Il referendum per il distacco dal Piemonte della provincia del VCO
Massimo Cavino[1]
Sommario: 1. Le ragioni dell’iniziativa di distacco. 2. Perché il referendum si svolge solo nella provincia del VCO. 3. Vincoli al Governo, al Parlamento e ruolo dei Consigli regionali. 4. Le possibili conseguenze sul piano regionale e nazionale.
1. Domenica 21 ottobre 2018 i cittadini del Verbano Cusio Ossola (VCO) sono stati chiamati a pronunciarsi con referendum, ai sensi dell’articolo 132, comma 2, Cost.[2], per il distacco della provincia dalla Regione Piemonte e la sua aggregazione alla Regione Lombardia[3].
Solo il 33,2% degli elettori si è recato alle urne così che la proposta, secondo quanto dispone l’articolo 45 della legge n. 352 del 1970 è stata respinta e non potrà essere riproposta prima di cinque anni[4].
Si è trattato del primo referendum di variazione territoriale relativo al distacco di una provincia[5] e, a dispetto della forte astensione, è stato preceduto da un vivace dibattito nei territori interessati.
Le ragioni che hanno spinto a tentare di aggregare il VCO alla Lombardia traggono origine da un sentimento di frustrazione che è stato alimentato dal legislatore statale quando, al comma 3 dell’articolo unico della legge n. 56 del 2014, ha riconosciuto la specificità delle province «con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri»: a trovarsi nelle condizioni previste dalla legge sono le Province di Sondrio, Belluno e, appunto VCO.
Tale disposizione legislativa ha portato a riflettere, nelle tre province, sulla possibilità di ottenere dalle rispettive regioni un elevato grado di autonomia[6]. Riflessione che, ovviamente, si è concentrata intorno alle politiche per la montagna.
Ed è rispetto a queste ultime che il VCO lamenta la disattenzione della Regione Piemonte e guarda invece con interesse alla Lombardia. Soprattutto in relazione ad un aspetto particolare: la assegnazione delle risorse provenienti dalla riscossione dei canoni delle acque demaniali che, per i territori montani, possono rappresentare un’entrata assai rilevante.
La competenza regionale alla riscossione dei canoni è esercitata molto diversamente dal Piemonte e dalla Lombardia.
L’articolo 55, lettera f, della legge regionale n. 44 del 2000 del Piemonte attribuisce alla regione il potere di destinare i proventi dei canoni idrici, sentiti gli enti locali, senza alcun particolare vincolo. E questa assenza di vincoli ha consentito di non trasferire nulla al VCO dal 2012 a oggi.
Al contrario l’articolo 6 della legge regionale n. 10 del 2009 della Lombardia stabilisce un preciso vincolo, disponendo, al comma 3 quinquies, che annualmente le province siano destinatarie di una quota dei proventi dei canoni. Non solo. Al successivo comma 3 sexies, dispone specifiche modalità di finanziamento per la Provincia di Sondrio.
Pertanto l’aggregazione alla Lombardia avrebbe potuto comportare significativi vantaggi sul piano finanziario per il VCO.
Da questo punto di vista la vicenda risulta estremamente interessante poiché, se consideriamo che non riguarda un’ipotesi di passaggio dall’autonomia ordinaria all’autonomia speciale, essa mostra che nell’ambito della prima le regioni dispongono comunque di spazi di manovra sufficienti per elaborare politiche differenziate.
2. Il decreto di indizione del referendum ha disposto che esso si svolgesse in tutti i comuni della Provincia del Verbano Cusio Ossola[7] «vista altresì la sentenza della Corte costituzionale n. 334 del 28 ottobre – 10 novembre 2004».
Come è noto, la citata decisione della Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 2, della legge 352/1970 nella parte in cui prescriveva che la richiesta di referendum per il distacco di una Provincia o di un Comune da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione deve essere corredata – oltre che delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco – anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti e di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati.
Secondo la Corte «L’onerosità del procedimento strutturato dalla norma di legge attuativa si palesa eccessiva (in quanto non necessitata) rispetto alla determinazione ricavabile dalla nuova previsione costituzionale, e si risolve nella frustrazione del diritto di autodeterminazione dell’autonomia locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001. Poiché il referendum previsto dalla disposizione costituzionale attualmente vigente mira a verificare se la maggioranza delle popolazioni dell’ente o degli enti interessati approvi l’istanza di distacco-aggregazione, deve coerentemente discenderne che la legittimazione a promuovere la consultazione referendaria spetta soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni diverse. Infatti, la riforma del parametro evocato ha inteso evitare che maggioranze non direttamente o immediatamente coinvolte nel cambiamento possano contrastare ed annullare finanche le determinazioni iniziali (neppure giunte al di là dello stadio di semplici richieste) di collettività che intendano rendersi autonome o modificare la propria appartenenza regionale. Ad ogni modo, le valutazioni di tali altre popolazioni – anche di segno contrario alla variazione territoriale – trovano congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera presentazione della richiesta di referendum. Siccome infatti l’esito positivo del referendum, avente carattere meramente consultivo, sicuramente non vincola il legislatore statale alla cui discrezionalità compete di determinare l’effetto di distacco-aggregazione; e siccome nel procedimento di approvazione della legge della Repubblica la norma costituzionale citata inserisce la fase dell’audizione dei consigli delle Regioni coinvolte, proprio questa fase consente l’emersione e la valutazione degli interessi locali contrapposti (o anche non integralmente concordanti con quelli espressi attraverso la soluzione della rigida alternativa propria dell’istituto referendario). Sicché l’acquisizione e l’esame dei pareri dei consigli regionali avranno sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale».
La Corte, per il vero piuttosto apoditticamente, sostiene che «La specificità dell’ipotesi di variazione territoriale disciplinata dall’art. 132 Cost. non consente, […], di mutuare l’accezione e l’estensione del concetto di “popolazioni interessate” individuato […] relativamente al procedimento, affatto diverso, di cui al successivo art. 133, secondo comma, che prevede l’istituzione di nuovi Comuni e la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni (cfr. sentenze n. 47 del 2003 e n. 94 del 2000). L’espressione “popolazioni interessate”, utilizzata da tale ultima norma costituzionale evoca un dato che può anche prescindere dal diretto coinvolgimento nella variazione territoriale; ed è stata intesa dalle sentenze citate come comprensiva sia dei gruppi direttamente coinvolti nella variazione territoriale, sia di quelli interessati in via mediata e indiretta. Invece l’espressione “popolazioni della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni interessati”, utilizzata dal nuovo art. 132, secondo comma, inequivocamente si riferisce soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco-aggregazione»[8].
Si faccia molta attenzione. La Corte Costituzionale afferma il principio di “autodeterminazione dell’autonomia locale” e rispetto ad esso dichiara la illegittimità costituzionale delle norme relative alla richiesta di indizione del referendum, affermando che la tutela delle popolazioni diverse da quelle direttamente interessate dal distacco potrà trovare spazio nella fase successiva della audizione dei consigli regionali.
Il tenore letterale della motivazione della sentenza n. 334/2004 porterebbe quindi a escludere che la posizione degli enti non direttamente interessati al distacco possa trovare uno spazio ulteriore rispetto alla valutazione dei consigli regionali.
Malgrado ciò la Corte non ha compiuto il passo ulteriore di dichiarare la illegittimità conseguenziale[9] dell’articolo 44 della legge n. 352 del 1970 che, al comma 3, stabilisce «Nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione, il referendum è indetto sia nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi, sia nel territorio della regione alla quale le province o i comuni intendono aggregarsi».
Tale norma risulta quindi formalmente in vigore. E pertanto il decreto di indizione, limitando l’ambito territoriale del referendum ai soli comuni del VCO (seguendo la prassi instauratasi successivamente alla pronuncia della sentenza n. 334/2004 della Corte Costituzionale), è incorso in una violazione di legge che avrebbe consentito di farne valere l’annullabilità davanti al giudice comune (eventualmente sollevando in quella sede una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 44 della legge n. 352 del 1970). La mancata impugnazione nei termini prescritti (che ha caratterizzato tutte le vicende di distacco fino ad ora attivate) ha però consentito la prosecuzione dell’iter.
3. Secondo quanto dispone l’articolo 45, comma 4, della legge n.352 del 1970, l’approvazione della proposta referendaria avrebbe imposto al Governo di presentare il disegno di legge per il distacco della provincia entro sessanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del verbale predisposto dall’Ufficio Centrale per i Referendum presso la Corte di Cassazione. Il successivo comma 5 stabilisce invece, come abbiamo detto, che la proposta non potrebbe essere ripresentata per cinque anni nel caso di mancata approvazione da parte del corpo elettorale.
Il referendum non può pertanto essere definito come “meramente consultivo” posto che, secondo i casi, crea precisi vincoli al Governo[10] o agli enti locali titolari dell’iniziativa[11].
Sul piano procedurale meritano poi particolare attenzione due questioni relative ai pareri dei consigli regionali: le modalità e la tempistica con le quali devono essere resi; il loro valore rispetto alla deliberazione delle Camere.
L’articolo 132, comma 2, Cost. non chiarisce se essi debbano precedere o seguire il disegno di legge predisposto dal Governo.
Sul punto si è in passato registrata una divergenza di interpretazioni, segnatamente tra il Governo e la Regione Marche in relazione al distacco dei comuni marchigiani di Montecopiolo e di Sassofeltrio, da aggregare alla Regione Emilia Romagna[12].
La Giunta della Regione Marche ha affermato (nota della giunta del 10 aprile 2012[13]) che il parere del Consiglio Regionale debba avere ad oggetto il disegno di legge. Al contrario il Governo ha costantemente sostenuto che i pareri dei consigli regionali debbano essere acquisiti prima della presentazione del disegno di legge alle Camere.
Questa è l’interpretazione condivisa anche in sede parlamentare.
Si ricordi la vicenda del distacco del Comune di Lamon dalla regione Veneto e l’aggregazione alla Regione Trentino – Alto Adige: nel corso della la XIV legislatura (A.C. 6274), e della XV (A.C. 27), è iniziato alla Camera l’esame in sede referente di un progetto di legge di iniziativa parlamentare ai sensi dell’art. 132, comma 2, anche in assenza dei pareri regionali. L’ufficio di Presidenza della Commissione Affari Costituzionali stabilì che la mancanza dei pareri regionali e di un disegno di legge di iniziativa governativa non potevano impedire l’esame del provvedimento.
E nella XVI legislatura, sempre rispetto al Comune di Lamon (A.C. 1698 cost.), la Commissione Affari Costituzionali aveva ritenuto sussistessero le condizioni per proseguire l’esame, una volta decorso inutilmente il termine che la Presidenza della Camera aveva fissato nel richiedere il parere al Consiglio regionale del Veneto.
Per quanto concerne il loro peso nella deliberazione finale delle Camere[14], se è vero che la Corte Costituzionale ha affermato, come abbiamo visto (sentenza 334/2004), che «l’acquisizione e l’esame dei pareri dei consigli regionali avranno sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale», essa ha però precisato (sentenza 246/2010) che la “sicura incidenza” non può «concretizzarsi nell’esistenza a carico del Parlamento di ulteriori oneri procedimentali susseguenti alla espressione del parere ed alla sua acquisizione in sede parlamentare. La norma costituzionale infatti, l’unica che possa porre dei vincoli di carattere procedimentale all’operato degli organi legislativi, non prescrive che, esauritasi la prima delle due fasi in cui si articola lo speciale procedimento di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione (cioè quella avente ad oggetto la consultazione referendaria e la espressione del parere dei Consigli regionali interessati), la seconda fase (quella cioè che ha inizio con la presentazione del disegno di legge) si svolga secondo forme sostanzialmente diverse rispetto a quelle legislative ordinarie».
Non solo. La Corte Costituzionale (sentenza 246/2010) ha ricordato, citando la Commissione Affari Costituzionali della Camera, che «in nessun caso il Parlamento possa essere considerato una sorta di notaio in questo procedimento, per effetto di una serie di fasi precedenti che si sono determinate […]. Le Camere del Parlamento sono chiamate a valutare questa tematica, così come tutte le altre, alla luce […] dell’interesse generale, dell’intera comunità politica e dell’intera Repubblica».
Così, quali che siano l’esito del referendum e i pareri dei consigli regionali, l’ultima parola sul passaggio del VCO dal Piemonte alla Lombardia, non potrà che toccare al Parlamento[15].
4. Il distacco del VCO dal Piemonte avrebbe avuto, naturalmente, ricadute sotto diversi profili istituzionali e sociali: diversamente dalle vicende relative a singoli comuni, il distacco-aggregazione di una provincia pone questioni assai delicate.
La diminuzione del numero dei cittadini residenti in Piemonte non avrebbe prodotto conseguenze sulla struttura del Consiglio regionale: i consiglieri regionali continuerebbero ad essere 50, non incidendo il distacco sulla soglia definita all’articolo 14 del decreto legge n.138/2011. Molte sarebbero state però le implicazioni sul piano della rappresentanza territoriale e della ripartizione dei seggi che avrebbero dovuto essere ripensate.
Il Piemonte e la Lombardia avrebbero dovuto mettere mano alle proprie leggi elettorali non avendo però garanzie sulla durata dell’iter legislativo di cambiamento dei propri confini.
In tal senso non si deve dimenticare che il Piemonte è chiamato alle urne per le elezioni regionali nella primavera del 2019. Qualora il risultato del referendum del 21 ottobre 2018 fosse stato favorevole al distacco, i cittadini del VCO avrebbero partecipato comunque alle elezioni regionali, posto che molto difficilmente l’iter legislativo per l’aggregazione alla Lombardia si sarebbe concluso prima del loro svolgimento.
Quali poi le ricadute sui Consigli regionali Piemontese e Lombardo in carica al momento della approvazione della legge che avesse disposto il distacco-aggregazione del VCO? Si sarebbe dovuto immaginare uno scioglimento anticipato per consentire la corretta allocazione della rappresentanza territoriale?
Tale soluzione, che parrebbe essere l’unica adeguata all’esigenza di garantire la rappresentanza delle popolazioni regionali interessate, non avrebbe potuto che essere l’esito di una scelta politica assunta a livello regionale: le cause che possono portare allo scioglimento del Consiglio regionale sono stabilite all’art. 126 Cost. e non sono certo nella disponibilità del legislatore statale o regionale. L’unica via sarebbe stata rappresentata pertanto dalle dimissioni del Presidente della Giunta o della maggioranza dei membri del Consiglio, proprio in forza dell’ultimo comma dell’art. 126 Cost..
Il passaggio del VCO alla Lombardia avrebbe prodotto poi effetti sulla applicazione della legge elettorale per le elezioni politiche.
In tal senso è di particolare interesse la lettura dell’articolo 3 del decreto legislativo 12 dicembre 2017, n. 189, “Determinazione dei collegi elettorali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, in attuazione dell’articolo 3 della legge 3 novembre 2017, n. 165, recante modifiche al sistema di elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali.
Tale disposizione prevede l’ipotesi della creazione di nuovi comuni e del distacco-aggregazione di comuni da una regione ad un’altra.
L’ipotesi che il distacco-aggregazione riguardi una provincia non è contemplata. Il comma 2 del citato articolo 3 dispone infatti che «Nel caso in cui, prima della convocazione dei comizi, vi sia il distacco di un comune da una regione e l’aggregazione ad un’altra con conseguente mutamento di circoscrizione, il suddetto comune si intende assegnato, nell’ambito della nuova circoscrizione, al collegio plurinominale ed al collegio uninominale ad esse territorialmente contigui. Se più collegi sono territorialmente contigui, il suddetto comune si intende assegnato al collegio uninominale nel cui ambito insiste il minore numero di popolazione residente».
Il passaggio del VCO alla Lombardia avrebbe quindi imposto di rivedere la struttura delle circoscrizioni e dei collegi, uninominali e plurinominali.
Così come sarebbe stato inevitabile un intervento normativo di correzione della geografia giudiziaria, definita dal decreto legislativo n. 155 del 2012, in relazione al Tribunale di Verbania che avrebbe dovuto essere compreso nel distretto della Corte d’Appello di Milano.
[1] Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università del Piemonte Orientale.
[2] Per una riflessione sull’art.132 Cost. nel testo precedente la revisione costituzionale del 2001 cfr. M. Pedrazza-Gorlero, Commento all’art. 132, in Commentario della Costituzione fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Le Regioni, le Province, i Comuni, III, Zanichelli, Bologna, 1990, 124 e ss. Per un commento sul testo vigente dal 2001 cfr. A. Patroni Griffi, Articoli 131, 132 e 133, in F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani, (a cura di), La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, il Mulino, Bologna, 2018, particolare 422 e ss..
[3] Deliberato dal Consiglio dei Ministri dell’8 agosto 2018, il referendum è stato indetto, nella stessa data, con decreto del Presidente della Repubblica (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 188 del 14 agosto 2018). La richiesta di indizione del referendum, deliberata all’unanimità dal consiglio provinciale del VCO nella seduta del 3 maggio 2018, è stata dichiarata ammissibile dall’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione con ordinanza dell’11 luglio 2018 (sul tema cfr. F. Ratto Trabucco, L’ufficio centrale per il referendum nel procedimento di variazione territoriale regionale, in Diritto pubblico, 2013, 679 e ss.).
[4] Il secondo comma dell’articolo 45 dispone che «La proposta sottoposta a referendum è dichiarata approvata, nel caso che il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito del referendum non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum; altrimenti è dichiarata respinta». Il quinto comma che «Qualora la proposta non sia approvata, non può essere rinnovata prima che siano trascorsi cinque anni».
[5] La deliberazione del Consiglio provinciale di Rovigo per l’aggregazione al Trentino Alto Adige dell’11 aprile 2017 è stata adottata come provocazione politica e non ha avuto esiti (cfr. M. Malo, Forma e sostanza in tema di variazioni territoriali (a margine della pronuncia 66/2007 della Corte costituzionale), in Le Regioni, 2007, 641 e ss. La richiesta di indizione di referendum per aggregazione al Trentino Alto Adige, deliberata dal Consiglio provinciale di Belluno l’11 gennaio 2011, è stata invece dichiarata inammissibile dall’Ufficio Centrale per il Referendum con ordinanza 31 marzo-11 aprile 2011; l’inammissibilità è stata giustificata in ragione della struttura della Regione Trentino – Alto Adige che, in forza dell’art. 116, comma 2, Cost., si compone delle due province di Trento e Bolzano (cfr. F. Ratto Trabucco, L’inattuabile referendum per l’aggregazione della provincia di Belluno alla Regione Trentino – Alto Adige, in Istituzioni del federalismo, 2011, 683 e ss.).
[6] Sul tema sia consentito rinviare a M. Cavino, La specializzazione delle province montane dopo la legge n. 56 del 2014, in, B. Di Giacomo Russo, L. Songini, (a cura di), La specificità montana. Analisi giuridica ed economica, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, 17 e ss..
[7] Le spese relative alle operazioni referendarie sono a carico della provincia del VCO, secondo quanto dispone l’articolo 53, comma 4, della legge n. 352 del 1970.
[8] Rispetto alla definizione del concetto di “popolazioni interessate” in relazione ai procedimenti previsti agli articoli 132 e 133 Cost. cfr. T.F. Giupponi, Le popolazioni interessate e i referendum per le variazioni territoriali, ex artt. 132 e 133 Cost.: territorio che vai, interesse che trovi, in Le Regioni, 2005, 417 e ss.; Id., «Non c’è due senza tre». Ancora sul concetto di “popolazioni interessate” nell’ambito dei procedimenti di variazione territoriale, in Le Regioni, 2012, 348 e ss..
[9] Come è noto la giurisprudenza costituzionale relativa alla dichiarazione di illegittimità costituzionale conseguenziale ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 non consente di definire con chiarezza le posizioni della Corte sugli aspetti sostanziali e processuali dell’istituto (in argomento A. Morelli, L’illegittimità conseguenziale delle leggi, Rubettino, Soveria Mannelli, 2008; Id., Le conseguenze dell’invalidità: l’incerto ambito di applicazione dell’articolo 27 secondo periodo della legge n .87 del 1953, in Giur. cost., 2012, 439 e ss.; D. Chinni, Processo costituzionale e illegittimità conseguenziale. Spunti a margine di alcune osservazioni compiute dalla Corte nella sentenza n.138 del 2009, in Le Istituzioni del federalismo, 2009, 597 e ss.;D. Nocilla, Sulle conseguenze di un’applicazione troppo timida dell’incostituzionalità conseguenziale, in Giur. cost., 2012, 3175 ss.; F. Dal Canto, La Corte e lo ius superveniens: esplosione e crisi del giudizio di costituzionalità in via principale, in Consulta online, 2014, 28 e ss.;G. Crisafi, Illegittimità conseguenziale delle leggi e discrezionalità. Commento alla sentenza n. 251 del 2016 della Corte Costituzionale, in Osservatorio costituzionale, 3/2017). Tuttavia pare di poter affermare che nel caso di specie, una volta affermata l’esistenza di un principio costituzionale quale quello dell’autodeterminazione delle comunità territoriali, non sarebbe stato difficile per la Corte procedere all’applicazione dell’istituto.
[10] Non si può comunque escludere l’inadempienza del Governo. In tal senso è emblematica la vicenda del procedimento per il distacco del Comune di Lamon dalla Regione Veneto (su cui torneremo tra poco). Il verbale relativo al risultato, favorevole al distacco, del referendum tenutosi il 30 e 31 ottobre 2005, era stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 12 novembre 2005. Il temine di presentazione del disegno di legge da parte del Governo veniva inutilmente a scadere l’11 gennaio 2006. Il perdurare dell’inerzia del Governo ha portato ad una iniziativa legislativa di origine parlamentare, ritenuta ammissibile (come vedremo) dall’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.
[11] M. Pedrazza-Gorlero, Commento, cit., 178, afferma che «quello costituzionale è il disegno di un referendum sui generis, necessario, preventivo, deliberativo di un aspetto essenziale del contenuto del provvedimento eventuale di legislazione costituzionale o ordinaria, e, in quanto “autodeterminativo”, provvisto di un parziale effetto costitutivo»
[12] Cfr. il dossier all’URL http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/AC0234_0.pdf .
[14] Cfr. I. Carlotto, Il parere dei Consigli regionali nel procedimento di variazione territoriale di “distacco-aggregazione” ex art. 132, secondo comma, della Costituzione, in Le Regioni, 2012, 525 e ss..
[15] Sul ruolo delle Camere nei procedimenti di variazione territoriale ex art. 132 Cost. cfr. F. Ratto Trabucco, Referendum di variazione territoriale regionale e locale: natura di due consultazioni distinte ma spesso equivocate in giurisprudenza, in Diritto pubblico, 2015, 637 e ss..