all’ostensione delle informazioni contenute negli atti di cui si richiede l’accesso, gli interessi di questi soggetti costituiscono, invece, il fronte delle forze riduttive a tale istituto, poiché operano a limitarne l’ambito di applicazione.
Le forze espansive della nozione di informazione ambientale accessibile si rinvengono nella ratio che orienta tale istituto: è lo stesso art. 1 del d. lgs. n. 195/ 2005 che individua il fine “della più ampia trasparenza” tra le ragioni che ispirano l’adozione della disciplina.
Il principio di accesso pubblico all’informazione riveste un ruolo fondamentale nel contesto della garanzia della trasparenza, poiché consente una valutazione più approfondita degli interessi della collettività chiamati in causa. La massimizzazione dell’espressione del principio di trasparenza viene realizzata eliminando (quasi) ogni ostacolo all’accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente secondo le modalità analizzate sopra. L’accentuata importanza della trasparenza in questo ambito deriva direttamente dal riconosciuto valore della tutela dell’ambiente nell’ambito euro-unitario e dall’obiettivo di sensibilizzare la pubblica opinione alle questioni ambientali[24].
Logicamente prossimo alla trasparenza è il ruolo, sempre in funzione espansiva, della partecipazione al procedimento decisionale. In effetti, la volontà di massimizzare l’accesso alle informazioni ambientali, e di conseguenza la trasparenza delle informazioni correlate, si spiega in ragione del fine di rafforzare la partecipazione della cittadinanza alle decisioni relative ai procedimenti ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, a sensibilizzare il pubblico alle questioni ambientali, e infine a migliorare l’ambiente[25]. L’obiettivo sarebbe dunque quello di funzionalizzare il diritto all’informazione ambientale al perseguimento di un’efficace tutela del bene ambiente per il tramite della partecipazione[26]. In ordine al raggiungimento di una proficua partecipazione ambientale è irrinunciabile configurare la disciplina dell’accesso alle informazioni ambientali in maniera aperta, ed altrettanto importante è che questa normativa sia coerentemente applicata nelle aule di giustizia.
“Sussiste dunque, secondo la sentenza impugnata, uno stretto legame tra la circolazione delle informazioni, partecipazione dei cittadini e raggiungimento dell’obiettivo finale di tutela dell’ambiente”: questo passaggio della sentenza in commento (che riprende quanto osservato dal giudice di prime cure) rende perfettamente il senso di questa forza espansiva che trasparenza e partecipazione instillano nella disciplina dell’accesso ambientale. Allargando il punto di vista alla norma introdotta dal d. lgs. n. 195/ 2005 partecipazione e trasparenza vengono declinate non ‘solo’ come diritti della collettività, ma anche come obblighi delle pubbliche amministrazioni, che si sostanziano in doveri di divulgazione attiva delle informazioni in possesso da queste ultime[27].
Tuttavia, in controtendenza rispetto alla spinta espansiva impressa dalla trasparenza e dalla partecipazione alla nozione di informazione ambientale accessibile, esistono delle “aree di resistenza” che limitano il campo applicativo della norma. Le eccezioni all’accesso ambientale (intese in senso restrittivo) possono essere ricondotte a due gruppi: quelle relative al tenore della richiesta e quelle attinenti alla protezione degli interessi confliggenti[28].
Con riferimento al primo gruppo individuato sono ammesse circoscritte limitazioni proprio in ragione dell’osservanza, da parte del legislatore statale, della direttiva 2003/04/CE che impone di facilitare il più possibile tale accesso, infatti in ogni caso è da considerare legittimo il dinego all’istanza d’accesso qualora quest’ultima sia molto generica, poiché si tradurrebbe in un’ispezione nei confronti dell’operato della PA, potere che non compete ai soggetti legittimati all’istanza d’accesso [29].
Il secondo gruppo di limiti si individua nelle situazioni concernenti la protezione degli interessi confliggenti[30], come ad esempio: la protezione della privacy, delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, delle relazioni internazionali, della sicurezza pubblica e della difesa nazionale, nonché la tutela dei procedimenti giudiziari e dell’equo processo. In presenza di tali circostanze si richiede all’amministrazione che riceve la richiesta di operare un bilanciamento caso per caso. A questo proposito, la vicenda in commento offre un esempio di come la tutela delle informazioni commerciali o industriali sia stata opposta come limite alla divulgazione di informazioni ambientali[31]. Nel caso in esame ENI ha presentato un motivo di appello riguardo alla limitazione del diritto all’accesso alle informazioni ambientali poiché la divulgazione danneggerebbe la riservatezza di informazioni commerciali o industriali e violerebbe i diritti di proprietà intellettuale di terzi[32]. Con tale eccezione la società sottolinea che la divulgazione dei dati sui finanziamenti erogati all’Ateneo per progetti di ricerca, borse di studio o programmi di laurea potrebbe essere idonea a favorire le imprese concorrenti. Inoltre, tali progetti spesso coinvolgono il know-how aziendale, che si intende ragionevolmente mantenere segreto. Il Consiglio di Stato argomenta che la competizione potrebbe, invece, migliorare la qualità dell’offerta formativa universitaria nel solco della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti.
Un altro possibile ostacolo all’ostensione delle informazioni ambientali è la protezione della privacy nei confronti dei soggetti ai quali si riferiscono i dati oggetto di istanza. In questo senso, richiamando la disciplina dettata dall’art. 5 comma 3 del d. lgs. n. 195/2005 si richiede alla PA di effettuare “in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso”. In altri termini, anche il limite della protezione della privacy può essere superato attraverso la corretta identificazione di idonei metodi di accesso finalizzati a ridurre al minimo qualsiasi possibile violazione del diritto alla privacy. Se infatti con l’approvazione del cd. Codice della privacy viene introdotto il criterio del “pari rango”[33], con l’ultima riforma costituzionale l’ambiente rientra nei valori costituzionalmente protetti[34], dunque in grado di “competere” con la disciplina della tutela della riservatezza[35].
Esemplificativa in questo senso è la sentenza n. 165 del 16 febbraio 2023, TAR Piemonte sez. II[36]. Questa sentenza si occupa di un ricorso proposto dal Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero, che agisce contro l’Università degli Studi di Torino per il silenzio riservato ad un’istanza di accesso ambientale su dati anagrafici e sanitari “grezzi” dei soggetti alla base di una ricerca epidemiologica. Secondo il Collegio il silenzio dell’amministrazione deve qualificarsi come illegittimo, poiché tali dati riguardano gli effetti delle emissioni di una discarica di rifiuti, e dunque sono dati direttamente connessi sia con fattori ambientali sia con lo stato di salute e sicurezza umana, pertanto coincidono con quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. a) del d. lgs. n. 195/2005. Ciò che maggiormente rileva in questa sentenza è però che l’Università, celandosi dietro al silenzio su questa istanza di accesso, non ha compiuto nessuna istruttoria e nemmeno ponderato gli interessi coinvolti, soprattutto con riferimento alle forme e alla misura della tutela della riservatezza dei titolari dei dati, come previsto invece dall’art. 5 comma 3 del d. lgs, n. 195/2005. Il potere del giudice di condannare l’amministrazione all’ostensione dei dati è pertanto precluso proprio perché tali poteri istruttori non sono ancora stati esercitati dall’amministrazione. Nel caso in esame, infatti, il giudice prescrive che l’Università debba provvedere all’istanza adottando le necessarie misure di contemperamento degli interessi.
4. La libertà di scienza e ricerca
Da ultimo, si potrebbe immaginare una diversa ipotesi di limitazione dell’accesso ambientale nella garanzia della libertà della ricerca scientifica. In particolare, sia la sentenza emessa dal Consiglio di Stato sia la sentenza del TAR Piemonte appena citata[37], vedono coinvolti rispettivamente il Politecnico di Torino e l’Università degli Studi di Torino come detentori di documenti o dati che vengono identificati dalle sentenze come informazioni ambientali accessibili. Prima di analizzare i profili di “sintonia” e di “antagonismo” tra la libertà della ricerca e la tutela dell’ambiente si tenterà di ricostruire il contenuto della libertà della ricerca scientifica, sottolineando come una scienza libera e la tutela dell’ambiente trovino radici comuni nelle disposizioni costituzionali.
La Costituzione italiana riconosce la libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento (di cui all’art. 33, primo comma Cost.) e pone in capo alla Repubblica un obbligo di promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica (di cui all’art. 9, primo comma Cost.)[38].
L’art. 9 Cost., in particolare, si pone come norma programmatica che definisce l’impegno della Repubblica nella promozione e nello sviluppo della cultura: in questo senso viene delineata la “scienza come diritto[39]”. In questa prospettiva, l’articolo 9 della Costituzione costituisce il fondamento su cui si innalzano le istituzioni statali specificamente progettate per promuovere attivamente la ricerca e lo sviluppo[40]. In questo senso è interessante la ricostruzione svolta da parte della dottrina, perché individua nella libertà della scienza una “doppia natura”: si tratta contemporaneamente di una libertà negativa, per il lato che riguarda la rivendicazione di autonomia da parte del singolo nei confronti del potere pubblico, e di una libertà positiva, nella parte in cui pone in capo allo Stato la promozione della ricerca [41].
Con l’espressione “libertà accademica”, si intende, invece, un fascio di posizioni giuridiche differenti, e si distingue dalla libertà di scienza (che ne è una species) per titolari e contenuto. La libertà accademica è un’espressione di sintesi tra la libertà di ricerca scientifica, la libertà di insegnamento e il diritto degli studenti di accedere all’istruzione superiore. Si tratterebbe, dunque, di una posizione giuridica riferibile alla comunità accademica nel suo insieme, formata da professori, studenti, ricercatori. Si sostanzia come un fascio di posizioni giuridiche differenti poiché contempla il diritto di professori e ricercatori di fare ricerca e diffondere i risultati con pubblicazioni e insegnamento da un lato, e dall’altro il diritto degli studenti ad accedere all’insegnamento[42]. Quest’ultimo diritto presuppone l’altro, e a tutelarli nel loro insieme troviamo l’obbligo delle istituzioni della Repubblica di promuoverne lo sviluppo. Quest’obbligo è collocato tra i principi fondamentali dell’ordinamento (art. 9 Cost.) in una previsione che contemporaneamente tutela la cultura, il paesaggio, il patrimonio storico e artistico, l’ambiente[43].
In modo complementare, l’art. 33 Cost. fonda la “scienza come libertà”, infatti delinea lo spazio da assegnare alla scienza e ai singoli ricercatori, creando uno “scudo” tra l’attività individuale dei ricercatori e le possibili intromissioni esterne[44]. L’enunciato dell’art. 33 Cost. “la scienza è libera e libero ne è l’insegnamento” fonda questo principio di portata nazionale e sovranazionale[45].
Da tale disposizione si ricava l’ampiezza della libertà riconosciuta tanto alla scienza quanto alla relativa comunità di riferimento, ed è su questo pilastro che si costruisce l’autonomia universitaria. In altri termini, per dare garanzie più ampie possibili, la libertà di scienza nega anzitutto l’assoggettamento a qualsiasi indirizzo politico. È pertanto fondata in una norma di rango costituzionale l’autonomia delle università pubbliche nella misura in cui “le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”[46].
Lo Stato protegge la libertà della scienza in quanto i risultati della scienza libera si estendono all’industria, all’autorità pubblica e ad altri campi del sapere, proprio grazie al fatto che la scienza è dichiarata indipendente da qualsiasi altro potere o ideologia[47]. La garanzia costituzionale abbraccia l’intero ambito dell’attività scientifica, dalla scelta degli oggetti di ricerca alla generazione dei risultati e alla loro diffusione[48]. La libertà della scienza si fonda inoltre sulla capacità di selezionare tecniche e metodologie per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Pertanto, è fondamentale riconoscere agli scienziati e alle istituzioni di cui fanno parte la libertà di stipulare contratti per servizi di ricerca e sviluppo[49].
Nel caso di specie, il Collegio, ricostruendo la nozione di informazione ambientale accessibile, la individua negli accordi stipulati per la ricerca tra l’Università ed ENI. È proprio tale circostanza che motiva Greenpeace Onlus a presentare un’istanza di accesso a documenti che attestano la collaborazione tra PoliTO ed ENI. Quello che ora rileva (a fronte della ricostruzione compiuta in tema di libertà di scienza) è la capacità di ENI di incidere sulle scelte didattiche, formative e più in generale scientifiche dell’Ateneo, che potrebbero avere risvolti in materia ambientale[50]. Infatti, Greenpeace inserisce tra i motivi di impugnazione la violazione ed errata applicazione del d. lgs. n. 195/2005 nella misura in cui la partecipazione di ENI alle attività del Politecnico potrebbe influenzare sia l’attività didattica sia quella di ricerca scientifica[51]. Nelle intenzioni di Greenpeace c’è quindi la volontà di rendere pubblici gli accordi relativi ai loro rapporti al fine di avere uno sguardo più consapevole sugli esiti degli studi condotti dal Politecnico per conto di ENI[52]. La sentenza del Consiglio di Stato si dimostra coerente nel considerare tali accordi come informazioni ambientali accessibili, poiché quello che rileva ai fini della definizione non è la natura giuridica del soggetto che forma il documento, bensì la natura dell’informazione contenuta, che viene identificata come attività di partenariato accademico con lo scopo di avvicinare il sistema delle conoscenze al tessuto produttivo[53].
Tuttavia, se il timore di Greenpeace è che il rapporto con ENI pregiudichi la libertà di ricerca del Politecnico nei modi espressi nell’istanza, è altresì possibile immaginare una limitazione della libertà di ricerca operata dall’istanza accesso poiché[54],insita nella libertà di ricerca scientifica vi è la facoltà di esercitarla anche attraverso la scelta dei partner industriali con i quali stipulare contratti di servizi di ricerca e sviluppo[55].
Un discorso analogo si può svolgere rispetto all’esame del caso deciso con sentenza TAR Piemonte[56]: nel caso di specie la richiesta di divulgazione non è incentrata sul risultato della ricerca, che secondo l’Università assurgerebbe essa soltanto alla qualità di informazione ambientale, ma sui “dati grezzi” anagrafici e sanitari dei soggetti posti alla base della ricerca epidemiologica. Dunque, il tema della libertà di ricerca scientifica, per come qui emerge, e il tema della tutela ambientale realizzato tramite l’accesso ambientale, affrontato dalla sentenza in commento, si intrecciano tal volta in modo concordante, tal altra in modo contrastante.
In primo luogo, si rileva, coerentemente con la richiesta di accesso a questi dati, che la pubblicità è un requisito essenziale per la scienza, perché non potrebbe considerarsi scientifico un risultato che si sottrae alla critica del pubblico, specificatamente della comunità accademica di riferimento. È stato in particolare affermato che “la consegna di un’elaborazione al solo committente, a fortiori con l’impegno di non rivelarla a terzi, mantiene la stessa tra le attività di ricerca che non sono ancora il risultato di un’attività scientifica, poiché non soddisfa il requisito di pubblicità il solo fatto che una ricerca sia uscita dalla disponibilità del suo autore o artefice”[57]. Questa considerazione rileva poiché vale a differenziare la ricerca scientifica in senso proprio dall’attività di consulenza, in cui il committente può, sulla base di un accordo, escludere il diritto di pubblicazione dei risultati della ricerca. In altri termini, perché ci possa essere attività di ricerca in senso proprio, è connaturata ad essa la pubblicazione dei suoi risultati.
In secondo luogo, va sottolineato che, in controtendenza rispetto a quanto detto sopra, è stato considerato come la libertà di scienza contempli, da un lato, le facoltà per chi la esercita di individuare l’oggetto dell’indagine, la scelta del metodo (nell’ambito della metodologia scientifica) e la scelta delle modalità di divulgazione, ma, dall’altro lato, contempla pure (in modo ora contrapposto al diritto di accesso ambientale) un diritto al mantenimento del riserbo sull’elaborazione scientifica compiuta o incompiuta (“con la precisazione che non vi è risultato o elaborazione scientifica che non sia resa pubblica”)[58]. In altri termini: “lo scienziato potrà, in sostanza, decidere di tenere per sé i risultati della propria attività” infatti “il carattere individuale della libertà scientifica, la sua, cioè, funzionalizzazione primaria al soddisfacimento dei bisogni della persona, ne esclude la sottoposizione ad un obbligo di socializzazione, salvo, evidentemente, il ricorrere di altri interessi di rilevanza costituzionale ritenuti prevalenti”[59]. Con riferimento al caso di specie, la volontà dell’Università di non dare diffusione alle informazioni oggetto di istanza di accesso (in un caso gli accordi di collaborazione tra PoliTO ed ENI, nell’altro il bacino di dati “grezzi” anagrafici e sanitari dei soggetti posti alla base della ricerca epidemiologica) pare una facoltà che rientra nell’inalienabile libertà di scelta dell’oggetto e del metodo, facoltà che, come detto sopra, rientra nell’esercizio della libertà di scienza e che pare minata volendo esercitare un controllo attraverso l’istanza di accesso (ora formulata da Greenpeace, ora formulata dal Comitato Lecchese Rifiuti Zero).
Per come viene sviluppata tale accezione di libertà di scienza si evidenzia, quindi, un possibile attrito con la tutela dell’ambiente realizzata per il tramite dell’accesso ambientale: la questione, dunque, diventa di bilanciamento tra la libertà della scienza e della ricerca scientifica (costituzionalmente fondato negli artt. 9 e 33[60]) e la tutela ambientale (che ora esplicitamente è ricondotta all’art. 9 Cost.). Il TAR Piemonte nel caso esaminato ha ritenuto di far prevalere la tutela ambientale concedendo l’accesso ai dati “grezzi” relativi alla coorte oggetto di studio. Dalla ricostruzione della vicenda giuridica e dei temi da questa proposti, si ritiene, ad avviso di chi scrive, che il bilanciamento di interessi tra tutela ambientale e diritto alla scienza, in questo caso, sia sproporzionato a favore della prima.
5. Considerazioni conclusive
La questione esaminata si incentra principalmente sul tema attualmente molto dibattuto della tutela ambientale, analizzato dalla prospettiva della partecipazione per il tramite dell’accesso ambientale. Inoltre, la sentenza su cui il commento si concentra, così come altre che sono state qui menzionate, sono accomunate dalla particolarità di coinvolgere gli istituti universitari, rendendo pertanto impossibile esimersi dall’approfondimento del tema della libertà di scienza e di ricerca.
Si è parlato di un bilanciamento tra la tutela ambientale e la tutela della libertà di scienza e ricerca: è degno di nota come dalla medesima norma (art. 9 Cost.) sorgano le basi che fondano due diritti che si relazionano ora in modo sinergico, ora in modo antagonista.
Per quanto detto sin ora, l’obiettivo delle istituzioni universitarie è favorire e sostenere una varietà di ricerche a carattere scientifico per generare una conoscenza diversificata e multiforme che, nel futuro prossimo, possa suggerire nei diversi campi della scienza nuove prospettive e soluzioni utili per l’umanità e il suo sviluppo sostenibile[61]. La sinergia tra i due ambiti è evidente con riferimento alle ipotesi in cui il diritto alla ricerca scientifica, o meglio il cd. diritto alla scienza, fornisce una base di conoscenze essenziali per sviluppare politiche ambientali, pratiche e tecnologie che possano contribuire in modo significativo alla tutela dell’ambiente e alla promozione della sostenibilità e della salute[62]. Questa sembrerebbe la ratio da desumersi dalle motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato: un trasferimento di conoscenze specifiche dal Politecnico ad ENI (che si dice impegnata nella transizione ecologica[63]) non potrebbe che giovare ai fini di un più consapevole orientamento delle politiche energetiche. In altri termini, la ricerca scientifica svolta dalle università (in questo caso dal Politecnico di Torino) in favore di soggetti terzi impegnati nella definizione di politiche energetiche può avere un impatto positivo sulla tutela dell’ambiente.
Con riferimento invece all’antagonismo che si può verificare tra esercizio della libertà di scienza e tutela ambientale in generale possono venire alla mente le ipotesi di sperimentazione animale[64]. Con riferimento al caso risolto dal TAR Piemonte si può invece individuare antagonismo tra libertà della ricerca scientifica e tutela dell’ambiente richiamando quella facoltà, insita nell’esercizio della libertà di ricerca scientifica, di definire l’oggetto dell’indagine, la scelta del metodo, che chiaramente deve essere rispettoso del metodo scientifico, e la scelta delle modalità di divulgazione, e questa facoltà contempla anche un diritto al mantenimento del riserbo sull’elaborazione scientifica compiuta o incompiuta, che in questo caso potrebbero essere i dati oggetto della richiesta d’accesso, tantopiù che i risultati della ricerca sono stati “ampiamente divulgati” come si può leggere nel testo della sentenza al punto 4.2.
Questa ricostruzione dei rapporti tra diritto, tutela ambientale e scienza conduce alla constatazione che nessuno di tali elementi può soverchiare gli altri[65]. Tra le possibili modalità di equilibrio tra questi interessi è invocabile la nozione di “consenso sociale informato”[66], nella misura in cui rende la diffusione del frutto della ricerca scientifica (ossia la diffusione dei risultati) una delle vie attraverso cui immaginare di realizzare una consapevole partecipazione ambientale della comunità, che è la ratio dell’accesso ambientale formulato nei modi del d.lgs. n. 195/ 2005, cit.
- Dottoranda in Diritti e Istituzioni nell’Università degli Studi di Torino. ↑
- Per un approfondimento in tema di legittimazione ad agire per le associazioni ambientaliste nel panorama internazionale, europeo ed italiano si veda F. Scalia, La giustizia climatica, in Federalismi.it, 2021, fasc. 10, p. 269 e ss. ↑
- Il tema dell’accesso ai documenti amministrativi è vasto, poiché tale istituto si declina differentemente a seconda del contesto, della funzione che assume e degli atti amministrativi che ne formano l’oggetto. Per una trattazione approfondita di tale istituto nell’ordinamento amministrativo italiano si rimanda a S. Foà, La trasparenza amministrativa e il diritto di accesso, in C. E. Gallo (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, III ed. 2023, p. 277 e ss. Con riferimento al caso in esame si può fare cenno agli elementi che distinguono l’accesso ambientale disciplinato dal d.lgs. 195/2005 da altre tipologie di accesso. Con riferimento al rapporto tra la disciplina di cui al d. lgs. 33/2013, dedicata all’accesso civico semplice e generalizzato, e il d. lgs. 195/2005, qui in esame, si rinvia a R. Porrato, Informazione ambientale e trasparenza: due discipline a confronto, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 3, 2016. Nel contributo l’autrice, avendo ricostruito le caratteristiche dei due istituti, qualifica il rapporto tra l’accesso così come regolamentato dal d. lgs. 195/2005 e l’accesso regolamentato dal l. lgs. 33/2013 in termini di identità e reciproca integrazione: vista la coincidenza del concetto di informazione ambientale contenuta nell’art. 40 del d.lgs. 33/2013 ogni richiesta di accesso all’informazione ambientale può essere considerata accesso civico, nei termini previsti dagli artt. 5 e ss. del d. lgs. 195/2005. ↑
- Sul tema si rinvia alla lettura di N. Brutti, Il diritto all’informazione ambientale. Profili comparatistici, 2005, Giappichelli, Torino. L’indagine propone un’esplorazione approfondita del concetto di informazione ambientale, analizzando i presupposti e l’ambito di applicazione di un diritto soggettivo all’informazione. Inoltre, si dedica particolare attenzione al ruolo dell’informazione ambientale nell’economia della conoscenza, considerandola come una risorsa di rilievo privatistico. Vengono esaminati anche gli eventuali intrecci con la sfera della comunicazione sociale e pubblicitaria, e infine, si affronta la questione dei rimedi, con uno sguardo comparativo che focalizza specificatamente sull’ordinamento statunitense. ↑
- Nella sentenza si richiama la Convenzione di Aarhus (sottoscritta nel 1998) e ratificata da 46 stati e dall’Unione Europea con due direttive (2003/4/CE e 2003/35/CE) e con un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (CE, n. 1367/2006, c.d. “Regolamento di Aarhus”). L’obiettivo della Convenzione è di garantire e valorizzare gli strumenti di democrazia partecipativa per tutelare l’ambiente, e per raggiungere tale obiettivo la Convenzione si regge su tre pilastri: il primo è garantire il più ampio accesso possibile all’informazione ambientale (è su questo tema che si incentra il presente contributo), il secondo assicura il massimo grado di partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia, il terzo invece vuole garantire un accesso effettivo alla giustizia in materia ambientale (così G. Valenti, L’interpretazione dell’articolo 9, par. 3 della Convenzione di Aarhus da parte della Corte di giustizia. Nuove prospettive in tema di legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste?, in DPCE online, 2023, fasc. 1, p. 1483). Con riferimento allo stato italiano, la ratifica della Convenzione risale al 2001, per il tramite della legge n. 108 del 2001, che non realizza ancora un adeguamento della normativa in materia, che invece avverrà recependo la direttiva 2003/4/CE con il d. lgs. n. 195/2005 che sostituisce il d. lgs. 39/1997 (ricostruzione tratta da F. Carpita, L’accesso alle informazioni ambientali nel quadro della Convenzione di Aarhus: sfide ancora aperte, in Revista española de la transparencia, 2019, fasc 9, pp 199-215). Sul tema si veda: A. Tanzi, E. Fascioli, L. Iapichino, La convenzione di Aahrus e l’accesso alla giustizia in materia di ambiente, Cedam, Milano, 2011. ↑
- In questo senso si veda il punto 3 della sentenza del TAR Piemonte, n. 379/2022. ↑
- Le censure addotte da Greenpeace Onlus avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di accesso del Politecnico sono illustrate al punto 4 della sentenza n. 379/2022 del TAR Piemonte. ↑
- Consiglio di Stato, Sez. VII, sent. n. 6611 del 2023. ↑
- Sul tema della tutela giudiziaria per interessi diffusi in materia ambientale si veda F. Scalia, op. cit., p. 289 e ss. ↑
- Così S, Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, 2018, Franco Angeli Editore, Milano, pp. 268 – 269. Sul ruolo della Convenzione di Aarhus nella legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste si veda G. Valenti, op. cit., p. 1485 e ss. In questo contributo l’autore commenta la sentenza dell’8 novembre 2022, C- 873/2019 della Corte di giustizia dell’UE, e sotto tale profilo rileva, per l’appunto l’art. 9 par. 3 della Convenzione, secondo cui: “[…] ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale”. L’art. 9 sarebbe quindi finalizzato a garantire tutela giurisdizionale effettiva in materia ambientale permettendo di utilizzare lo strumento del ricorso qualora vengano violati i diritti espressi nella convenzione stessa. ↑
- Sull’indeterminatezza del concetto di informazione ambientale e sul ruolo che ha avuto la giurisprudenza nella sua definizione si veda: R. Porrato, op. cit.,; in questo contributo si evidenzia come alcune pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato abbiano progressivamente esteso la nozione di informazione ambientale accessibile con riferimento ad ambiti differenti, in particolare: Consiglio di Stato, sez. VI, 9 agosto 2011, n. 4727, Tar Lazio, 14 marzo 2011, n. 2260. La sentenza in commento pare quindi inserirsi in un solco giurisprudenziale orientato all’interpretazione estensiva della nozione di informazione ambientale accessibile. Altri esempi di sentenze che danno ampia applicazione del d. lgs. n. 195/2005 si possono cogliere da M. Lipari, L’accesso alle informazioni ambientali e la nuova trasparenza amministrativa, in Federalismi.it, n. 13, 2023, in particolare il paragrafo 7 che esamina gli indirizzi della giurisprudenza più rispettosi della tutela all’accesso. Per una ricostruzione della disciplina in materia di diritto d’accesso ambientale si veda M. Ciammola, Il diritto all’informazione ambientale: dalla legge istitutiva del ministero dell’ambiente al d. lg. n. 195 del 2005, in Foro Amministrativo Consiglio di Stato, n. 2, 2007, p. 657; l’autore ripercorre le tappe normative precedenti l’adozione del d.lgs. 195/2005, e si sofferma sull’analisi della sentenza del Consiglio di Stato n. 5795 del 2004, che pur in presenza di una disciplina differente rispetto a quella attuale, apre la strada ad una tutela più avanzata per il cittadino che voglia accedere ad informazioni ambientali. ↑
- In questo senso si veda il considerando n. 10 della direttiva 4 del 2003, infatti “La direttiva, all’art. 2, offre un’articolata, e per certi versi «aperta», definizione di quel concetto, da intendersi come qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale concernente” in questi termini si esprime N. Brutti, Le regole dell’informazione ambientale, tra pubblico e privato, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 3, 2022, p. 619. ↑
- Ai fini del presente decreto s’intende per: «informazione ambientale»: qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria, l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, e, inoltre, le interazioni tra questi elementi; 2) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente, individuati al numero 1); 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell’ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi; 4) le relazioni sull’attuazione della legislazione ambientale; 5) le analisi costi-benefici ed altre analisi ed ipotesi economiche, usate nell’ambito delle misure e delle attività di cui al numero 3); 6) lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d’interesse culturale, per quanto influenzabili dallo stato degli elementi dell’ambiente di cui al punto 1) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui ai punti 2) e 3). ↑
- Numerose sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato sostengono un’interpretazione estensiva della nozione di informazione ambientale, sulla scia delle interpretazioni fornite dalla CGUE come Sez. III, 28 luglio 2011, n.71. Ex multis, TAR Piemonte, sez. II, n. 165 del 16 febbraio 2023 su cui si tornerà diffusamente più avanti, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4727 del 9 settembre 2011. ↑
- Secondo la ricostruzione operata da S. Ingegnatti, Diritto d’accesso e superamento limiti dimensionali dell’atto introduttivo, in Giurisprudenza italiana, 2023, p. 155 e ss. “l’orientamento più restrittivo nonché maggioritario, ritiene che in materia di accesso alle informazioni ambientali il soggetto istante debba pur sempre dimostrare che l’interesse all’ostensione della documentazione ha natura ambientale e, in particolare, deve dimostrare che tale interesse è volto alla tutela dell’integrità della matrice ambientale, non potendosi ammettere un utilizzo di tale strumento per finalità ad esso estranee; di qui la necessità che la richiesta di accesso venga formulata specificamente con riferimento alle matrici ambientali potenzialmente compromesse con ragionevole prospettazione di tali effetti negativi” e procede confermando l’importanza dell’attività di interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di informazione ambientale accessibile: “nonostante la definizione data dal Legislatore alla nozione di informativa ambientale, il concetto in esame continui ad essere ancora oggi troppo generico, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i margini stabilendo, di volta in volta, sulla disamina delle singole ipotesi concrete, quali siano le tipologie di documenti e di informazioni rientranti nella nozione di informativa ambientale, giungendo anche a risultati contrastanti”. ↑
- TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 379 del 19 aprile 2022, punto 9.2 e ss. ↑
- La Convenzione di Aarhus, firmata il 25 giugno 1998, viene attuata tramite la Direttiva 2003/4/CE. ↑
- Sul punto rileva la distinzione tra informazione attiva e passiva operata da N. Brutti, Le regole dell’informazione ambientale, tra pubblico e privato, op. cit., p. 620, secondo cui “La direttiva 2003/4/CE prefigura così due macrotipologie di processi informativi: il profilo dell’informazione c.d. passiva, cioè da fornire su richiesta (art. 3), e quello dell’informazione attiva, quindi da realizzarsi su iniziativa della stessa p.a., essenzialmente con la divulgazione tramite tecnologie di comunicazione elettronica (art. 7)” ↑
- Così M. Ciammola, op.cit., p. 657 e ss. ↑
- Ibidem. ↑
- Così TAR Piemonte, sez. II, sent. 379/2022, punto 9.2. ↑
- Dal testo della norma: “L’autorità pubblica applica le disposizioni dei commi 1 e 2 in modo restrittivo, effettuando, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso”. ↑
- Così si desume da alcuni passaggi di M. Ciammola, op. cit. nonché M. Lipari, op. cit.., p 348. ↑
- In questo senso si esprime il Consiglio di Stato nella sentenza in commento infatti: “tale specifica rilevanza è confermata […] dal regime giuridico differenziato e senz’altro meno limitativo che connota l’accesso alle informazioni ambientali rispetto alle tradizionali norme sul procedimento amministrativo”. ↑
- Queste sono le finalità della disciplina dell’accesso ambientale individuate dal considerando n. 1 della direttiva EU 2003/4/CE. ↑
- In questo senso si esprime G. Pizzanelli, Il contributo dell’accesso alle informazioni ambientali alla tutela del patrimonio pubblico, in Nuove Autonomie, n. 1, 2020, che nell’articolo riprende la Dichiarazione di Rio de Janeiro dell’ambiente e lo sviluppo del giugno 1992. ↑
- Tali obblighi derivano dalla normativa euro-unitaria recepita nel nostro ordinamento dal d. lgs 195/2005, che all’art. 8 prevede l’obbligo di diffondere una serie di informazioni riguardanti atti generali, sul punto R. Porrato, op. cit., nonché M. Lipari, op.cit., p. 348 ↑
- La distinzione viene ripresa dalla Convenzione di Aarhus (articolo 4 comma 3) ed in seguito anche dalla direttiva 2003/4/CE all’art. 4; sul tema G. Pizzanelli, op. cit., p. 71 e ss. ↑
- Vediamo quindi che in questo settore permangono i principi di proporzionalità, economicità e ragionevolezza. In questo senso si veda TAR Campania, sez. V, del 12 gennaio 2010, n. 68 secondo la quale: “L’istituto dell’accesso alle informazioni ambientali, infatti, non si assoggetta ai limiti soggettivi e oggettivi propri dell’accesso ai documenti amministrativi, ma resta comunque subordinato a un principio generale di proporzionalità, di economicità e di ragionevolezza, per cui possono consentirsi solo gli accessi che non si traducano in uno sproporzionato aggravio per l’amministrazione”. Per altro sul tema delle istanze d’accesso formulate in modo generico si veda TAR Piemonte, sez. II, del 16 febbraio 2023, n. 165 che assume un punto di vista restrittivo sull’argomento. ↑
- L’articolo 4 della direttiva 2003/4/CE, ripreso dall’art. 5 del d. lgs 195/2005 propone un elenco di ipotesi per cui le autorità pubbliche possono rifiutare una richiesta di informazioni ambientali. Queste ragioni riguardano principalmente la protezione della privacy delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, delle relazioni internazionali, della sicurezza pubblica e della difesa nazionale, nonché la tutela dei procedimenti giudiziari e dell’equo processo. Inoltre, le autorità pubbliche possono respingere una richiesta se è necessario condurre indagini penali o disciplinari, proteggere informazioni commerciali o industriali in conformità con il diritto nazionale o comunitario, preservare la riservatezza statistica e il segreto fiscale per interessi pubblici legittimi ed economici, tutelare i diritti di proprietà intellettuale, la riservatezza dei dati personali e l’ambiente al quale si riferisce l’informazione. ↑
- l’atteggiamento del giudice amministrativo comunitario è molto significativo: in base alla pronuncia del Trib. I Grado Unione Europea Sez. VIII, 7 marzo 2019, n. 716/14 è stato statuito che l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente deve prevalere sulla tutela di interessi commerciali e industriali. ↑
- In particolare, ENI lamenta la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 5 comma 2 lettere d) ed e) del d.lgs. n. 195/2005. ↑
- Il principio del pari rango presuppone una graduazione nella sensibilità delle informazioni individuate dalla richiesta d’accesso, dunque si consente se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato. Per un approfondimento sul tema si rinvia a S. Foà, La trasparenza amministrativa, in C. E. Gallo (a cura di), Manuale, III ed, 2023, 283 e ss. ↑
- Modifica operata alla Costituzione tramite la l. costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022, che interviene sugli artt. 9 e 41; sul tema vedasi: G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli artt. 9 e 41 Cost., in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2, 2021 ↑
- In questo senso M. Lipari, op. cit. p. 349 ↑
- Con questa sentenza il TAR decideva sul ricorso proposto dal Comitato Lecchese Rifiuti Zero avverso il silenzio serbato dall’Università degli Studi di Torino rispetto all’istanza di accesso ambientale formulata dal suddetto Comitato, che “ha ad oggetto una serie di dati afferenti la formazione e strutturazione delle coorti oggetto di studio”, poiché a seguito dell’uscita di un articolo il Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero voleva valutarne i dati di partenza (riferimenti dell’articolo: C. Picinelli, P. Carnà, E. Amodio, E. Cadum, F. Donato, M. Rognoni, M. Vuono, L. Cavalieri d’Oro, Effetti sulla mortalità e morbilità nella popolazione residente nei pressi dell’inceneritore di Valmadrera (LC), in Epidemiologia e Prevenzione, n. 3, 2022). Il contributo fa riferimento ad un’indagine epidemiologica condotta dall’Università di Torino in collaborazione con le Agenzie di tutela della salute della Brianza, su incarico dei sindaci dei Comuni della provincia di Lecco. Questa ricerca è incentrata sull’analisi degli impatti sulla salute della popolazione residente nelle vicinanze dell’inceneritore gestito a Valmadrera (LC). Il Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero ha formulato una richiesta d’accesso per verificare la correttezza delle conclusioni esposte dall’autore dell’articolo che non aveva evidenziato una relazione tra residenza in aree a differente ricaduta di inquinanti e l’insorgenza di patologie plausibilmente riconducibili a tali esposizioni. ↑
- Sentenza n. 165 del 16 febbraio 2023, TAR Piemonte sez. II ↑
- P. Veronesi, La scienza secondo la Costituzione italiana (e le sue applicazioni), in BioLaw Journal, n. 3, 2021, p. 153, parla di “Costituzione culturale”; per un approfondito esame del rapporto tra l’art. 9 e l’art. 33 Cost., si rinvia a S. Foà, La gestione dei beni culturali, Giappichelli, Torino, 2001, p. 5 e ss. ↑
- Così P. Veronesi, op. cit., p. 156 ↑
- Così P. Veronesi, op. cit., p. 157. ↑
- Così G. D’Amico, Verso il riconoscimento di un diritto alla scienza?, in Dirittifondamentali.it, n. 2, 2019, p. 6. ↑
- Così B. Gagliardi, La tutela amministrativa della libertà accademica, CEDAM, Milano, 2018, p. 4 e ss. ↑
- L’art. 9 cost tutela il diritto alla scienza in modo programmatico; per un’approfondita analisi della tutela alla cultura proposta da questo articolo si veda S. Foà, La gestione dei beni culturali op. cit.; per l’elaborazione dell’art 9 come fondante il diritto alla scienza si veda anche P. Veronesi, op. cit. Per approfondire il tema della tutela ambientale ai sensi dell’art. 9 Cost. si veda R. Fattibene, Una lettura ecocentrica del novellato articolo 9 della Costituzione, in Nomos, n. 3, 2022. ↑
- V. ancora P. Veronesi, op. cit., nonché G. Ajani, R. Cavallo Perin, B.Gagliardi, L’università: un’amministrazione particolare, in Federalismi.it, n. 14, 2017, p. 7 ↑
- L’ordinamento europeo sancisce il rispetto della libertà accademica all’art. 13 della Carta dei diritti Fondamentali UE. Sul tema si veda B. Gagliardi, op. cit., in particolare il capitolo IV. Con riferimento alle fonti internazionali, l’affermazione di un diritto alla scienza si ritrova all’ art. 15 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e all’art. 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Con riferimento all’art. 15 del Patto internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali si veda il Commento generale n. 25 (2020) su scienza e diritti economici, sociali e culturali (articolo 15 (1) (b), (2), (3) (4) del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali) del 30 aprile 2020 che approfondisce il concetto di diritto alla scienza. In sintesi, il Comitato si concentra principalmente sul diritto di godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, ma esamina anche altri aspetti relativi alla scienza nel contesto dei diritti economici, sociali e culturali, compresi gli obblighi degli Stati, la libertà di ricerca scientifica e la cooperazione internazionale. Con riferimento all’art. 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Uomo, è interessante la ricostruzione della formulazione di quest’articolo operata da C. Flamigni, Sul consenso sociale informato, in BioLaw Journal, n. 2, 2017, p. 202 e ss. secondo cui “L’interpretazione che ne risulta è quella di attribuire ai cittadini tutta una serie di diritti, inclusi quelli alla promozione culturale della scienza, alla sua programmazione e alla sua politica e includendo anche l’eguaglianza di genere e la libertà della quale deve godere chi opera in questo campo, tutte cose evidentemente ancora più importanti del semplice diritto a gode-re dei vantaggi derivanti dal progresso scientifico”. ↑
- Così G. Ajani, R. Cavallo Perin, B. Gagliardi, op. cit., p. 7 ↑
- Così R. Cavallo Perin, Il contributo italiano alla libertà di scienza nel sistema delle libertà costituzionali, in Diritto Amministrativo, n. 3, 2021, 613 e ss. ↑
- Così C. Spada, I contratti di ricerca e sviluppo, in Diritto Amministrativo, n. 3, 2021, 688 e ss. ↑
- Così R. Cavallo Perin, op. cit., p. 613, nonché F. Merloni, Libertà della scienza e della ricerca, in Diritto Pubblico, fasc. 3, supplemento 2016, che nel primo capitolo riprende il pensiero di A. Orsi Battaglini, elaborando i passaggi centrali del suo pensiero, tra cui il seguente: “il diritto deve intervenire rafforzando le garanzie della libertà individuale, deve aiutare la comunità scientifica a fare scienza, ma non può dire cosa è scienza”. Sul punto si veda anche, in riferimento alla libertà di cultura, S. Foà, La gestione dei beni culturali, op. cit., p. 5 e ss Sulla la ricostruzione del diritto alla ricerca scientifica come libertà negativa, che quindi implica una rivendicazione di autonomia da parte del singolo scienziato nei confronti del potere pubblico, si veda G. D’Amico, op. cit. ↑
- TAR Piemonte, sent. n. 379 del 19 aprile 2022. ↑
- Sentenza di primo grado, TAR Piemonte, n. 379 del 19 aprile 2022. ↑
- Sentenza di primo grado, TAR Piemonte, n. 379 del 19 aprile 2022, punto 4.3. ↑
- Cons. Stato, sent. n. 6611 del 6 luglio 2023. Sul tema dei contratti aventi ad oggetto servizi di ricerca e sviluppo si rinvia a C. Spada, op. cit., p. 689 e ss. ↑
- La questione viene posta in Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 6611 del 6 luglio 2023 nei seguenti termini: “l’appellante soggiunge che l’autonomia universitaria, sancita a livello costituzionale, non consente ‘verifiche’ su presunte “scelte didattiche, formative e più in generale scientifiche dell’Ateneo”. ↑
- Così C. Spada, op. cit., p. 688. ↑
- Sent. n. 165 del 16 febbraio 2023 . ↑
- Così R. Cavallo Perin, op. cit., che riprende D. Sorace, L’autonomia universitaria degli anni Novanta: problemi e prospettive, in Diritto Pubblico, 1996, 160. ↑
- Così R. Cavallo Perin, op. cit., p. 616 e ss. ↑
- Così G. Corso, M. Mazzamuto, La libertà della scienza, in Il consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR. Struttura e funzioni, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 205. ↑
- Si rinvia nuovamente alla ricostruzione operata da G. D’Amico, op. cit., p. 6. ↑
- Così G. Ajani, R. Cavallo Perin, B. Gagliardi, op.cit., p. 8. ↑
- Un virtuoso esempio può essere Il Millennium Ecosystem Assessment. È un progetto di ricerca internazionale sviluppato molteplici obiettivi, come individuare lo stato degli ecosistemi globali, valutare le conseguenze dei cambiamenti negli ecosistemi sul benessere umano e fornire una valida base scientifica per la formulazione di azioni necessarie alla conservazione e all’uso sostenibile degli ecosistemi per un approfondimento del progetto si visiti: www.millenniumassessment.org/en/Synthesis.html. ↑
- Consultando il sito di Eni (www.eni.com) alla sezione “chi siamo” riporta “Siamo una società integrata dell’energia impegnata nella transizione energetica con azioni concrete per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050”. ↑
- Sul punto si veda P. Veronesi, op. cit., che analizza la sperimentazione scientifica in chiave di bilanciamento: la necessità della scienza di avere “sperimentazioni sul campo” può invadere campi tutelati da altri interessi costituzionalmente rilevanti. ↑
- Così P. Veronesi, op. cit. ↑
- Una descrizione della nozione di questo fenomeno che insiste sulla partecipazione della comunità ai benefici della ricerca scientifica e alla sua ‘formazione’ è operata da G. Flamigni, op. cit. ↑