PNRR e Bando Borghi: rigenerazione senza autonomie
Giacomo Menegus[1]
(ABSTRACT)
The paper analyses the so-called “Bando Borghi”, a specific investment of the National Recovery and Resilience Plan that amount to over one billion euros for the regeneration of historic small villages in disadvantaged areas. The regions’ and local authorities’ marginalisation in the drafting of the investment, the unclear role of the regions in the selection of winning projects, and the difficulties that small municipalities face on an administrative and organisational level are critically examined and discussed. The conclusion is that the considered investment is affected by an excessively centralistic and ministerial approach that risks jeopardising the success of the intervention.
Sommario:
1. Introduzione – 2. PNRR e Bando Borghi – 3. Potenziale e criticità nel confronto con le realtà territoriali – 4. Casi paradigmatici, tra Piemonte e Valle d’Aosta – 5. Riflessioni conclusive
1. Introduzione
Uno degli aspetti più controversi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in poi, PNRR) è rappresentato dal ruolo assunto da regioni ed enti locali nelle varie fasi che hanno condotto prima alla redazione del Piano, poi all’articolazione della governance e ora all’attuazione puntuale dei progetti e delle riforme previste. L’impressione che si ricava dai primi studi sul tema[2] e, più in generale, dal confronto politico tra centro e periferia[3] è che le autonomie territoriali siano state sostanzialmente marginalizzate: nella fase di redazione, i tempi accelerati e ristretti che hanno segnato l’approvazione del Piano hanno lasciato scarso spazio all’interlocuzione con le istituzioni del territorio (peraltro impostata con scarsa chiarezza, con effetti negativi sulla funzionalità della stessa)[4]. La governance del Piano, dettata nei suoi tratti salienti dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), moltiplica i momenti di confronto tra governo centrale e rappresentanti delle autonomie, senza che però questi ultimi sembrino in grado di incidere in maniera significativa sulle decisioni più importanti, che rimangono saldamente nelle mani dello Stato[5]. Infine, per quanto attiene all’attuazione del Piano, si può rilevare come – accanto all’amministrazione centrale – siano soprattutto i Comuni i principali soggetti attuatori, con un’ulteriore riduzione dello spazio di intervento delle Regioni.
Se quella appena descritta è una visione d’insieme, quasi “a volo d’uccello”, del posto delle autonomie nel PNRR, può essere tuttavia interessante verificare più nel dettaglio quale sia effettivamente il ruolo assunto da Regioni ed enti locali con riferimento ad uno specifico settore d’intervento, scendendo ad esaminare più da vicino progetti, compiti e dinamiche concrete generatesi tra amministrazione centrale e autonomie.
In questa prospettiva un case study significativo è senz’altro il noto “Bando Borghi”, espressione con la quale si identifica genericamente l’Investimento 2.1. – Attrattività dei Borghi, che ammonta a complessivi 1.020 milioni di euro, e si colloca nell’ambito della M1C3 – Turismo e Cultura 4.0. Tanto lo specifico investimento – che si articola in due differenti linee di finanziamento, come meglio si vedrà infra – quanto, più in generale, la Missione e la Componente di riferimento chiamano in causa una serie di ambiti di sicura competenza regionale (concorrente e residuale): basti pensare al turismo (art. 117, co. 4, Cost.), alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali (art. 117, co. 3, Cost.), al governo del territorio (per quanto attiene alla rigenerazione urbana, art. 117, co. 3, Cost.), alla produzione artigianale, agro-alimentare e al commercio (art. 117, co. 4, Cost.); ambiti in relazione ai quali da tempo le Regioni – ovviamente con modalità e intensità differenti – hanno sviluppato e promuovono specifiche politiche pubbliche e nei quali peraltro anche gli enti locali esercitano importanti funzioni amministrative (basti pensare, tra gli altri, al settore turistico). Diviene allora particolarmente interessante verificare come l’amministrazione centrale competente – in questo caso il Ministero della Cultura (MiC) – abbia strutturato la partecipazione delle Regioni e degli enti locali e quanto spazio sia stato dato al confronto con le istituzioni del territorio che, sebbene nell’ambito di un Piano che si qualifica espressamente come “nazionale”, vantano pur sempre competenze in materia.
Per far questo, si procederà dapprima con l’analisi del “Bando Borghi”, partendo dalla sua collocazione nel PNRR per arrivare al collegamento con altre politiche nazionali (par. 2). Si prendono quindi in esame le criticità e le potenzialità, anche per come sono emerse dalla prassi in fase di selezione ed elaborazione dei singoli puntuali progetti di rigenerazione dei borghi da finanziare (par. 3). In questo senso, due casi paradigmatici dei problemi sollevati dal Bando (rectius dalla linea A di finanziamento) riguardano le Regioni Piemonte e Valle d’Aosta e saranno esaminati con maggiore approfondimento (par. 4). Nelle conclusioni si cercherà di tirare le fila sul coinvolgimento di regioni ed enti locali, evidenziando le criticità maggiori sotto il profilo ordinamentale (par. 5).
2. PNRR e Bando Borghi
L’Investimento 2.1. denominato “Attrattività dei Borghi” si compone di due distinte linee d’intervento che – pur rispondendo ad obiettivi generali comuni, ovvero la rigenerazione del patrimonio culturale minore in chiave di rilancio dei territori e valorizzazione turistica – si differenziano significativamente per i soggetti coinvolti, i procedimenti di selezione dei progetti locali, la portata economica e la specifica articolazione dei rispettivi contenuti[6].
In primo luogo, v’è una “Linea A” di finanziamento, dedicata a “Progetti pilota per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei Borghi a rischio abbandono e abbandonati”, con una dotazione finanziaria complessiva di 420 milioni di euro. Nell’ambito di questa linea sono stati selezionati 21 progetti particolarmente significativi presentati dai Comuni (uno per Regione o Provincia autonoma), a ciascuno dei quali è stato attribuito l’importo di 20 milioni di euro. Pur nel quadro tracciato dagli indirizzi ministeriali[7], la selezione dei singoli progetti è stata affidata alle singole regioni e province autonome, chiamate a presentare al MiC entro il 15 marzo 2022 un progetto in fase avanzata di elaborazione (si richiedeva infatti uno studio di fattibilità che esplicitasse la realizzabilità e sostenibilità tecnico-urbanistica, economico-finanziaria e giuridico-amministrativa dell’iniziativa). Si è aperta quindi una «fase negoziale condotta da un Comitato tecnico, istituito dal MiC, alla quale partecipano, oltre al MiC, un rappresentante delle Regioni, un rappresentante dell’ANCI e un rappresentante delle Associazioni che fanno parte del “Comitato Nazionale dei Borghi”, tesa alla verifica della coerenza delle proposte progettuali con i processi e le tempistiche attuative previste dal PNRR nonché finalizzata a favorire la costruzione di eventuali accordi interistituzionali necessari per l’attuazione dell’iniziativa». Conclusa questa seconda fase, v’è l’ammissione definitiva a finanziamento con decreto ministeriale del MiC.
La “Linea B” risulta invece dedicata a “Progetti locali per la Rigenerazione Culturale e Sociale”[8]. Assistita da una dotazione finanziaria complessiva di 580 milioni di euro, questa parte dell’Investimento 2.1. risulta meno consistente sotto il profilo del finanziamento concesso al singolo progetto (l’importo massimo per il singolo borgo è di 1,65 milioni di euro, che può arrivare a 2,53 milioni di euro circa considerando i sostegni eventualmente concessi alle imprese che si insediano nel borgo selezionato, v. infra nel testo), ma appare distribuita in modo più capillare sul territorio, arrivando a interessare – nelle intenzioni del MiC – almeno 229 borghi storici.
Per questa seconda Linea di investimento, la gestione e la responsabilità dell’iter sono integralmente centralizzate in capo al Ministero. I 580 milioni di euro mobilitati si articolano rispettivamente in: a) 380 milioni di euro per i Progetti locali di rigenerazione culturale e sociale presentati dai comuni; e b) 200 milioni di euro in regime d’aiuto a imprese. La prima componente è stata attivata tramite avviso pubblico emanato dal MiC e rivolto ai Comuni, in forma singola o aggregata (fino a un massimo di 3 comuni), con popolazione residente complessiva fino a 5.000 abitanti; la seconda componente è stata invece attivata attraverso una procedura accentrata, sempre in capo al MiC, rivolta a favore delle micro, piccole e medie imprese, profit e non profit, localizzate o che intendevano insediarsi nei borghi selezionati per la prima componente.
Come già accennato, le due Linee di finanziamento sinteticamente descritte si inseriscono nella Missione 1 Componente 3 del PNRR, dedicata a Turismo e Cultura 4.0 e diretta a rilanciare i relativi settori economici, considerati di primissimo rilievo non solo per il loro peso sul PIL (circa 12% per il solo turismo[9]), ma anche per l’importanza nel delineare l’immagine del Paese all’estero. La filosofia di fondo che ispira le azioni è quella del superamento della concentrazione dei flussi turistici e degli investimenti nei cd. “grandi attrattori” (ossia le grandi città d’arte e le principali destinazioni marine e montane) per valorizzare invece i siti minori, in un’ottica che chiama espressamente in causa i dettami del turismo sostenibile alternativo[10].
Si tratta di direttrici certo non nuove per il settore, dal momento che si inseriscono coerentemente nel solco delle politiche culturali e turistiche promosse negli ultimi anni a livello nazionale; politiche che hanno visto il MiC assumere un ruolo centrale, in special modo durante la vigenza del precedente assetto ministeriale (come MiBACT), che aveva congiunti in un binomio organizzativo e funzionale, da un lato, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, e dall’altro, il turismo[11]. Pur essendo venuta meno l’unità delle funzioni in capo al medesimo dicastero a seguito della recentissima istituzione del Ministero del Turismo, nel Piano rimane l’ispirazione di fondo impressa dal MiBACT che interpreta le due materie come fortemente complementari[12].
Così il rilancio dei borghi prefigurato nel PNRR si può idealmente collegare con i precedenti interventi normativi per la valorizzazione dei centri storici minori (si v. in part. la legge 6 ottobre 2017, n. 158 – Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi Comuni)[13] e con le politiche promosse dal MiBACT, dal più generale e organico Piano Strategico di sviluppo del turismo (2017-2022)[14] per arrivare a iniziative puntuali, come il cd. Anno dei Borghi italiani (2017)[15]. L’Investimento si vorrebbe collocare pure nel più ampio contesto della Strategia Nazionale per le Aree interne (SNAI)[16], adottata nel quadro delle politiche di coesione, che fa proprio della valorizzazione del patrimonio culturale e dello sviluppo turistico uno dei fattori centrali per colmare i divari socio-economici dei territori marginali rispetto al resto del Paese.
3. Potenziale e criticità nel confronto con le realtà territoriali
Ad un primo livello d’analisi, va senz’altro riconosciuto come le considerevoli risorse mobilitate dalle due linee di finanziamento non solo segnino un cambio di passo rispetto alle precedenti politiche turistiche e culturali per le aree interne e i centri minori, ma pure – in un’ottica più ampia – consentano ai comuni selezionati di realizzare progetti assai più rilevanti di quanto non abbiano consentito finora le risorse, relativamente limitate, destinate a piccoli comuni e aree interne. Altro elemento apprezzabile pare debba rinvenirsi nel carattere innovativo e sperimentale che avrebbero dovuto assumere le iniziative della Linea A, qualificate non a caso come “Progetti Pilota” o “progetti di carattere esemplare”, quasi a voler sottolineare la necessità di realizzare esperienze non rinchiuse su se stesse ma destinate – laddove dimostratesi di successo – a essere replicate in altri centri minori in un’ottica di lungo periodo. E aspetti interessanti vanno anche riconosciuti nell’enfasi posta sulla necessità di una forte collaborazione pubblico-privato (con richiamo alla Convenzione di Faro[17]), nonché sulla promozione di percorsi partecipativi di progettazione degli interventi, nei quali può ritrovarsi l’eco del necessario coinvolgimento delle comunità locali imposto dai principi del turismo sostenibile[18].
Non sono mancate tuttavia le criticità.
In primo luogo, la forte caratterizzazione impressa dal Ministero, il quale ha evidentemente trasfuso nella redazione delle due linee di investimento la propria visione delle politiche culturali e turistiche, ha finito per penalizzare in una certa misura la dimensione della coesione territoriale, che pure tali investimenti miravano a promuovere. In particolare, la scelta di concentrare le risorse su singoli comuni – specie nella linea A e, in misura minore, nella linea B, che consente solo limitate aggregazioni di piccolissimi comuni – ha finito per mettere le amministrazioni comunali l’una contro l’altra nella corsa per aggiudicarsi i fondi, secondo una logica competitiva che mal si concilia con l’impostazione di fondo della Strategia Nazionale per le Aree Interne, la quale fa del superamento della frammentazione, del coordinamento e dell’unione tra più realtà territoriali un tratto caratterizzante. Proprio la scarsa attitudine delle due linee di finanziamento a valorizzare sistemi turistico-culturali intra-comunali è stata d’altra parte uno degli elementi più criticati dalle associazioni di categoria[19]; e non sono mancate iniziative congiunte di più comuni che – in polemica con la descritta strutturazione dei bandi – hanno chiesto il finanziamento per l’area sovracomunale di riferimento (v. ad es. i comuni dei Monti Dauni in Puglia o dell’Alta Val Chisone in Piemonte).
Un altro elemento che ha segnato negativamente entrambe le linee è rappresentato dalle tempistiche eccessivamente serrate, che hanno finito per compromettere gli elementi di maggior pregio del bando, ossia la promozione di forme di partenariato pubblico-privato e lo svolgimento di adeguati processi di partecipazione delle comunità di riferimento. Tanto la strutturazione di solide relazioni tra amministrazione e privati, quanto la progettazione degli interventi attraverso percorsi partecipativi richiedono infatti tempi medio-lunghi che, nel caso di specie, sono mancati del tutto: basti pensare che i bandi regionali per la selezione dei progetti a valere sulla linea A sono stati pubblicati per lo più a cavallo tra fine dicembre-inizio gennaio, con scadenze variabili tra fine gennaio e metà febbraio[20]. In questo breve lasso di tempo, i comuni non solo avrebbero dovuto strutturare il partenariato e avviare e portare a termine il percorso di partecipazione, ma pure finalizzare il tutto in uno studio di fattibilità (anche se va detto che alcune regioni hanno richiesto progetti in forma semplificata). È evidente che sono risultate avvantaggiate quelle amministrazioni che avevano già una progettualità avviata o rapporti con i potenziali partner privati; negli altri casi, pare difficile immaginare che in tempi così compressi – pur laddove un partenariato o una qualche partecipazione sia stata formalizzata – si sia potuto realizzare un vero ed effettivo coinvolgimento di imprese, associazioni e cittadini.
Non va sottovalutata peraltro la complessità che caratterizza la partecipazione ai bandi in esame che, unita ai tempi serrati e alla ridotta capacità amministrativa che affligge in special modo i comuni destinatari degli investimenti, ha messo fuori gioco moltissime amministrazioni. Si tratta di una complessità che è riconducibile non solo alla macchina amministrativa (comuni di poche decine o centinaia di abitanti sono chiamati a progettare interventi per milioni di euro), ma pure ad ostacoli giuridico-fattuali. Molti dei borghi semi-abbandonati per i quali sono pensati gli interventi della linea A presentano infatti una situazione giuridica del relativo patrimonio molto complessa e articolata, con un intreccio di beni pubblici, ecclesiastici e privati, talora gravati da usi civici, nonché immobili frammentati tra una pluralità di proprietari, spesso irreperibili. Intervenire per il recupero strutturale e la rigenerazione di tali conglomerati richiede soluzioni giuridiche innovative, con le quali spesso le piccole amministrazioni hanno scarsa familiarità, e procedimenti assai articolati. Le moltissime FAQ raccolte sul sito del MiC[21] e in vari forum delle associazioni di categoria stanno a testimoniare lo spaesamento dei Comuni impegnati con la progettazione, astretti tra i vincoli del PNRR (basti pensare alle molteplici regole che presiedono all’assunzione di personale[22]) e l’urgenza di elaborare soluzioni che coinvolgano con modalità pienamente legittime i privati interessati (sintomatico di questo problema è il rinvio operato dal Ministero nelle FAQ alla formula – nient’affatto diffusa – degli accordi di cooperazione speciale pubblico-privato). Secondo i più critici – come il Presidente dell’UNCEM, Marco Bussone[23] – le oggettive difficoltà hanno finito per consegnare molte amministrazioni nelle mani dei privati, dotati di disponibilità finanziarie immediate e maggiore capacità progettuale, relegando tuttavia il decisore pubblico in una posizione subalterna rispetto al pur fondamentale apporto del privato.
Se quelle finora illustrate sono criticità in qualche misura comuni ad entrambe le linee di finanziamento, alcuni specifici problemi sono riscontrabili con riguardo alla più ambita linea A.
In questo contesto è emersa una singolare contraddizione: da un lato, le Regioni – chiamate a selezionare i progetti da presentare al MiC – hanno lamentato un coinvolgimento soltanto formale nella definizione degli interventi; dall’altro lato, i Comuni hanno spesso denunciato un’eccessiva discrezionalità lasciata alle amministrazioni regionali nella scelta dei borghi.
Entrambe le critiche presentano aspetti di verità.
Le Linee di indirizzo ministeriali, che avrebbero dovuto individuare i caratteri distintivi dei “Borghi a rischio abbandono e abbandonati”, sono infatti a un tempo molto puntuali per quanto concerne i requisiti dei borghi e del tutto carenti per quanto attiene alle modalità di selezione dei potenziali candidati[24]. Dal primo punto di vista, vengono infatti dettati i criteri e i requisiti di “borgo storico”, identificando, in particolare, i dati strutturali (riconoscibilità storica della struttura insediativa), gli elementi dimensionali (numero di unità immobiliari residenziali di norma non superiore a 300), la dinamica insediativa (borgo a rischio abbandono o abbandonato), l’interesse ambientale (comune localizzato in area protetta), l’interesse paesaggistico (comune localizzato in area di valore paesaggistico) e l’interesse culturale (appartenenza a siti UNESCO, riconoscimenti di interesse internazionale e nazionali, appartenenza e reti e itinerari riconosciuti, ecc.). Dal secondo punto di vista, mancano indicazioni sulle procedure da seguire per la selezione e la presentazione del “Progetto Pilota”, fatta eccezione per la necessità che la proposta sia definita d’intesa tra Regione e Comune e sia avanzata previa delibera di Giunta.
Molte Regioni – anche per evitare accuse di favoritismi – si sono pertanto limitate a fungere da mero “passacarte” per il Ministero della Cultura, avviando delle vere e proprie competizioni tra Comuni in stretta aderenza ai criteri ministeriali[25]. Altre hanno invece fatto valere una scelta che – pur astrattamente coerente con le linee ministeriali – è apparsa del tutto discrezionale, prescindendo da procedure competitive informate a regole chiare e trasparenti. Nel primo caso, v’è da domandarsi quale sia il senso del coinvolgimento dell’ente regionale nella procedura, dal momento che la discrezionalità politica lasciata nell’individuazione del borgo è minima, ma massima la responsabilità politica della scelta, che ricade tutta sulla Regione. Nella seconda ipotesi, invece, non può non suscitare perplessità la scarsa trasparenza della decisione: senza un procedimento selettivo, la scelta che cada sull’uno o sull’altro dei vari comuni astrattamente eligibili risulta infatti arbitraria, specie per i concorrenti che vengono inspiegabilmente pretermessi. In questo senso pare emblematico il caso siciliano con la scelta del borgo “A Cunziria”, sito nel Comune di Vizzini (CT), operata senza indire alcuna selezione pubblica tramite manifestazione d’interesse[26]. Peraltro, è giusto il caso di evidenziare come l’estremo dettaglio nella definizione di criteri e requisiti non abbia neppure impedito alla Regione Friuli-Venezia Giulia – in apparente contraddizione con la ratio di fondo del finanziamento – di candidare il Borgo Castello di Gorizia (complesso sito in pieno centro cittadino) o alla Regione Liguria di proporre Borgo Castello di Andora (SV), certo non riconducibile alle aree interne; e un tentativo per molti versi analogo è stato fatto pure dalla Regione Piemonte con la Palazzina di caccia di Stupinigi (v. infra par. 4).
4. Casi paradigmatici, tra Piemonte e Valle d’Aosta
Le problematiche palesate dalla linea A del bando, che si sono passate rapidamente in rassegna, trovano in Piemonte e in Valle d’Aosta due casi paradigmatici.
Partiamo innanzitutto dalla cennata vicenda della Palazzina di Caccia di Stupinigi, residenza sabauda progettata dallo Juvarra e sito UNESCO, che sorge nell’omonima frazione del Comune di Nichelino (TO). Va innanzitutto evidenziato che il “borgo” di Stupinigi – inteso come comprensivo della residenza sabauda e del borgo circostante – risultava astrattamente coerente con i criteri indicati nelle Linee di indirizzo ministeriali, non solo per quanto attiene alla descrizione di borgo storico ivi tracciata, ma anche per quanto riguarda quelle caratteristiche ulteriori che avrebbero dovuto guidare la scelta regionale (ad es. Comune localizzato in area protetta, in un’area di elevato valore paesaggistico, in cui è presente un sito UNESCO o che ne è parte, oggetto di altri riconoscimenti di interesse nazionale o internazionale, ecc.). Peraltro, la regione aveva già attivato sul sito «ulteriori circuiti di acquisizione di risorse» (POR FESR 2014-2020, FSC 2014-2020), nonché interventi di progettazione nell’ambito della precedente programmazione delle risorse finanziarie (si v. D.G.R. 22 dicembre 2016, n. 13-4450 e D.G.R. 27 novembre 2020, n. 50-2397). La decisione della Giunta regionale di presentare Stupinigi per la linea A – formalizzata nel gennaio 2022[27] – si inseriva quindi nel quadro di una ben precisa e definita politica regionale e poteva apparire del tutto ragionevole in una prospettiva di ottimizzazione degli investimenti. Senonché, la scelta è apparsa sin da subito assai meno coerente con l’impostazione di fondo del Bando Borghi, teso – specie per quanto riguarda la linea A, come si è detto – a rilanciare i centri minori a rischio abbandono, secondo una logica che si richiamava anche alle politiche di coesione per le aree interne e marginali. È quindi montata la polemica tra i piccoli Comuni piemontesi, guidata da UNCEM, cui parrebbe essersi sommata – in via del tutto informale – una sostanziale bocciatura da parte del Comitato tecnico presso il MiC[28]. La Regione Piemonte è quindi corsa ai ripari e, ritirata la candidatura di Stupinigi, ha avviato una selezione pubblica mediante manifestazione d’interesse, sul modello di altre Regioni[29]. All’esito della selezione è risultato vincente il comune di Elva (CN), 87 abitanti, che programma – tra le altre cose – la nascita di un’appendice dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e di un Centro Studi di Alpicoltura in collaborazione con l’Università di Torino. Il progetto di recupero di Stupinigi invece, a seguito di un’interlocuzione tra Regione Piemonte e MiC, pare destinato a essere finanziato con altri fondi ministeriali.
Al di là della coda contenziosa che ha seguito la selezione di Elva (il Comune di Ostana, secondo classificato, ha infatti proposto infruttuosamente ricorso al TAR Piemonte[30]), la vicenda piemontese è emblematica per due ragioni: in primo luogo, mostra plasticamente le contraddizioni di un bando che concentra risorse considerevoli in un solo borgo e formula criteri evidentemente incentrati sulla rigenerazione del patrimonio culturale, ma al tempo stesso vorrebbe essere strumento di coesione per le aree interne, senza che tale aspetto sia sufficientemente valorizzato sul piano dei criteri di accesso al finanziamento. In secondo luogo, evidenzia quanto recessivo sia il ruolo della Regione e il peso che le direttrici delle politiche regionali giocano ai fini della selezione (ma su questo si ritornerà nelle conclusioni).
È giusto il caso di evidenziare incidentalmente – e pure questo profilo sarà ripreso nelle conclusioni – la singolare sovrapposizione lessicale che atti amministrativi e comunicazione della Regione Piemonte sembrano effettuare tra Progetti per la linea A e i cd. “Progetti bandiera” del PNRR, introdotti con l’art. 33, co. 3, lett. b) d.l. 6 novembre 2021, n. 152 (Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose). Si tratta di una confusione forse indotta dalla prossimità semantica con il concetto di “Progetto pilota”, che tuttavia non ha (quasi) nulla a che fare con i “progetti bandiera” di cui al d.l. n. 152/2021.
Venendo ora al caso valdostano, va innanzitutto ricordato che, in un primo momento, il progetto individuato dalla Regione sulla base di apposita selezione è risultato quello di Fontainemore con il borgo Boure de Gris. È tuttavia emerso, anche a seguito di accesso agli atti da parte dei controinteressati, che la sindaca e alcuni assessori del piccolo paese montano non si sarebbero astenuti dalla discussione e dalla successiva votazione sulla delibera consiliare propedeutica alla candidatura, nonostante il progetto presentato interessasse alcuni immobili (in parte) di loro proprietà. Preso atto delle «irregolarità amministrative», la Regione Valle d’Aosta ha quindi richiesto al MiC di poter sostituire il progetto già presentato e – ricevuto l’assenso ministeriale – ha annullato in autotutela la precedente delibera, indicando quale borgo prescelto il secondo classificato, il Comune di Arvier. Nel frattempo, il terzo classificato nella selezione valdostana, ossia il Comune di Bard, aveva a sua volta presentato ricorso al TAR, vedendo tuttavia rigettate le proprie doglianze. Nella delibera consiliare che avrebbe dovuto impegnare formalmente l’ente a prender parte alla linea A mancava infatti la «necessaria specificità non solo riguardo alla linea di azione ma anche riguardo ai contenuti della proposta», avendo la stessa delibera oggetto plurimo (diverse fonti di finanziamento) senza neppure puntuali riferimenti alla linea A interessata[31]. Il Comune di Bard non poteva dunque, in radice, accedere al finanziamento ambito, mancando una chiara volontà in tal senso da parte dello stesso: la presentazione dello studio di fattibilità che sosteneva la relativa candidatura doveva dunque ricondursi all’espressione della sola (e, a tali fini, insufficiente) volontà della sindaca.
Così sinteticamente riassunte, le vicende valdostane restituiscono con evidenza le difficoltà giuridico-amministrative con cui i piccoli Comuni coinvolti si sono scontrati: tra i primi tre progetti selezionati a livello regionale, ben due presentavano serie irregolarità, a riprova di come i tempi stretti, le molteplici fonti di finanziamento attivate (la partecipazione alla linea A non escludeva infatti l’accesso alla linea B) e la complessità dei patrimoni su cui erano chiamati ad intervenire abbiano messo a dura prova la capacità amministrativa degli enti locali.
5. Riflessioni conclusive
Alla luce delle problematiche evidenziate e dei casi descritti, si può ora tentare di sviluppare alcune riflessioni conclusive sul ruolo di Regioni ed enti locali nel cd. Bando Borghi.
In primo luogo, appare difficile comprendere il coinvolgimento delle Regioni nel percorso di selezione dei progetti per la linea A di finanziamento. Come si è visto, infatti, il margine di manovra concesso all’ente regionale nella definizione delle caratteristiche del borgo da presentare al MiC per il finanziamento era piuttosto esiguo, atteso che le Linee di indirizzo ministeriali elencavano puntualmente i criteri rilevanti, lasciando semmai ampia discrezionalità sulle forme della procedura selettiva. Ciò ha comportato un diffuso appiattimento delle scelte regionali sui criteri ministeriali, senza che vi fosse davvero la possibilità di valorizzare eventuali politiche regionali difformi rispetto all’impostazione di fondo data dal MiC (che pure richiedeva che i progetti fossero coerenti, oltre che con le Linee di indirizzo, con non meglio precisate «linee di sviluppo regionali»[32]). Quando le Regioni hanno comunque tentato di calare il progetto prescelto nel quadro di iniziative territoriali già avviate lo hanno fatto “forzando” in qualche misura le maglie del Bando: così è stato per il caso di Stupinigi (poi rientrato) e per quello di Gorizia (selezionata anche tenendo in considerazione «l’impegno assunto in vista dell’appuntamento internazionale del 2025, quando, congiuntamente con Nova Gorica, Gorizia sarà Capitale europea della Cultura»[33]).
Al di là dell’intenzioni ministeriali, l’impressione complessiva che si ricava dalla vicenda è che il coinvolgimento regionale sia stato essenzialmente formale, quasi una minima concessione alle autonomie in un quadro di sostanziale marginalizzazione delle stesse. Il ruolo delle Regioni prefigurato dal MiC è infatti quello del mero selezionatore dei potenziali candidati sulla base di criteri già compiutamente definiti dall’amministrazione centrale, secondo una logica lontanissima dal principio autonomistico sancito dall’art. 5 Cost. e assai più prossima a forme di decentramento autarchico (tanto più che la scelta operata dalla regione viene sottoposta a un controllo successivo di conformità da parte del MiC)[34].
Ciò non fa che confermare il ridotto coinvolgimento sostanziale delle Regioni nel PNRR, il cui apporto in fase di redazione del Piano e delle sue specifiche componenti è evidentemente mancato o è risultato ininfluente, traducendosi in politiche – come quella in esame – che tradiscono un’impostazione di chiara impronta ministeriale. Il rapporto “quasi diretto” instaurato tra Ministero e Comuni attuatori scavalcando le Regioni può essere inoltre letto come una presa d’atto della storica debolezza di queste ultime nei confronti degli enti locali, i quali sono peraltro tradizionalmente propensi a cercare nello Stato un alleato contro le ambizioni di “centralismo” regionale.
Ad ogni modo, di questa esclusione delle autonomie regionali nella definizione dei contenuti del PNRR ha preso consapevolezza anche il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri che – su pressione delle Regioni – ha promosso l’istituzione di un Nucleo per il coordinamento delle iniziative di ripresa e resilienza tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 33 d.l. n. 152 del 2021, conv. con mod. dalla l. n. 233 del 2021)[35]. Tale Nucleo – tra le altre cose[36] – è chiamato a sostenere le Regioni e le Province Autonome nell’elaborazione di un “Progetto bandiera” ciascuna, cioè di un’iniziativa che presenti particolare rilevanza strategica per i propri territori. Il progetto deve sì essere coerente con le linee di intervento previste dal PNRR, ma schiude al tempo stesso alle Regioni nuovi spazi di autonomia – che apparivano ormai compromessi – nell’ideazione e individuazione di una specifica iniziativa.
Sono infatti le Regioni a dover selezionare in via autonoma il progetto e presentarlo al Governo; sulla base di tale iniziativa si avvia dunque un confronto con le amministrazioni centrali interessate, le quali – senza entrare nel merito delle valutazioni regionali – dovrebbero impegnarsi a prestare una «collaborazione sistemica e istituzionale»[37] per una completa e tempestiva realizzazione degli interventi.
Questa sorta di “collaborazione rafforzata” è stata formalizzata con la sottoscrizione di un Protocollo di intesa tra il Ministero degli Affari Regionali e tutti i Ministeri titolari di Missioni del PNRR (22 aprile 2022)[38], il quale fungerà da base per la conclusione, in relazione agli specifici progetti, di ulteriori Protocolli trilaterali tra la singola regione, il Ministero interessato e il Ministero degli Affari Regionali. A questi protocolli su due livelli, si aggiungono inoltre due ulteriori Protocolli bilaterali conclusi dal Ministero degli Affari Regionali con il Ministero della Salute e il Ministero della Transizione Ecologica (MITE).
L’adesione ministeriale alle progettualità regionali non si limita tuttavia al solo piano dell’azione amministrativa, potendo implicare pure un aumento della dote finanziaria di tali progetti, la quale – oltre che dal PNRR – potrà derivare dal Piano Nazionale Complementare[39] e da ulteriori risorse individuate dal singolo Ministero nella propria disponibilità. In tal senso, va senz’altro segnalato come, nell’ambito delle risorse assegnate al MITE, lo specifico Protocollo bilaterale sottoscritto preveda che una quota di riserva di risorse finanziarie vada ripartita tra le Regioni che hanno proposto, quali Progetti bandiera, le cd. “Hydrogen Valleys”[40]. A ciò si aggiunga infine che, grazie all’art. 21 d.l. n. 36 del 2022, i fondi inutilizzati del PNRR potranno mutare destinazione e, restando all’interno della stessa missione, andare a rafforzare ulteriormente i “Progetti bandiera”.
È utile ribadire che questi ultimi non hanno però nulla a che fare con i “Progetti pilota” di cui alla linea A del Bando Borghi, anche se astrattamente una regione avrebbe ben potuto decidere di collocare il proprio “Progetto bandiera” nell’ambito della M1C3 Turismo e Cultura 4.0. Ciò tuttavia non è avvenuto, perché – a quanto è dato sapere[41] – la maggior parte delle Regioni ha preferito iniziative legate alla sanità, al digitale e all’idrogeno (ivi compresa la Regione Piemonte che pure aveva più volte parlato di “Progetti bandiera” con riferimento agli interventi del Bando Borghi, ma ha poi presentato un progetto incentrato sulla creazione di una Hydrogen Valley[42]).
Per quanto concerne invece il coinvolgimento degli enti locali nel Bando Borghi, a prima vista si potrebbe deporre per una centralità dei Comuni, chiamati a farsi protagonisti di interventi di rigenerazione del proprio patrimonio culturale. Anche in questo caso tuttavia, accanto a una sicura centralità delle amministrazioni comunali per quanto riguarda la fase di elaborazione dei singoli progetti e ovviamente quella di attuazione, risulta palese quanto il confronto con i Comuni svoltosi a monte della redazione del Bando sia stato insufficiente. Un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni comunali direttamente interessate avrebbe probabilmente consentito di prevenire e rimediare alle molte problematiche emerse solo in un secondo momento con la pubblicazione dei bandi. In particolare, si sarebbe potuta correggere l’impostazione eccessivamente competitiva impressa in special modo alla linea A, aprendo a progetti capaci di creare reti e coordinamenti tra più realtà comunali, in coerenza con l’approccio della SNAI[43]. La Strategia infatti – diversamente da quanto avvenuto per il Bando Borghi – non solo esigeva che ciascuna area-progetto selezionata elaborasse una strategia d’area che non fosse la mera sommatoria di progetti frammentati, ma guardava pure in via esclusiva alle associazioni di Comuni, i quali – per poter partecipare – erano chiamati ad elaborare forme di gestione associata di alcune funzioni e servizi in connessione alla realizzazione della strategia[44].
Se si fosse seguito un modello di questo tipo, unendo le forze tra piccoli Comuni si sarebbero peraltro potute meglio affrontare le complessità progettuali e amministrative, che non solo hanno rappresentato un notevole ostacolo alla partecipazione di tanti comuni, ma costituiscono attualmente la più seria ipoteca sulla piena e tempestiva realizzazione dei progetti vincitori.
Sembra dunque confermata la distanza ministeriale dai territori e una certa disattenzione per le gli enti territoriali, elementi che certo non possono giovare alla riuscita di progetti che – almeno nelle intenzioni dichiarate – avrebbero la finalità di rivitalizzare paesi e comunità in aree del nostro Paese fragili e da tempo in difficoltà.
- Ricercatore t.d. lett. a) presso l’Università degli Studi di Macerata. ↑
- B. Baldi, S. Profeti (2021), Le regioni italiane e il PNRR: la (vana) ricerca di canali d’accesso all’agenda, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Rivista quadrimestrale, n. 3, pp. 432-457; C. A. Barbieri, G. Boggero, S. Piperno (2021), Il Piemonte e il PNRR. Una nuova fase della programmazione regionale?, in questa Rivista, 8(2), pp. 1-7; C. Di Martino (2021), La semplificazione normativa nel PNRR: il coinvolgimento dei legislatori regionali tra «progetti bandiera» e «poteri sostitutivi», in Consulta online, n. 3, pp. 946-958; M. Trapani (2021), Il sistema delle conferenze e il regionalismo dimezzato: il difficile rapporto tra PNRR e Regioni alla luce delle recenti evoluzioni normative, in Rivista AIC, n. 4, pp. 179-193; sia consentito rinviare anche a G. Menegus (2022), The Italian regionalism in the context of the Italian National Recovery and Resilience Plan, in Gestión y Análisis de Políticas Públicas (GAPP) (in corso di pubblicazione). ↑
- Si v. i molti comunicati stampa polemici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome; in via del tutto esemplificativa, in part.: Recovery plan: coinvolgere Regioni nel Piano nazionale di recupero e resilienza (Pnrr), 14 settembre 2020, http://regionalistico/newsletter/n-3923/del-07-10-2020/recovery-plan-coinvolgere-regioni-nel-piano-nazionale-di-recupero-e-resilienza-pnrr-21740/; Recovery fund: impostazione centralistica, senza risposta ruolo Regioni, 12 gennaio 2021, http://www.regioni.it/newsletter/n-3979/del-12-01-2021/recovery-fund-impostazione-centralistica-senza-risposta-ruolo-regioni-22129/. ↑
- Cfr. B. Baldi, S. Profeti (2021) Le regioni italiane e il PNRR: la (vana) ricerca di canali d’accesso all’agenda, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Rivista quadrimestrale, n. 3, pp. 432-457. ↑
- Cfr. C. A. Barbieri, G. Boggero, S. Piperno (2021). Il Piemonte e il PNRR. Una nuova fase della programmazione regionale?, in questa Rivista, 8(2), pp. 1-7; sulla governance del PNRR sia consentito rinviare a G. Menegus (2021), La governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: la politica alla prova dell’attuazione, in Quaderni costituzionali, n. 4, pp. 945-948. ↑
- Si v. https://cultura.gov.it/borghi. ↑
- Cfr. Linee di indirizzo sulle modalità attuative dell’Intervento 2.1 “Attrattività dei borghi”, M1C3 Turismo e Cultura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; consultabili al seguente link: https://www.regione.abruzzo.it/system/files/turismo/pnrr/linee_di_indirizzo_investimento_2.1-attrattivita_borghi.pdf. ↑
- Si v. https://media.beniculturali.it/mibac/files/boards/388a5474724a15af0ace7a40ab3301de/SG/Avviso%20Borghi%20Linea%20B_201221_Completo-signed-signed.pdf. ↑
- Il dato è offerto dallo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (p. 89). ↑
- Si v. il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ove si sostiene che “A fronte del sovraffollamento che ha spesso caratterizzato le attrazioni turistiche nelle principali città d’arte, tanti piccoli centri storici italiani (“Borghi”) offrono enorme potenziale per un turismo sostenibile alternativo, grazie al patrimonio culturale, la storia, le arti e le tradizioni che li caratterizzano” (p. 112); e si discorre altresì, poco prima, di “bilanciare i flussi turistici in modo sostenibile”, menzionando il cd. “overtourism” (p. 109). ↑
- Sia consentito rinviare a G. Menegus (2020), La riorganizzazione dei ministeri nel decreto-legge n. 104/2019 (con particolare riferimento alle funzioni in materia di turismo), in Osservatorio costituzionale, n. 1, pp. 192-210. ↑
- Per questa visione cfr. L. Casini (2019), La riorganizzazione del Mibact: dal “lego” istituzionale alla manutenzione amministrativa, in Aedon, n. 3. ↑
- Cfr. A. Sau (2018), La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come strumento per il rilancio delle aree interen, in Federalismi.it, n. 3. ↑
- Consultabile al seguente link: https://www.ministeroturismo.gov.it/wp-content/uploads/2021/11/Piano-Strategico-del-Turismo-2017-2022.pdf. Si deve soprattutto al Piano l’enfasi posta sui principi trasversali della sostenibilità, innovazione e accessibilità/permeabilità fisica e culturale (p. 22) – che si ritrovano anche nel PNRR – e la valorizzazione dei borghi come «destinazioni emergenti», ossia destinazioni «con un alto potenziale ma ancora non riconosciute come “mete turistiche” [che] possono beneficiare di un’azione di migliore distribuzione dei flussi di visitatori, in connessione, quindi, con le destinazioni di maggior successo, contribuendo alla migliore soddisfazione degli ospiti attraverso l’allargamento dell’offerta e un’esperienza turistica più ampia e intensa» (p. 60). ↑
- Si v. Direttiva MiBACT, 2 dicembre 2016, n. 555, “2017 – Anno dei Borghi italiani”. Consultabile al seguente link: https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1484581096228_DIRETTIVA_2_DICEMBRE_2016_REP._555_REGISTRATO.pdf. Si segnala come la direttiva promuova una serie di iniziative rivolte ai “borghi”, considerando come tali quei comuni con un massimo di 5000 abitanti e un “prezioso patrimonio culturale”, secondo una classificazione mantenuta poi nella Linea B in esame. ↑
- Così le Linee di indirizzo cit., p.to 3.1., p. 3. ↑
- Su questi specifici profili, cfr. in part. V. Di Capua (2021), La Convenzione di Faro. Verso la valorizzazione del patrimonio culturale come bene comune, in Aedon, n. 3, con ampi riferimenti bibliografici. ↑
- Si v. ad es. la Carta per un turismo sostenibile, Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile Lanzarote, 27/28 aprile 1995, che in più punti mette in evidenza la necessità del coinvolgimento delle comunità locali e delle organizzazioni non governative: «3. Il turismo deve valutare i propri effetti sul patrimonio culturale e sugli elementi, le attività e le dinamiche tradizionali di ogni comunità locale. Il riconoscimento degli elementi e delle attività tradizionali di ogni comunità locale, il rispetto e il sostegno alla loro identità, cultura e ai loro interessi devono sempre avere un ruolo centrale nella formulazione delle strategie turistiche, particolarmente nei paesi in via di sviluppo. (…) 6. La protezione della qualità della destinazione turistica e la capacità di soddisfare i turisti devono essere determinate dalle comunità locali in consultazione con gli enti coinvolti e le parti interessate e dovrebbero rappresentare gli obiettivi prioritari nella formulazione delle strategie e dei progetti turistici. (…) 9. Governi e autorità dovranno promuovere azioni per integrare la pianificazione del turismo con le organizzazioni non governative che si occupano dell’ambiente e con le comunità locali per ottenere uno sviluppo sostenibile». ↑
- Si v. la Lettera aperta del Presidente dell’UNCEM, Marco Bussone, consultabile al seguente link: https://uncem.it/bando-borghi-del-pnrr-lettera-aperta-del-presidente-uncem/. ↑
- Alcuni esempi: la Regione Marche ha approvato lo schema di “Avviso di manifestazione di interesse” il 30 dicembre 2021 (D.G.R. 30 dicembre 2021, n. 1674) con scadenza per la presentazione della proposta corredata di studio di fattibilità entro il 10 febbraio 2022); la Regione Lazio ha invece prima stilato un elenco dei borghi storici (D.G.R. 21 dicembre 2021, n. 974) e poi aperto la presentazione delle idee progettuali (in forma più semplificata) entro il 17 gennaio 2022. La Regione Veneto ha invece avviato la procedura con la D.G.R. 15 dicembre 2021, n. 1803, prorogando poi il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse al 22 gennaio 2022. La Regione Puglia ha invece rivolto ai comuni astrattamente candidabili un invito a partecipare in forma semplificata con comunicazione del Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione Del Territorio – Sezione Tutela e Valorizzazione dei Patrimoni Culturali del 13 dicembre 2021 e termine ultimo per la candidatura al 30 dicembre 2021. La Regione Emilia-Romagna ha approvato la l’avviso di manifestazione di interesse il 10 gennaio 2022 (D.G.R. 10 gennaio 2022, n. 15), fissando la scadenza per la presentazione dei progetti al 31 gennaio 2022. ↑
- Si v. la documentazione consultabile al seguente link: https://cultura.gov.it/borghi. ↑
- Cfr. Circolare MEF – RGS, prot. 8432 del 18 gennaio 2022. ↑
- Cfr. E. Osser, Borghi? Togliamo dal vocabolario questa parola, in Il giornale dell’arte, 15 febbraio 2022, consultabile al seguente link: https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/borghi-togliamo-dal-vocabolario-questa-parola/138458.html. ↑
- Si v. ancora Linee di indirizzo sulle modalità attuative dell’Intervento 2.1 “Attrattività dei borghi”, M1C3 Turismo e Cultura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, consultabili al seguente link: https://www.regione.abruzzo.it/system/files/turismo/pnrr/linee_di_indirizzo_investimento_2.1-attrattivita_borghi.pdf. ↑
- Ciò è avvento, ad esempio, nei casi di Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte (almeno in un secondo momento), Valle d’Aosta, Lombardia, ecc.. ↑
- Si v. D.G.R. 20 gennaio 2022, n. 24. ↑
- Si v. D.G.R. 28 Gennaio 2022, n. 39-4597. ↑
- Si v. M. Cavallo, Il ministero verso la bocciatura di Stupinigi per il Pnrr?, in LaGuida.it (online), 12 febbraio 2022. ↑
- Si v. D.G.R. 15 febbraio 2022, n. 1-4647. ↑
- Cfr. TAR Piemonte, Sez. II, ord. 26 maggio 2022, n. 622. ↑
- Cfr. TAR Valle d’Aosta, sent. 10 maggio 2022, n. 28, in www.giustizia-amministrativa.it. ↑
- Così le Linee di indirizzo cit., p. 6. ↑
- Così l’Assessora alla Cultura della Regione Friuli-Venezia Giulia; v. il comunicato stampa al seguente link: https://www.regione.fvg.it/rafvg/comunicati/comunicato.act;jsessionid=87F5B39DD602966C7EFC64CC15103B91?dir=&nm=20220218125406002. ↑
- Questo non fa che confermare, in un’ottica più ampia, la natura prevalentemente amministrativa assunta da tempo dalle regioni; cfr. E. Catelani (2022), Profili costituzionali del PNRR, in associazioneitalianadeicostituzionalisti.it, disponibile al seguente link: https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/05-2022-profili-costituzionali-del-pnrr/profili-costituzionali-del-pnrr. ↑
- Il Nucleo è istituito presso il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri e sarà operativo per tutta la durata del Piano (fino al 31 dicembre 2026). ↑
- Il Nucleo è chiamato a: curare l’istruttoria dei tavoli tecnici settoriali con le Regioni, le province autonome e gli enti locali; fornire assistenza agli enti territoriali, con particolare riferimento ai piccoli Comuni, ai comuni insulari e delle zone montane anche in raccordo con le altre iniziative di supporto tecnico attivate; condividere con la PCM le informazioni raccolte e diffonde, anche via internet, informazioni sulle attività svolte nei tavoli di coordinamento e nelle attività di Assistenza. ↑
- Così il Protocollo di intesa sottoscritto il 20 aprile 2022; si v. nt. seguente. ↑
- Consultabile al seguente link: http://www.affariregionali.gov.it/media/508412/protocollo-intesa-generale-progetti-bandiera-20-aprile.pdf. ↑
- Cfr. d.l. 6 maggio 2021, n. 59, conv., con modificazioni, dalla l. 1 luglio 2021, n. 101 (Misure urgenti relative al Fondo complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza e altre misure urgenti per gli investimenti). ↑
- Trattasi di progetti incentrati sulla produzione di idrogeno in aree industriali dismesse, al fine di promuovere la produzione locale e l’uso di idrogeno nell’industria e nel trasporto locali. ↑
- Si v. https://www.osservatoriorecovery.it/con-i-progetti-bandiera-aumenta-il-protagonismo-regionale-nel-pnrr/. ↑
- Cfr. il comunicato stampa della Regione Piemonte, Parte il “progetto bandiera” sull’idrogeno, 18 maggio 2022, al seguente link: https://www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/parte-progetto-bandiera-sullidrogeno. ↑
- Sulla SNAI, si v. almeno S. Lucatelli, F. Tantillo (2020), La Strategia nazionale per le aree interne, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Roma 2020, p. 403 ss.; G.P. Boscariol (2017), La strategia per le aree interne quale strumento di sviluppo dei territori montani, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, n. 3, p. 675 ss.; E. Carloni (2020), Ripensare le istituzioni ai margini. I limiti della governance territoriale, tra specialità urbana e aree interne, in Le Istituzioni del federalismo, n. 2, p. 323 ss.. ↑
- Cfr. S. Lucatelli, F. Tantillo (2020), La Strategia nazionale per le aree interne, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia, cit., pp. 413-414. ↑