Quale differenziazione per la Regione Piemonte dopo la sentenza n. 192/2024?
Giovanni Boggero[1]
Con la sentenza n. 192/2024 la Corte costituzionale si è pronunciata sulla conformità a Costituzione della legge che reca disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata (legge n. 86/2024, cd. Calderoli). Se è vero che il disegno di differenziazione istituzionale che era astrattamente possibile ricavare dal testo in questione ne è uscito ridimensionato – l’art. 116.3 Cost. non può infatti considerarsi una “valvola di sfogo” in grado di mettere radicalmente in discussione le acquisizioni (anche giurisprudenziali) inerenti al Titolo V revisionato nel 2001 – è altrettanto vero che talune delle categorie, sulla base delle quali la legge di attuazione si fondava e rispetto alle quali alcune Regioni avevano presentato ricorso in via principale, restano inalterate.
Tra esse si ricordano: il potere del legislatore di disciplinare con legge-quadro quanto disposto all’art. 116.3 Cost., la natura derogatoria rispetto all’art. 117.2-3 Cost. della devoluzione di funzioni legislative, le procedure stabilite per il negoziato tra Stato e Regione, la clausola di salvaguardia per le iniziative già esercitate in data anteriore all’entrata in vigore della legge in questione (e a maggior ragione per tutte le iniziative successive), la distinzione tra materie LEP e no-LEP entro le quali può avvenire la differenziazione e così i relativi criteri di finanziamento, la scelta delle compartecipazioni al gettito di un tributo erariale quale fonte di finanziamento. A ciò si aggiunge che almeno due declaratorie di incostituzionalità pronunciate dalla Corte sono pienamente sintoniche rispetto alla logica regionalista sottesa al processo di differenziazione: la prima – che, in realtà, è un’interpretazione costituzionalmente conforme – perché conferma il potere (anche) dei Consigli regionali di esercitare l’iniziativa legislativa a valle dell’intesa; la seconda perché, nell’escludere “salvagenti” per le Regioni che si differenziano, riconosce a contrario il potere delle Regioni, che esercitano le nuove funzioni con maggiore efficienza, di trattenere le risorse eccedenti quelle loro inizialmente attribuite in base a costi e fabbisogni standard. Si tratta di dati piuttosto eloquenti (e non certo di maldestri tentativi di minimizzazione della portata della sentenza) che anche l’Ufficio centrale per il referendum presso la Suprema Corte di Cassazione ha dovuto considerare prima di adottare la propria ordinanza (n. 13/2024, Punto 9.4, pp. 32-33; ma vedasi poi Punto 10.6, pp. 39-40) sulla legittimità del referendum. Problema affatto diverso è se il medesimo referendum sia anche ammissibile, questione su cui si esprimerà – nuovamente – la Corte costituzionale entro il 20 gennaio e che involge, in ultima analisi, la natura costituzionalmente necessaria, in senso ampio, della legge in parola.
Senonché, nelle more del giudizio di ammissibilità e, poi, eventualmente, anche nelle more della celebrazione del referendum, si impongono una serie di questioni di natura prettamente politico-istituzionale, che riguardano da vicino anche la nostra Regione. Il Piemonte, insieme con Liguria, Lombardia e Veneto, ha esercitato l’iniziativa ex art. 2.1 della cd. legge Calderoli, per una nutrita serie di funzioni legislative e regolamentari in materie no-LEP, in questo modo replicando l’iniziativa adottata nel 2019 e, prima ancora, nel 2018 dalla precedente Giunta Chiamparino. Nonostante le forzate semplificazioni di sostenitori e detrattori del regionalismo differenziato, nessuna Regione ha davvero “chiesto tutte le materie” no-LEP, così, come del resto, anche in materie-LEP, al di là dei proclami sensazionalistici o delle critiche strumentali, nessuna Regione ha mai chiesto la devoluzione “in blocco” di un’intera materia. Piuttosto, delle circoscritte richieste formulate dal Piemonte in ordine alle funzioni afferenti a materie no-LEP (che sono solo in parte coincidenti a quelle formulate da Lombardia, Liguria e Veneto), occorre domandarsi – ed è bene che lo facciano anche i consiglieri regionali piemontesi investiti di poteri di indirizzo e controllo – se esse siano state accompagnate da accurata istruttoria e se soddisfino i criteri che la Corte ha giudicato derivino dalla ratio stessa dell’art. 116.3 Cost., ossia l’adeguatezza in termini di efficacia ed efficienza del livello territoriale prescelto (statale, regionale o, anche, comunale, provinciale, metropolitano ex art. 6.1 l. Calderoli), la garanzia dell’equità della loro distribuzione, la capacità di assicurare maggiore responsività da parte di chi esercita un mandato democratico a livello decentrato.
In questa sede, possiamo limitarci a offrire una prima disamina delle richieste in materia di “protezione civile” (competenza concorrente ai sensi dell’art. 117.3 Cost), stanti anche le dichiarazioni a mezzo stampa rese dalla Giunta regionale in proposito. Innanzitutto, una fra le funzioni è già stata preventivamente “scartata” dal Governo, che l’ha – correttamente – ricondotta alla materia ambiente, come tale materia-LEP; si tratta dell’alquanto generico “riconoscimento in capo alla Regione della competenza ad emanare norme volte ad attività di prevenzione e dissesto idrogeologico anche relativamente alla programmazione degli interventi di taglio ed asportazione della vegetazione e di gestione dei sedimenti degli alvei dei corsi d’acqua” e non merita quindi di essere qui commentata. Di contro, nella materia “protezione civile” propriamente detta, la Regione Piemonte ha richiesto la devoluzione della “competenza a disciplinare contenuti e condizioni per l’individuazione degli interventi edilizi minori e delle opere prive di “rilevanza” per la pubblica incolumità ai fini sismici, da ritenersi esentate da autorizzazione preventiva”, della “competenza a disciplinare il potere del Presidente della Giunta regionale (…) di emanare ordinanze di protezione civile in deroga alle disposizioni legislative nazionali vigenti” e, infine, “della competenza, in riferimento all’attività di volontariato, a disciplinare l’approvazione e la gestione regionale in relazione alla pianificazione dell’emergenza”. Sul punto, l’interlocuzione di questi mesi con il Governo è stata molto franca e autentica, il che evidenzia come l’argomento di alcuni detrattori del regionalismo differenziato per cui la consonanza politica di Giunta regionale e Governo avrebbe aperto a una devoluzione indiscriminata “provi troppo”. Anche l’asserito costituzionalismo politico, di cui sarebbe impregnata la legge Calderoli, esprime vincoli e condizioni, dopotutto.
Non a caso, in base alla documentazione in nostro possesso, alle richieste regionali hanno fatto riscontro puntuali osservazioni del Governo. In particolare, per quanto attiene alle ordinanze del Presidente della Regione e alla richiesta, fin troppo succintamente motivata, quantomeno in base alle tabelle messe a disposizione dalla Giunta, di poterle utilizzare per derogare a norme statali, il Governo ha espresso “parere favorevole, dal momento che la disposizione potrebbe valorizzare l’attività di intervento in caso di emergenze di rilievo regionale, di cui all’art. 7, c.1, lett. b), del d.lgs. n.1/2018, recante il Codice della Protezione Civile. In subordine, la legge dello Stato potrebbe definire dei limiti a tale esercizio, sia in termini di materie (o specifiche norme derogabili), sia in relazione alla durata temporale di tale facoltà, sia in relazione alla portata specifica del contenuto derogatorio consentito, anche al fine di evitare possibili interferenze con normative esistenti e regolanti l’operatività di strutture operative statuali a livello territoriale”. Per quanto riguarda gli interventi edilizi in zone sismiche, il Governo ha ritenuto la richiesta da approfondire, “in quanto la definizione di procedure semplificate rispetto agli interventi privi di rilevanza e di minore rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici, appare piuttosto superfluo, poiché le Regioni sono già dotate di margini di autonomia, nel rispetto della legislazione nazionale vigente. Inoltre, se da un lato non appare adeguatamente chiarito il contenuto della attribuzione richiesta nei diversi casi, con conseguente difficoltà di stabilire e valutare quale sia l’attribuzione di competenza effettivamente trasferita; dall’altro, nel caso in cui fosse riconosciuta l’attribuzione richiesta, in base agli elementi disponibili non si può escludere una disparità di trattamento di casi analoghi e compromettere la possibilità di coordinare e attuare misure di riduzione del rischio sismico che interessano l’intero territorio nazionale con risorse statali”. Il Governo ha, pertanto, invitato a chiarire “in quali termini l’autonomia regionale possa essere estesa in relazione alla materia specifica, al di là di quanto già oggi previsto”. Infine, in relazione alla pianificazione dell’attività di volontariato in emergenza, il Governo ha osservato che le funzioni richieste parrebbero già attualmente esercitabili dalle Regioni alla luce delle disposizioni contenute nel Codice della Protezione Civile e, in particolare, all’art. 11, c.1, lett. h), n) e p), e all’art. 8, co. 1, lett. f). Del pari, ha chiesto di “approfondire l’eventuale consolidamento dell’autonomia in materia di pianificazione dell’emergenza (o pianificazione di protezione civile) per il volontariato organizzato di protezione civile, relativamente alle organizzazioni iscritte nei rispettivi elenchi territoriali istituiti in attuazione di quanto previsto dall’art. 34, c.3, lett. a) del Codice della protezione civile” e ha invitato, infine, a chiarire “in quali termini l’autonomia regionale possa essere estesa in relazione alla materia specifica, al di là di quanto già oggi previsto”.
Che cosa si può ricavare, dunque, da questo breve inquadramento della fase preliminare delle trattative tra Giunta regionale e Governo relativamente alla materia “protezione civile”? 1) Che la Regione Piemonte ha esercitato l’iniziativa in maniera conforme allo spirito dell’art. 116.3 Cost., ossia ragionando per specifiche funzioni legislative e amministrative e non per materie; 2) Che il ragionamento per funzioni è stato condotto soltanto parzialmente nella prospettiva enucleata dalla Corte, dal momento che i contenuti delle attribuzioni richieste esigono ulteriori precisazioni idonee a chiarire la maggiore adeguatezza del livello territoriale individuato e le ricadute positive per i cittadini 3) Che la Regione spesso chiede (conferma di?) attribuzioni di cui già dispone; 4) Che il Governo, nell’esaminare le richieste delle Regioni, stava già svolgendo un lavoro ben più che di mera circostanza, nell’ottica costituzionalmente orientata poi esplicitata dalla Corte.
A questo punto, nella misura in cui la trattativa procederà – e il Ministro per gli affari regionali è stato piuttosto perentorio – dovrebbe essere interesse della maggioranza consiliare che ha avviato l’iniziativa dimostrare ai cittadini piemontesi che l’iter sta effettivamente proseguendo con tutti i crismi. L’autonomia differenziata va presa sul serio innanzitutto da parte di chi la rivendica.
- Ricercatore a t.d. lett. b) in Diritto costituzionale e pubblico presso l’Università degli Studi di Torino. ↑