Quale effettività per le funzioni del Garante del diritto alla salute dei cittadini?
Augusto Fierro[1]
Il disposto della legge Gelli in tema di Garante del diritto alla salute.
L’articolo 2 della Legge 24 del 2017 ha previsto che, nel contesto di un indirizzo di promozione delle attività finalizzate alla prevenzione ed alla gestione del rischio in sanità ed all’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative, le Regioni possano attribuire ai Difensori civici presso di esse costituiti [2] la funzione di Garante del diritto alla salute.
Un’opzione cui le Regioni sono state dunque facoltizzate e non obbligate, in ossequio all’inviolabilità della loro autonomia [3].
In detta cornice, il compito di stabilire l’articolazione dei poteri e delle facoltà del Difensore civico in veste di Garante del diritto alla salute ed anche la disciplina della struttura organizzativa e del supporto tecnico di cui l’Ufficio potrà godere per adempiere ai nuovi compiti è stato, doverosamente, affidato dal legislatore nazionale ai provvedimenti normativi che le Regioni riterranno di emanare.
In un tempestivo quanto approfondito commento alla nuova norma si è osservato come il carattere facoltizzante della disposizione comporti che i principi da essa enunciati non possano risultare vincolanti per l’esercizio della competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute, con ciò ponendosi il problema di quale sia la natura intrinseca delle espressioni contenute nell’articolo 2 della legge Gelli.[4] Ovvero, se esse intendano riferirsi ad un ambito di prestazioni amministrative da sussumere tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull’intero territorio nazionale o ad un generico rafforzamento della scelta di quelle Regioni che già avevano ritenuto di coinvolgere la Difesa civica nella tutela del diritto alla salute.
In ogni caso, osserva l’Autore citato, il contenuto dell’articolo 2 della legge Gelli può essere letto alla stregua di una “disposizione cedevole, derogabile o ‘adattabile’ da parte delle regioni, capace di aprire a soluzioni differenziate financo alternative al modello proposto dal legislatore statale” [5].
Nell’articolo 2 potrebbe però rintracciarsi anche un quid pluris, un suggerimento ai legislatori regionali, capace di individuare un possibile minimo comun denominatore della funzione di Garante della salute, ricavabile già dal titolo della norma (“Attribuzione della funzione di garante…e istituzione dei Centri regionali per la gestione del rischio”) che collochi l’attività degli Ombudsmen nel medesimo ambito di intervento dei centri di gestione del rischio, dunque in una dimensione di contrasto alle disfunzioni del sistema sanitario.
Il richiamo testuale alle disfunzioni del sistema della sanità, contenuto nel secondo comma, parrebbe essere riferito, infatti, ad anomalie, inefficienze e squilibri che abbiano un rilievo di carattere generale, mettendo così in secondo piano la tutela stragiudiziale del singolo utente che assumerebbe rilievo, nell’ottica della legge Gelli, soprattutto in quanto costituisca occasione, per il Garante della salute, di formulare un’azione di contrasto alla disfunzione, dopo averne individuate le cause.
Un’attività che si affiancherebbe non solo a quelle di prevenzione e gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie, ma anche e soprattutto a quelle finalizzate ad un utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative, affidato dall’articolo 1 della medesima legge a ciascuna struttura sanitaria.
Il che, pur non escludendo l’attivazione del Difensore civico a fronte del singolo diritto leso, disegnerebbe, quantomeno sul piano dei desiderata, un ruolo del Garante della salute maggiormente connotato da capacità ispettive e di indagine, attrezzato ad individuare i fattori causativi della lesione della posizione giuridica da cui scaturisce la doglianza del cittadino: in un’ottica di buon funzionamento di quel complesso di risorse umane, scientifiche e strutturali che compongono l’apparato pubblico destinato a realizzare concretamente la tutela della salute.
La formulazione contenuta nella legge Gelli parrebbe suggerire, dunque, un significativo cambio di passo con riguardo ai contenuti delle funzioni già precedentemente affidate agli Ombudsmen per quanto attiene alla tutela amministrativa del cittadino nel settore della sanità pubblica.
Molte delle leggi regionali che avevano istituito il Difensore civico, od anche le loro successive integrazioni, si erano infatti già preoccupate di includere tra i soggetti destinatari degli interventi della Difesa civica gli enti operanti nel settore sanitario[6].
È il caso della legge regionale della Campania 23/1978, che aveva introdotto il potere del Difensore civico di controllare il funzionamento delle Unità Sanitarie Locali, ed anche della Regione Lazio e della Regione Abruzzo, rispettivamente nel 1980 e nel 1985, e della Regione Piemonte che, con legge 47/1985 aveva stabilito la facoltà della Difesa civica di “intervenire anche per tutelare il cittadino nell’ottenere dagli organi amministrativi del Servizio sanitario e delle UUSSLL operanti nella Regione quanto gli spetta di diritto”, comunicando eventuali rilievi e conclusioni “all’Assessorato regionale alla Sanità, all’Assemblea ed al Comitato di gestione della competente USL”.
L’aspirazione comune, sottesa a queste previsioni, era quella di consolidare la tutela amministrativistica del cittadino affidata ai Difensori civici, estendendone esplicitamente la competenza anche alla protezione di diritti soggettivi od interessi legittimi nel settore della sanità pubblica.
Assente, però, in tali primigenie formulazioni ogni riferimento ad un’attività di contrasto alle disfunzioni del sistema della sanità pubblica, con la sola eccezione della legge della Liguria n. 17/1986 in cui già si indicava la possibilità di una più incisiva attività dell’Ombudsman che avrebbe potuto svolgere un’istruttoria informale avvalendosi dei propri funzionari e, in caso di necessità, di altri funzionari regionali, operanti nella materia sanitaria, all’uopo nominati dal relativo Assessore.
Anche i poteri di intervento nei confronti delle Amministrazioni interessate apparivano formulati con maggiore latitudine nella legge ligure, laddove si era previsto che il Difensore civico potesse chiedere al Comitato di gestione dell’USL di affrontare le irregolarità e le disfunzioni riscontrate, rimuovendo le cause che le avevano determinate, ed anche che, in ipotesi di inerzia dell’Amministrazione, potesse rivolgersi alla Giunta regionale per l’assunzione degli opportuni provvedimenti.
Di una certa qual incisività, sotto altro e diverso profilo, anche i poteri attribuiti alla Difesa civica dalla Regione Toscana che, nel contesto di un aggiornamento normativo dell’istituto (Legge 219/09), aveva stabilito, all’articolo 17, la competenza dell’Ufficio anche allorquando “il reclamo abbia ad oggetto ipotesi di responsabilità professionale degli operatori sanitari e l’utente non sia soddisfatto della risposta ricevuta dall’azienda”. Con una successiva Deliberazione di Giunta, la numero 1234/11, la Regione Toscana, nel disciplinare la procedura di gestione diretta del contenzioso da parte delle Aziende Sanitarie Locali, aveva affidato al Difensore civico anche il ruolo di facilitatore dell’accordo tra il cittadino ed l’ASL, in ipotesi di trattativa volta alla determinazione del quantum risarcitorio.
La funzione concretamente svolta dall’Ufficio del Difensore civico della Toscana viene così descritta da un autorevole funzionario di quell’Ufficio[7], sulla scorta dell’esperienza maturata: “L’attività consente da un lato di fornire in ogni caso agli utenti una indicazione pre-contenziosa, sull’effettiva fondatezza del loro sospetto di essere stati ‘curati male’, dall’altro, anche dove il riscontro è negativo, di potere accertare se, a prescindere dall’assenza di nesso di causalità tra comportamento posto in essere dai sanitari e presunto evento dannoso, vi siano comunque criticità sulle quali intervenire . . . il Difensore civico della Regione ha potuto avvalersi della consulenza medico legale delle strutture pubbliche (e delle strutture specialistiche di riferimento da questi interpellate) di aziende sanitarie ed ospedaliero universitarie (ovviamente diverse da quelle in questione), con collaborazioni i cui oneri economici sono posti a carico della Regione Toscana, interessata alla deflazione del contenzioso . . . L’Ufficio non si limita ad attivare la consulenza medico legale. La procedura prevede infatti che il Difensore civico acquisisca, oltre alla documentazione clinica relativa al caso, anche la versione dei fatti della struttura coinvolta, rendendo quindi possibile un contraddittorio . . . Con Delibera Giunta Regionale Toscana 1234/2011 si è previsto che . . . l’utente possa avvalersi del Difensore civico ‘per favorire l’accordo tra le parti . . . Anche la precedente legge 36/83 aveva previsto in capo agli utenti della sanità pubblica la facoltà di chiedere l’intervento del Difensore civico, previo interpello dell’USSL competente, ed il correlativo potere dell’Ombudsman di svolgere un’istruttoria nell’ipotesi in cui non fosse stata fornita adeguata giustificazione dall’organo di gestione oppure la violazione del diritto avesse carattere continuativo.”
Le differenze di maggior rilievo rintracciabili nelle diverse normative regionali che attribuivano alla Difesa civica competenze in materia di tutela del diritto alla salute prima della legge Gelli attengono, dunque, a due profili.
Il primo riguarda la latitudine della facoltà di intervento che, in alcune Regioni, si esauriva nella segnalazione degli episodi di cattiva amministrazione mentre, in altre, prevedeva anche la potestà di suggerire rimedi per superare le disfunzioni rilevate. Il secondo, introdotto prima in Liguria e poi in Toscana, assegna molto opportunamente ai rispettivi Ombudsmen la facoltà di ricorrere ad esperti dotati di specifiche risorse tecnico- scientifiche nelle materie attinenti le questioni sanitarie.
Funzioni e poteri dei Difensori civici regionali.
Per comprendere quale sia stato il tasso di effettività degli interventi dei Difensori civici nei confronti delle Amministrazioni sanitarie e se esso possa essere accresciuto in occasione dell’attribuzione della funzione di Garante della salute, occorre a questo punto brevemente indagare su quali siano state, più in generale, le caratteristiche della interlocuzione dei nostri Ombudsmen regionali nei confronti delle pubbliche Amministrazioni di riferimento.
Segnalando, anzitutto, che la mancata individuazione di una disciplina incardinata sul modello di un Difensore civico nazionale, come invece si è fatto per altre figure di garanzia, certamente non ha giovato ad un migliore inquadramento dell’istituto che, nel nostro Paese, manifesta insuperate incertezze di configurazione sistemica.
Incertezze conseguenti, in primo luogo, alla non sempre agevole convivenza, in capo all’Ombudsman, della funzione di tutela delle posizioni individuali dei cittadini e di quella di garanzia del buon andamento dell’attività pubblica che, nonostante autorevole opinione contraria[8], non sempre trovano adeguata sintesi nel principio della tutela riflessa.
Se, infatti, non vi è dubbio che “un generale miglioramento del funzionamento dell’Amministrazione si riflette inevitabilmente sulle posizioni dei singoli” non è altrettanto automatico ritenere che la tutela dell’interesse del singolo possa realizzare a sua volta un valido strumento per innescare un controllo di carattere generale: l’interesse di cui sia portatore il singolo cittadino ben può, infatti, rivestire connotazioni, pur lecite, ma di carattere esclusivamente egoistico e, per questa ragione, confliggere con interessi della collettività.
Va inoltre rammentato come le leggi istitutive dei Difensori civici regionali, entrate in vigore a partire dai primi anni ‘70, avessero disegnato un’architettura dell’istituto che, nella buona sostanza, ne limitava, già ab origine, l’incisività dell’azione[9].
Agli Ombudsmen regionali veniva infatti attribuita la facoltà di accedere, a tutela di un singolo cittadino o di propria iniziativa, ai documenti dell’Amministrazione regionale coinvolta nel caso, convocandone, ove necessario, funzionari e dirigenti, con potestà di segnalare, al termine dell’istruttoria, le anomalie riscontrate e di suggerire rimedi: esercitando, dunque, un’attività di moral suasion volta a stimolare la revoca in autotutela di atti eventualmente valutati come illegittimi.
I poteri del Difensore civico erano dunque confinati nello stretto recinto dell’impulso, della sollecitazione, della vigilanza ed al suo intervento era sottratta qualsivoglia potestà di annullamento, modificazione o revoca di atti amministrativi, od anche sanzionatoria.
Per questa ragione, essi sono stati valutati, in una pungente riflessione, come sostanzialmente irrilevanti ed espressivi di una “funzione decorativa, in gran parte inutile per il cittadino”[10], anche a causa delle caratteristiche storico-culturali della nostra pubblica Amministrazione.
Si è osservato, infatti, a proposito delle caratteristiche dell’attività di persuasione tipica della Difesa civica che, mentre in ordinamenti e contesti giuridico-sociali diversi dal nostro, come quello nord-europeo, una semplice sollecitazione scritta da parte di un organo dell’Amministrazione ad altri organi della stessa mette in moto meccanismi di riparazione e di autotutela, da noi le amministrazioni si attivano solo in vista della camera di consiglio o quando sono obbligate da un’ordinanza o da una sentenza del giudice amministrativo[11].
Una opinione ben diversa[12], radicata nella concreta esperienza di un Ufficio di Difesa civica regionale, quello dell’Emilia Romagna, tradizionalmente autorevole nell’interlocuzione con le pubbliche Amministrazioni, si fonda sulla constatazione dell’utilità dell’ausilio offerto ad esse dalla Difesa civica affinché esse si sentano confortate in un’ottica virtuosa e di miglioramento delle prestazioni da erogare ai cittadini.
Né va trascurata la circostanza che alle funzioni di impulso e sollecitazione se ne sono nel tempo giustapposte altre, introdotte da norme di rilievo nazionale: si tratta della previsione di una tutela giustiziale in materia di accesso documentale (articolo 25 legge 241/90) e della facoltà di nomina di un commissario ad acta in ipotesi di inerzia delle Amministrazioni locali nell’assunzione di provvedimenti obbligatori per legge (articolo 136 TUEL) che hanno affidato agli Ombudsmen regionali poteri più significativi.
Tuttavia, mentre la prima funzione rappresenta indiscutibilmente il punto di forza del controllo di legalità esercitato dai Difensori civici, ed è stata da poco confermata anche in materia di accesso civico (Dlgs 33/2013 e smi), la seconda è stata messa in crisi da tre decisioni della Corte Costituzionale[13] che, anche se non riferite direttamente al potere di nomina di un commissario ad acta disciplinato dall’articolo 136 TUEL, hanno escluso che ai Difensori civici regionali possano essere affidate funzioni sostitutive “non essendo essi organi di governo ma esclusivamente organi titolari di funzioni di controllo della regolarità amministrativa e di tutela della legalità”.
Conclusivamente: quella del Difensore civico è ancor oggi una figura irrisolta, connotata da una complessiva difficoltà nel radicarsi efficacemente nel nostro Ordinamento, come testimoniato dall’insuccesso delle proposte finalizzate ad inserirla in Costituzione o a disciplinarne unitariamente l’attività sull’intero territorio nazionale.
Il tema della efficacia persuasiva dell’intervento del Difensore civico appare, però, intimamente collegato a quello della capacità di farsi promotore di temi di interesse generale, in particolare in favore di chi non ha voce o subisce lesioni nella sfera dei propri diritti fondamentali e, in questo contesto, occorrerebbe riflettere particolarmente in ordine alle modalità della sua interlocuzione con gli Organi di indirizzo politico.
Solo la certezza di un ascolto effettivo da parte di questi ultimi dei rilievi, delle raccomandazioni, dei suggerimenti e delle proposte formulate dagli Ombudsmen, potrebbe infatti garantire efficacia alla loro iniziativa. Il che stimola ad interrogarsi sulle possibili modalità di un potenziale contraddittorio tra pubblici Amministratori e Difensore civico, ad esempio prevedendo un obbligo di motivazione in ipotesi di reiezione dei moniti da costui formulati.
Sulla scorta di questa premessa ben si comprende la ragione per cui la declinazione della funzione di Garante della salute possa costituire un vero e proprio banco di prova per la tenuta istituzionale della Difesa civica che rischia, in ipotesi di insuccesso, di essere relegata al ruolo di “autorità-manifesto”, parafulmine delle manchevolezze altrui, con ciò rispondendo ad un fenomeno caratteristico della nostra epoca in cui le difficoltà di intervento della politica sono spesso il frutto di un fenomeno di sovraccarico delle domande sociali[14].
Le leggi regionali successive alla legge Gelli: l’articolo 153 della legge regionale del Piemonte 19 /2018.
Venendo ora alle Regioni che hanno già legiferato in applicazione della L. 24/17, si segnala che la Regione Campania ha affidato all’Ufficio del Difensore civico la funzione di Garante della salute, prevedendo che esso, “verificata la fondatezza delle segnalazioni pervenutegli, possa invitare il rappresentante legale dell’amministrazione interessata a provvedere tempestivamente”, utilizzando i medesimi poteri attribuiti dalla legge istitutiva della Difesa civica. Nell’esercizio della sua funzione il Garante della salute presso la Regione Campania “può compiere visite ispettive in prima persona o, in alternativa, avvalendosi della collaborazione della struttura amministrativa regionale competente in materia di servizio ispettivo sanitario e socio sanitario regionale” [15]. Inoltre, la l.r. 16/2018 ha disposto che il Difensore civico, in occasione della relazione annuale, presenti ”il rendiconto del lavoro svolto quale garante per il diritto alla salute, nella quale segnala all’Assemblea legislativa anche eventuali provvedimenti organizzativi e normativi ritenuti necessari”[16].
Di analogo tenore il disposto dell’articolo 37 della legge della Regione Liguria numero 29 del 2018 secondo cui l’attività del Garante della salute è finalizzata per un verso a favorire l’accesso alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e, per altro verso, a sollecitare l’efficacia nell’erogazione dei servizi: procedendo “quale Garante del diritto alla salute ad accertamenti nel caso in cui vengano segnalate gravi disfunzioni o carenze”[17].
Peraltro, anche la Regione Lombardia con la legge 37 del 2017, nell’esplicitare il conferimento al proprio Difensore civico della funzione di Garante del diritto alla salute, gli aveva attribuito una facoltà di intervento “per assicurare l’accesso alle prestazioni e l’efficacia nell’erogazione dei servizi”[18].
Può dirsi, conclusivamente, che le leggi regionali fino ad oggi approvate, attributive della funzione di Garante della salute ai Difensori civici, si caratterizzino per una medesima latitudine nell’attribuzione di compiti di sorveglianza e controllo su efficacia ed efficienza dei servizi sanitari regionali, pur distinguendosi tra loro rispetto al conferimento di poteri di accertamento e di visita nei luoghi di cura, ovvero alla facoltà di avvalersi di esperti in materia sanitaria.
Venendo ora alle scelte operate dal Consiglio regionale del Piemonte, occorre doverosamente premettere che, quanto meno a partire dal 25 giugno 2013 quando fu approvata la D.G.R. 14-5999 (“Interventi per la revisione dei percorsi di presa in carico della persona non autosufficiente”), l’Ufficio ha sempre esercitato un’attenta attività di verifica del buon andamento dell’Amministrazione sanitaria della Regione in quanto destinatario di svariate segnalazioni aventi ad oggetto la discrasia tra le fonti normative di carattere regolamentare, da un lato, e le previsioni della legge nazionale in materia di continuità assistenziale a favore dei malati cronici, dall’altro.
Attuando, in tal modo, un sindacato di controllo sulle limitazioni operate dall’Amministrazione piemontese della sanità, in relazione a prestazioni contemplate nei Livelli Essenziali di Assistenza, ai danni di una percentuale non irrilevante di cittadini nei cui confronti si era illegittimamente compresso il godimento del diritto costituzionale alla salute[19].
A seguito dell’approvazione della legge Gelli, nel contesto di una più complessiva proposta di aggiornamento della legge regionale 9.12.1981, n. 50, si è, per questa ragione, suggerito di prevedere una facoltà di intervento da parte della Difesa civica anche nelle ipotesi in cui un atto o un provvedimento dell’Amministrazione “neghi o limiti la fruibilità di prestazioni di assistenza sanitaria o socio-sanitaria”.
Una indicazione, quest’ultima, scaturita proprio dall’esperienza dell’Ufficio che ha consentito di mettere in evidenza, in più occasioni, il mancato rispetto dei principi affermati dalla Corte costituzionale in materia di diritto alla salute[20].
Dall’esperienza acquisita sul campo è conseguita anche una più compiuta e dettagliata individuazione dell’attività di contrasto alle disfunzioni del sistema sanitario che si è declinata affidando al Garante della salute il compito di “verificare che venga soddisfatto dall’amministrazione l’interesse alla qualità, all’efficienza e al buon funzionamento dei servizi prestati dal sistema sanitario regionale”.[21]
In data 17.12.2018 il Consiglio regionale del Piemonte, nel contesto della “Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale” ha dunque attribuito al Difensore civico la funzione di Garante del diritto alla salute affidandogli, oltre ai compiti di controllo sulla effettiva fruibilità delle prestazioni della sanità pubblica, anche una potestà di verifica sull’appropriatezza clinica, economica ed organizzativa delle stesse.
Per rendere effettiva questa previsione occorre però che si realizzino modalità di interlocuzione tali da rendere efficace la moral suasion del Difensore civico.
Il che richiede il verificarsi di almeno due condizioni.
La prima che l’Ufficio di Difesa civica possa disporre anche del supporto tecnico-scientifico di qualificati esperti della materia sanitaria.
La seconda che venga previsto un obbligo di ascolto da parte degli Organi che esercitano funzioni di indirizzo politico, cui eventualmente far seguire, in ipotesi di mancato accoglimento dei suggerimenti del Difensore civico, la necessità di una puntuale motivazione.
Quanto all’esigenza di supporto tecnico-scientifico, essa appare soddisfatta dalla formulazione contenuta nelle leggi regionali della Campania e della Toscana[22] che hanno entrambe attribuito al Difensore civico la facoltà di avvalersi della consulenza tecnica di medici, funzionari ed operatori sanitari dipendenti, vuoi della Amministrazione sanitaria regionale, vuoi delle Aziende sanitarie locali.
Al riguardo, nella proposta di legge n. 281 del 16.11.2017[23], relativa alla riforma complessiva dell’Ufficio del Difensore civico del Piemonte, era stato previsto che ”in materia sanitaria e socio-sanitaria il Difensore civico può avvalersi della collaborazione tecnico-professionale di operatori sanitari di propria scelta dipendenti da aziende sanitarie o da Amministrazioni regionali. Tali soggetti hanno l’obbligo di collaborare con il Difensore civico a sua semplice richiesta, impegnandosi al segreto delle questioni trattate e al rispetto delle regole deontologiche dell’Ufficio del Difensore civico”.
Purtroppo tale disposizione non è stata mantenuta nel provvedimento istitutivo del Garante del diritto alla salute.
Parimenti, non è più presente nel testo licenziato quella relativa ad una più intensa ed approfondita interlocuzione tra l’Ombusdman e i soggetti che esercitano funzioni di indirizzo politico.
Vero è che la maggior parte delle leggi regionali[24] prevede la necessità di tale confronto solo in occasione della presentazione della Relazione annuale del Difensore civico ai rispettivi Consigli regionali, ma proprio da tale limitazione parrebbe discendere un vulnus al compiuto dispiegarsi dell’attività di moral suasion tipica della Difesa civica che necessita, come prius logico, la previsione di acconce modalità di interlocuzione.
Anche su questo tema appariva più soddisfacente la disposizione contenuta nella proposta di legge n. 281 del 16.11.2017, secondo cui: “In ogni momento, in casi di particolare rilevanza, il Difensore civico può inviare al Presidente del Consiglio regionale ed al Presidente della Giunta Regionale una Relazione suppletiva avente riguardo a questioni specifiche rilevate nell’ambito dell’attività dell’Ufficio. Il Presidente del Consiglio regionale può deliberare che le questioni riferite nella Relazione suppletiva vengano esposte dal Difensore civico in seduta consiliare.
Il Difensore civico ha diritto di essere ascoltato dalle Commissioni consiliari competenti al fine di riferire su aspetti generali della propria attività che investano la loro competenza.
Il Difensore civico può chiedere altresì di essere ascoltato dalla Giunta regionale con riferimento ad argomenti riguardanti le finalità istituzionali dell’ufficio, precisando nella richiesta quale sia l’oggetto della questione su cui intende relazionare. Sulla richiesta delibera il Presidente della Giunta. Se la richiesta viene accolta il Difensore civico viene convocato in una seduta della Giunta per relazionare”.
La nuova funzione di vigilanza sulle condotte lesive della dignità dei pazienti.
Il Congresso dei poteri regionali e locali d’Europa ci ricorda[25] come tra i compiti della Difesa civica, oltre al sollecitare l’attuazione dei principi di buona amministrazione, vi sia quello di contribuire a rafforzare il sistema di tutela dei diritti dell’uomo, intervenendo in favore delle categorie più deboli e delle fasce di popolazione più fragili.
Una funzione questa che ha trovato attuazione nell’impegno degli Uffici di non pochi Difensori civici regionali, tra cui ci si permette di segnalare quello del Piemonte i cui interventi in favore delle persone meno tutelate hanno occupato uno spazio assai rilevante nell’ambito dell’attività complessivamente svolta[26].
E’ in questo contesto che vanno collocati i lavori del convegno intitolato La dignità negata. La sottaciuta vicenda della contenzione degli anziani non autosufficienti, organizzato dall’Ufficio del Difensore civico congiuntamente al Consiglio regionale del Piemonte, che si è svolto il 28 settembre 2017 con finalità di denuncia e di contrasto nei confronti di un fenomeno fortemente lesivo della integrità psico-fisica degli anziani ricoverati nelle residenze socio-sanitarie.
Proprio in consonanza con le riflessioni e gli approfondimenti elaborati nell’ambito di quell’iniziativa si è articolata, infatti, la proposta di affidare all’Ufficio del Difensore civico compiti ispettivi volti a consentire un controllo sul tema del rispetto della dignità della persona nei luoghi di cura: suggerimento poi fatto proprio dal Consiglio regionale in occasione dell’approvazione dell’articolo 154 della legge 19/2018[27].
Cosa deve intendersi per rispetto della dignità nei luoghi di cura e come potrà declinarsi nel concreto l’impegno ispettivo della Difesa civica?
La risposta al secondo interrogativo andrà rintracciata nella concretezza dello svolgimento della nuova funzione, mentre quanto al primo pare utile osservare preliminarmente che, se da un punto di vista più generale non è agevole offrire una definizione condivisa del concetto di dignità[28], è proprio con riferimento al tema del rispetto dell’integrità della persona che può apparire meno complessa l’integrazione di quel principio nel contesto giuridico.
Se infatti è difficile collocare la dignità nel novero dei diritti soggettivi assoluti, direttamente azionabili, più pratico appare “riferirsi ad essa come principio piuttosto che come diritto”. In tal modoil concetto di dignità può fungere da “cerniera”, raccordando il contenuto ideale e universalistico della tradizione morale con le forme del diritto.
L’affermazione della dignità di ciascun individuo svolge, peraltro, un ruolo centrale nel discorso giuridico di molti ordinamenti, in primis nella Costituzione tedesca del 1949 il cui articolo1 si intitola proprio “Protezione della dignità umana”, a testimonianza della volontà di riscatto manifestata dalla Carta fondamentale della Nazione che aveva sferrato, proprio ai danni della dignità umana, uno degli attacchi più gravi di tutta la storia.
L’articolo 1 stabilisce che la dignità dell’uomo è intangibile e che è dovere di ogni potere rispettarla e proteggerla: una scelta, quella dell’utilizzo del termine intangibilità, che sembra aver riguardo, anzitutto, a quel tratto immanente della dignità che si radica nel corpo di ciascun essere umano[29].
La formulazione adottata dalla Costituzione tedesca attribuisce inoltre, a tutti i diritti umani, un rapporto di consequenzialità rispetto alla dignità, “nella misura in cui il fondamento dei diritti riposa sulla irripetibilità di ogni soggettività umana”[30].
Nella nostra Costituzione il richiamo alla dignità è operato, a sua volta, in relazione ed in collegamento alla rilevanza che nell’ordinamento assume la persona, tanto che il richiamo alla pari dignità sociale contenuto nell’articolo 3, “estende la sua influenza assiologica e il suo indirizzo finalistico anche ad altre disposizioni costituzionali . . . la dignità conduce all’autodeterminazione, al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale”[31].
La formulazione costituzionale che con maggiore efficacia esprime la stretta relazione esistente tra li concetto di dignità ed il principio del rispetto della persona è contenuta nell’ articolo 32 e si riferisce ai trattamenti sanitari obbligatori, per i quali in nessun caso si potranno violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. “Con ciò introducendo un contro-limite assoluto che interdice al potere sovrano di incidere sulla matrice funzionale della persona, ovvero sulla sua identità, che richiede rispetto essendo costitutiva delle pratiche della vita sociale”[32].
In piena sintonia con il rilievo che la nostra Carta fondamentale attribuisce al concetto di dignità della persona, in occasione e nell’ambito delle cure, si collocano le previsioni della legge 219/17 intervenute a disciplinare il consenso informato, disegnando un nuovo modello della relazione tra sanitari e pazienti.
L’articolo 1 della legge, nel dettagliare puntualmente ruolo e funzione del consenso informato, ha sancito l’abbandono culturale di ogni residua concezione paternalistica della scienza medica, secondo cui la pratica sanitaria non necessiterebbe di per sé di un tale consenso perché la competenza medica basterebbe a stabilire “il da farsi” prescindendo da ogni decisione del paziente il cui “bene oggettivo” sopravanzerebbe qualsiasi altra considerazione.
Nella riflessione di un autorevole studioso di bioetica[33] il tema viene efficacemente declinato nella quotidianità degli interventi di cura e messo a confronto con la loro complessità.
Ci avverte avvedutamente l’Autore citato che è proprio la dignità dei soggetti più vulnerabili quella che maggiormente occorre proteggere e che, a questo scopo, occorre muovere il ragionamento da un esame dei malintesi e dei tabù culturali dei soggetti protagonisti del ruolo di cura che possono costituire la scaturigine di lesioni della dignità delle persone ricoverate.
Ecco dunque l’elenco degli errori che più frequentemente si pongono in rapporto causale con lesioni alla dignità dei pazienti: “Considerare le azioni di cura come un dovere che non lascia margini di scelta orientati alla proporzionalità degli interventi e alla volontà del paziente. Identificare e sovrapporre corpo, vita e persona; biologia e biografia.
Ritenere la vita (come interpretata al punto precedente) qualcosa di sacro (di una sacralità non ben definita) o di indisponibile (secondo le categorie di una visione morale o giuridica).
Pensare che vi siano dei “valori non negoziabili” ovvero che valgano più di altri o che addirittura possano oscurare quelli “degli altri”.
L’ostinazione irragionevole che induce ad utilizzare tutto ciò che si ha a disposizione semplicemente in forza del fatto di esserne dotati indipendentemente dal ruolo benefico per la vita complessiva del paziente.
Il trabocchetto dello stato di necessità che viene adottato per decidere escludendo quanto precedentemente deciso ma, soprattutto, il soggetto legittimato alla decisione.
Pensarsi come “salvatori”: iI linguaggio comune, soprattutto tra i medici, sovente confonde salute con salvezza operando in questo modo una tremenda confusione tra piani diversi: quello della medicina e quello della fede religiosa.
Infine il “ma come? Si è sempre fatto così!”. L’indisponibilità a considerare mutamenti di paradigma etico e giuridico indotti dalla necessità di riconfigurare la relazione fra mezzi e fini alla luce del potenziamento dei primi e del pluralismo dei secondi. Lavorare utilizzando questi paradigmi impedisce di curare eticamente: elaborare cioè progetti di vita buona (degna) per e con i pazienti che si sono affidati alle nostre cure”.
La tipizzazione delle più frequenti e diffuse condotte paternalistiche degli operatori sanitari consente all’Autore citato di rovesciarne il senso e, dunque, di suggerire “un’immagine del paziente inteso quale soggetto morale che, nel suo semplice essere persona bisognosa di cure e delle conseguenti decisioni, non perde mai la sua dignità, la sua integrità, la sua autodeterminazione”[34].
Una considerazione, quella proposta da Camillo Barbisan, che aggredisce alle fondamenta il paradigma paternalistico, così certificando anche l’inaccettabilità etica delle gravissime lesioni alla dignità delle persone conseguenti all’utilizzo della contenzione meccanica nei luoghi di cura.
Quella del legare le persone è una pratica ancor oggi diffusa in psichiatria, “nel pressoché assoluto silenzio della politica, delle comunità professionali e dell’intero corpo sociale, nonostante l’alternativa tracciata dalla legge del 1978, le importanti esperienze dei ventuno SPDC no restraint in Italia e le sempre più diffuse sperimentazioni di metodi di presa in carico e cura non coercitivi”[35].
Essa trova purtroppo ospitalità culturale e consolidate abitudini di utilizzo anche in altri luoghi di cura, in primis nelle residenze destinate alle persone anziane non autosufficienti in cui l’utilizzo di pratiche continuative di immobilizzazione aumenta sistematicamente in relazione all’età del paziente ospite ed alla severità del danno cognitivo.
A volte se ne riscontra l’utilizzo anche nei reparti ospedalieri e nelle strutture di pronto soccorso.
Eppure il Comitato Nazionale di Bioetica, con parole accorate, ha condannato “l’attuale applicazione estensiva della contenzione”, osservando che “la possibilità di usare la contenzione meccanica non è mai stata esclusa in via assoluta. Ma ciò dovrebbe essere interpretato come una cautela rispetto a eventuali situazioni estreme di pericolo che i sanitari non siano in grado di fronteggiare in altro modo. Invece questa uscita di emergenza . . . assolutamente eccezionale che permette ai sanitari di derogare dalla norma di non legare i pazienti contro la loro volontà si è troppo spesso tramutata in una prassi a carattere routinario. La tolleranza concessa in casi estremi per un intervento così lesivo della libertà e dignità della persona è stata erroneamente interpretata come una licenza al suo ordinario utilizzo”[36].
Da quanto si è osservato discende che il riconoscimento normativo di funzioni ispettive a tutela della dignità della persona nei luoghi di cura possa costituire, se si saprà cogliere l’occasione, elemento caratterizzante di una più attuale configurazione della Difesa civica, non imbrigliata nella retorica della maladministration ma più utilmente collocata sul fronte della protezione dei diritti fondamentali dei più deboli.
[1]Difensore Civico della Regione Piemonte.
[2]Ad oggi i Difensori civici sono presenti in 17 Regioni e nelle due Province autonome: assenti in Calabria, Puglia e Sicilia.
[3]Di Bernardo A., L’esperienza italiana in A.A.V.V., Il Difensore civico, Esperienze comparate di tutela dei diritti, Torino, 2004, pagina 200, secondo cui “a seguito della riforma del titolo V della Costituzione le Regioni fruiscono di piena autonomia di determinazione nelle materie elencate nel quarto comma dell’articolo 117 Costituzione tra le quali deve annoverarsi l’istituto della difesa civica, con la conseguenza che deve escludersi una potestà statale nel dettare principi di riferimento validi e vincolanti in ambito locale“.
[4]Antonelli V., Attribuzione della funzione di garante per il diritto alla salute al Difensore civico provinciale o regionale e istituzione dei Centri regionali per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, in A.A.V.V., Guida alle nuove norme sulle responsabilità nelle professioni sanitarie, Torino, 2017, pag. 44.
[5] Ivi, pag. 45
[6]Antonelli V., cit., pag. 28.
[7]Gasparrini V., Il Difensore civico quale Garante per la salute, in A.A.V.V. Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Quotidiano Sanità Edizioni, 2017. Per quanto attiene al tema di una tutela della Difesa civica estesa anche alla responsabilità professionale dei sanitari si è osservato nella Relazione di questo Ufficio relativa all’attività dell’anno 2017 che: “La trattazione delle questioni riguardanti la responsabilità del personale sanitario e delle aziende in ordine alla presunta causazione di danni e la quantificazione degli stessi, è infatti affidata alla giurisdizione ordinaria e tale deve rimanere, pena una commistione di ruoli, comportanti da un lato un obbligo di terzietà, dall’altro lato una necessità di attenzione alle ragioni dell’utente, che difficilmente potrebbe giovare alla individuazione di una trasparente funzione del Difensore civico. Né apparirebbe appropriato affidare ai Garanti della salute un ulteriore intervento di prevenzione del contenzioso, che inevitabilmente risulterebbe duplicativo dei compiti che l’articolo 8 della Legge affida agli strumenti del procedimento di mediazione o del tentativo obbligatorio di conciliazione”.
[8]Comba M., Ombudsman, in Digesto delle Discipline pubblicistiche, Torino, 1996, pag. 298.
[9]Va peraltro osservato che nel contesto normativo di quegli anni il mero accesso agli atti per il tramite del Difensore civico poteva realizzare una prima forma di tutela per il cittadino che non aveva ancora a disposizione gli strumenti poi introdotti dalla legge 241/90.
[10]Alì N., Il Difensore civico un personaggio decorativo pressoché inutile, in L’amministrazione Italiana, 1999, pag. 1677.
[11]In tal senso De Leonardis F., Il Difensore civico nella giurisprudenza del giudice costituzionale e del giudice amministrativo, in Foro Amministrativo, 2009, pag. 2971.
[12]Gardini G., La Difesa civica in Italia, Lezione all’Università di Jean del 13 marzo 2014, inedita.
[13]Si tratta delle decisioni 112 e 173 del 2004 e 167 del 2005 tutte riferite a leggi regionali che avevano attribuito ai Difensori civici, presso di esse istituiti, poteri sostitutivi.
[14] Manetti M., Le autorità indipendenti, Bari, 2007, pagina 12.
[15] Art. 1, comma 3, della l.r. 11.04.2018, n. 16.
[16] Art. 1, comma 5, l.r. 16/2018.
[17] Art. 6, comma 2 lett. c bis), della l.r. 17/1986 come modificata dalla l.r. 27.12.2018, n. 29.
[18] Art. 8, comma 4 bis, l.r. 28.12.2017, n. 37.
[19] Si veda in proposito la decisione della Corte costituzionale 169/2017 secondo cui “ferma restando la discrezionalità politica del legislatore nella determinazione- secondo canone di ragionevolezza-dei livelli essenziali, una volta che questi siano stati correttamente individuati non é possibile limitarne concretamente l’erogazione attraverso indifferenziate riduzioni della spesa pubblica”.
[20] Sul tema dell’illegittimità della normativa della Regione Piemonte si veda il contributo di Francesco Pallante “L’illegittimità della normativa della Regione Piemonte sulla non autosufficienza tra diritto alla salute, discrezionalità politica e limitatezza delle risorse economiche” in Democrazia e Diritto, n. 2/2018.
[21] Art. 153 legge della Regione Piemonte 17.12.2018, n. 19 ”Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale. Anno 2018”.
[22] Il legislatore toscano, pur non avendo istituto il Garante della salute, aveva già attribuito tale facoltà al Difensore civico con l.r. 27 aprile 2009, n. 19 che all’art. 18 dispone: ”Il Difensore civico, nell’istruttoria delle pratiche, oltre all’esercizio dei poteri di cui all’articolo 8: (…) b) può approfondire la questione avvalendosi della collaborazione tecnico-professionale di operatori sanitari, con particolare riferimento ai medici legali dipendenti da azienda diversa da quella coinvolta, anche attivando apposite convenzioni.
[23] La proposta di legge era stata assegnata per l’esame in sede referente alla 1^ Commissione permanente del Consiglio regionale del Piemonte in data 21.11.2017.
[24] Al riguardo occorre doverosamente segnalare che l’art. 28 della legge regionale della Toscana 27 aprile 2009, n. 19 prevede: “il Difensore civico ha diritto di essere ascoltato dalla commissione consiliare competente per gli affari istituzionali al fine di riferire su aspetti generali della propria funzione e dalle altre commissioni consiliari in ordine ad aspetti della propria attività che investano la loro competenza”.
[25] Risoluzione 327/2001, votata a Strasburgo il 18-20 ottobre 2011.
[26] Si vedano le Relazioni annuali dell’Ufficio.
[27] L’articolo 154 della legge regionale numero 19 del 2018 stabilisce che in materia sanitaria il Difensore civico ha facoltà di visita nelle strutture sanitarie afferenti al Sistema sanitario nazionale e in quelle private in regime di convenzione inserite nel territorio regionale con lo scopo di vigilare su eventuali violazioni della dignità della persona con riferimento ai soggetti ivi ricoverati.
[28] Rossi S., La salute mentale tra libertà e dignità, Milano, 2015, pag. 329
[29] Ivi, pag. 344.
[30] Ivi, pag. 345.
[31] Rossi S., La dignità offesa. Contenzione e diritti della persona, in A.A.V.V. Il nodo della contenzione, Merano 2015, pagina 378.
[32] Ivi, pag. 379.
[33] Barbisan C., Decisioni e dignità, in A.A.V.V. La relazione di cura dopo la legge 219/2017, Pisa, 2019, pag. 217.
[34] Ivi, pag. 211.
[35] C.f.r. Introduzione alla Relazione della Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, XVIII Legislatura.
[36] Parere reso dal CNB in data 23 aprile 2015, intitolato: La contenzione: problemi bioetici.