Rassegna gennaio – maggio 2019
OSSERVATORIO T.A.R.
PIEMONTE E VALLE D’AOSTA
T.A.R. PIEMONTE
AGRICOLTURA & AMBIENTE
LA TUTELA DELLA FAUNA SELVATICA COSTITUISCE “UN VALORE” CHE GIUSTIFICA L’INDENNIZZO, MA NON IL RISARCIMENTO PER I DANNI ALLE COLTURE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 1221/2015, sent. 10 gennaio – 22 gennaio 2019, n. 73,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Azienda agricola Ferrero Riccardo ed altri c. Regione Piemonte e Città metropolitana di Torino]
La sentenza, decidendo sulla impugnazione da parte di una serie di aziende agricole della deliberazione della Giunta Regionale n. 39 – 1966 del 31 luglio 2015, con la quale sono stati disciplinati gli importi riconosciuti dalla Regione stessa agli agricoltori ai sensi delle l.r. Piemonte n. 70/1996 e n. 5/2012 per i danni arrecati alle colture dalla fauna selvatica, ne ha dichiarato l’inammissibilità.
I ricorrenti lamentavano la violazione, da parte del provvedimento impugnato, degli artt. 1 e 3 delle disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 26 della l. n. 157/1992, dell’art. 10 della legge regionale n. 36/89 e 36 della legge regionale n. 19/2009 e successive modificazioni in quanto la normativa applicabile al caso riconoscerebbe un diritto al risarcimento integrale, disatteso dalla d.g.r. impugnata, mentre la normativa europea, pur non avendo attinenza con le richieste di risarcimento in contestazione, imporrebbe di considerare la concreta possibilità dell’agricoltore di prevenire il danno: azione che non appare praticabile nelle zone destinate a parco. Come rilevato in diritto, tuttavia, la domanda «confonde istituti e competenze invocando promiscuamente norme (talune anche non più vigenti) attinenti a diverse fattispecie». La d.g.r impugnata anche da parte di titolari di aziende agricole aventi sede in parchi naturali, infatti, ha ad oggetto i fondi di cui alla l.r. n. 5/2012 che disciplina i risarcimenti dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria ai sensi dell’art. 26 della legge n. 157/1992, i quali possono essere reclamati dagli ATC e dagli organismi venatori in generale in un contesto esterno a quello delle aree protette (disciplinato da una diversa legge regionale del Piemonte, la n. 19 del 2009).
L’intero ricorso, a giudizio del T.A.R., inoltre, si fonda su di una equivoca interpretazione dell’art. 26 della legge n. 157/1992, che rinvia «solo in senso atecnico» alla dizione “risarcimenti”, nonostante «per pacifica e risalente giurisprudenza», preveda meri indennizzi. Ponendosi nel solco di Cass. Sez. III n. 22348/2014 (e di una più risalente pronuncia delle Sezioni Unite n. 1232/2000), il Tribunale amministrativo regionale trova l’occasione per ribadire che il fatto che la normativa statale preveda l’istituzione di un fondo prefigura in sé un limite alla ristorabilità di tali danni. La posizione del privato le cui colture sono state danneggiate dalla fauna selvatica costituisce sì un diritto soggettivo (Cass. SS.UU., n. 10701/2006), ma non implica per ciò stesso un diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito. Viene, dunque, in considerazione il diritto a un indennizzo, che trova un limite nello stanziamento di fondi da parte della Regione. Peraltro, rileva il T.A.R., i ricorrenti originari – tutti singoli imprenditori agricoli – non hanno provato di aver sofferto un danno superiore all’indennizzo riconosciuto in un contesto esterno alle aree protette, oggetto dell’impugnata d.g.r. La tutela della fauna selvatica costituisce, pertanto, un valore che impedisce che possa essere utilizzabile la categoria del risarcimento del danno da fatto illecito. Lo strumento dell’indennizzo appare coerente con l’esigenza di un bilanciamento tra i contrapposti interessi della collettività al ripopolamento faunistico e dei coltivatori alla preservazione delle loro attività. [L. Conte]
APPALTI
SUBAPPALTO E AVVALIMENTO NON SONO SOVRAPPONIBILI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 830/2018 – sent. 9 gennaio – 18 marzo 2019, n. 291,
Pres. Giordano, Est. Patelli
[Camst S.r.l. c. Comune di Valenza & altri]
Il T.A.R. Piemonte ha respinto il ricorso della Camst. soc. coop. a r.l. la quale aveva impugnato la determinazione dirigenziale n. 462 del 17 agosto 2018 della Centrale Unica di Committenza di alcuni Comuni della Provincia di Alessandria tra i quali il Comune di Valenza, recante approvazione dell’aggiudicazione a Vivenda S.p.A. dell’affidamento del servizio di “refezione scolastica e di ristorazione ospiti della casa di riposo L’Uspidali e utenti esterni” per un periodo di tre anni (e valore complessivo di € 6.007.075,14).
In particolare, la società ricorrente deduceva l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione poiché la stazione appaltante non avrebbe rilevato che l’avvalimento proposto da Vivenda S.p.A. nei confronti di Artana S.p.A. si sarebbe risolto in un sostanziale subappalto al 100%, con elusione dei limiti relativi a detta disciplina (artt. 89, co. 8 e 105 d.lgs. n. 50/2016). Secondo il TAR Piemonte l’interpretazione degli artt. 89, co. 8, e 105 d.lgs. n. 50/2016 proposta da parte ricorrente, secondo cui anche nell’avvalimento operativo opererebbe il limite massimo del 30% di attività svolgibili dal terzo, previsto invece per il subappalto, non è condivisibile. Infatti, l’avvalimento è un istituto di matrice euro-unitaria idoneo a facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, rispetto alla cui applicazione grava quindi sull’operatore nazionale l’obbligo di non introdurre vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno. Di qui l’inammissibilità dell’interpretazione dell’art. 89 co. 8 d.lgs. n. 50/2016 proposta dal ricorrente, che si risolverebbe nell’estendere in via interpretativa all’avvalimento operativo un limite invece espressamente posto solo per il subappalto dall’art. 105. Pertanto, la disposizione di cui al co. 8 dell’art. 89 va interpretata tenendo presente che le prestazioni contrattuali dell’appalto, pur se in concreto eseguite nell’ambito dell’organizzazione aziendale dell’ausiliaria (organizzazione messa a disposizione tramite il contratto di avvalimento), rientrano nella sfera del rischio economico-imprenditoriale dell’impresa concorrente alla gara. L’impresa ausiliata resta, dunque, la controparte contrattuale della stazione appaltante, sia pure con la garanzia della responsabilità solidale dell’ausiliaria (co. 5). Per tale ragione, infatti, il contratto si ritiene eseguito dalla concorrente e alla stessa è rilasciato il certificato di esecuzione (co. 8).
Inoltre, l’avvalimento implica che il concorrente che abbia dichiarato di volersi avvalere delle risorse di un’impresa ausiliaria, debba avere immediata disponibilità delle medesime, nel senso che deve poterle usare per eseguire il contratto senza l’intermediazione della suddetta impresa. Ciò non avviene, invece, per l’ipotesi di subappalto, in cui parte della commessa viene eseguita direttamente dall’impresa subappaltatrice. Dalle significative differenze esistenti tra i due istituti, discende conclusivamente l’impossibilità di estendere in via analogica all’avvalimento (ancorché operativo) il limite del 30% di attività delegabili, dettato espressamente per il subappalto dall’art. 105 d.lgs. n. 50/2016. Ne consegue anche che non deve essere verificato, nel caso di specie, in che misura percentuale si ponga, rispetto all’attività complessiva dell’appalto, quella svolta dall’ausiliaria. [G. Boggero].
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LE IMPRESE PICCOLE E MICRO NON POSSONO DIMOSTRARE IL POSSESSO DEI REQUISITI DI CAPACITA’ TECNICA E/O ECONOMICA FACENDO RICORSO A CRITERI DIVERSI DA QUELLI INDICATI DALLA STAZIONE APPALTANTE
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 812/2018 – sent. 23 gennaio – 23 aprile 2019, n. 458,
Pres. Giordano, Est. Risso
[Sodexo S.p.a. c. Comune di Pino Torinese]
Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso della società Sodexo S.p.a. avverso la determinazione n. 235 del 1 agosto 2018 del Comune di Pino Torinese avente ad oggetto l’aggiudicazione dell’appalto per il servizio di ristorazione scolastica per le scuole dell’infanzia, primarie e secondaria di primo grado (2018-2021) alla ditta G.L.E. ristorazione per mancanza in capo a quest’ultima del requisito di capacità tecnica e professionale di cui al punto 7.3. lettera c) del disciplinare.
In particolare, per il 2015 (anno ricompreso nel periodo di riferimento ai fini della valutazione in ordine al possesso del requisito richiesto) i pasti prodotti dalla contro-interessata sarebbero solamente 5.508 e, pertanto, in numero nettamente inferiore a quello richiesto dal disciplinare di gara, pari a n. 70.000/anno. Il Comune di Pino Torinese aveva eccepito che l’indicazione da parte della G.L.E. ristorazione dei pasti somministrati nel triennio effettivo di attività (giugno 2015 – giugno 2018) superava comunque ampiamente il numero di 70.000 richiesto, consentendo di ritenere nella sostanza il requisito soddisfatto. Del resto, secondo il Comune, il disciplinare all’art. 7.3. richiamava le disposizioni dell’art. 86 e dell’Allegato XVII, parte II, al decreto legislativo n. 50 del 2016, che individua diverse modalità di comprova della capacità tecnico-professionale, consentendo alle amministrazioni “se necessario e per assicurare un livello adeguato di concorrenza” di fare riferimento anche a forniture o servizi analoghi “effettuati più di tre anni prima” (All. XVII, parte II, lettera a) ii). Secondo il Comune di Pino Torinese doveva concludersi, dunque, che se l’Amministrazione può desumere la prova della capacità tecnica da commesse analoghe svolte anche prima del triennio di riferimento, allo stesso modo potrà, nel caso in cui l’impresa sia di recente costituzione come G.L.E., fondare la prova sulle attività svolte dopo il triennio di riferimento: la ratio della disposizione, infatti, sarebbe ancora una volta da rinvenirsi nell’esigenza di garantire la massima accessibilità alle gare pubbliche, salvaguardando al contempo la selezione qualitativa degli operatori. Di diverso avviso è il TAR Piemonte secondo cui il disciplinare era chiaro nel richiedere come requisito di capacità tecnica e professionale l’aver erogato un numero di pasti all’anno non inferiore a n. 70.000 senza revoche di contratto, riferendosi con precisione al triennio (2015, 2016, 2017). Esso non fa alcun riferimento alla media ponderata richiamata dalla G.L.E. ristorazione che dunque sarebbe un criterio estraneo alla lex specialis di gara. Ritenere soddisfatto il requisito della capacità tecnica professionale attraverso l’applicazione di un criterio non previsto nel disciplinare di gara solo perché si tratta di micro-impresa di recente costituzione si tradurrebbe, nella sostanza, in una integrazione/modificazione della lex specialis in corso di gara e determinerebbe la violazione del principio di trasparenza e di par condicio. [G. Boggero]
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L’INTERPRETAZIONE DELLA CLAUSOLA SOCIALE NON PU’ INTERFERIRE CON L’ORGANIZZAZIONE IMPRENDITORIALE FINO A IMPORSI SULLE SCELTE DI MERITO PENA UNA LESIONE DELLA LIBERTA’ di INIZIATIVA ECONOMICA DELL’AGGIUDICATARIA
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 817/2018 – sent. 6 febbraio – 23 aprile 2019, n. 459,
Pres. Giordano, Est. Perilli
[Dussmann Service S.r.l. c. Comune di Alessandria]
Il TAR Piemonte ha respinto il ricorso della Dussmann Service s.r.l. avverso l’aggiudicazione alla società S.E.L. del servizio di refezione presso le scuole dell’infanzia (statali e comunali), scuole primarie, scuole secondarie di primo grado e gli asili nido comunali (2018-2024) del Comune di Alessandria.
La ricorrente aveva censurato, in primo luogo (1), la violazione dell’articolo 17 del disciplinare di gara che imponeva all’operatore di indicare nell’offerta economica, a pena d’esclusione, “i propri costi della manodopera (intesi come costi del lavoro, comprensivi delle retribuzioni dirette e indirette, TFR, contributi e oneri previdenziali e assistenziali, indennità integrative e ogni altra componente retributiva)”. Secondo il Collegio, il mero scostamento del costo della manodopera rispetto alle tabelle ministeriali ed alle ore settimanali minime previste nel C.C.N.L., derogabili in sede di contrattazione integrativa e decentrata, non integra una modificazione sostanziale di un elemento essenziale dell’offerta per cui la stazione appaltante ha legittimamente permesso a S.E.L. di spiegare in contraddittorio le ragioni per cui l’offerta per il costo della manodopera fosse da ritenere sostenibile sulla scorta di compensazioni. In ogni caso, non si sarebbe verificato alcun caso di omessa indicazione dei costi della manodopera, sicché non poteva essere disposta l’esclusione dell’offerta.
In secondo luogo (2), la ricorrente sosteneva che SEL, facendo ricorso all’istituto dell’avvalimento e prendendo in prestito da Artana s.r.l. la disponibilità del centro cottura avrebbe violato gli articoli 11 e 46 del capitolato speciale, i quali richiedono il possesso delle autorizzazioni sanitarie in capo all’impresa appaltatrice e non all’ausiliaria e che Artana s.r.l. non sarebbe comunque legittimata a preparare ed a confezionare i pasti perché non è né un concorrente, né un subappaltatore. Peraltro, l’aggiudicataria non avrebbe potuto utilizzare l’istituto dell’avvalimento perché l’articolo 89 del d.lgs. n. 50/2016 vieta di utilizzarlo per gli elementi di valutazione dell’offerta tecnica: il prestito del centro di cottura inciderebbe infatti su numerosi elementi di valutazione dell’offerta. Secondo il Collegio, invece, l’ampia portata dell’istituto dell’avvalimento, funzionale a favorire la più ampia partecipazione alle gare, non lo relega al ruolo marginale di strumento integrativo dei requisiti di partecipazione ma lo estenda anche al prestito dei requisiti di esecuzione, per assicurarsi il possesso dei quali non è necessario ricorrere al subappalto o alla partecipazione in forma associata. La S.E.L. ha pertanto correttamente dichiarato nel D.G.U.E. di possedere tutti i requisiti per la partecipazione previsti dal punto III 2.2. del bando e 7.4. del disciplinare di gara mediante l’impegno di Artana ad assicurare per tutta la durata del servizio la disponibilità di un centro di cottura rispondente alle caratteristiche descritte all’articolo 10 del bando di gara. Infondata è poi anche la censura consistente nella violazione dell’esclusiva disponibilità del centro cottura in capo all’aggiudicataria in quanto lo stesso centro sarebbe stato utilizzato anche da Vivenda s.p.a. per l’appalto di refezione scolastica affidato dal Comune di Valenza. Secondo il Collegio, è irrilevante l’utilizzo del centro cottura in esclusiva o in concomitanza con altri operatori per lo svolgimento di altre commesse perché ciò che il capitolato speciale richiede è che l’aggiudicataria del servizio disponga a pieno titolo del contro cottura per tutta la durata dell’appalto, sicché l’esclusiva disponibilità del centro cottura deve essere intesa come necessità di un titolo giuridico legittimante (costituito nel caso di specie da un contratto di avvalimento) e non come utilizzo della struttura da parte di un unico operatore. Infine, è irrilevante che le autorizzazioni sanitarie risultano intestate in capo ad Artana s.r.l. in quanto si evince dall’articolo 5 dello schema di contrato allegato al bando di gara che solo dopo la stipulazione del contratto l’aggiudicatario si impegna ad estendere le certificazioni di qualità pertinenti anche al centro cottura, agevolmente ottenibili mediante volturazione delle certificazioni già rilasciate.
Ancora (3), la ricorrente sosteneva che S.E.L., in violazione della clausola sociale, non avrebbe previsto il riassorbimento di tutta una serie di figure operanti in precedenza alle dipendenze del precedente gestore del servizio, quali il direttore del centro cottura, la dietista, l’ispettore, il capocuoco e il cuoco diete. Secondo il Collegio, invece, l’interpretazione della clausola sociale non può interferire, infatti, con l’organizzazione imprenditoriale dell’aggiudicataria fino al punto di imporsi sulle scelte di merito. Pertanto l’aggiudicataria ben può evitare di riassorbire tutto il personale utilizzato nel servizio dal precedente gestore e modificare le ore di servizio e l’inquadramento contrattuale ove dimostri che la nuova organizzazione ottimizzi la gestione del servizio e ne preservi la qualità. Solo un’interpretazione che rispetti le scelte organizzative dell’imprenditore è idonea a preservare la libertà di iniziativa imprenditoriale e l’attuazione della libera concorrenza, dal momento che un’interpretazione cogente della clausola sociale finirebbe per imporre ai concorrenti oneri irragionevoli e non proporzionali rispetto allo svolgimento di un servizio di qualità. [G. Boggero]
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IL COMUNE DI TORINO NON HA PREVISTO CRITERI DI VALUTAZIONE DELL’OFFERTA TECNICA CHE CONSENTANO DI VALUTARE LA QUALITA’ DEL SERVIZIO DI RISTORAZIONE SCOLASTICA E NON SOLO LA SUA CONVENIENZA
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 638/2018 – sent. 6 febbraio – 29 aprile 2019, n. 503,
Pres. Giordano, Est. Perilli
[Dussmann Service S.r.l. c. Comune di Torino]
Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso della società Dussmann Service s.r.l. e, per l’effetto, ha annullato il bando e il capitolato di gara, nonché l’aggiudicazione del lotto 1 della gara alla Eutourist New s.r.l. per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica nelle scuole statali dell’obbligo nelle scuole d’infanzia comunali e statali e nei nidi d’infanzia comunali (2018-2021) del Comune di Torino.
In particolare, il Collegio rigettava i primi tre motivi di ricorso e accoglieva il quarto e ultimo, con il quale la ricorrente faceva valere l’interesse strumentale alla riedizione della gara, in quanto l’attribuzione di tutti i criteri qualitativi sarebbe stata modulata su criteri fissi di tipo tabellare e non sulla valutazione di un progetto tecnico che valorizzasse la qualità dell’offerta. Tale tecnica di attribuzione del punteggio qualitativo avrebbe vanificato il maggior peso attribuito all’offerta tecnica in favore dell’offerta economica, con conseguente eliminazione di un effettivo confronto competitivo sulla qualità delle offerte, secondo quanto previsto dall’articolo 95, comma 10 bis, del d.lgs. n. 50 del 2016. Al fine di accertare se i criteri di valutazione dell’offerta tecnica previsti dall’articolo 14 del capitolato, dietro un’apparente valorizzazione degli elementi qualitativi connessi all’oggetto dell’appalto, dissimulino una valutazione solo quantitativa delle prestazioni offerte in base al prezzo, occorre esaminare l’effettiva portata degli stessi.
L’articolo 14 del capitolato speciale specificava, per il lotto 1, i seguenti tre criteri, ciascuno dotato di un diverso peso, per l’attribuzione del punteggio all’offerta tecnica: – il criterio sub A 1), relativo alla fornitura di frigoriferi, prevede l’attribuzione di un massimo di 18 punti per la fornitura, l’installazione e la manutenzione nelle sedi scolastiche di un numero massimo di dieci frigoriferi; – il criterio sub A 2), relativo al programma di informazione e comunicazione sul servizio di ristorazione scolastica, prevede l’attribuzione di un punteggio fisso per l’offerta di ognuno di tre elementi ivi specificati e l’attribuzione di un punteggio pari a zero per la mancata offerta di ciascun elemento; – il criterio sub A 3), relativo alla somministrazione di prodotti alimentari ulteriori rispetto a quelli indicati nei menu invernale ed estivo, prevede l’attribuzione di un punteggio fisso per l’offerta e l’attribuzione di un punteggio pari a zero per la mancata offerta di ciascuna tipologia di prodotto. Secondo il Collegio, l’unico criterio che consenta una graduazione del punteggio e, dunque, l’effettivo esercizio da parte della Commissione giudicatrice della discrezionalità nella formulazione del giudizio sulla qualità dell’offerta, è quello contenuto sub A 1) poiché all’impegno dell’impresa concorrente a fornire, installare e mantenere un numero di frigoriferi inferiori a dieci, siccome espressivo di una minore qualità del servizio relativamente alla conservazione degli alimenti, corrisponde l’attribuzione di un punteggio inferiore al massimo di 18 punti, verosimilmente proporzionale alla quantità di frigoriferi messi a disposizione. Per quanto riguarda invece i criteri sub A 2) ed A 3) il Collegio ha ritenuto che la modalità di attribuzione di un punteggio fisso, in caso di riscontro, e di nessun punteggio, in caso di mancato riscontro dell’elemento richiesto, non consentono una graduazione nella valutazione dell’offerta tecnica, esautorando, di fatto, l’esercizio della discrezionalità tecnica da parte della Commissione giudicatrice. Una valutazione dell’offerta più attenta alla valorizzazione degli aspetti qualitativi avrebbe dovuto, invece, prevedere una varietà di elementi ai quali attribuire un punteggio graduabile ricompreso tra un minimo ed un massimo, all’interno del quale prevedere eventualmente una graduazione dei punteggi tecnici mediante sub criteri, con l’utilizzo di parametri elastici e non fissi. Nei servizi come quello di ristorazione scolastica, nei quali è lo stesso legislatore ad imporre una particolare attenzione all’elemento qualitativo non si può valutare l’offerta in base a criteri prevalentemente quantitativi che finiscono per distogliere l’attenzione dalla qualità della prestazione oggetto del servizio da rendere in favore dell’Amministrazione. L’esaltazione del giudizio sulla qualità dell’offerta non tollera automatismi ma deve essere rivolto a premiare la creatività imprenditoriale, desumibile dalla redazione di un progetto tecnico o dalla previsione di criteri sufficientemente graduabili, e non ad inibirla. [G. Boggero]
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IL TITOLO GIURIDICO COMPROVANTE IL POSSESSO EFFETTIVO DEL CENTRO COTTURA NON DEVE SUSSISTERE NELLA FASE DELLA PARTECIPAZIONE MA SOLTANTO COME CONDIZIONE DI STIPULAZIONE DEL CONTRATTO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 1114/2018 – sent. 16 aprile – 14 maggio 2019, n. 576,
Pres. Picone, Est. Risso
[OMISSIS c. Comune e Provincia di Vercelli]
Il TAR Piemonte ha respinto il ricorso di una società del settore avverso la determinazione dirigenziale della Provincia di Vercelli avente ad oggetto l’aggiudicazione dell’appalto per il servizio di ristorazione scolastica per le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado (2018-2021). In particolare, risultano infondati tutti e tre i motivi di ricorso.
Rispetto al primo, l’aggiudicataria non avrebbe potuto essere esclusa dalla gara per il solo fatto che nei suoi confronti sarebbero stati emessi ben tre decreti penali di condanna per contravvenzioni riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro e la sicurezza alimentare, dal momento che il decreto penale di condanna opposto, ai sensi dell’articolo 464, comma 3, c.p.p., non spiega alcun valore vincolante nell’accertamento del fatto tipico di reato, demandato al successivo giudizio di opposizione, destinato a concludersi con una sentenza adottata in seguito all’accertamento del fatto in contraddittorio. La proposizione dell’opposizione lo priva, anzi, dei suoi effetti tipici cagionandone la revoca automatica; pertanto esso deve essere considerato dalla stazione appaltante tamquam non esset. La stazione appaltante, in ossequio al principio del favor partecipationis, ha pertanto correttamente ritenuto di ammettere alla gara l’aggiudicataria.
Anche il secondo motivo di ricorso in ordine alla mancata prova da parte dell’aggiudicataria circa la sussistenza dei requisiti di capacità tecnica e professionale richiesto dall’art. 9 del disciplinare è infondato. Il Collegio ha infatti ritenuto che la Provincia, quale stazione unica appaltante, abbia correttamente interpretato l’articolo 9 del disciplinare con i predetti chiarimenti in quanto richiedere già dalla fase della partecipazione un titolo giuridico comprovante il possesso effettivo del centro cottura sarebbe stato troppo gravoso e non proporzionato all’oggetto dell’appalto. L’effettiva disponibilità del centro cottura deve essere pertanto richiesta solo all’aggiudicataria del servizio come condizione per la stipulazione del contratto per cui si rivelano inconferenti le censure svolte dalla ricorrente.
Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso inerente all’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria è dichiarato infondato, dal momento che il criterio da essa utilizzato non è irragionevole: esso consiste nel calcolo del costo del servizio in relazione al numero dei pasti da garantire presso i diversi plessi scolastici e per tutta la durata del servizio e non, secondo la diversa ricostruzione prospettata dalla ricorrente, in relazione al numero di settimane annue da prestare presso i vari ordini di scuole. In tal modo, il costo unitario per pasto offerto dall’aggiudicataria si rivela in linea con i prezzi mediamente praticati nel settore dello specifico mercato di riferimento e coerente con l’organizzazione di impresa. Dalle giustificazioni si evince, infatti, una puntuale ricostruzione di tutte le voci di costo dell’offerta in relazione alla specifica organizzazione di impresa ed alle particolari condizioni di favore di cui la stessa gode nel mercato di riferimento. Lo stesso può dirsi per il costo del personale, delle materie prime e degli investimenti, che risultano adeguatamente specificati e giustificati.
Il Collegio ha pertanto ritenuto che dalla valutazione complessiva dell’offerta emerga un calcolo prudenziale dei costi della stessa che la stazione appaltante ha correttamente considerato come indice di attendibilità e di congruità. [G. Boggero]
ELEZIONI
L’ESONERO DALLA RACCOLTA DELLE FIRME VALE SOLO PER LE LISTE CHE HANNO OTTENUTO UN SEGGIO “AUTONOMAMENTE” ALLE ELEZIONI PRECEDENTI (E NON IN COALIZIONE CON ALTRE LISTE)
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 383/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 544,
Pres. ed Est. Testori
[Panero c. Ufficio Centrale Regionale del Piemonte ed altro]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 400/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 549,
Pres. ed Est. Testori
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Biella ed altri]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 401/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 550,
Pres. ed Est. Testori
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Torino ed altri]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 402/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 551,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Vercelli ed altri]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 403/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 552,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Novara ed altri]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 404/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 553,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Asti ed altri]
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 405/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 554,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Panero c. Ufficio Centrale Circoscrizionale della Provincia di Alessandria ed altri]
Con le sentenze indicate (dal contenuto sostanzialmente analogo) il T.A.R. Piemonte ha respinto i ricorsi contro i provvedimenti di esclusione della lista “Destre unite Casapound Azzurri italiani” – liste provinciali e “listino” regionale abbinato al candidato Presidente della Giunta regionale – dalle elezioni regionali del Piemonte del 26 maggio 2019, confermando quindi le decisioni adottate dagli Uffici elettorali circoscrizionali e da quello centrale presso la Corte d’appello di Torino. Per effetto di queste pronunce, il movimento politico Casapound non ha partecipato alle elezioni regionali in oggetto.
La non ammissione della lista (sia in ambito provinciale che regionale) è stata disposta dagli Uffici elettorali in ragione del fatto che essa non poteva avvalersi dell’esonero dalla raccolta delle firme prevista, nella Regione Piemonte, dalla l.r. n. 21/2009 (art. 1 comma 1, lettera a). Tale disposizione prevede che la presentazione delle liste non richieda alcuna sottoscrizione nel caso di «liste di partiti o gruppi politici che hanno presentato candidature con un proprio contrassegno e che hanno conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni nelle circoscrizioni elettorali ricomprese nel territorio nazionale per il Parlamento europeo o per il Parlamento nazionale o per il Consiglio regionale del Piemonte». La lista “Destre unite Casapound Azzurri italiani” non aveva raccolto le firme sostenendo di avere ottenuto un seggio nelle elezioni regionali del 2014; gli Uffici circoscrizionali e centrali hanno rilevato, però, che a quelle elezioni regionali i movimenti politici “Destre unite” e “Azzurri italiani” si erano presentati nella coalizione di centrodestra («Centro destra per Pichetto») e che il seggio in questione era stato attribuito alla coalizione – «soggetto giuridico distinto dalle singole liste che ad esso aderivano» –, mentre le due liste non avevano conseguito – come tali – alcun seggio. Secondo gli Uffici elettorali, la ratio della norma regionale citata consiste nel “premiare”, con l’esonero dalla raccolta delle firme, i partiti o i movimenti politici dotati di una «significativa rappresentatività»; tale ratio sarebbe frustrata da un’interpretazione «che accordi a singole componenti minoritarie della coalizione il beneficio della procedura senza firme» (le liste “Destre unite” e “Azzurri italiani” alle elezioni del 2014 avevano ottenuto insieme appena lo 0,35% dei voti).
Il T.A.R. Piemonte, nel confermare la motivazione dell’esclusione da parte degli Uffici elettorali, sottolinea che l’art. 1 comma 1, lettera a), della l.r. n. 21/2009 è norma «eccezionale» e derogatoria rispetto alla regola generale che subordina la presentazione delle liste alla sottoscrizione di un dato numero di elettori (art. 9 legge n. 108/1968; art. 1 comma 3 legge n. 43/1995). Come tale, essa deve essere interpretata restrittivamente, «e quindi riferita esclusivamente a liste che abbiano per così dire “in proprio” conseguito un seggio»; nel caso quindi di una coalizione di liste che in una precedente elezione abbia ottenuto dei seggi, «il beneficio in questione non può essere riconosciuto indistintamente alle singole liste componenti la coalizione», come preteso dalla lista ricorrente, anche perché in questo modo «verrebbe travisata e vanificata la ratio della disposizione, di cui potrebbero giovarsi anche liste dotate di infima rappresentatività». [G. Sobrino]
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NON EQUIPARABILITA’ DELLE SENTENZE DI PATTEGGIAMENTO EMESSE PRIMA DEL 1° GENNAIO 2000 ALLE SENTENZE DI CONDANNA, AI FINI DELL’INCANDIDABILITA’ AI SENSI DEL D.LGS. N. 235/2012
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 389/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 545,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[Omissis c. Ufficio Centrale Circoscrizionale di (omissis) ed altri]
Il T.A.R. Piemonte ha accolto il ricorso proposto da un candidato alle elezioni regionali del 26 maggio 2019 contro il provvedimento di esclusione della sua candidatura (e della sua lista, formata solo da questo stesso candidato), disposto ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 235/2012. Il ricorrente, nel 1998, aveva “patteggiato” la pena di un anno di reclusione – ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – per i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di falsità in atto pubblico (di cui, rispettivamente, agli artt. 640-bis e 479 c.p.). L’Ufficio elettorale circoscrizionale ha ritenuto che tale sentenza fosse equiparabile a una condanna e comportasse la sussistenza della causa di incandidabilità prevista dall’art. 7 del d.lgs. n. 235/2012 citato, consistente appunto nell’aver riportato una «condanna» per determinati reati.
Nell’accogliere la censura del ricorrente relativa alla «natura non ostativa» della sentenza penale richiamata, il T.A.R. ricostruisce la disciplina legislativa di riferimento e, in particolare, le diverse norme sull’efficacia della sentenza di “patteggiamento” succedutesi nel tempo. Al riguardo il Giudice piemontese rileva che l’art. 15 comma 1-bis della legge n. 55/1990 (introdotto dalla legge n. 475/1999) prevedeva l’equiparazione, ai fini della disciplina sul contrasto alla mafia e ad altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna. L’art. 1 della legge n. 475/1999, nell’introdurre questa equiparazione, aveva previsto espressamente (al comma 3) che «la disposizione del comma 1 bis dell’articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, … si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge», cioè il 1° gennaio 2000. Da ultimo, l’art. 16 primo comma del d.lgs. n. 235/2012 (normativa applicata nel caso di specie dall’Ufficio elettorale) ha disposto che «per le incandidabilità di cui ai Capi I e II, e per quelle di cui ai Capi III e IV [dello stesso d.lgs.: n.d.A.] non già rinvenibili nella disciplina previgente, la disposizione del comma 1 dell’articolo 15 si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del presente testo unico». In forza di tali disposizioni normative, il T.A.R. afferma che le sentenze di “patteggiamento” pronunciate prima del 1° gennaio 2000 non sono equiparabili a una sentenza di condanna, ostativa alla presentazione della candidatura; mentre quelle successive sì. Perciò, la sentenza riportata dal ricorrente nel caso di specie è stata ritenuta «non ostativa» e, di conseguenza, la candidatura è stata dichiarata ammissibile. [G. Sobrino].
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GLI ADEMPIMENTI CHE I CITTADINI DI ALTRI STATI DELL’ U.E. DEVONO RISPETTARE PER POTERSI CANDIDARE ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN ITALIA
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 390/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 546,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Wisniowski in Virano c. 19^ Sottocommissione Elettorale Circondariale di Torino ed altri]
La sentenza in oggetto respinge il ricorso di una cittadina tedesca, residente in Italia, contro la decisione della diciannovesima Sottocommissione elettorale circondariale di Torino di escludere la sua candidatura alla carica di consigliere comunale del Comune di Villastellone (Provincia di Torino) alle elezioni del 26 maggio 2019. Tale esclusione è motivata dal fatto che la ricorrente non ha presentato «l’attestato, in data non anteriore a tre mesi, rilasciato dall’autorità amministrativa competente dello Stato membro di origine, dal quale risulta che non è decaduta dal diritto di eleggibilità», prescritto dall’art. 5 del d.lgs. n. 197/2006 ai fini della candidatura di cittadini europei residenti in Italia.
Nel ricorso la candidata esclusa, residente in Italia dal 1991, ha dedotto di avere richiesto l’attestato in questione in Germania, ma di non essere riuscita ad ottenerlo in tempo utile dal momento che il Consolato tedesco territorialmente competente le aveva fissato l’appuntamento per il ritiro della documentazione solo il 16 maggio 2019. In punto di diritto, ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 197/1996, in combinato disposto con gli artt. 2 e 6 del d.l. n. 408/1994 (di attuazione della direttiva 93/109/CE) e con il d.lgs. n. 11/2014 (di attuazione della direttiva 2013/1/UE), in quanto – secondo la tesi della ricorrente – la disciplina delle elezioni comunali dovrebbe essere interpretata in modo coerente con quella delle elezioni europee, e quest’ultima, al fine di rendere effettivo il diritto di elettorato passivo dei cittadini di altri Stati membri e di ovviare ai problemi che potrebbero derivare dalla difficoltà dei candidati di ottenere le attestazioni necessarie, ammette che l’“attestato di eleggibilità” (sopra citato) sia sostituito da un’autocertificazione, con onere della Commissione elettorale di verificarne la veridicità tramite lo scambio di informazioni con lo Stato competente.
Il T.A.R. Piemonte respinge tale censura, affermando che il procedimento elettorale per le elezioni comunali dei cittadini europei è disciplinato analiticamente dalla direttiva 94/80/CE, il cui art. 9 prevede espressamente che lo Stato membro di residenza possa chiedere al candidato straniero di presentare l’“attestato di eleggibilità”. Ad avviso del T.A.R., si tratta di «un onere non sproporzionato, relativo a circostanza che lo Stato non può … verificare direttamente e che implica solo a carico dell’interessato la diligenza di attivarsi tempestivamente, senza sottoporlo ex se a condizioni di eleggibilità diverse da quelle proprie dei cittadini [dello Stato stesso: n.d.A.] in termini sostanziali». La presenza di una disciplina puntuale della fattispecie rende impraticabile l’«applicazione analogica» delle disposizioni sulle elezioni del Parlamento europeo invocata, di fatto, dalla ricorrente; essa peraltro – sottolinea il Tribunale – comporterebbe il configurarsi «di una sorta di dovere di soccorso istruttorio» in capo alle Autorità statali italiane (come di quelle degli altri Paesi europei), che si protrarrebbe anche oltre i termini previsti per il vaglio di ammissibilità delle candidature e lederebbe, di conseguenza, i principi di «celerità e certezza delle operazioni elettorali» (vengono richiamati, in proposito, i precedenti di cui alla sentenza del T.A.R. Marche n. 375/2015 – avente ad oggetto un caso analogo a quello di specie –, del T.A.R. Umbria n. 371/2018 e dello stesso T.A.R. Piemonte, Sez. II, n. 692/2016). [G. Sobrino]
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È ILLEGITTIMO ESCLUDERE UNA LISTA PER SUPERAMENTO DEL NUMERO MASSIMO DI FIRME A SOSTEGNO, SE IL NUMERO DI FIRME RACCOLTE NON È IDONEO A CONDIZIONARE GLI ELETTORI
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 398/2019 – sent. 3 maggio 2019, n. 548,
Pres. Testori, Est. Limongelli
[Allais c. Commissione Elettorale Circondariale di Torino – Sottocommissione Elettorale di Avigliana ed altri]
Il T.A.R. Piemonte ha accolto il ricorso proposto da un candidato Sindaco del Comune di Coazze (Provincia di Torino) contro il provvedimento di non ammissione della sua lista – e conseguentemente della sua candidatura a Sindaco – alle elezioni del 26 maggio 2019, adottato dalla Sottocommissione elettorale circondariale di Avigliana. L’Ufficio elettorale ha disposto l’esclusione della lista in quanto essa era stata sottoscritta da un numero maggiore di elettori rispetto a quello previsto dalla legge (e precisamente dall’art. 3 della legge n. 81/1993). Nello specifico, per i Comuni con popolazione compresa tra 2.001 e 5.000 abitanti – come quello di Coazze, di 3.200 abitanti – la legge stabilisce che le liste debbano essere sottoscritte da un numero di elettori compreso tra 30 e 60; nel caso di specie, la lista del candidato ricorrente era stata sottoscritta da 65 elettori – divenuti 64 dopo l’espunzione di una firma da parte dell’Ufficio elettorale in sede di verifica – e, quindi, con un “esubero” di appena 4 firme rispetto al limite indicato.
Nell’accogliere le censure del ricorrente, il T.A.R. ricostruisce la ratio della disciplina che impone (oltre ad un numero minimo) un numero massimo di sottoscrizioni a sostegno delle liste elettorali, e la applica al caso concreto in modo interessante, tenendo conto – in particolare – delle dimensioni concrete (popolazione residente) del Comune coinvolto. Il Giudice piemontese – pur dando atto dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali diversi sulla problematica – ricorda, in proposito, che secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 83/1992) la fissazione di un numero massimo di sottoscrizioni «non ha soltanto finalità di semplificazione, ma è diretta a garantire la libera e genuina espressione della volontà del corpo elettorale, che potrebbe essere influenzato dalla presenza di una lista con un maggior numero di sottoscrittori». Al riguardo il T.A.R. riconosce che, soprattutto nei piccoli Comuni, si potrebbero aprire delle «vere e proprie pre-competizioni elettorali» tra le liste, per assicurarsi il maggior numero di sottoscrizioni possibile e “dimostrare” così la loro rispettiva influenza, condizionando “psicologicamente” in modo indebito gli elettori chiamati al voto. Se questa è la ratio della disposizione normativa citata, essa nel caso di specie – afferma il Tribunale Amministrativo – non è stata violata: è infatti «del tutto inverosimile» che appena 4 firme in più rispetto al limite massimo previsto dalla legge, in un Comune con una popolazione di 3.200 abitanti, siano idonee a (e siano state raccolte appositamente dai candidati al fine di) condizionare l’elettorato. Inoltre – sempre avendo riguardo alle dimensioni effettive del Comune di Coazze – occorre tenere conto dell’affidamento sulla correttezza del numero di firme ingenerato nei candidati «dal segretario o dal funzionario comunale addetto all’Ufficio Elettorale» (che non aveva sollevato alcun rilievo nel caso specifico); tale affidamento, nella vicenda in esame, deve ritenersi addirittura «rafforzato» dal fatto che in una precedente tornata elettorale la lista ricorrente era stata presentata sempre con 65 firme a sostegno, e non era stata esclusa.
Sulla base di questi argomenti, e avuto riguardo anche «all’esigenza di garantire la più ampia partecipazione alla competizione elettorale, che … risulterebbe gravemente compromessa laddove, per il Comune di Coazze, rimanessero in gara solo due delle tre liste presentate», il T.A.R. ha ordinato l’ammissione alla competizione elettorale della lista ricorrente e del relativo candidato Sindaco. [G. Sobrino]
ENTI LOCALI & FINANZA PUBBLICA
IL COMUNE DI STRESA NON PUO’ CUMULARE IMPOSTA DI SOGGIORNO E CONTRIBUTO DI SBARCO ALLE ISOLE BORROMEE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 378/2018 – sent. 30 gennaio – 12 febbraio 2019, n. 195,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[Ministero dell’Economia e delle Finanze c. Comune di Stresa]
La sentenza, decidendo sull’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze della deliberazione n. 21 del 5 febbraio 2018 con cui la Giunta comunale del Comune di Stresa aveva determinato le tariffe del contributo di sbarco per l’anno 2018, ne ha dichiarato l’illegittimità per violazione dell’art. 4, comma 3-bis del d.lgs. n. 23 del 2011.
La controversia de qua originava dalle deliberazioni del 16 marzo 2016 nn. 13 e 14, con la quale il Consiglio comunale di Stresa aveva stabilito l’istituzione del contributo di sbarco ai sensi dell’art. 4, comma 3 bis del d.lgs. n. 23/2011 (in sostituzione della previgente imposta di sbarco) a carico di tutti i passeggeri che sbarcano sulle Isole Borromee, fissando l’importo nella misura di € 0,50 a passeggero per ogni isola e disciplinandone l’applicazione con apposito regolamento. Pur formalmente istituito con questi due provvedimenti, il contributo di sbarco non aveva mai concreta attuazione, ma anzi ne veniva a più riprese posposta l’applicazione in ragione dei dubbi nutriti dall’amministrazione comunale circa la conformità all’art. 4, comma 3-bis del d.lgs. n. 23 del 2011, il quale consente l’istituzione, all’interno del territorio comunale, di un contributo di sbarco, a carico di coloro che sbarcano su un’isola minore, in alternativa all’istituzione di un’imposta di soggiorno, applicata a coloro che alloggiano in strutture recettive.
La deliberazione della Giunta comunale n. 21 del 5 febbraio 2018 poneva, infine, a carico di ogni passeggero un contributo di sbarco nella misura di € 0,50 per ogni isola: tale atto – determinando l’effettiva, contemporanea, vigenza nel territorio del medesimo Comune sia dell’imposta di soggiorno, sia dell’imposta di sbarco – rendeva concreta e attuale la lesione dell’interesse tutelato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo l’Amministrazione comunale un’interpretazione della disposizione legislativa de qua che negasse di poter applicare il contributo di sbarco soltanto a chi soggiorni nelle strutture ricettive delle Isole Borromee porterebbe a una disparità di trattamento in danno dei Comuni che si sviluppano in parte sulla terraferma e in parte su un’isola minore, che si vedrebbero costretti a dover scegliere, in ogni caso, tra l’istituzione di un tributo o dell’altro, pur sussistendo il presupposto impositivo di entrambi, con conseguente perdita di gettito per le casse comunali. A tal proposito, tuttavia, il ricorrente non riteneva di suggerire al G.A. di sollevare q.l.c. della disposizione in parola. Del resto, secondo il TAR Piemonte, l’art. 4 del d.lgs. n. 23/2011 non determina, in realtà, una disparità di trattamento tra Comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e Comuni nel cui territorio insistano anche isole minori, dal momento che il duplice presupposto impositivo, del soggiorno e dello sbarco, sussiste per entrambe le tipologie di Comune. La volontà del legislatore è quindi, per entrambi, quella di consentire l’istituzione di un unico tributo, a scelta del Comune. Un’applicazione come quella del Comune di Stresa che consenta un’applicazione del contributo a coloro che soggiornano nelle strutture ricettive in una delle Isole Borromee si porrebbe in contrasto con il dettato normativo, da un lato perché non è dato riscontrare che i turisti siano esentati dal pagamento del contributo di sbarco qualora approdino ad una delle Isole Borromee e dall’altro poiché è difficile verificare le intenzioni quanto al pernottamento di chi sbarca sulle isole. [G. Boggero]
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LEGITTIMA LA DECISIONE DEL COMUNE DI CONCEDERE L’USO DEL SUOLO PUBBLICO SOLO A SOGGETTI CHE DICHIARINO DI ADERIRE AI VALORI DELL’ANTIFASCISMO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 228/2019 – sent. 10 – 18 aprile 2019, n. 447,
Pres. Testori, Est. Limongelli
[Novello c. Comune di Rivoli]
Su questa sentenza si rimanda al commento di M. Rossin, Sul diniego di occupazione di suolo pubblico per attività di propaganda politica in caso di omessa dichiarazione di aderire ai valori dell’antifascismo. Nota di commento a TAR Piemonte, Sezione II, sentenza 18 aprile 2019, n. 447, in questo numero della Rivista.
PAESAGGIO, EDILIZIA & URBANISTICA
LA RUOTA PANORAMICA NON SI INTEGRA CON IL PAESAGGIO DI TORINO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 362/2018 – sent. 9 gennaio – 11 febbraio 2019, n. 190,
Pres. Giordano, Est. Patelli
[Wonder Wheel s.r.l. c. Comune di Torino; Ministero dei beni e delle attività culturali; Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino]
Il T.A.R. Piemonte, I sez., ha respinto il ricorso il ricorso della Wonder Wheel s.r.l. per l’annullamento di una serie di atti (tra cui il parere della Commissione locale per il paesaggio; il preavviso di diniego di autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino; il parere vincolante della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino sull’autorizzazione paesaggistica; il diniego di autorizzazione da parte dirigente dell’Area Edilizia Privata della Città di Torino, tutti aventi ad oggetto il diniego di autorizzazione all’installazione di una grande ruota panoramica nella zona del Parco del Valentino di Torino (autorizzazione richiesta il 26 maggio del 2017). La pronuncia che si annota risulta di particolare interesse in quanto evidenzia come la nozione di paesaggio quale elemento dinamico accolta dalla Convenzione europea del paesaggio e in parte trasfusa nel Codice dei beni culturali e del paesaggio non possa tuttavia porsi in contrasto con l’esigenza di garantire tutela a contesti paesaggistici (anche urbani) che per il loro valore storico, ambientale ed architettonico, sono il risultato di un equilibrio delicato rispetto al quale anche installazioni temporanee possono determinare un significativo pregiudizio al pubblico interesse connesso con la tutela del paesaggio.
La vicenda procedimentale è complessa e trae origine in occasione di Expo 2015. Wonder Wheel s.r.l. aveva infatti ottenuto, con provvedimento del 5 marzo 2015 del Dirigente dell’Area Edilizia Privata della Città di Torino e previa autorizzazione della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, di poter installare (dal 5 aprile 2015 alla fine del 2016) una grande ruota panoramica nel sito del Parco Valentino, dietro il monumento equestre. Due eventi tuttavia determinavano la mancata realizzazione dell’opera: da un lato i ritardi nella realizzazione di un basamento di sostegno all’opera che era stato richiesto dalla Commissione provinciale di vigilanza nell’aprile 2015, dall’altro l’avvenuta adozione (con deliberazione della Giunta Regionale 18/05/2015 n. 20 – 1442), del Piano Paesaggistico Regionale (P.P.R.). Quest’ultimo impone che vengano preservate nella loro integrità le visuali dell’asse prospettico costituito dal viale alberato di corso Marconi e dai fulcri del castello del Valentino e della chiesa di San Salvario. Analogamente devono essere garantite le visuali percepibili dal corso Raffaello verso il parco con il monumento ad Amedeo di Savoia quale fulcro centrale e il rilievo collinare sullo sfondo, nonché le visuali fruibili dal fiume verso l’area tutelata nel suo complesso. Successivamente la società Wonder Wheel aveva avviato un nuovo procedimento per l’installazione di una grande ruota panoramica da posizionare in prossimità del monumento di Amedeo di Savoia in asse con corso Raffaello, nel sito del Valentino – e presentava pertanto nel mese di maggio 2017, domanda di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004. La Commissione locale per il paesaggio della Città di Torino aveva espresso nel giugno 2017 parere contrario alla sua approvazione per contrasto con i contenuti prescrittivi del P.P.R., rimanendo tuttavia disponibile a valutare eventuali altre proposte compatibili con gli strumenti di vincolo vigenti. Nell’autunno del 2017, la società aveva presentato documentazione integrativa affinché la Commissione locale per il paesaggio potesse condurre un riesame del progetto: in data 9 novembre 2017 la Commissione confermava il parere negativo già espresso, evidenziando che la società non proponeva soluzioni alternative al progetto originario. Il parere della Commissione veniva quindi trasmesso, ai sensi dell’articolo 146, co. 7, d.lgs. 42/2004, alla Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per il Piemonte ai fini dell’espressione del parere vincolante ad essa spettante. La Soprintendenza, in data 15 dicembre 2017, comunicava alla società preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 e successivamente, in data 18 gennaio 2018, esprimeva parere vincolante negativo all’istanza di autorizzazione paesaggistica, ritenendo l’intervento incompatibile con le prescrizioni d’uso dei beni paesistici e con la conservazione della visuale da corso Raffaello. Il procedimento veniva conseguentemente definito in data 16 febbraio 2018 con il diniego dell’autorizzazione paesaggistica da parte del dirigente dell’Area Edilizia Privata della Città di Torino, il quale dava atto del parere negativo della Commissione Locale per il Paesaggio e del parere negativo vincolante della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici.
Nel maggio 2018 il T.A.R. Piemonte aveva respinto la domanda di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati ritenendo gli stessi «congruamente motivati in relazione alla tutela del sito ed alle sopravvenute prescrizioni vincolistiche del piano paesaggistico regionale e considerando l’inequivocabile impatto che l’installazione della ruota panoramica avrebbe generato in relazione al Parco del Valentino, imponendosi quale attrattore percettivo principale».
A seguito di appello cautelare, il Consiglio di Stato nel luglio 2018 era intervenuto riformando tale pronuncia e disponendo da parte del Comune di Torino e della Soprintendenza nuovi approfondimenti istruttori in merito all’impatto paesaggistico della ruota panoramica, con valutazione della possibilità di indicare eventuali misure adottabili «per mitigare ovvero escludere un impatto eccessivo di tale installazione». Wonder Wheel s.r.l. aveva dunque in seguito presentato alle Amministrazioni coinvolte una nuova proposta progettuale con un posizionamento differente della ruota panoramica, seppur nella stessa area. Nell’ottobre del 2018 la Commissione Locale per il Paesaggio aveva tuttavia espresso un nuovo parere negativo, ritenendo che non fossero realizzabili misure da adottare per mitigare l’impatto e che tale mitigazione avrebbe potuto essere valutata solo nei confronti di una soluzione che prevedesse l’installazione della ruota in una diversa area della città, esterna alle visuali percepibili da corso Raffaello verso il Parco; e questo poiché anche una eventuale rotazione del manufatto avrebbe in ogni caso comportato la proiezione frontale di 36 cabine e della struttura dell’impianto, determinando un evidente impatto visivo contrastante con le prescrizioni stabilite dal P.P.R. Successivamente, mese di novembre 2018, era stato depositato in giudizio un rapporto della Soprintendenza che confermava la materiale impossibilità di mitigare l’impatto visivo determinato dalla ruota panoramica e la necessità che la stessa venisse collocata in un’altra zona della città.
Le censure nei confronti del parere della Commissione locale del paesaggio e del preavviso di diniego da parte della Soprintendenza, pur valutate come inammissibili in quanto riferite ad atti endo-procedimentali, sono dal T.A.R. considerate nel merito infondate. Esse infatti richiamano un concetto “elastico” di visuale (alcune visuali in sostanza sarebbero da preservare in assoluto, altre solo garantire) che appare estraneo a quanto disposto dal P.P.R. (rispetto al quale i verbi preservare, garantire e salvaguardare debbono considerarsi semanticamente equipollenti), e invocano una nozione di paesaggio mutevole, non cristallizzata, tale da poter essere adeguata ad un contesto urbano vivo e dinamico che non risulta in linea con le prescrizioni di cui al D.M 14 aprile 1948 che, nel dichiarare il notevole interesse pubblico del Parco del Valentino, ne individuano il valore paesaggistico derivante dal fatto che esso integra un complesso panoramico assai caratteristico derivante da un equilibrio storicamente determinato tra componenti architettoniche vegetali, idriche, topografiche e ambientali. Il T.A.R. pertanto valuta che l’Amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnico-valutativa (sindacabile soltanto sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, nonché sotto il profilo dell’adeguata motivazione) abbia operato al fine di preservare la valenza storica e paesaggistica del parco, le cui componenti naturalistiche e paesaggistiche avrebbero subito una consistente alterazione in seguito all’installazione di una ruota panoramica che avrebbe significativamente modificato le visuali percepibili da Corso Raffaello verso il Parco del Valentino (con il monumento ad Amedeo di Savoia quale fulcro centrale), nonché la vista del rilievo collinare sullo sfondo. L’impossibilità di mitigare l’impatto dell’opera rispetto al contesto paesaggistico risulta con maggiore evidenza dal fatto che la Commissione locale e la Soprintendenza erano state chiamate in seguito all’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato a valutare nuovi adeguamenti progettuali e si erano nuovamente pronunciate nel senso di un diniego a causa del significativo ed ineliminabile impatto visivo dell’opera. [L. Conte]
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IL DISTRIBUTORE DI BENZINA MAL SI INTEGRA NEL CENTRO STORICO E A NULLA VALE IL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 845/2018 – sent. 17 aprile – 30 aprile 2019, n. 530,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Tamoil Italia S.p.A.. c. Comune di Ceva]
Il T.A.R. Piemonte ha respinto il ricorso di Tamoil Italia s.p.a. per l’annullamento della nota con cui il Comune di Ceva (CN) negava in via definitiva il rinnovo, della durata di nove anni, della concessione di suolo pubblico per un impianto di distribuzione carburanti sito nel centro storico del comune cuneese, concedendo un rinnovo della durata più breve di un anno decorso il quale sorgeva l’obbligo di smontare l’impianto e bonificare l’area entro sei mesi.
La negazione del rinnovo novennale si basa su di una deliberazione con cui la Giunta Comunale che dava conto della volontà di migliorare l’area dal punto di vista estetico e della fruibilità pedonale.
La Società ricorrente riteneva tuttavia generiche le ragioni del diniego e lamentava, inoltre, la violazione del principio del legittimo affidamento con riferimento alla prosecuzione della concessione poiché tale distributore si trovava sito in loco dal 1952 (in precedenza gestito da Total Italia S.p.A., dal 1998 da Tamoil Petroli s.p.a. a sua volta fusa in Tamoil Italia S.p.A.). La parte in diritto della pronuncia che qui si annota riporta significativi stralci della Deliberazione della Giunta comunale da cui si evince una rinnovata consapevolezza dell’opportunità di preservare e, all’occasione, riqualificare, l’area urbana definibile come centro storico. Nel caso del Comune di Ceva, a testimonianze genuinamente medievali (riconducibili al secolo XIV) si accompagnano anche operazioni di recupero architettonico svoltesi in tempi successivi (XIX secolo) e che hanno riportato alla luce elementi di sicuro pregio archeologico (come gli elementi scultorei in arenaria, anteriori all’anno 1000, posti sul frontespizio di un edificio che si affaccia sulla zona occupata dal distributore). Oltre all’aspetto architettonico e paesaggistico, la deliberazione della Giunta comunale pone in evidenza anche il tema ambientale, sottolineando come il distributore di carburanti si trovi molto vicino alle abitazioni, provocando «condizioni di disagio alla popolazione residente a causa delle esalazioni e vapori che fuoriescono dagli impianti», testimoniate anche da una petizione scritta da parte di 35 cittadini.
La scelta dell’Amministrazione appare dunque ampiamente giustificata essendo fondata su ragioni di oggettivo pubblico interesse, oltretutto offrendo al ricorrente un più breve periodo di rinnovo al fine di poter prendere le misure necessarie per organizzare lo smantellamento dell’impianto e la successiva bonifica dell’area. Anche la lesione del presunto affidamento lamentata dalla ricorrente non appare fondata: come già rilevato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, non sussiste un diritto al rinnovo automatico della concessione perché ciò si porrebbe in contrasto con il sistema a scadenza e periodico rinnovo comportante rivalutazione dei presupposti (Cons. St., sez. V. n. 921/2010): il sistema delle concessioni si basa, infatti, sulla loro fisiologica scadenza senza “diritto di insistenza” (Cons. St., sez. V, n. 3960/2014). [L. Conte]
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STAZIONE RADIO INCOMPATIBILE CON IL PAESAGGIO. A CHI SPETTA LA VALUTAZIONE E SULLA BASE DI QUALI PRESUPPOSTI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 1236/2013 – sent. 20 marzo 2019-29 aprile 2019, n. 516,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Nokia Siemens Network Italia s.p.a. c. Regione Piemonte]
La Regione Piemonte respinge istanza di autorizzazione paesaggistica richiesta dalla Società ricorrente per la costruzione di una stazione radio base per telefonia mobile nel Comune di Roccabruna (CN). L’area interessata risulta sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142, primo comma – lett. c), del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto situata nella fascia di 150 metri dal torrente Combale del Copetto. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Artistici del Comune di Torino nel preavviso di diniego aveva sottolineato l’intervento proposto non appariva compatibile con le caratteristiche dei luoghi oggetto di tutela paesaggistica, sia per ragioni di impatto visivo della struttura (alta 36 metri), sia perché la realizzazione della stazione radio base risultava in contrasto con la salvaguardia dei caratteri di naturalità della fascia fluviale, nel contesto di un’area non edificata a prevalente destinazione agricola e classificata come area agricola dal P.R.G. del Comune di Roccabruna.
Il T.A.R. osserva come il giudizio in ordine alla compatibilità di tale intervento, rispetto al vincolo paesaggistico, risulti connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, essendo conseguente alla applicazione di cognizioni scientifiche specialistiche proprie di settori disciplinari caratterizzati da margini di opinabilità (e di conseguenza, la valutazione compiuta dall’Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della motivazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2015 n. 4747; Id., sez. VI, 22 aprile 2014 n. 2019). L’osservazione, formulata dalla Soprintendenza nelle sue valutazioni, e relativa al fatto che l’area su cui è richiesto l’intervento sia qualificata come agricola dal P.R.G del Comune di Roccabruna possiede pertanto una valenza «del tutto incidentale e descrittiva», e non vale a fondare tali valutazioni su prescrizioni del piano regolatore comunale. [L. Conte]
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INSTALLAZIONE ANTENNE IN DEROGA AL LIMITE DI ALTEZZA PREVISTO DAL REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 1079/2017 – sent. 27 febbraio – 7 marzo 2019, n. 258,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[EI Towers S.p.A. c. Comune di La Morra]
La possibilità di installare un nuovo sistema radiante composto da pannelli TV da collocare a quota +43m tramite un pennone di prolunga da posizionare sulla sommità di un traliccio già esistente costituisce la materia del contendere tra la EI Towers s.p.a. e il Comune di La Morra (CN).
Il regolamento edilizio comunale prevede infatti che l’altezza massima dei tralicci non possa superare i 35 m dal piano di campagna esistente e tuttavia stabilisce che eventuali deroghe debbano essere valutate e preventivamente autorizzate dal Consiglio comunale e sottoposte a convenzione. Questa disposizione non esclude dunque che il limite massimo di altezza dei tralicci, a determinate condizioni, possa essere superato. Allo stesso tempo, tuttavia, la commissione locale per il paesaggio comunica parere contrario al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Il ricorso della Società si muove dunque su due fronti: da un lato le prescrizioni del regolamento edilizio comunale, dall’altro il diniego dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’opera.
In particolare, viene rilevato come il traliccio oggetto della installazione di una prolunga superi già il limite dei 35 m e che dunque la disposizione del regolamento edilizio comunale non possa operare retroattivamente. In secondo luogo, l’Amministrazione avrebbe mancato di considerare l’interesse pubblico alla omogenea propagazione del segnale e dunque alla corretta erogazione del servizio. Inoltre, le infrastrutture in questione costituirebbero opere di urbanizzazione primaria con carattere di pubblica utilità e pertanto non assoggettate alle prescrizioni e agli standard urbanistici stabiliti dai regolamenti edilizi. L’istanza di deroga prevista dal regolamento edilizio comunale determinerebbe altresì un aggravio del procedimento contrario alla disciplina generale in materia di segnalazione certificata di attività e al sistema normativo delineato dal codice delle comunicazioni elettroniche.
Tali censure sono giudicate infondate. Innanzitutto, deve ritenersi che le prescrizioni del regolamento edilizio comunale in tema di limiti all’altezza delle antenne operino anche in relazione a modifiche ad opere già esistenti, essendo tali modifiche disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui la modifica viene domandata.
Il T.A.R. osserva come il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, abbia espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6 della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può intendersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 dicembre 2013, n. 687).
Le opere di urbanizzazione primaria in quanto tali risultano pertanto compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale (in applicazione del principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni). La giurisprudenza costituzionale ha inoltre chiarito come le disposizioni poste a tutela di siti sensibili rispetto alla localizzazione di infrastrutture per le telecomunicazioni sono legittime qualora consentano localizzazioni alternative e non ne determinino in concreto l’impossibilità (Corte Cost., sentenze n. 331/2003 e 307/2003).
Non è consentita perciò al Comune la previsione di limiti di carattere generale, volti a tutelare la popolazione dalle immissioni elettromagnetiche: tale funzione infatti compete allo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1955/2014).
Pertanto, il regolamento comunale previsto dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o volte a proteggere zone c.d. sensibili quali ospedali e scuole dall’esposizione a campi elettromagnetici. Non è invece ammessa l’imposizione di limiti generalizzati all’installazione degli impianti qualora essi si configurino come incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 723/2014).
Viene in proposito richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto che, in forza di quanto previsto dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, il Comune possa prevedere regole generali in materia di impianti di radiocomunicazione e della loro localizzazione ai fini di preservare un armonioso e corretto assetto del territorio corrispondente a particolari esigenze di interesse pubblico che tuttavia non si traducano in limitazioni alla copertura di rete (Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 3891 del 3 agosto 2017).
Il regolamento edilizio comunale del Comune di La Morra, prevendendo che l’altezza massima del traliccio non possa superare i metri 35 dal piano di campagna esistente e stabilendo che eventuali deroghe dovranno essere sottoposte alla valutazione e previa autorizzazione da parte del Consiglio Comunale e alla relativa convenzione, trova il proprio fondamento normativo nella previsione di cui all’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001.
Non risulta dunque è censurabile l’attribuzione al Consiglio Comunale del potere di concedere o meno deroghe al limite di altezza, venendo in rilievo il potere urbanistico di governo del territorio.
Non ha fondamento neppure la censura secondo cui l’amministrazione non avrebbe considerato l’interesse pubblico alla corretta erogazione del servizio e alla omogenea propagazione del segnale: a tale valutazione infatti attiene ad una fase procedimentale successiva rispetto a quella conclusa con il provvedimento impugnato. [L. Conte]
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ALL’AMMINISTRAZIONE NON È DATO RILASCIARE TITOLI EDILIZI CHE CONFLIGGONO CON DOCUMENTATI DIRITTI DI TERZI
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 918/2018 – sent. 10 aprile – 30 aprile 2019, n. 523,
Pres. Testori, Est. Malanetto
[Bargoni ed altri c. Comune di Torino]
Il Comune di Torino ha rilasciato un permesso di costruire per la edificazione di tre villette a un piano fuori terra con autorimesse in un’area destinata a parco e gravata da un vincolo di inedificabilità costituito con atto a rogito notarile nel 1968 (richiamato altresì dal regolamento condominiale dell’area su cui dovrebbero sorgere le nuove edificazioni, nonché nella trascrizione dell’atto d’acquisto dei controinteressati). I ricorrenti richiedono dunque all’amministrazione di intervenire in autotutela sul titolo edilizio già rilasciato.
Come rileva il T.A.R., quella mossa al titolo edilizio rilasciato costituisce una contestazione che non attiene ad aspetti di carattere strettamente urbanistico edilizio, ma riguarda la sussistenza di un diritto reale di terzi non considerato nella pratica edilizia (nonostante fosse pacificamente risultante dalla documentazione in atti). Il Collegio ha l’occasione di rilevare come, sebbene la giurisprudenza in materia di edilizi abbia stabilito che all’amministrazione non compete di svolgere complesse indagini al fine di dirimere controversie civilistiche tra le parti coinvolte, alla stessa non è dato rilasciare titoli edilizi che confliggano con documentati diritti di terzi, come la servitù di inedificabilità invocata dai ricorrenti nel caso di specie. Ancora una volta (sul punto v. Cons. St. sez. V, n. 3525/2000) viene ribadito che, ai fini del rilascio di una concessione edilizia, non sia sufficiente la mera dimostrazione della proprietà del terreno su cui si intende edificare, ma debba altresì risultare che la disponibilità del terreno sia piena e non gravata da diritti reali di godimento che possano incidere sulla possibilità di edificazione dell’area.
Il ricorso risulta pertanto fondato e il T.A.R. lo accoglie annullando il provvedimento impugnato in quanto l’amministrazione non ha coerentemente chiuso il procedimento di autotutela (avviato preannunciando l’annullamento del titolo a causa della emersa servitù di inedificabilità e sbrigativamente – e, forse, tautologicamente – concluso nel senso che la servitù non risulta documentata nella pratica edilizia), omettendo di valutare una carenza di legittimazione a richiedere il titolo da parte dei controinteressati risultante al contrario da tutta la pertinente documentazione e senza che dovesse determinarsi alcun complesso accertamento. [L. Conte]
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LE NORME DEI REGOLAMENTI EDILIZI HANNO PORTATA INTEGRATIVA DELLE DISPOSIZIONI DETTATE DAL CODICE CIVILE CON RIFERIMENTO AL MECCANISMO DELLA PREVENZIONE. IN TEMA DI COSTRUZIONI IN ADERENZA, L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE PUÒ FORMULARE INTERPRETAZIONI AUTENTICHE DELLO STRUMENTO URBANISTICO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 390/2018 – sent. 10 aprile – 16 maggio 2019, n. 595,
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[Bosio c. Comune di Torino ed altro]
Il ricorso del proprietario di un edificio residenziale per l’annullamento del permesso di costruire rilasciato dal Comune di Torino alla Società Giacosa s.r.l. confinante per la realizzazione di un intervento di demolizione di fabbricati esistenti adibiti ad istituto religioso, realizzazione di edificio residenziale a cinque piani fuori terra, sottotetto abitativo e piano interrato adibito a box e cantine, costituisce per il T.A.R. l’occasione di formulare alcune precisazioni sul significato dell’espressione “costruzione in aderenza”, la quale presenta «oggettivi margini di ambiguità».
Il nuovo edificio, a giudizio del ricorrente, non rispetterebbe il parametro della distanza tra confini privati prescritto nella tavola normativa n. 2 allegata alle n.u.e.a. del p.r.g.: tale parametro prevede, nella realizzazione di interventi di completamento nelle aree residenziali “R2”, una distanza da confini privati consistente nella aderenza o uguale o superiore ai 5 metri. L’edificio in questione non si porrebbe interamente in aderenza al fabbricato limitrofo (che ha un’estensione più limitata) né ad una distanza superiore o uguale a 5 metri dalla linea di confine. Nell’interpretazione fornita dal ricorrente le opere integranti il “completamento” dovrebbero essere collocate a 5 metri dal confine di proprietà oppure in aderenza all’eventuale edificio insistente sul lotto vicino ed avente una parete sulla linea di confine.
Il Collegio ritiene che la previsione contenuta nella tavola normativa n. 2 del p.r.g. (che stabilisce per le costruzioni – quali quella in esame- che ricadono nelle “Zone Urbane Storico Ambientali IV-XXX due diverse distanze, quella tra fabbricati (“aderenza oppure maggiore o uguale a 10 metri”) e quella dai confini (“aderenza oppure maggiore o uguale a 5 metri”) sia stata correttamente interpretata dall’amministrazione comunale come attributiva della facoltà di edificare sulla linea di confine (e non a 5 metri dal confine oppure in aderenza all’eventuale edificio insistente sul lotto vicino e avente una parete sulla linea di confine, come valutato dal ricorrente).
Viene a questo proposito richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha stabilito, con riferimento ai regolamenti edilizi, che ad essi sia riconosciuta una portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile. Essa non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dal codice, ma si estende anche «all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia», compreso il meccanismo della prevenzione (secondo il quale il proprietario che costruisce per primo determina le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini). I regolamenti locali possono dunque eventualmente escludere l’operatività di tale meccanismo, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza.
Il Collegio, nel respingere il ricorso, precisa come la tavola normativa del p.r.g. in questione non costituisca deroga al criterio della prevenzione, per cui deve ritenersi consentita al preveniente la possibilità di costruire sul confine, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 873 e ss. c.c., perciò a prescindere dalla preesistenza di un fabbricato. La delibera della Giunta Comunale del 25 luglio 1995 ha pertanto ragionevolmente interpretato la disposizione come volta a consentire l’edificazione sulla linea di confine. Rispetto a tale delibera, il ricorrente nei motivi aggiunti aveva lamentato l’inesistenza per l’amministrazione del potere di dettare interpretazioni autentiche dello strumento urbanistico. Invero, tale possibilità (che non si traduce in una invasione delle competenze del Consiglio comunale e non determina modifiche dello strumento urbanistico) è da ritenersi consentita al fine di chiarire, fornendo istruzioni operative agli uffici comunali, il significato e le modalità applicative di disposizioni che possano comportare difficoltà interpretative. [L. Conte]
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IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE SI IMPONE A TUTTI I SOGGETTI E IN TUTTE LE FASI DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E L’ONERE PROBATORIO SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO POTENZIALE GRAVA SIA SULLE AMMINISTRAZIONI COINVOLTE CHE SULLA SOCIETÀ RICORRENTE
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 1358/2013 – sent. 20 marzo – 23 aprile 2019, n. 460,
Pres. Giordano, Est. Perilli
[Eridis s.r.l. c. Comune di Nizza Monferrato ed altri]
La vicenda da cui trae origine il ricorso ha inizio con la comunicazione (ai sensi dell’ articolo 301, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) da parte di Eridis s.r.l. al Comune di Nizza Monferrato (AT), alla Provincia di Asti, all’Azienda Sanitaria Locale di Asti e all’Agenzia regionale per la protezione ambientale che presso il deposito di olii combustibili di sua proprietà, sito nel Comune di Nizza Monferrato e destinato ad uso commerciale, si era verificato un possibile superamento delle soglie di contaminazione del sottosuolo. In seguito la Conferenza di servizi, attivatasi per dare inizio all’analisi specifica del rischio sanitario ambientale aveva determinato come obiettivo per la bonifica delle acque sotterranee il parametro, per la sostanza MtBE (Metil-ter-butil-etere), di 40 microgrammi per litro.
La società ricorrente ritiene illegittima la fissazione di tale parametro poiché: a) il parere dell’Istituto Superiore di sanità richiama uno studio dell’Agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti; b) il MtBE non risulta menzionata dal d.lgs. n.152/2006 (tab. 2, allegato 5, titolo V, parte IV) tra le sostanze che contaminano le acque sotterranee, né risulta classificata tra le sostanze ad effetti cancerogeni; c) gli organi tecnici consultivi delle Amministrazioni, quali l’Istituto superiore di Sanità o l’A.R.P.A., o le stesse Amministrazioni con i pareri espressi in sede di Conferenza di Servizi, quali quelli rilasciati dalla Provincia di Asti e della A.S.L. di Asti, che richiamano i parametri scientifici di nocività indicati dall’Health Canada, non possono integrare le lacune o i limiti previsti dalle fonti normative in materia.
La Società ricorrente lamenta altresì una errata applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174 del Trattato C.E. (oggi trasfuso nell’articolo 191 del T.F.U.E. e a sua volta recepito nel d.lgs. n.152/2006). Tale principio, infatti, sarebbe applicabile soltanto in presenza di un rischio potenziale ed ove la base scientifica sia insufficiente a determinare una valutazione particolareggiata del rischio e non escluda il carattere dannoso di una certa concentrazione delle acque della sostanza. Con riferimento alla sostanza MtBE, la ricorrente allega il parere di due tossicologi in base a cui non risulta provato che la presenza di tale sostanza nelle acque sotterranee abbia conseguenze negative sulla salute umana o comporti rischi anche soltanto potenziali.
Il Collegio, invertendo la trattazione dei motivi del ricorso, ritiene di soffermarsi in via preliminare sulla portata del principio di precauzione. Sulla base di tale principio, le autorità incaricate della valutazione e della gestione del rischio devono fornire la prova della nocività anche potenziale del fenomeno, del prodotto o del processo sulla base dei seguenti presupposti: a) potenziale pericolosità; b) possesso di dati scientifici obiettivi, attuali e disponibili in merito alla potenziale pericolosità; c) impossibilità di determinare il rischio con sufficiente certezza. In seguito all’individuazione dei presupposti per l’adozione di una misura di precauzione, l’onere di provare l’assenza del pericolo spetta all’impresa colpita da tali misure.
Con riferimento alle risultanze scientifiche che denotano la potenziale pericolosità del MtBE imponendo la fissazione di valori soglia per la sua concentrazione, sono da ritenersi validi tanto il parere dell’Agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti richiamato dall’Istituto Superiore di sanità quanto l’utilizzo del software “RBCA Tool Kit for Chemical Releases”, versione 2.5., implementato dallo studio scientifico dell’Health Canada richiamato nel parere dell’A.s.l. di Asti. Il principio di precauzione, infatti, che si impone a tutti i soggetti e in tutte le fasi dell’attività amministrativa, permette che la normativa interna possa essere integrata da normative tecniche di identificazione del rischio potenziale che siano state formulate in paesi stranieri e assunte nei pareri di organi tecnici quali Istituto Superiore di Sanità, A.R.P.A e A.s.l. A nulla peraltro vale che la sostanza MtBE non risulti inclusa nelle tabelle allegate al d. lgs n. 152/2006, poiché il parere espresso da un organo tecnico quale l’Istituto Superiore di Sanità che ha evidenziato valori soglia di concentrazione al superamento dei quali potrebbero determinarsi effetti avversi alla salute umana denota un livello di concordia della comunità scientifica anche internazionale sufficiente a giustificare l’applicazione del più rigido principio di prevenzione, per cui con riferimento a tale sostanza non è ammessa alcuna valutazione discrezionale da parte delle amministrazioni che gestiscono le procedure di bonifica.
Si ritiene, dunque, che le Amministrazioni, acquisiti tali dati, abbiano evaso la prova sulla potenziale pericolosità della presenza di MtBE nella falda acquifera; al contrario, la Società ricorrente non dimostrato la non pericolosità della sostanza MtBE per la salute umana e per l’ambiente. Il parere tossicologico presentato dalla parte ricorrente, infatti, non fornisce prova della assenza di una potenziale tossicità di tale sostanza. [L. Conte]
SANITA’
LEGITTIME LE DELIBERE REGIONALI DEL 2015 DI RIORGANIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA, ANCHE DOMICILIARE, AGLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 742/2015 – sent. 23 gennaio – 29 aprile 2019, n. 501,
Pres. Giordano, Est. Patelli
[Associazione Promozione Sociale ed altri c. Regione Piemonte]
Con la sentenza in oggetto il T.A.R. Piemonte ha respinto il ricorso proposto da alcune associazioni per la difesa di categorie sociali deboli (tra cui, in particolare, gli anziani non autosufficienti) contro alcuni provvedimenti emanati dalla Regione Piemonte in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti.
Più precisamente, con il ricorso introduttivo del giudizio le associazioni citate – formazioni sociali prive di scopo di lucro – hanno impugnato la D.G.R. n. 18-1326 del 20 aprile 2015, con cui la Regione ha fissato il limite massimo (“tetto”) della spesa a carico del Servizio sanitario regionale per le persone anziane non autosufficienti in 280 milioni di euro; ha approvato il «quadro di rinnovamento del sistema della residenzialità» per le medesime persone anziane non autosufficienti, con efficacia a partire dal 30 giugno 2015; ha demandato, infine, a successivi provvedimenti la definizione delle «regole e dei criteri attuativi del rinnovato sistema della residenzialità». Successivamente, con ricorso per motivi aggiunti le associazioni hanno altresì impugnato la D.G.R. n. 34-3309 del 16 maggio 2016, avente ad oggetto la «modulazione dell’offerta di interventi sanitari domiciliari a favore degli anziani non autosufficienti» e – in secondo luogo – l’avvio di un «progetto residenziale sperimentale», denominato «R.S.A. aperta», della durata di tre anni sino al 31 dicembre 2018 (in esecuzione della D.G.R. n. 18-1326/2015, sopra citata). Tale progetto consiste, sostanzialmente, nell’offerta agli anziani non autosufficienti – e alle relative famiglie – della possibilità di scegliere l’erogazione presso il domicilio delle prestazioni assistenziali del Servizio sanitario regionale, al fine di evitare il ricovero in una struttura R.S.A.
La controversia in oggetto fa seguito ad altri due giudizi davanti allo stesso T.A.R. Piemonte, invero assai noti – R.G. 983/2012 e 430/2014 –, tra le stesse parti, che avevano riguardato provvedimenti analoghi adottati dalla Giunta regionale negli anni precedenti, sempre in materia di assistenza alle persone non autosufficienti. Questi giudizi avevano registrato un contrasto tra la posizione del T.A.R., da un lato (che aveva accolto i ricorsi delle associazioni), e del Consiglio di Stato, dall’altro lato (che invece aveva ritenuto legittimi i provvedimenti della Regione, annullando quindi le sentenze del T.A.R.), con riferimento – in particolare – alla questione del conflitto, e della possibilità di bilanciamento, tra l’esigenza di garantire le prestazioni assistenziali ai soggetti non autosufficienti (tutelando così il loro diritto all’assistenza sociale) e, dall’altra parte, i vincoli di bilancio di cui all’art. 81 Cost. (addotti dalla Regione a giustificazione delle scelte adottate con i provvedimenti citati, volte complessivamente alla razionalizzazione/contenimento della spesa assistenziale e contestate, per ciò, dalle associazioni ricorrenti). Nel giudizio qui in esame le associazioni ricorrenti hanno proposto, in larga parte, le stesse censure dei due precedenti giudizi, incentrate sul mancato coinvolgimento delle associazioni medesime (e di altri soggetti) nel procedimento di adozione delle delibere impugnate e – dal punto di vista sostanziale – sull’irragionevole compromissione del diritto all’assistenza delle persone anziane non autosufficienti, in particolare attraverso la previsione di un «limite invalicabile di spesa» (il “tetto” di cui sopra). Questo “limite di spesa”, secondo le ricorrenti, si porrebbe in contrasto con la necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, «le quali non possono essere vincolate a tetti di spesa e per le quali l’equilibrio di bilancio va ricercato nelle risorse interamente disponibili (compresi i trasferimenti statali), non nel singolo capitolo di spesa», come avrebbe fatto la Regione nel caso di specie. Il T.A.R. Piemonte, rilevata la sostanziale identità delle censure, in questo caso sceglie di dare continuità (o di “adeguarsi”) all’orientamento del Consiglio di Stato – sopra richiamato –, riportando nella motivazione della sentenza ampie parti della decisione di quest’ultimo n. 604/2015 (riguardante la precedente D.G.R. n. 45-4248 del 30 luglio 2012).
In particolare il T.A.R. afferma – come il Consiglio di Stato – che «né la previsione di un limite di spesa [per le prestazioni assistenziali agli anziani non autosufficienti: n.d.A.] nella modalità effettuata dalla Regione Piemonte, né il sistema di valutazione da parte dell’U.V.G. [Unità di Valutazione Geriatrica: n.d.A.] e delle liste di attesa contrastano con la garanzia di fornire agli anziani non autosufficienti livelli essenziali di prestazioni sanitario-assistenziali»; e respinge inoltre i motivi di ricorso relativi al «progetto residenziale sperimentale» denominato «R.S.A. aperta», di cui alla D.G.R. n. 34-3309/2016. Il T.A.R. Piemonte fa quindi salve, in questo caso, le decisioni assunte dalla Regione, mostrandosi particolarmente attento alle esigenze di bilancio e di conseguente razionalizzazione (/contenimento) della spesa pubblica, a fronte dell’esigenza di garanzia delle prestazioni assistenziali ai soggetti coinvolti. [G. Sobrino]
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SOLO I MEDICI DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE O CONVENZIONATI POSSONO PRESCRIVERE LE PRESTAZIONI A CARICO DEL SERVIZIO SANITARIO PUBBLICO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 751/2018 – sent. 5 dicembre 2018 – 22 maggio 2019, n. 608,
Pres. Giordano, Est. Risso
[Sindacato dei Medici italiani c. Regione Piemonte ed altri]
La sentenza indicata ha accolto il ricorso proposto dal Sindacato dei Medici italiani – con l’intervento ad adiuvandum dell’ANAAO ASSOMED (associazione sindacale dei medici ospedalieri) e di altri soggetti – contro la Delibera della Giunta Regionale piemontese n. 40-7097 del 22 giugno 2018, avente come oggetto «Semplificazione dell’accesso alle prestazioni specialistiche ambulatoriali e farmaceutiche: integrazione delle categorie dei medici cui è attribuita la responsabilità delle prescrizioni con ricetta dematerializzata a carico del SSR». Con tale Delibera la Regione Piemonte ha stabilito di abilitare tutti i medici specialisti appartenenti alle strutture private accreditate dalla Regione stessa ad effettuare prescrizioni di prestazioni di specialistica ambulatoriale e farmaceutica a carico del Servizio sanitario regionale (come l’acquisto di farmaci, l’effettuazione di visite o di esami diagnostici), a favore degli assistiti; e ciò tramite l’utilizzo (esclusivo) della ricetta c.d. “dematerializzata” del Servizio sanitario nazionale. L’estensione dell’abilitazione a prescrivere le prestazioni era stata prevista dalla D.G.R. in due fasi successive (con categorie diverse di medici successivamente autorizzati): la prima a decorrere dal 1° settembre 2018, la seconda dal 1° gennaio 2019. Il T.A.R. ha però accolto l’istanza cautelare dei ricorrenti il 13 settembre 2018, sicché il provvedimento in questione non è stato mai, di fatto, attuato.
La Regione Piemonte ha giustificato l’adozione di questa misura – indubbiamente di rilievo significativo –, in primo luogo, con la disposizione dettata dall’art. 50 della legge n. 326/2003: essa – secondo la Regione – riconoscerebbe «alle Regioni la facoltà di regolare il settore dei soggetti cui è attribuita la responsabilità delle prescrizioni; è stato sostanzialmente ripreso dall’Intesa Stato Regioni del 23.3.2005 rep. n. 2271 che, nel ribadire gli adempimenti cui sono tenute le regioni per mantenere la stabilità e l’equilibrio di gestione del Servizio Sanitario Regionale richiama, quale misura di contenimento della spesa, il controllo della domanda ed i relativi strumenti». In secondo luogo, l’Amministrazione regionale ha richiamato la sentenza del Consiglio di Stato n. n. 362/2006, che, nel respingere un ricorso proposto contro il Regolamento delle prescrizioni adottato dalla Regione Puglia, avrebbe confermato la legittimazione delle Regioni a regolare la materia dei soggetti responsabili delle prescrizioni. Inoltre, nella motivazione della D.G.R. impugnata vengono addotti i seguenti obiettivi (che verrebbero perseguiti dall’estensione ai medici privati del potere di prescrivere le prestazioni a carico del Servizio sanitario regionale): migliorare l’accessibilità ai servizi per il cittadino; favorire l’assunzione condivisa di responsabilità nelle scelte di governo clinico da parte dei medici e dei professionisti sanitari che operano nel territorio (sulla scorta di quanto definito nei diversi livelli della programmazione socio-sanitaria); migliorare la c.d. “appropriatezza prescrittiva” ed il relativo controllo (la misura adottata consentirebbe alla Regione di svolgere le dovute verifiche sulle prescrizioni effettuate dai medici, nonché l’analisi e la valutazione dei comportamenti in termini di consumo di prestazioni e di conseguente utilizzo delle risorse disponibili).
Il Sindacato ricorrente ha dedotto contro la Delibera citata quattro motivi di ricorso. In particolare (ed è questo il motivo accolto, in via assorbente, dal T.A.R.), esso ha sostenuto che il provvedimento impugnato, abilitando medici diversi da quelli dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionati con lo stesso ad effettuare prescrizioni a carico del medesimo S.S.N., contrasti con numerose disposizioni della legislazione statale; tra cui – più specificamente – l’art. 2 comma 1 del d.l. n. 443/1987. Tale disposizione, secondo il ricorrente, riserverebbe ai medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionati con lo stesso l’impiego dei ricettari per la prescrizione o la proposta di prestazioni erogabili dal S.S.N., il che sarebbe inoltre confermato dagli artt. 50 comma 2 del d.l. n. 269/2003, 11 comma 16 del d.l. n. 78/2010 e dalla relativa normativa di attuazione contenuta nel decreto ministeriale del 2 novembre 2011.
Il T.A.R. Piemonte, nell’accogliere il ricorso del Sindacato, ricostruisce in modo puntuale la disciplina in materia di organizzazione sanitaria e – in particolare – di autorizzazione alle prescrizioni, in rapporto al regime giuridico del personale medico. Oltre al d.lgs. n. 502/1992, artt. 8-bis e seguenti, il Tribunale Amministrativo si sofferma sul contenuto e la ratio dell’art. 2 del d.l. n. 443/1987 (invocato, come si è visto, dal sindacato ricorrente), recante «Disposizioni urgenti in materia sanitaria»: tale norma dispone espressamente – ed in modo chiaro, sottolinea la sentenza in oggetto – che «l’impiego dei ricettari per la prescrizione o la proposta di prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale è riservato ai medici dipendenti dal Servizio medesimo o con lo stesso convenzionati nell’ambito dei rispettivi compiti istituzionali». La disposizione in esame, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 1103/1988 (riguardante una norma della Regione Liguria che consentiva ai medici che collaboravano volontariamente con il Servizio sanitario nazionale di utilizzare modulari simili a quelli previsti per i medici convenzionati per le prescrizioni di farmaci ed altre richieste), esprime un «principio generale del sistema sanitario nazionale» che si fonda su due essenziali ragioni: riservare la scelta delle prescrizioni erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale a medici che abbiano una competenza accertata attraverso selezioni specifiche, e la cui attività sia sottoposta a specifici controlli (in modo da rendere più certa ed effettiva la garanzia del diritto fondamentale alla salute dei cittadini); evitare l’aumento incontrollato delle prescrizioni di farmaci, cercando pertanto di prevenire danni economici allo stesso Servizio Sanitario Nazionale.
Il T.A.R. Piemonte osserva che queste ragioni – oltre ad essere condivisibili (i medici dipendenti del S.S.N. hanno in effetti superato un concorso pubblico, ed anche il reclutamento dei pediatri di libera scelta del S.S.N. avviene attraverso una graduatoria per titoli predisposta annualmente a livello regionale) – sono ancora attuali: in particolare, è chiaro che più sono i soggetti abilitati a rilasciare la ricetta che consente di prescrivere prestazioni o farmaci a carico del S.S.N., più alto è il rischio che la spesa sanitaria aumenti. Del resto, lo stesso art. 2 del d.l. n. 443/1987 non è stato abrogato – né espressamente, né in via tacita o implicita – da alcuna norma successiva: il T.A.R. giunge a questa conclusione sulla base dell’analisi, in particolare, dell’art. 50 (commi 2, 4 e 11) del d.l. n. 269/2003 (richiamato, come si è visto sopra, nella motivazione della D.G.R. impugnata) e dell’art. 11 del d.l. n. 78/2010 e della relativa normativa di attuazione. La prima disposizione, secondo il Tribunale Amministrativo, non introduce una norma che attribuisce espressamente alle Regioni il potere di “abilitare” medici diversi da quelli indicati dall’art. 2 del d.l. n. 443/1987 ad effettuare prescrizioni a carico del servizio sanitario nazionale; essa prevede soltanto che le A.S.L., le Aziende Ospedaliere e (ove autorizzati dalle Regioni), gli Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico ed i Policlinici universitari, ai quali saranno distribuiti i modelli ricettari standardizzati e di ricetta a lettura ottica, consegnino tali modelli a tutti i medici del S.S.N. abilitati dalla Regione ad effettuare prescrizioni. L’espressione «abilitati dalla Regione» deve essere interpretata sistematicamente con il citato art. 2 comma 2 del d.l. n. 443/1987: le Regioni possono conferire la facoltà di prescrivere i farmaci e le prestazioni ai professionisti già dotati di un rapporto contrattuale personale di dipendenza o convenzionamento con il S.S.N. Per quanto riguarda, invece, la normativa di attuazione dell’art. 11 del d.l. n. 78/2010, la sentenza in esame si sofferma sul disciplinare tecnico allegato al decreto del 2 novembre 2011, recante «De-materializzazione della ricetta medica cartacea, di cui all’articolo 11, comma 16, del decreto-legge n. 78 del 2010 (Progetto Tessera Sanitaria)»: esso precisa che gli «Enti abilitati all’assegnazione dei ricettari ai medici (cfr. art. 50, comma 2 del DL 269/2003): sono da intendersi le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e, ove autorizzati dalle regioni, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ed dei policlinici universitari, le Regioni / Province Autonome provviste di SAR», e qualifica espressamente come «Medici prescrittori» i «soggetti aventi un rapporto di convenzione con il SSN oppure dipendenti di Strutture sanitarie pubbliche abilitati a prescrivere prestazioni a carico del SSN e SASN».
Infine – come ultimo argomento a sostegno della decisione di accogliere il ricorso – il T.A.R. afferma la non pertinenza alla fattispecie oggetto di giudizio della sentenza del Consiglio di Stato n. 362/2006, richiamata (come si è visto sopra) dalla Delibera regionale impugnata. Il caso deciso dal Consiglio di Stato aveva ad oggetto l’esclusione dei medici ospedalieri dall’uso del «ricettario regionale» nella Regione Puglia; il Giudice d’appello, inoltre, non ha riconosciuto il potere delle Regioni di «estendere l’ambito dei medici prescrittori, ma solo di regolare il settore dei soggetti cui è connessa la responsabilità delle prescrizioni». Sulla base di tutti questi argomenti, il T.A.R. Piemonte ha dichiarato dunque illegittima, ed annullato, la Delibera regionale impugnata dal Sindacato ricorrente. [G. Sobrino]
UNIVERSITA’
I COMPONENTI DELLA COMMISSIONE DI UN CONCORSO UNIVERSITARIO DEVONO ASTENERSI IN CASO DI RAPPORTO DI COLLABORAZIONE SCIENTIFICA STABILE CON UN CANDIDATO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G 501/2018 – sent. 6 marzo – 16 maggio 2019, n. 601,
Pres. Giordano, Est. Perilli
[Demasi c. Politecnico di Torino ed altri]
Il T.A.R. Piemonte ha accolto il ricorso proposto da un docente universitario (professore ordinario presso l’Università statale di San Diego, negli Stati Uniti) contro gli atti del concorso, bandito dal Politecnico di Torino, per due posti di professore di prima fascia presso il Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale, nel settore concorsuale Ingegneria aeronautica, aerospaziale e navale.
Il ricorrente contestava la procedura selettiva (già oggetto di alcuni articoli di stampa, che ne avevano adombrato l’irregolarità) deducendo cinque motivi di ricorso. Il primo ed il quinto motivo riguardavano la violazione del bando di concorso e dei principi di imparzialità e precauzione, in quanto due candidati (uno dei quali dichiarato poi vincitore) avevano presentato come titoli scientifici numerose pubblicazioni svolte in collaborazione con – e “cofirmate” da – il Presidente della Commissione, che tra l’altro le aveva valutate con il giudizio «eccellente». Secondo il ricorrente, questo membro della Commissione si sarebbe trovato in una condizione di conflitto di interessi nei confronti dei due concorrenti (sebbene il bando di concorso prevedesse espressamente il conflitto di interessi solo per i referees internazionali), e avrebbe dovuto perciò astenersi dal partecipare ai lavori. Con il secondo motivo il ricorrente censurava i giudizi comparativi espressi dalla Commissione e l’attribuzione dei punteggi ai candidati. Il terzo ed il quarto motivo concernevano, invece, le modalità di valutazione della produzione scientifica dei candidati e la definizione – sempre da parte della Commissione – dei punteggi relativi ad uno degli «ambiti» di valutazione previsti dal bando.
Il T.A.R. ha accolto il primo ed il quinto motivo – logicamente prioritari perché attinenti alla composizione della Commissione del concorso, e tali quindi da travolgere tutti i relativi atti e giudizi –, affermando che il membro della Commissione che aveva “cofirmato” i (numerosi) lavori con i due candidati avrebbe dovuto dichiarare «il potenziale conflitto di interessi» con questi ultimi, o comunque «le gravi ragioni di opportunità per cui avrebbe dovuto astenersi dalla composizione della Commissione»; la quale, perciò, risulta illegittima per violazione del principio di imparzialità di cui – in particolare – all’art. 97 Cost. Il T.A.R. giunge a questa conclusione sulla scorta della ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale esistente in materia, ed afferma principi interessanti sulla portata dei canoni dell’imparzialità e della trasparenza in relazione alle Commissioni esaminatrici dei concorsi universitari, che presentano delle indubbie peculiarità. In particolare, la sentenza dà atto di un contrasto, nella giurisprudenza amministrativa, sull’applicabilità alle Commissioni dei concorsi universitari (che «si svolgono prevalentemente per titoli») dell’art. 6-bis della legge n. 241/1990 – introdotto dalla legge n. 190/2012, c.d. «anticorruzione» –, il quale dispone che «il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endo-procedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale». Tra i due orientamenti esistenti, il T.A.R. Piemonte dichiara di aderire a quello favorevole all’applicazione di tale norma anche ai concorsi universitari: pur consapevole delle «concrete difficoltà organizzative» che potrebbero verificarsi nei settori concorsuali «caratterizzati dalla presenza di pochi e qualificati esperti e dalla necessità che in essi si riscontra di unire le forze per assicurare una proficua ricerca di gruppo», il Giudice piemontese ritiene che la norma citata – in quanto «espressione delle esigenze di trasparenza, obiettività e terzietà dell’azione amministrativa», sancite dall’art. 97 Cost. – non possa essere derogata se non tramite una previsione espressa del legislatore, che non si rinviene nella disciplina delle selezioni dei professori universitari (legge n. 240/2010).
Nel caso di specie, poiché sussisteva una «collaborazione professionale» tra il Presidente della Commissione di concorso e due candidati, connotata secondo il T.A.R. da continuità, stabilità e sistematicità (desunte da specifici elementi), tale membro della Commissione aveva quindi l’obbligo di dichiarare il potenziale conflitto di interessi e di astenersi. Di conseguenza, in esecuzione della sentenza in oggetto il Politecnico di Torino dovrà ripetere l’intera procedura concorsuale, a partire dalla nomina di una nuova Commissione; e ciò «richiedendo espressamente ai componenti di dichiarare tutte le informazioni utili sui rapporti a qualsiasi titolo intercorsi con i candidati», così come anche suggerito dall’A.N.A.C. con la delibera n. 209 del 1° marzo 2017. [G. Sobrino]
T.A.R. VALLE D’AOSTA
APPALTI
L’AGGIUDICAZIONE DELL’APPALTO DEL SERVIZIO DI TRASPORTO FERROVIARIO REGIONALE VALDOSTANO A TRENITALIA NON E’ ILLEGITTIMA
TAR Valle d’Aosta, R.G. 1/2019 – sent. 9 aprile 2019 – 24 aprile 2019, n. 23,
Pres. Migliozzi, Est. Soricelli
[Arriva Italia Rail S.r.l. c.. Inva S.p.a. e Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste]
Il TAR Valle d’Aosta ha respinto il ricorso di Arriva Italia Rail S.r.l. avverso l’aggiudicazione a Trenitalia S.p.a. del servizio di trasporto pubblico ferroviario della regione Valle d’Aosta per il periodo di 5 anni (con opzione di rinnovo per ulteriori 5 anni).
Arriva Italia Rail s.r.l. aveva denunciato una pluralità di illegittimità. Con il primo motivo, riferito al “segmento” di offerta relativo alla sola tratta Aosta-Prè Saint Didier, l’aggiudicataria avrebbe offerto materiale rotabile non adeguato, sicché avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara oppure le sarebbero dovuti essere attribuiti zero punti per tale tratta. Secondo il Collegio, doveva, invece, escludersi che la parziale inadeguatezza del materiale rotabile offerto implicasse l’esclusione dalla gara; astrattamente un tale problema si sarebbe potuto porre ove Trenitalia avesse offerto per la linea solo ed esclusivamente treni non in grado di percorrerla; poiché però i treni offerti da Trenitalia sono in parte compatibili con la linea, il problema che si pone è solo ed esclusivamente quello della ragionevolezza delle valutazioni operate dalla Commissione giudicatrice, dovendosi comunque escludere la “valorizzazione a zero” sostenuta in subordine dalla ricorrente dato che non è nemmeno contestato che la linea in questione abbia, nell’economia del servizio da garantire, un rilievo secondario.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha contestato nell’individuazione dei tempi di percorrenza l’aggiudicataria si sarebbe discostata dallo “Schema di programma di esercizio”, Allegato n. 1 alla bozza di contratto. Il TAR ha però osservato che il disciplinare di gara al punto 19.5 prescriveva che il programma di esercizio proposto dal concorrente dovesse essere “coerente” con il citato schema e, ad avviso del Collegio, ciò rendeva possibile a ciascun concorrente discostarsi da esso al fine di meglio articolare la propria proposta con il limite della coerenza con il quadro delineato dallo schema. Le divergenze censurate dalla ricorrente non risultavano pertanto incoerenti con lo schema inserendosi nel quadro di esso tenuto conto che lo schema prevedeva fasce orarie all’interno delle quali dovesse essere garantita una data frequenza del servizio (che l’offerta di Trenitalia S.p.a. senz’altro assicura). La tesi della ricorrente, introducendo un vincolo esterno inderogabile, avrebbe avuto, invece, l’effetto di costringere i concorrenti a formulare programmi analoghi (e non molto diversi dall’assetto attuale).
Al di là di tre ulteriori motivi di ricorso dichiarati infondati, il TAR Valle d’Aosta si diffonde a confutare le censure per motivi aggiunti. La tesi della ricorrente era che il giudizio di complessiva congruità e affidabilità dell’offerta di Trenitalia formulato dal responsabile del procedimento coadiuvato dalla Commissione di gara fosse illogico e irragionevole non avendo rilevato «macroscopiche criticità del piano economico-finanziario che rendono l’offerta della controinteressata complessivamente inaffidabile e tale da non garantire la qualità e la regolarità dell’esecuzione del contratto». Per il Collegio l’unica evidente anomalia era quella relativa al calcolo dell’IRAP per il 2019, che ha un impatto relativamente modesto sull’economia dell’affidamento, mentre gli altri profili denunciati dalla ricorrente sarebbero rientrati nell’ambito della fisiologica opinabilità del giudizio relativo alla sostenibilità dell’offerta, nel senso che il giudizio positivo in contestazione appariva comunque giustificato non avendo la ricorrente indicato incongruenze di gravità e impatto tali da compromettere la complessiva sostenibilità dell’offerta di Trenitalia. [G. Boggero]
….
ILLEGITTIMA LA GARA DI APPALTO PER LA BONIFICA DELLE CAVE E DISCARICHE DI AMIANTO DI EMARESE PERCHE’ LA SOCIETE’ AGGIUDICATARIA E’ PRIVA DEL REQUISITO DELL’ISCRIZIONE ALL’ALBO DEI GESTORI AMBIENTALI
TAR Valle d’Aosta, R.G. 3/2019 – sent. 9 aprile 2019 – 23 aprile 2019, n. 22,
Pres. Migliozzi, Est. Soricelli
[Daf Costruzioni Stradali S.r.l. c. Comune di Emarèse]
Il TAR Valle d’Aosta ha accolto il ricorso della Daf Costruzioni Stradali S.r.l. avverso le determinazioni recanti approvazione dei verbali di gara ed aggiudicazione all’Assocazione temporanea di imprese (A.T.I.) per la realizzazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente delle ex cave e delle discariche di amianto nel Comune di Emarèse (AO). Va premesso che la ricorrente aveva partecipato alla gara, quale capogruppo mandataria di un’A.T.I. costituenda con Isovit s.r.l., Daudin s.r.l., Bertini s.r.l. e Silea s.r.l.; alla gara partecipava altresì, risultando anche aggiudicatario, un costituendo consorzio ordinario tra Cogeis S.p.A., capogruppo mandataria, e Marazzato Soluzioni ambientali s.r.l., Costruzioni stradali B.G.F. s.r.l. e Iviaes s.p.a. (d’ora innanzi consorzio Cogeis). Con il ricorso principale la ricorrente denunciava l’illegittimità della mancata esclusione del consorzio Cogeis, sostenendo che esso sarebbe in realtà stata priva del requisito della iscrizione all’albo dei gestori ambientali per come richiesto dall’art. 5.1 e 5.2 del disciplinare di gara. Il TAR Valle d’Aosta, richiamando una delibera ANAC (la n. 498/2017), accertava come la Cogeis non avesse, in effetti, una idonea classifica nella categoria 9, essendo qualificata per la classe C (che copre lavori fino a euro 2.500.000) e non (almeno) per la classe B (fino a 9.000.000), pur essendosi impegnata a eseguire il 77,5% delle opere della categoria OG12 per un importo di euro 6.182.339,41. Di conseguenza, nella misura in cui il chiarimento n. 23 della stazione appaltante si è discostato da questo principio esso è illegittimo ponendosi in contrasto con la lex specialis di gara. Ove quindi il consorzio Cogeis fosse stato escluso, l’offerta della ricorrente sarebbe risultata la migliore e quindi le sarebbe stata aggiudicata la gara. Pertanto, il TAR Valle d’Aosta accoglieva la domanda di reintegrazione in forma specifica aggiudicando la gara alla ricorrente. [G. Boggero]
[1] Postdoctoral Research Fellow in Law presso il Collegio Carlo Alberto – Università degli Studi di Torino
[2] Assegnista di ricerca di Diritto Costituzionale, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”
[3] Avvocato del Foro di Torino, membro del Comitato Direttivo dell’Associazione Avvocati Amministrativisti del Piemonte
[4] Praticante Avvocato del Foro di Torino, Assegnista di ricerca di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Torino
[5] Ricercatore di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Torino