Novità in materia di contratti pubblici: semplificazioni sostanziali e processuali e direttive europee
Sergio Foà1
1. Le semplificazioni del legislatore nazionale in materia di appalti.
Un primo fronte di indagine riguarda le più recenti modifiche legislative interne in materia di procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, nell’attesa del recepimento delle nuove direttive europee.
Il d.l. n. 90 del 2014, convertito in legge n. 114 del 2014, interviene anche in materia di appalti e concessioni, sul piano sostanziale e processuale. La disciplina dettata dall’art. 39 (Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici) introduce una sanzione pecuniaria a carico dell’operatore economico in caso di mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale “degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive” presentate, e la successiva possibilità di integrare o regolarizzare le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti, entro un termine massimo di dieci giorni, assegnato dalla stazione appaltante, decorso il quale il concorrente viene escluso dalla gara. Nei casi di “irregolarità non essenziali”, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni “non indispensabili”, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione e non applica alcuna sanzione2.
La disposizione solleva una serie di questioni interpretative, non chiarendo quando le irregolarità possano definirsi “essenziali”, laddove anzi i due termini accostati costituiscono un ossimoro, né chiarisce quando le dichiarazioni possano considerarsi “non indispensabili”. L’imprecisione lessicale del legislatore e il carattere laconico della disciplina ritagliano un ambito discrezionale di notevole ampiezza in capo alla stazione appaltante, che dispone della facoltà di consentire la regolarizzazione della documentazione in luogo dell’esclusione dalla gara. Le scelte rimesse alla P.A. saranno sindacabili sotto il profilo della ragionevolezza, in applicazione della perdurante tassatività delle cause di esclusione.
In primo luogo occorre osservare che la disposizione in esame è posta all’interno del Capo I della legge, dedicato al Processo amministrativo, auspicando una sua efficacia deflattiva del contenzioso.
In sede di prima applicazione le amministrazioni aggiudicatrici sono chiamate a distinguere e tipizzare le varie ipotesi, al fine di ricondurre tra le dichiarazioni indispensabili quelle che illustrano il possesso di requisiti o attestano condizioni essenziali per la partecipazione alla gara.
La disciplina è riferita alle dichiarazioni e agli elementi necessari alla partecipazione alle gare, sicché deve essere letta nel contesto sistematico dell’art. 38 del Codice, che disciplina le cosiddette “cause di esclusione” dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nonché per l’affidamento di subappalti, ossia i requisiti di ordine generale (c.d. “requisiti morali”) che devono possedere i soggetti che devono stipulare i contratti con la pubblica amministrazione3. Il co. 1 elenca le cause di esclusione dalle gare; il co. 2, prevede, che il candidato o il concorrente debba attestare il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. n. 445 del 2000, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione.
Il nuovo co. 2-bis dell’art. 38 del Codice dispone, infine, che ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte medesime4.
È modificata anche la disciplina del “soccorso istruttorio” di cui all’art. 46 del Codice, in base al quale le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45 del Codice dei contratti, sul possesso di requisiti di carattere generale e requisiti specifici (requisiti morali e di idoneità professionale, qualificazione per eseguire lavori pubblici, capacità economica, finanziaria, tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizi, garanzia della qualità, gestione ambientale, ed elenchi ufficiali di fornitori o prestatori di servizi).
Ai sensi del co. 1-bis del citato art. 46, la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice e dal relativo Regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. La norma specifica inoltre che i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e comunque dette prescrizioni sono nulle.
Sul punto l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha già chiarito che la c.d. regolarizzazione non può in alcun caso essere riferita agli elementi essenziali della domanda o dell’offerta e non deve essere consentita nell’ipotesi di documentazione del tutto assente; diversamente, si realizzerebbe un’alterazione degli elementi essenziali dell’offerta, che devono essere sempre presenti ab origine, ed una lesione del carattere perentorio del termine per la presentazione dell’offerta stessa”5.
Il nuovo co. 1-ter,aggiunto nel corpo dell’art. 46 del Codice, ha esteso l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo co. 2-bis dell’art. 38 del Codice, sulle irregolarità essenziali (e non), sul relativo regime sanzionatorio e sul procedimento rimediale, ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.
Le norme così introdotte, e dunque le correlate modifiche degli artt. 38 e 46 del Codice, si applicano, per espressa previsione della novella, alle procedure di affidamento indette successivamente all’entrata in vigore del presente articolo6. Tali disposizioni, infatti, richiedono che sia il bando di gara a determinare la sanzione pecuniaria da applicare al concorrente che incorra in irregolarità essenziali e sanabili delle dichiarazioni sostitutive.
Il sistema sanzionatorio è riferito non solo alle dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto di notorietà relative ai requisiti (di idoneità professionale, di ordine generale, di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale) degli operatori economici, ma anche ad altri “elementi” che devono essere prodotti in relazione alla gara.
Gli “elementi” sono riferibili agli stessi documenti previsti dal Codice dei contratti pubblici, dal regolamento attuativo e da altre disposizioni di legge come strumenti attestativi di condizioni necessariamente incidenti sulla partecipazione alla gara: tra questi la cauzione provvisoria, l’attestazione del versamento del contributo all’AVCP per la partecipazione alle gare o la dichiarazione di accettazione (che non è dichiarazione sostitutiva) del protocollo di legalità eventualmente adottato dalla stazione appaltante, in applicazione dell’art. 1, co. 17, della legge n. 190 del 20127.
Anche in tal caso la stazione appaltante deve individuare le correlate irregolarità essenziali, solo a esse potendo applicare il provvedimento sanzionatorio e l’eventuale esclusione in caso di mancata regolarizzazione nei termini.
Qualora la stazione appaltante intenda invece il dato letterale riferito agli elementi come connesso esclusivamente alle dichiarazioni, deve enucleare il complesso degli oneri dichiarativi, esplicitarne l’indispensabilità e precisare i presupposti per le irregolarità essenziali.
Simile scelta presuppone, tuttavia, che la mancata produzione di altre dichiarazioni (non sostitutive di certificazione o di atto di notorietà, ma riconducibili alle tipologie delle dichiarazioni di accettazione o di impegno) e di alcuni documenti individuati dal Codice dei contratti pubblici e da altre norme di legge come obbligatori in relazione alla partecipazione alla gara (ad es. la cauzione provvisoria) sia esplicitamente sanzionata con l’esclusione dalla gara, in coerenza con quanto previsto dal co. 1-bis dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Proprio il riferimento agli elementi che devono essere prodotti in gara induce a ritenere che questi non siano riferiti al contenuto delle dichiarazioni sostitutive, ma ai documenti che devono obbligatoriamente essere presentati in gara. Le stazioni appaltanti tendono per l’effetto a disciplinare nel bando la sottoposizione alla sanzione e alla regolarizzazione anche la mancata presentazione della cauzione provvisoria o dell’attestazione di pagamento del contributo all’AVCP per la partecipazione alle gare.
2. Procedimento sanzionatorio e procedimento di regolarizzazione.
La sanzione pecuniaria dovuta dal concorrente alla stazione appaltante per le dichiarazioni mancanti, incomplete o irregolari sarà determinata dal bando di gara in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non sarà superiore a 50.000 euro. Il versamento di questa sanzione è garantito dalla cauzione provvisoria prevista per la partecipazione alla gara di appalto.
La sanzione così prevista potrebbe cumularsi con quella irrogata dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ai sensi dell’art. 6, co. 11, del Codice (sanzione amministrativa pecuniaria fino a 25.822 euro o fino a 51.545 euro a seconda che gli operatori economici forniscano informazioni non veritiere, ovvero omettano di fornire documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti)8. La norma specifica, infatti, che le stesse sanzioni si applicano agli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, nonché agli operatori economici che forniscono dati o documenti non veritieri, circa il possesso dei requisiti di qualificazione, alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione.
La sanzione è correlata all’esistenza di irregolarità essenziali sanabili individuate dalla stazione appaltante, sottoposte al particolare subprocedimento di regolarizzazione, mentre quelle non ritenute tali, se non rese o rese in modo incompleto o irregolare, non determinano né l’applicazione della sanzione né l’obbligo di regolarizzazione.
La regolarizzazione documentale, peraltro, non è correlata al pagamento della sanzione, quindi gli operatori economici che abbiano reso o completato le dichiarazioni insufficienti sono ammessi alla gara, indipendentemente dal pagamento della sanzione. Andrebbe, altresì, chiarito se il pagamento sia comunque dovuto anche laddove il concorrente non intenda sanare la propria posizione nel termine assegnatogli9.
Salva dunque l’autonomia dell’irrogazione della sanzione rispetto alla regolarizzazione documentale, non può sfuggire la varietà delle fattispecie di violazioni delle regole di gara contemplate dalla norma in esame. La mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive imporrebbero un trattamento differenziato ed una previa specificazione del correlato disvalore in sede di bando, in applicazione del principio della gradualità delle sanzioni in relazione alla gravità delle infrazioni. Nella prassi si sta tuttavia affermando l’irragionevole definizione di un trattamento sanzionatorio unitario nei bandi di gara.
Ulteriore criticità è riferibile alla previsione di una cauzione provvisoria a garanzia del pagamento della sanzione. La previsione comporta che in caso di mancato pagamento da parte dell’impresa concorrente dopo la contestazione della sanzione, qualora l’amministrazione aggiudicatrice non riesca a ottenere il versamento, possa rivalersi sulla cauzione (che il concorrente dovrà reintegrare tempestivamente). In tale prospettiva, nelle fidejussioni dovrà essere fatta menzione della garanzia specifica. Nella prassi applicativa le amministrazioni aggiudicatrici prevedono nel bando anche un’integrazione supplementare del valore della garanzia provvisoria, corrispondente alla sanzione, determinando un maggior onere a carico degli operatori economici.
3. Tra tipicità legislativa delle cause di esclusione e rafforzamento del ruolo del bando.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha già chiarito la distinzione tra integrazione documentale e regolarizzazione10. La prima si sostanzia nella facoltà di produzione di documenti interamente omessi, mentre la seconda consiste nella sola possibilità di correggere refusi, specificare parti incomplete del documento, fornire chiarimenti in ordine al contenuto o alla portata degli stessi. Secondo la giurisprudenza prevalente soltanto la richiesta di regolarizzazione sarebbe conforme al principio di parità di trattamento e di autoresponsabilità degli operatori economici e sarebbe per vero soltanto essa conforme alla lettera dell’art. 46 d. lgs. n. 163 del 2006, che stabilisce che “nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”11. Tale disposizione impone di mantenere fermi i limiti previsti dagli artt. da 38 a 45 (così indicando che l’integrale inadempimento agli oneri imposti dagli stessi non può essere sanato, sicché l’esclusione discenderebbe automaticamente dalla legge), consentendo soltanto un completamento o una chiarificazione dei documenti presentati.
Il dovere di soccorso istruttorio a fronte di omissioni documentali potrebbe riconoscersi sussistente soltanto nel caso eccezionale in cui l’omissione sia ingenerata da un comportamento della stessa Stazione appaltante che sia ambigua nel formulare la legge di gara o che comunque non espliciti con sufficiente chiarezza quali adempimenti formali siano necessari per l’ammissione alla procedura12. Proprio a tal fine la nuova disciplina qui in esame impone alla stazione appaltante una pubblicità iniziale che individui le “dichiarazioni indispensabili”, per la dimostrazione del possesso di requisiti o attestanti condizioni essenziali per la partecipazione alla gara.
Altro orientamento della giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, mira a garantire una maggiore partecipazione alle gare a soggetti sostanzialmente in possesso dei requisiti di ammissione, nonostante la documentazione da essi presentata sia caratterizzata da lacune più gravi del mero refuso o imprecisione13.
Il fondamento di tali impostazioni riferisce alla materia amministrativa la categoria penale del c.d. ‘falso innocuo’, considerato che l’offensività dei reati di falso non è riferibile al solo bene giuridico della pubblica fede, ma anche rispetto alla possibilità di ledere gli interessi tutelati dalla integrità dei mezzi probatori oggetto di aggressione e che costituiscono l’oggetto finale di tutela14.
Il falso inoffensivo può essere grossolano quando l’alterazione, pur presente, è talmente abnorme che la falsità del documento risulta in modo evidente a chiunque, sicché non è idonea a trarre in inganno nessuno e pertanto nemmeno a mettere in pericolo il bene della fede pubblica. Il falso è invece definito inutile quando la falsificazione riguarda una parte del documento che non ha alcun rilievo probatorio: il documento ha uno scopo attestativo e nel falso inutile la parte falsificata è parte estranea a tale scopo. Infine con il termine falso innocuo si fa riferimento al falso che, pur potenzialmente e in astratto non inutile perché incidente proprio sulla parte del documento utile ai fini probatori, in concreto – e in ragione di fattori estranei alla falsificazione stessa – non può raggiungere l’effetto di compromissione degli ulteriori beni giuridici che la punizione della falsificazione mira a proteggere15.
L’applicazione della teoria del c.d. falso innocuo alla disciplina di gara è ipotizzabile nei casi in cui la falsità in cui incorre il documento si accompagni al possesso sostanziale dei requisiti che le norme in materia richiedono ai concorrenti per poter contrattare con la P.A.: in tale caso, perciò, la falsità non sarebbe suscettibile di ledere l’interesse finale protetto dalla norma, ovvero l’esclusione dalle competizioni di soggetti immeritevoli16.
Una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha rinvenuto nella teoria in esame un riferimento per riconoscere maggiore ampiezza al soccorso istruttorio: per il suo tramite, infatti, potrebbe ritenersi esperibile il potere/dovere di soccorso in tutti quei casi in cui pur a fronte di un’omissione (e non solo di una irregolarità) sia indubbia la sussistenza effettiva del requisito che il documento mirava ad attestare.
L’adesione alla teoria del falso innocuo è comunque rimasta minoritaria in giurisprudenza, in quanto “nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità – la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara”17. Tale lettura è focalizzata sulla tutela dell’interesse della pubblica amministrazione a fare legittimo affidamento sulla correttezza e completezza delle dichiarazioni rese18.
Con l’Ad. Plen. n. 9 del 2014, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il legislatore abbia effettuato a monte il vaglio circa la meritevolezza della sanzione dell’esclusione a fronte dello specifico inadempimento: tale sarebbe l’unico profilo di interazione tra la disciplina sulla tassatività delle cause di esclusione e il soccorso istruttorio.
La pronuncia è invero laconica sul punto e ha lasciato inesplorati alcuni profili sul rapporto tra i due istituti. La nuova norma, qui in esame, testimonia la necessità di un ulteriore sforzo di chiarificazione riguardo alla rilevanza degli oneri documentali e dichiarativi gravanti sugli operatori economici. Lo sforzo grava sulla stazione appaltante, probabilmente in via ricognitiva della interpretazione giurisprudenziale formatasi sulle previgenti disposizioni di legge. Nello stesso tempo, il bando di gara viene “rivitalizzato” perché le indicazioni della stazione appaltante sulle irregolarità sanabili accedono all’avvio di un procedimento sanzionatorio di carattere innovativo, che si aggiunge al classico soccorso istruttorio.
Fin dall’introduzione della tassatività delle cause di esclusione il dovere di soccorso (nella richiamata accezione di strumento di regolarizzazione e non di integrazione documentale) è limitato ai casi in cui l’adempimento omesso sia richiesto dalla legge a pena di esclusione, dovendosi ritenere ragionevolmente che in ogni altro caso non potrà mai far seguito all’inadempimento l’esclusione dalla gara19.
L’interpretazione rigorosa offerta dalla giurisprudenza evita di gravare la Pubblica Amministrazione dell’onere di verificare sempre la sussistenza dei requisiti sostanziali, indipendentemente dalla omissione di prova da parte delle partecipanti o anche indipendentemente dalla stessa falsità nelle dichiarazioni. La stessa interpretazione fatica tuttavia a conciliarsi con le istanze sostanzialistiche intese a favorire la massima partecipazione alle gare.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente la causa escludente opera ex lege, anche se il bando non la prevede: tale lettura sminuiva il ruolo della lex specialis e accollava agli operatori economici un difficile onere ricostruttivo. In quest’ottica parte della giurisprudenza aveva ritenuto illegittima l’esclusione di una concorrente nei casi in cui essa avesse diligentemente adempiuto alle prescrizioni del bando che non risultavano però esaustive rispetto alla disciplina legale: in tali ipotesi infatti incomberebbe alla P.A. il dovere di richiedere l’integrazione documentale, in omaggio a principi di affidamento e leale collaborazione e considerando che non può ritenersi lesa la par condicio quando l’inadempimento deriva appunto da una imprecisione del bando20.
La riforma legislativa in esame rafforza tale ruolo della stazione appaltante, arricchendo il contenuto chiarificatore del bando sugli oneri documentali e sulla relativa rilevanza.
4. La dequotazione del formalismo documentale secondo il Consiglio di Stato.
Con la pronuncia dell’Ad. Plen. n. 16 del 2014, il Consiglio di Stato ha affermato che la dichiarazione resa da uno dei componenti del consiglio di amministrazione, ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000 di insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 del Codice «non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici». La presenza di una dichiarazione sostitutiva così resa, ha puntualizzato l’Adunanza plenaria, «non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio».
La stessa Adunanza plenaria ha ricondotto espressamente tale interpretazione, basata su criteri non formalistici, alla previsione qui in esame (allora nel testo del d.l. 24 giugno 2014, n. 90) per le gare indette successivamente alla sua entrata in vigore. La nuova disposizione prevede che persino la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive, pur comportando l’obbligo di pagare una sanzione pecuniaria, impone alla stazione appaltante l’esercizio dei poteri di soccorso istruttorio mediante l’assegnazione di un termine perentorio per la integrazione o regolarizzazione. L’esclusione è prevista soltanto nel caso in cui il concorrente non adempia nel termine assegnato.
Più di recente, il Consiglio di Stato ha affrontato il caso in cui il rappresentante legale dell’impresa non ha espressamente affermato che gli altri componenti del consiglio di amministrazione non avevano subito condanne penali. Il giudice amministrativo ha ritenuto la dichiarazione conforme alle prescrizioni legali, per le seguenti ragioni: perché la dichiarazione – resa dal Presidente del Consiglio di amministrazione, con funzioni di rappresentante legale – presentava un contenuto complessivo riferito all’ente; perché i dati identificativi degli amministratori risultavano facilmente desumibili dal registro delle imprese; perché, a seguito di accertamenti disposti dalla stazione appaltante, i due componenti del consiglio di amministrazione avevano comunque reso nel corso della procedura la dichiarazione personale di mancanza di pregiudizi penali21.
Con tale pronuncia il Consiglio di Stato ha esteso l’ambito di applicazione dei principi enunciati nella Plenaria anche ai casi in cui il bando di gara sia specifico, nel prescrivere l’esclusione, e la stazione appaltante abbia anche predisposto lo schema di dichiarazione sostitutiva in tal senso. Tali prescrizioni amministrative, infatti, secondo le parole del giudice amministrativo, “devono […] essere interpretate in modo conforme a quanto stabilito dalla legge, con la conseguenza che deve ritenersi giuridicamente equipollente, […], al requisito prescritto dalla lex specialis della dichiarazione resa “da tutti” la dichiarazione resa “per tutti” dal legale rappresentante”.
La pronuncia pare fornire la chiave di lettura dell’art. 39 della l. n. 114 del 2014 qui in esame, laddove introduce una sanzione pecuniaria per la mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità delle dichiarazioni sostitutive; obbliga la stazione appaltante ad assegnare al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per l’integrazione delle dichiarazioni carenti; ed ammette l’esclusione nel solo caso di inosservanza di quest’ultimo adempimento.
Dunque emerge con chiarezza come la ratio del legislatore sia quella di imporre un’istruttoria veloce ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni, e di evitare le esclusioni dalla procedura per mere carenze e irregolarità documentali22.
5. La dequotazione del formalismo documentale nelle direttive europee.
Le nuove direttive appalti del 2014 si allineano a quelle del 2004 in punto requisiti di partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara.
In alcuni casi il giudice amministrativo nazionale, mediante “fughe in avanti”, ha provato a conformare l’interpretazione delle norme interne alle indicazioni sovranazionali, anche in caso di omessa dichiarazione prevista dall’art. 38 co. 1, lett. b) e c). In caso di omissione da parte del direttore tecnico dell’impresa di tali dichiarazioni, il T.a.r. Lombardia ha sostenuto l’illegittimità del provvedimento di esclusione senza previo esperimento soccorso istruttorio, nonostante fosse stata acclarata, mediante prova fornita dall’impresa, l’assoluta insussistenza di condanne. Mentre il Consiglio di Stato ha ribadito la preminenza delle esigenze di tutela della par condicio e della imperatività della legge di gara, il T.a.r. in sede di ottemperanza ha invece ritenuto di dover disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea23, onde richiedere una interpretazione dell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, per vagliare la compatibilità con essa della disciplina interna in materia di requisiti soggettivi di accesso alle gare24.
La norma europea riconosce alle Amministrazioni procedenti poteri istruttori ampi e innominati, compresa la possibilità di richiedere informazioni e di chiedere la produzione stessa dei documenti necessari a comprovare la situazione personale del concorrente ai fini di accedere alla contrattazione con la P.A..
Contrariamente all’impostazione europea, coerente con i principi di effettività ed efficienza e con l’assenza di formalismo che caratterizzano la legislazione in materia di concorrenza, il giudice italiano rileva come l’art. 38 non solo non contenga formulazioni simili, ma sia costantemente interpretato dalla giurisprudenza interna (nel combinato disposto con l’art. 46) in modo tale che omissioni anche meramente formali possono legittimamente escludere dalla gara concorrenti sostanzialmente idonei a contrattare con la P.A..
Ancorché il principio di tassatività delle cause di esclusione limiti la discrezionalità dell’Amministrazione, che autonomamente non può più prevedere adempimenti meramente formali a pena di esclusione, la portata della norma non è ancora univocamente intesa, sicché la legge n. 114 del 2014 ha ritenuto doveroso che la stazione appaltante chiarisca fin dall’inizio agli operatori economici quali oneri documentali sono essenziali e quali dichiarazioni sono indispensabili.
Su un caso analogo a quello per cui il T.a.r. Lombardia ha chiesto lumi al Giudice dell’Unione europea, il Consiglio di Stato ha viceversa ritenuto “chiara” la materia, ritenendo che in caso di dichiarazioni incomplete in sede di partecipazione alla gara, la Stazione Appaltante non può ricorrere al c.d. soccorso istruttorio, che è volto a chiarire e completare dichiarazioni, certificati o documenti comunque già esistenti, a rettificare errori materiali o refusi, ma non certo a consentire integrazioni o modifiche della domanda25. Il c.d. “soccorso istruttorio” sovviene quando la P.A. ha la disponibilità di intervenire su elementi e dati comunque forniti anche parzialmente e non invece quando non c’è alcunché su cui intervenire ab initio e quindi in presenza di dati per nulla conosciuti dalla Stazione Appaltante perché omessi (nella specie, era stata omessa la dichiarazione sulle precedenti condanne penali del rappresentante legale dell’impresa concorrente e non poteva quindi essere sanata o regolarizzata o integrata in concreto con la produzione ex novo di dichiarazione o certificazione dall’inizio mancante, rientrando fra i c.d. adempimenti doverosi imposti comunque dalla norma e dal disciplinare, e anche a prescindere dalla previsione della disciplina di gara e da ogni visione “sostanzialistica” di tali adempimenti).
Con particolare riguardo al tema di dichiarazioni sulla c.d. moralità professionale, l’Adunanza plenaria ha così negato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di interpretazione dell’art. 38, c. 1, lett. b e c) del Codice in rapporto all’art. 45 direttiva 2004/18/CE, in merito alla rilevanza o meno del reato ai fini dell’obbligo dichiarativo in capo all’operatore economico26, non sussistendo “ragionevoli dubbi interpretativi” sulla corretta soluzione da dare e data alla questione sollevata27.
Le disposizioni del Codice esprimono principi generali anche di derivazione europea e possono trovare, ai fini della ampiezza applicativa, la ratio nella tutela di valori immanenti al sistema della contrattualistica pubblica. La stessa Adunanza Plenaria ritiene che anche la direttiva europea sugli appalti pubblici n. 24 del 26 febbraio 2014, non ancora recepita in Italia, impedisce la produzione di dichiarazioni che omettano tutte le informazioni indispensabili ad eseguire le verifiche di ufficio sulla loro veridicità e preclude l’esercizio del potere istruttorio.
In effetti le norme comunitarie tendono sì a semplificare e ad accelerare i procedimenti, ma non ad eliminare il sistema di attestazione dell’insussistenza delle situazioni ostative quale prova preliminare sostitutiva di certificazioni, che nella direttiva n. 24/2014 vengono ridotte ad un’unica autodichiarazione28.
La nuova direttiva appalti prevede innanzitutto che l’autodichiarazione di possesso dei requisiti soggettivi di ammissione avverrà tramite un formulario denominato Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), di semplice compilazione e che non dovrà essere accompagnato dalla presentazione delle dichiarazioni e dei certificati29. La presentazione della documentazione probante sarà richiesta solo alla aggiudicataria, salva la possibilità conferita dal par. 4 alle Amministrazioni di “chiedere a offerenti e candidati, in qualsiasi momento nel corso della procedura, di presentare tutti i documenti complementari o parte di essi, qualora questo sia necessario per assicurare il corretto svolgimento della procedura”.
L’interazione tra oneri istruttori della stazione appaltante e possibilità per le imprese di provare con ogni mezzo l’insussistenza di una causa ostativa sembrano confermare la visione della disciplina europea come maggiormente sostanzialista e improntata alla massima collaborazione, semplificata appunto da strumenti come il DGUE e le banche dati30.
Rispetto alla compatibilità del sistema interno in materia di soccorso istruttorio con quello europeo scaturente dalle nuove direttive, significativo risulta l’inciso iniziale dell’art. 57: “le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto qualora abbiano stabilito attraverso una verifica ai sensi degli artt. 59, 60 e 61 o siano a conoscenza in altro modo del fatto che tale operatore economico è stato condannato con sentenza definitiva per uno dei seguenti motivi […]”, che collega l’esclusione soltanto ad una attiva verifica di sussistenza di un motivo ostativo all’ammissione alla gara.
Comprendere se le nuove direttive possano incidere sulla disciplina interna del soccorso istruttorio è certamente complesso, in ragione della differente impostazione della disciplina europea rispetto a quella interna31. Sul punto potrà forse esprimersi la stessa Corte di Giustizia nel rispondere alla questione pregiudiziale di cui si è fatta menzione. Nel frattempo il Consiglio di Stato ha ritenuto di confermare il proprio precedentemente orientamento elevandolo ad interpretazione conforme alla sopravvenuta normativa europea.
6. Le novità e l’accelerazione in materia processuale.
L’art. 40 del d.l. n. 90 del 2014, convertito in legge n. 114 del 2014 dispone misure di “Accelerazione dei giudizi in materia di appalti pubblici”.
Modifica l’art. 120 del Codice del processo amministrativo, sostituendo i commi 6 e 9 e aggiungendo il co. 8-bis.
Il nuovo co. 6 stabilisce che – ferma restando la possibilità, in presenza dei presupposti, di definire il giudizio già in sede cautelare – il giudizio è definito comunque con sentenza semplificata ad una udienza fissata d’ufficio dal T.a.r. e dal Consiglio di Stato entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente (la P.A. e i controinteressati)32; detto termine scade 30 giorni dalla notificazione del ricorso nei loro confronti. La segreteria del giudice avvisa immediatamente le parti della data dell’udienza a mezzo di posta elettronica certificata.
Come indicato nella relazione illustrativa, attraverso l’introduzione del termine breve dei 30 giorni, si vuole superare “un sistema che prevedeva che l’ordinanza cautelare di accoglimento aveva l’effetto di impedire la sottoscrizione del contratto sino alla celebrazione dell’udienza pubblica”.
Il comma 6 dell’art. 120, applicabile anche al Consiglio di Stato ex co. 11 dello stesso art. 120, è quindi riformulato per accelerare la decisione sul merito da parte dei TAR e del Consiglio di Stato33.
Solo per esigenze istruttorie o per l’integrazione del contraddittorio o per garantire il rispetto dei termini a difesa, è possibile rinviare, con la relativa ordinanza, il giudizio ad un’ulteriore udienza da tenersi non oltre 30 giorni.
Il termine massimo per definire il giudizio, in caso non sia possibile la pronuncia della sentenza in forma semplificata, è comunque di 60 giorni.
L’art. 40 aggiunge poi all’art. 120 c.p.a. un co. 8-bis in base a cui il collegio, quando dispone le misure cautelari (in primis la sospensione degli effetti dell’atto amministrativo) subordina, di regola, l’efficacia delle misure stesse alla prestazione, da parte del richiedente, di una cauzione anche tramite fideiussione; la cauzione può non essere chiesta solo per eccezionali ragioni specificate dalle motivazioni della stessa ordinanza cautelare.
È pertanto modificata la disciplina in materia di misure cautelari prevista dall’art. 119, co. 4, del Codice del processo amministrativo secondo la quale con l’ordinanza che fissa la data di discussione del merito, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari.
La possibilità di una cauzione è già prevista dall’art. 56, co. 3, del Codice di rito. Tale disposizione, in materia di misure cautelari monocratiche, prevede che – qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili – il presidente può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, determinata con riguardo all’entità degli effetti irreversibili che possono prodursi per le parti e i terzi.
La misura cautelare, in ogni caso, ha efficacia solo per 60 giorni decorrenti dalla data della pubblicazione della relativa ordinanza.
La previsione è innovativa rispetto alle regole generali in tema di cauzione, in quanto per l’adozione della misura non occorre necessariamente il presupposto degli effetti irreversibili della misura cautelare, in quanto viene indicata la tipologia di cauzione e ne viene quantificato l’importo massimo. Tra le forme di cauzione si indica la fideiussione (mediante previsione esemplificativa), e si stabilisce che l’importo è commisurato al valore dell’appalto e comunque non superiore allo 0,5 per cento del suddetto valore.
Come sottolineato nei primi commenti, la soluzione accolta dal co. 8-bis dell’art. 120, e inserita dalla L. n. 114/2014, non si presta a censure di legittimità, a differenza della versione originaria proposta dal D.L. n. 90/2014, che prevedeva la cauzione come indefettibile, così sollevando dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea, atteso che la c.d. cauzione indefettibile non è contemplata dalle c.d. direttive ricorsi34.
La direttiva 2007/66 esige che gli Stati membri garantiscano che l’organo chiamato a decidere possa “prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti cautelari intesi a riparare la violazione denunciata o ad impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico o l’esecuzione di qualsiasi decisione presa dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Secondo la richiamata direttiva, il giudice può tener conto delle probabili conseguenze dei provvedimenti cautelari per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché per l’interesse pubblico e decidere di non accordare tali provvedimenti qualora le conseguenze negative possano prevalere su quelle positive. Qualora sia accordata la misura cautelare, la previsione indefettibile della cauzione potrebbe rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti e l’effettività della tutela garantita dal diritto sovranazionale35.
Il nuovo co. 8-bis dell’art. 120 c.p.a. non è elencato tra le disposizioni applicabili in appello, quindi se ne desume che in appello non si applicano le nuove regole in tema di cauzione e temporalizzazione della misura cautelare.
Il co. 8-bis fa salve le previsioni del co. 3 dell’art. 119 del Codice, secondo cui, salva l’applicazione dell’art. 60 (cioè la possibilità di definire già nel merito il giudizio in sede cautelare), il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l’integrazione dello stesso, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dalla data di deposito dell’ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti. In caso di rigetto dell’istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l’ordinanza di primo grado, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell’udienza di merito. In tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell’ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti.
Sempre con finalità acceleratorie, è stato riformulato il co. 9 dell’art. 120 c.p.a., in forza del quale la sentenza del T.a.r. e del Consiglio di Stato che definisce il giudizio è depositata entro 20 giorni dall’udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere entro 2 giorni la pubblicazione del dispositivo.
Nella versione precedente la vigenza del D.L. in esame, la stessa disposizione prevedeva che “il dispositivo del provvedimento con cui il tribunale amministrativo regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data della sua deliberazione”. Il deposito della sentenza del T.a.r. e del Consiglio di stato doveva invece avvenire entro 23 giorni dall’udienza di discussione (termine dimezzato ex art. 119, co. 2, rispetto agli ordinari 45 gg. previsti dall’art. 89, co. 1, del Codice).
La nuova disciplina si applica ai giudizi introdotti con ricorso depositato, in primo grado o in grado di appello, dopo il 25 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto-legge.
7. I “moduli in deroga” agli appalti pubblici secondo le nuove direttive europee.
Altre importanti novità riguardano l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni normative in materia di appalti.
L’estensione della nozione di operatore economico imposta dal diritto dell’Unione europea ha infatti attratto nell’orbita delle procedure selettive anche gli operatori economici pubblici, con l’effetto di ridurre gli strumenti di collaborazione convenzionali tra autorità pubbliche, in modalità di partenariato pubblico-pubblico36.
La Commissione dell’Unione europea, nel documento di lavoro sulla cooperazione pubblico-pubblico, ha ribadito l’esclusione dall’ambito di applicazione delle norme in materia di appalti nei seguenti casi:
- cooperazione istituzionalizzata/verticale – in house – ossia la cooperazione tramite persone giuridiche distinte;
- cooperazione non istituzionalizzata/orizzontale volta a garantire congiuntamente l’assolvimento di compiti di interesse pubblico37.
Sulla seconda tipologia, quella convenzionale, le nuove direttive europee ammettono l’esistenza di “una notevole incertezza giuridica circa la misura in cui i contratti conclusi tra enti nel settore pubblico debbano essere disciplinati dalle norme relative agli appalti pubblici”38 e ricordano che la giurisprudenza della Corte di giustizia a tale riguardo viene interpretata in modo divergente dai diversi Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni aggiudicatrici39.
Con riferimento all’ordinamento italiano, sono strumento di partenariato pubblico-pubblico non istituzionalizzato gli accordi conclusi tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della legge n. 241 del 199040.
Sollecitata la necessità di precisare in quali casi i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici, le stesse direttive ricordano che:
– il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l’applicazione delle norme sugli appalti;
– tuttavia, l’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche.
In via speculare rispetto alla estensione della nozione di operatore economico, le medesime direttive si preoccupano che la cooperazione pubblico-pubblico esentata non dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati, nella misura in cui pone un fornitore privato di servizi in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
Secondo la Corte di Giustizia, gli accordi tra pubbliche amministrazioni non rientrano nel campo di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici solo qualora siano conclusi esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici, siano ispirati da considerazioni legate al pubblico interesse, non pongano nessun operatore privato in una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti e si fondino su di un concetto cooperativistico in virtù del quale le parti pubbliche ricorrono al modello convenzionale al fine di coordinare l’esercizio delle funzioni ad essi attribuite in vista del conseguimento di un risultato comune41.
Le tre nuove direttive sulle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici di appalti e concessioni, riprendendo la ricostruzione pretoria, escludono dal proprio ambito di applicazione i contratti conclusi esclusivamentetra due o più amministrazioni aggiudicatrici dall’ambito di applicazione della normativa europea, allorquando siano soddisfatte cumulativamentele seguenti condizioni:
a) il contratto sia volto a stabilire o realizzare una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune;
b) l’attuazione di tale cooperazione sia retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;
c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgano sul mercato apertomeno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione42.
In difetto di definizioni sulla comune natura degli interessi perseguiti, pare necessaria la dimostrazione di una strategia comune condivisa dalle parti che si accordano, evitando che una sola si assuma il compito di interesse pubblico e le altre un ruolo meramente strumentale43.
Ove difettino i requisiti esaminati, occorrerà esperire una procedura competitiva, anche quando gli enti pubblici si presentano nella veste di operatori economici44.
Il recepimento e l’applicazione delle nuove direttive europee dovrà evitare che si passi dal rischio di elusione formale dei principi concorrenziali (ricorrendo ad accordi e a forme di partenariato PP) a più sottili forme di elusione sostanziale, ammettendo alle gare enti pubblici dotati di un tale vantaggio competitivo rispetto agli altri operatori economici da trasformare la stessa procedura di gara in una forma di affidamento diretto.
Di tali nuovi equilibri si è avveduto il Consiglio di Stato, con ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia, ove evidenzia che “Il tema è destinato a diventare ineludibile, a seguito dei limiti, divenuti più rigorosi, posti a carico dei soggetti pubblici (o privati no profit) che intendano ricorrere allo strumento degli accordi e/o delle convenzioni in alternativa alla via maestra delle procedure di aggiudicazione. Infatti, quanto più si riduce l’ambito di operatività degli accordi tra soggetti pubblici e si riconosca invece la necessità di aggiudicare mediante gara pubblica veri e propri appalti, tanto più spesso è destinato a porsi il problema della parità di trattamento tra concorrenti disomogenei”45.
La stessa Corte di giustizia ha evidenziato la sussistenza di un obbligo per gli Stati membri di predisporre un sistema di adeguate misure correttive volto a tutelare il libero esplicarsi del confronto concorrenziale46.
La volontà di tutelare il principio di concorrenza effettiva non comporta la necessità di escludere gli enti pubblici dai mercati concorrenziali, ma richiede un’attiva collaborazione dei Governi nazionali per il perseguimento di tale obiettivo comune.
Per evitare che l’estensione soggettiva della normativa sugli appalti favorisca forme abusive di affidamento diretto, i singoli Stati sono tenuti a incrementare i controlli sulle procedure e definire meccanismi correttivi volti a riequilibrare la disomogeneità dei diversi operatori economici.
La Corte di Giustizia, finora generica sulla portata dell’obbligo in capo agli Stati membri, potrebbe precisarne il contenuto proprio in sede di pronuncia pregiudiziale, ferma restando la discrezionalità del legislatore nazionale in sede di recepimento delle nuove direttive47.
L’altro modulo in deroga alle procedure di affidamento dei contratti pubblici riguarda la cooperazione istituzionalizzata/verticale, in house, ossia la cooperazione tramite persone giuridiche distinte48.
Le nuove direttive chiariscono che gli appalti pubblici aggiudicati a persone giuridiche controllate non dovrebbero essere assoggettati all’applicazione delle procedure di gara qualora l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, a condizione che la persona giuridica controllata svolga più dell’80% delle proprie attività nell’esecuzione di compiti a essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice che esercita il controllo o da altre persone giuridiche controllate da tale amministrazione aggiudicatrice, a prescindere dal beneficiario dell’esecuzione dell’appalto49.
L’esenzione dalle procedure di gara non dovrebbe estendersi alle situazioni in cui vi sia partecipazione diretta di un operatore economico privato al capitale della persona giuridica controllata poiché, in tali circostanze, l’aggiudicazione di un appalto pubblico senza una procedura competitiva offrirebbe all’operatore economico privato che detiene una partecipazione nel capitale della persona giuridica controllata un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti50.
Tuttavia, date le particolari caratteristiche degli organismi pubblici con partecipazione obbligatoria, quali le organizzazioni responsabili della gestione o dell’esercizio di taluni servizi pubblici, ciò non dovrebbe valere nei casi in cui la partecipazione di determinati operatori economici privati al capitale della persona giuridica controllata è resa obbligatoria da una disposizione legislativa nazionale in conformità dei Trattati, a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporta controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata51.
Si dovrebbe inoltre chiarire che l’unico elemento determinante è la partecipazione privata diretta al capitale della persona giuridica controllata. Perciò, in caso di partecipazione di capitali privati nell’amministrazione aggiudicatrice controllante o nelle amministrazioni aggiudicatrici controllanti, ciò non preclude l’aggiudicazione di appalti pubblici alla persona giuridica controllata, senza applicare le procedure previste dalla presente direttiva in quanto tali partecipazioni non incidono negativamente sulla concorrenza tra operatori economici privati.
Il requisito del controllo analogo esercitato da un’amministrazione aggiudicatrice su una persona giuridica come quello esercitato sui propri servizi ricorre qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice.
Il controllo congiunto sull’organismo in house, da tempo ammesso dalla giurisprudenza europea52, si verifica quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni53:
1) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;
2) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
3) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti.
Anche la giurisprudenza nazionale ha chiarito che il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che la “signoria della mano pubblica” sull’ente affidatario, purché effettiva e reale, sia esercitata dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione dominante di ogni singolo ente54.
Peraltro, pur non richiedendosi che ciascun partecipante detenga da solo un potere di controllo individuale, nondimeno si esige che il controllo esercitato sull’entità partecipata non si fondi soltanto sulla posizione dominante dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza del capitale sociale. È necessario, infatti, che anche il singolo socio possa vantare una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell’organismo del quale è parte; sicché, una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente55.
La giurisprudenza europea sottolinea la necessità che detto controllo analogo si esplichi sotto forma di partecipazione sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’organismo controllato56.
La Corte di Giustizia non specifica tuttavia attraverso quali sistemi operativi debba estrinsecarsi la presenza di ciascun socio negli organi direttivi e con quale modalità concreta quest’ultimo debba concorrere al controllo analogo. La prassi conosce svariate meccanismi, fondati sulla nomina diretta e concorrente di singoli rappresentanti (uno per ogni socio) in seno al consiglio di amministrazione della società, o sulla partecipazione mediata agli organi direttivi attraverso la nomina da parte dell’assemblea di consiglieri riservati ai soci di minoranza. L’alternativa è offerta dagli strumenti di carattere parasociale, che operano attraverso la predisposizione di organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica preventiva sulla gestione dell’attività ordinaria e straordinaria del soggetto in house, tali da rendere l’organo amministrativo privo di apprezzabile autonomia rispetto alle direttive delle amministrazioni partecipanti57.
In materia di società in house detenute congiuntamente da più enti pubblici, la giurisprudenza interna sottolinea la necessità che il relativo consiglio di amministrazione non abbia rilevanti poteri gestionali di carattere autonomo, e che l’ente pubblico affidante (la totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se con moduli fondati su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario e caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria. Risulta a ciò indispensabile che le decisioni strategiche e più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, all’approvazione della totalità degli enti pubblici soci58.