Regolamento edilizio unico: rapporti con la disciplina regionale e locale

Sarah Ballari[1]

L’adozione del regolamento edilizio tipo, previsto dal cosiddetto decreto “sblocca Italia”, nell’ambito delle politiche di semplificazione in materia di edilizia è in via di perfezionamento e già apre a molti interrogativi in ordine al rapporto con l’autonomia normativa e regolamentare delle Regioni e degli enti locali.

Il regolamento edilizio, che tutti conosciamo, è stato introdotto per la prima volta con la legge comunale e provinciale dello Stato italiano unitario del 20 marzo 1865, n. 2248 (allegato A) e con il successivo regolamento attuativo, approvato con regio decreto n. 2321 dell’8 giugno 1865, che prevedevano la facoltà per i consigli comunali di deliberare sui “regolamenti di igiene, edilità e polizia locale” e individuavano come contenuto fondamentale del regolamento edilizio comunale la disciplina dei “piani regolatori dell’ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggiate”. Dal 1865, fino alla legge urbanistica nazionale del 1942, i regolamenti edilizi comunali svolsero un ruolo sostitutivo dei piani di natura urbanistica, integrando le norme più propriamente edilizie con prescrizioni di zonizzazione del territorio comunale[2].

Con la legge urbanistica nazionale n. 1150 del 17 agosto 1942 (articolo 33) viene istituito a pieno titolo il piano regolatore generale riferito all’intero territorio comunale e vengono compiutamente disciplinati i contenuti del regolamento edilizio, che diventa strumento obbligatorio del comune, incardinato nella normativa di pianificazione e uso del territorio in un’ottica di maggiore interrelazione tra progettualità edilizia e pianificazione urbanistica[3].

Il legislatore nazionale, con la legge sul condono edilizio n. 47 del 1985, introduce poi il regolamento edilizio tipo regionale al fine di uniformare i contenuti dei regolamenti edilizi comunali. Sulla scorta della legge nazionale, le Regioni, in forza della competenza legislativa in materia di “urbanistica” (affidata, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione nel testo antecedente alla riforma del titolo V del 2001, alla potestà concorrente regionale con i vincoli posti dai “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e “dall’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”) hanno, quindi, dato avvio ad una stagione normativa in materia attraverso la fissazione di criteri generali per la formazione degli strumenti regolamentari comunali o predisponendo direttamente regolamenti edilizi tipo.

Questa ultima via è stata perseguita dalla Regione Piemonte, che, con la legge regionale n. 19 dell’8 luglio 1999, ha introdotto il regolamento edilizio tipo a livello regionale, in un’ottica di semplificazione e chiarezza delle procedure edilizie nei comuni, di uniformità dei regolamenti edilizi comunali, di innalzamento del livello di qualità del prodotto edilizio in rapporto all’ambiente e la fruibilità degli edifici da parte di tutti, nonché di trasparenza nei rapporti fra i cittadini e pubblica amministrazione.

Il Consiglio regionale, con deliberazione n. 548 – 9691 del 29 luglio 1999, ha, quindi, approvato il regolamento edilizio tipo, in cui sono stati definiti i parametri ed indici edilizi ed urbanistici che devono essere integralmente e obbligatoriamente inseriti nel regolamento edilizio del comune. In particolare, nel regolamento regionale tipo sono riportate le definizioni, definiti i criteri di identificazione, le modalità di misurazione relative ai parametri ed agli indici edilizi ed urbanistici ritenuti indispensabili per individuare le caratteristiche dimensionali delle costruzioni e le loro relazioni con l’ambito territoriale nel quale sono inserite. In base al regolamento tipo, il comune, ove lo ritenga necessario, può introdurre definizioni relative ad ulteriori parametri ed indici o introdurre norme aggiuntive atte a disciplinare le relazioni tra le entita’ definite nel regolamento tipo o situazioni pertinenti alla conformazione fisica dei suoli o dei manufatti presenti sul territorio, purché non in contrasto con il regolamento tipo e valutando, in ogni caso, la pertinenza di inserire tali norme nel regolamento comunale o, piuttosto, di collocarle più idoneamente nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale.

Anche a livello procedurale, la l.r. 19/1999 dettaglia le modalità di approvazione del regolamento edilizio da parte del comune distinguendo due diverse fattispecie. La prima è rappresentata dal regolamento edilizio comunale, conforme al regolamento edilizio tipo, che viene approvato dal consiglio comunale e trasmesso alla Giunta regionale, che ha la facoltà di annullare disposizioni illegittime o non conformi al regolamento tipo[4]. La seconda fattispecie, relativa al regolamento edilizio comunale non conforme, anche in parte, al regolamento edilizio tipo, comporta la trasmissione della deliberazione del consiglio comunale di approvazione del regolamento comunale all’azienda sanitaria locale, ai fini dell’acquisizione del competente parere sugli aspetti igienico-sanitari, e la successiva approvazione da parte della Giunta regionale[5], finendo con configurare il regolamento comunale come atto complesso a complessità diseguale.

Il testo unico dell’edilizia, di cui al d.p.r. 380/2001, ha abrogato il sopra citato articolo 33 della legge 1150 del 1942, codificando il regolamento edilizio quale atto con cui si esprime l’autonomia statutaria e normativa dei comuni in materia di edilizia e con cui si disciplinano le modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi.

Il testo unico dell’edilizia, quindi, non si è limitato soltanto a riconoscere esplicitamente la competenza regolamentare dei Comuni in materia edilizia, ma l’ha ricondotta direttamente all’autonomia statutaria e normativa, di cui all’art. 3 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, alla luce del riconoscimento costituzionale dell’autonomia comunale ex articolo 114 della Costituzione e della relativa potestà regolamentare ex articolo 117, sesto comma, della Costituzione. Al riconoscimento della competenza regolamentare comunale in materia di edilizia fa da contraltare la puntualizzazione dell’oggetto di disciplina del regolamento comunale stesso, circoscritta solo più agli aspetti attinenti all’edilizia in senso stretto, tralasciando i profili più attinenti all’urbanistica e al procedimento amministrativo di rilascio dei titoli, in quanto già ampiamente normato dal testo unico stesso.  

Sul fronte della compatibilità della sopra citata disposizione, di cui all’articolo 4 del d.p.r. 380/2001 relativa ai contenuti del regolamento edilizio comunale, rispetto alla potestà legislativa regionale ex articolo 117 della Costituzione (nella versione del titolo V di pochi mesi successivi all’emanazione dello stesso testo unico dell’edilizia), si sono avanzate differenti interpretazioni: alcune volte a considerarlo costituzionalmente orientato, riconducendo l’edilizia nell’alveo del “governo del territorio” di potestà concorrente, se non addirittura nell’alveo della potestà esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera p), attraendo la potestà ad emanare il regolamento edilizio tra le funzioni fondamentali dei Comuni; altri orientamenti, opposti, volti a considerare gran parte delle norme del d.p.r. 380/2001 in contrasto con la Costituzione, facendo leva sulla “edilizia” come materia “a valle” del processo di disciplina dell’uso del territorio e, pertanto, come attività di carattere esecutivo della disciplina di rilevanza urbanistica di competenza legislativa residuale regionale.

Se alcuni dubbi di costituzionalità potevano ipotizzarsi in riferimento al citato articolo 4 del d.p.r. 380/2001, nel testo originario, lo scenario pare mutare completamente a seguito delle modifiche apportate dall’articolo 17 bis del cosiddetto decreto “sblocca Italia”[6]. La norma, contenuta nel comma 1 sexies dell’articolo 4 del d.p.r. 380/2001, prevede la conclusione, in sede di Conferenza unificata, di accordi o intese tra Governo, Regioni e autonomie locali per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo al fine di semplificare ed uniformare le norme e gli adempimenti in materia edilizia.

Viene altresì precisato che tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il legislatore statale, seppure a seguito di intesa o accordo, ha quindi avocato a sé l’adozione del regolamento edilizio unico, in cui saranno anche contenute le definizioni standardizzate e identiche dei parametri urbanistici ed edilizi da applicare in ogni comune. La competenza statale atta a definire il regolamento unicobypassa la potestà concorrente  in materia di governo del territorio e va a fondarsi direttamente sulla potestà esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ossia quei parametri e criteri minimi che lo Stato può stabilire in ogni materia che ritenga di rilevanza sociale in riferimento ai “diritti” dell’intera collettività. 

A fronte dello schema di regolamento edilizio tipo, come scaturito dai lavori del tavolo tecnico istituito tra il Ministero delle infrastrutture e trasporti, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza e i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali, su cui la Conferenza unificata in data 20 ottobre 2016 ha sancito l’intesa[7], ex articolo 8, comma 6, della legge 131 del 2003, paiono da valutare gli spazi di manovra lasciati al legislatore regionale e agli enti locali in sede di recepimento e adattamento del regolamento nazionale unico alle specificità e peculiarità locali.

Le Regioni, entro 180 giorni dall’adozione dell’intesa stessa, dovranno recepire lo schema di regolamento edilizio tipo[8] e le definizioni uniformi dei parametri urbanistici ed edilizi, nonché integrare e modificare, in conformità alla normativa regionale vigente, la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia. Le Regioni, nel rispetto della struttura generale uniforme dello schema di regolamento tipo, potranno semplificare o specificare l’indice del regolamento tipo e individuare, in base alla normativa regionale vigente, le definizioni aventi incidenza sulle previsioni dimensionali contenute negli strumenti urbanistici e, eventualmente, dettare in via transitoria indicazioni tecniche di dettaglio ai fini della corretta interpretazione delle definizioni uniformi in fase di prima applicazione. L’intesa stabilisce altresì che l’atto di recepimento regionale fissi i metodi, le procedure e i tempi, comunque non superiori a 180 giorni, da seguire per l’adeguamento comunale. I Comuni, quindi, nei tempi suddetti, dovranno adeguare i propri regolamenti edilizi per conformarli allo schema di regolamento tipo e relativi allegati, nel testo eventualmente specificato e integrato a livello regionale. Nel caso di mancato adeguamento da parte dei Comuni, nei termini predetti, le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia troveranno, comunque, diretta applicazione, prevalendo su quelle comunali incompatibili; mentre nel caso di mancato recepimento regionale, i Comuni potranno, in ogni caso, provvedere ad adottare lo schema di regolamento tipo.

L’attività di recepimento a livello regionale e di adeguamento a livello comunale comporterà, presumibilmente, un’operazione assai complessa, basti pensare al solo caso di raccordare tutte le definizioni relative alle distanze tra edifici, le altezze e gli altri parametri utilizzati nella progettazione e realizzazione di opere edilizie, partendo da definizioni molto diverse (emblematico il caso della definizione di “superficie”), considerato che, in numerosi casi, non coincidono neanche le denominazioni.

Il sopra citato articolo 17 bis del d.l. 133/2014, volto a superare il “federalismo edilizio”, praticando una reductio ad unum delle norme contenute nei regolamenti edilizi comunali, stratificati nel tempo e territorialmente frammentati, suscita, quindi, più di una perplessità in ordine all’autonomia normativa riconosciuta ai Comuni e, in particolare, a quella regolamentare, riconosciuta a livello costituzionale dall’articolo 117, sesto comma, della Costituzione e, a livello di fonte primaria, in primis, dagli articoli 3 e 7 del testo unico degli enti locali.

Medesime perplessità relativamente all’intervento a titolo di competenza esclusiva da parte dello Stato paiono emergere anche in relazione al ruolo della Regione, che, dovendo recepire il testo regolamentare nazionale, viene fortemente limitato a livello di potestà sia legislativa sia regolamentare in relazione alla materia concorrente “governo del territorio”, volendo ricomprendere sotto tale etichetta normativa l’edilizia insieme all’urbanistica o, addirittura, in relazione alla competenza regionale residuale, considerando l’edilizia come disciplina “a valle” dell’urbanistica e non compresa in alcuna materia dell’elenco di quelle a potestà concorrente.

L’avocazione in capo allo Stato dell’adozione del regolamento edilizio unico, in un certo senso, pare anticipare la potestà esclusiva dello Stato riconosciuta dal disegno di legge di riforma costituzionale[9], oggetto del prossimo referendum popolare confermativo del 4 dicembre 2016, che, in materia di urbanistica, introduce l’innovativa locuzione, prevista anche per altre competenze attribuite alla legislazione esclusiva statale, di “disposizioni generali e comuni sul governo del territorio”, formula potenzialmente interpretabile quale “clausola di colegislazione” tra Stato e Regioni o, qualora intesa in maniera differente rispetto a quanto finora accaduto in ordine ai principi fondamentali riservati allo Stato nelle materie di potestà concorrente, potenzialmente idonea a consentire allo Stato di dettare una disciplina maggiormente esaustiva e di dettaglio sulla materia.


 


[1] Funzionaria presso il Consiglio regionale del Piemonte, Direzione Processo legislativo, Settore Commissioni consiliari.

 

[2]Nell’ambito del quadro normativo di riferimento, si segnala anche l’articolo 111 del regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297 che attribuisce ai regolamenti edilizi le norme concernenti:

“1° la formazione delle Commissioni consultive edilizie;

2° la determinazione del perimetro dell’abitato a cui si devono intendere circoscritte le prescrizioni dei regolamenti stessi;

3° le costruzioni, i restauri, le demolizioni, gli scavi, i depositi di materiale per simili cause, e gli obblighi relativi dei proprietari acciocché non sia impedita o resa pericolosa la viabilità e non sia deturpato l’aspetto dell’abitato;

4° l’intonaco e le tinte dei muri e delle facciate, quando la loro condizione deturpi l’aspetto dell’abitato, rispettando gli edifici di carattere monumentale si pubblici che privati;

5° l’altezza massima dei fabbricati in relazione all’ampiezza delle vie e dei cortili;

6° le sporgenze di qualunque genere sulle vie e piazze pubbliche;

7° i lavori da eseguirsi nel pubblico sottosuolo e la forma delle ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio;

8° la posizione e la conservazione dei numeri civici;

9° la formazione, la conservazione ed il restauro dei marciapiedi, dei portici, dei lastricati e dei selciati nelle vie e piazze, nel caso in cui tali opere possano a termini di legge porsi a carico dei privati;

10° le visite da farsi ai lavori da un delegato del municipio al fine di constatare che nella esecuzione delle opere si osservino le disposizioni delle leggi e dei regolamenti.”.

 

[3]L’articolo 33 della legge n. 1150/1942 recitava:

“I comuni debbono con regolamento edilizio provvedere, in armonia, con le disposizioni contenute nella presente legge e nel Testo unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, a dettare norme precipuamente sulle seguenti materie, tenendo, se ne sia il caso, distinte quelle riguardanti il nucleo edilizio esistente da quelle riguardanti la zona di ampliamento e il restante territorio comunale:

1) la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della Commissione edilizia comunale;

2) la presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati e la richiesta obbligatoria dei punti fissi di linea e di livello per le nuove costruzioni;

3) la compilazione dei progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione in armonia con le leggi in vigore;

4) l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone;

5) gli eventuali distacchi da fabbricati vicini e dal filo stradale;

6) l’ampiezza e la formazione dei cortili e degli spazi interni;

7) le sporgenze sulle vie e piazze pubbliche;

8) l’aspetto dei fabbricati e il decorso dei servizi ed impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana, tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico ecc.;

9) le norme igieniche di particolare interesse edilizio;

10) le particolari prescrizioni costruttive da osservare in determinati quartieri cittadini o lungo determinate vie o piazze;

11) la recinzione o la manutenzione di aree scoperte, di parchi e giardini privati e di zone private interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche e da queste visibili;

12) l’apposizione e la conservazione dei numeri civici;

13) le cautele da osservare a garanzia della pubblica incolumità per l’esecuzione delle opere edilizie, per l’occupazione del suolo pubblico, per i lavori nel pubblico sottosuolo, per le ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio ecc.;

14) la vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti.

Nei comuni provvisti del piano regolatore edilizio deve altresì disciplinare:

 la lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal piano regolatore;

 l’osservanza di determinati caratteri architettonici, e la formazione di complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano regolatore;

 la costruzione e la manutenzione di strade private non previste nel piano regolatore.”

 

[4] In ordine al potere di annullamento in capo alla Regione, la l.r. 19/1999 rinvia alla procedura dell’articolo 27 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e successive modifiche ed integrazioni, e dell’articolo 68 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela e uso del suolo), come modificato dall’articolo 40 della legge regionale 20 maggio 1980, n. 50.

 

[5] In questo ultimo caso la Giunta regionale può introdurre modifiche d’ufficio per correggere errori, chiarire prescrizioni ed operare adeguamenti a norme di legge. Nel caso in cui il regolamento richieda modifiche o rielaborazioni è restituito al comune, con provvedimento motivato, dal Presidente della Giunta regionale o dall’Assessore delegato, conseguentemente il comune provvede alle modifiche o alla rielaborazione richiesta ed invia il regolamento alla Regione che assume le proprie determinazioni nei successivi novanta giorni.

 

[6] Decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, convertito in legge, con modificazioni, dallalegge 11 novembre 2014, n. 164.

 

[7] Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, dellalegge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 novembre 2016, n. 268.

 

[8] Lo schema di regolamento edilizio tipo è contenuto nell’allegato 1 dell’intesa, mentre le definizioni uniformi dei parametri urbanistici ed edilizi nell’allegato A e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia nell’allegato B dell’intesa.

 

[9] Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione delnumero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». (pubblicato sulla GU serie generale n. 88 del 15 aprile 2016).