Un nuovo paradigma di gestione della risorsa idrica in un contesto di cambiamento climatico
Marzia Ciampittiello[1] e Angela Boggero[2]
La normativa in materia di acque in Italia è ricca di leggi e decreti volti via via a definire e regolamentare un singolo aspetto specifico dell’utilizzo, del raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di qualità, della gestione e della protezione della risorsa idrica e degli habitat circostanti. La prima legge organica in materia di acque che mirava a tutelare la risorsa idrica può essere considerata la Legge 10 maggio 1976, n. 319, conosciuta anche come Legge Merli. Lo scopo di tale legge era essenzialmente quello di gestire la disciplina degli scarichi, definire le sostanze inquinanti presenti, organizzare servizi pubblici di raccolta reflui, sviluppare un piano di risanamento delle acque, monitorarne le caratteristiche quali-quantitative e quindi prevenire il deterioramento chimico della risorsa. Tra gli anni ’80 e ’90 ulteriori leggi sono state emanate con lo scopo di migliorare la qualità delle acque adibite al consumo umano; tra queste un’altra legge importante da ricordare è la legge 5 gennaio 1994, n. 36, detta anche Legge Galli, che ha introdotto indicazioni specifiche per migliorare la gestione della risorsa idrica superficiale e sotterranea stabilendo una gestione unitaria ed integrata del ciclo idrico e dove per la prima volta si introducono termini quali “risparmio”, “rinnovo delle risorse” e “diritto delle generazioni future”.
Ma è solo con l’introduzione della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 60 del 23 ottobre 2000 (Direttiva Quadro sulle Acque), recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cd. Testo Unico Ambientale, che si dà l’avvio ad un approccio innovativo in materia di acqua, sia da un punto di vista concettuale che pratico. Infatti, la Direttiva Quadro sulle Acque stabilisce che l’acqua non è un prodotto commerciale come gli altri, bensì una risorsa da tutelare ed usare secondo criteri di solidarietà e nel rispetto delle aspettative delle future generazioni a fruire di un patrimonio ambientale integro. Ed è su questo ultimo punto che si innesta la richiesta/necessità di tale Direttiva di tutelare la qualità ecologica ossia gli ecosistemi di tutte le tipologie di corpi idrici: fiumi, laghi, acque sotterranee, acque di transizione e acque marino-costiere. Ecco, quindi, che non solo la qualità chimica della risorsa deve essere valutata e preservata, ma si introduce il concetto di qualità ecologica che deve tener conto dello stato delle biocenosi presenti in un corpo idrico (fiume, lago, sorgente, falda, zona costiera), della qualità morfologica o degli habitat nei quali queste biocenosi vivono e della quantità di acqua a disposizione perché queste biocenosi possano svilupparsi. In particolare, le biocenosi sotto monitoraggio sono costituite da pesci, macroinvetrebrati (organismi visibili ad occhio nudo e presenti nei pressi del fondo di laghi e corsi d’acqua o che vivono infossati in esso), vegetazione riparia e spondale, macrofite (vegetali macroscopicamente visibili presenti negli ambienti acquatici, palustri e di greto fluviale), fitoplancton (alghe fotosintetizzanti microscopiche che utilizzano la radiazione solare come fonte di energia). Scopo di tale normativa è quindi: i) impedire un ulteriore deterioramento della risorsa idrica proteggendo e migliorando lo stato degli ecosistemi acquatici, terrestri e delle zone umide interconnessi con essa; ii) agevolare l’utilizzo sostenibile della risorsa idrica basato sulla protezione a lungo termine della stessa; iii) proteggere e migliorare l’ambiente acquatico con misure specifiche di riduzione degli scarichi, delle emissioni e di perdite di sostanze fino alla graduale loro eliminazione; iv) ridurre l’inquinamento delle acque sotterranee che possono influire sulla qualità ecologica delle acque superficiali e sugli ecosistemi terrestri connessi ad esse; v) contribuire a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.
Da qui risulta quindi la necessità di integrare maggiormente la protezione e la gestione sostenibile della risorsa idrica anche attraverso altre politiche e ambiti quali la politica energetica, dei trasporti, dell’agricoltura, la politica della pesca e quella in materia di turismo. Infatti, la base normativa europea che comprende, oltre alla Direttiva Acque, altre direttive quali la Direttiva sulla qualità dell’ambiente 20 novembre 2006, n. 105, la Direttiva sulla protezione delle acque sotterranee 12 dicembre 2006, n. 118, la Direttiva alluvioni 26 novembre 2007, n. 60 e la Direttiva Habitat (21 maggio 1992, n. 42) sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche nonché l’Accordo sulla conservazione dei Chirotteri Europei (European Bat Agreement – EUROBATS), ci indirizza verso una nuova visione integrata della gestione delle risorse naturali dove diventa fondamentale tener conto di ciascun aspetto normato non in modo a sé stante ma congiuntamente, come singoli pezzi di un unico puzzle, in quanto ogni direttiva comprende, integra, realizza e supporta anche le altre.
Appare sempre più chiaro, quindi, che la gestione della risorsa idrica non è una questione isolata che riguarda solo la quantità di acqua a disposizione per gli utilizzi umani e per le attività economiche come l’agricoltura, l’industria e l’energia idroelettrica, ma rappresenta un crocevia, un punto cruciale da cui si dipartono scelte, decisioni, azioni che hanno ripercussioni su larga scala, spaziale e temporale, su innumerevoli settori quali gli ecosistemi e i servizi che essi offrono gratuitamente (Ciampittiello, 2021), la salute umana e la sicurezza delle popolazioni, sui valori sociali e culturali di un territorio o di una nazione, sulla capacità o meno di essere resilienti (ossia la capacità di un ecosistema di resistere e riprendersi dopo uno stress o un forte cambiamento) e di sapersi adattare ai cambiamenti climatici in atto. E sono proprio questi ultimi che ci devono far pensare e rivedere le modalità di gestione e di utilizzo e/o sfruttamento dell’acqua. L’acqua, infatti – ce ne siamo accorti quest’estate – è una risorsa finita o in via di estinzione!
Infatti, una corretta ed efficace gestione dell’acqua deve tener conto della fragilità degli ecosistemi acquatici e di quelli ad essa connessi perché è solo attraverso la tutela e il riequilibro degli ecosistemi e dei loro servizi che possiamo continuare ad avere a disposizione acqua di buona qualità e a mantenere le nostre attività economiche.
È curioso vedere come i termini ecologia ed economia abbiano uno stesso suffisso: eco, dal greco oikos = casa; ecologia è quindi composta da oikos = casa e logos = studio, lo studio (conoscenza) della casa in cui si vive (ossia dell’ambiente), ed economia da oikos = casa e nomos = legge, la legge che gestisce o dovrebbe gestire la casa (l’ambiente) in cui si vive. Quindi non può esistere economia senza una corretta gestione della casa, degli ecosistemi, della natura, dell’ambiente in cui viviamo. I servizi ecosistemici che ci regala l’ambiente servono al nostro benessere e alla nostra prosperità e rappresentano una porzione notevole del valore economico totale che la naturalità del pianeta ci offre. Tale valore economico però non è incluso integralmente nel mercato e non viene nemmeno quantificato adeguatamente, come invece accade per i servizi economici, il capitale manifatturiero e/o i prodotti agricoli e industriali. Secondo il Millennium Ecosystem Assessment (progetto del 2001-2005 volto a monitorare lo stato degli ecosistemi a livello globale e valutare le conseguenze dei cambiamenti sugli ecosistemi stessi, sul benessere umano per fornire basi scientifiche per la formulazione di azioni utili alla conservazione e all’uso sostenibile degli ecosistemi), la perdita di servizi ecosistemici contribuisce all’insicurezza alimentare ed energetica, aumenta la vulnerabilità dell’ambiente ai disastri naturali, come inondazioni, tempeste tropicali e siccità, mette a rischio la nostra salute, riduce la disponibilità e la qualità delle risorse idriche e intacca l’eredità culturale. Gli ecosistemi, quindi, forniscono all’umanità una grande varietà di servizi e di vantaggi, ma il loro valore reale non è conteggiato nelle previsioni economiche della società. L’uso dei servizi ecosistemici (supporto alla vita come trasformazione dei nutrienti nel suolo e in acqua, formazione del suolo e di composti organici mediante processi fotosintetici, approvvigionamento di cibo, acqua potabile, materiali o combustibili, regolazione del clima e delle maree, depurazione dell’acqua, impollinazione e controllo delle infestazioni, valori culturali estetici, spirituali, educativi e ricreativi ) è cresciuto quasi esponenzialmente dagli anni ’60 ad oggi, ma i due terzi di questi servizi sono invece in declino. Se le risorse naturali sono limitate e il nostro pianeta è un sistema chiuso – “un mappamondo”, un ambiente finito – la nostra economia non può crescere a dismisura superando ciò che l’ecosistema o il “mappamondo” può fornire e supportare, consumando le risorse naturali più velocemente di quanto il nostro pianeta sia in grado di produrre o ricostituire. Il sovrasfruttamento delle risorse naturali, ed in particolare della risorsa idrica, da una parte, e i cambiamenti climatici dall’altra, ci hanno portato quindi alla crisi idrica di questa primavera/estate.
Nei report dell’IPCC (2012, 2022), sulla gestione del rischio legato agli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico, si dice chiaramente che non si potrà annullare completamente tale rischio e quindi gli effetti degli eventi estremi, ma che dobbiamo “lavorare” per ridurne gli impatti, diventare più resilienti diminuendo l’esposizione e la vulnerabilità della popolazione, della società e degli ecosistemi ai cambiamenti climatici tante volte distruttivi (si pensi, da ultimo, all’emergenza alluvione di settembre nella Regione Marche). Il cambiamento climatico sta causando soprattutto un cambiamento nella frequenza, intensità, durata e distribuzione spaziale e temporale degli eventi estremi. Ancora nei report 2012 e 2022 dell’IPCC si legge che alcuni eventi estremi come la siccità possono essere il risultato di una concomitanza di diversi eventi metereologici di per sé non estremi. La naturale variabilità climatica resa più accentuata e amplificata dagli effetti indotti dall’uomo sul clima rende più difficile l’adattamento, la definizione e la realizzazione di misure e azioni per contrastare e gestire gli impatti del cambiamento climatico. Alcune misure di contrasto o di riduzione dell’impatto possono, però, essere: sistemi di allerta precoce (relativi al campo meteorologico e idrologico, ossia allerta meteo per eventi di particolare intensità o eventi di piena), la comunicazione del rischio tra decisori e cittadini, la gestione sostenibile del territorio con una corretta pianificazione e destinazione di usi, la gestione e il rispristino degli ecosistemi. Inoltre, si possono mettere a punto misure che includano miglioramenti della sorveglianza sanitaria (ampliando i servizi di prevenzione e tutela della salute a tutte le persone), dell’approvvigionamento idrico, dei sistemi di irrigazione e drenaggio, di eliminazione delle impermeabilizzazioni legate alle infrastrutture, di sviluppo e applicazione di codici edilizi e di miglioramento o approfondimento educativo e della consapevolezza verso i problemi.
Un nuovo paradigma di gestione della risorsa idrica dovrebbe quindi passare attraverso: 1) l’aumento delle conoscenze, intese rispetto ai cambiamenti climatici, alla loro evoluzione e ai loro impatti sugli ecosistemi, allo sviluppo di tecnologie avanzate, ad esempio per sistemi di irrigazione sempre più mirati ed efficienti (a questo riguardo, andrebbero evitati sempre più i sistemi di irrigazione a spruzzo dispersivi e antieconomici e soprattutto il loro uso diurno) e 2) una visione integrata della risorsa stessa che tenga conto di tutte le componenti legate all’acqua come gli ecosistemi, le risorse naturali, gli aspetti socio-economici, l’uso del suolo, l’agricoltura, l’acqua potabile, la salute umana, la sicurezza e la qualità della vita. Lo sviluppo di nuove infrastrutture (quali dighe o invasi di grandi, medie e piccole dimensioni o il sistema idrico integrato di approvvigionamento ramificato su tutto il territorio) non sempre è una risposta ottimale ai problemi del cambiamento climatico (Ciampittiello et al., 2021), soprattutto se queste vanno a peggiorare la qualità degli ecosistemi e a diminuirne la resilienza, come è il caso della costruzione di nuovi invasi che sappiamo dall’esperienza, determinano nel tempo un’alterazione degli equilibri dei sistemi naturali spesso irreversibile, provocando la riduzione degli ambienti naturali, la compromissione della qualità dell’acqua e delle comunità biologiche che in essa vivono. La perdita di habitat e di microhabitat, la banalizzazione di interi tratti fluviali, l’eliminazione delle zone di esondazione sono cause dirette della presenza di sbarramenti, derivazioni, canalizzazioni e arginature dei corsi d’acqua naturali che inficiano il funzionamento della rete idrica superficiale e sotterranea. Ecco perché è importante un cambiamento di pensiero e di produzione, permettendo alla società di ritornare in contatto con l’ambiente e con i servizi ecosistemici, di preservare l’acqua come fonte preziosa di vita da tutelare, di guardare ad un ripristino della naturalità delle dinamiche idrologiche e morfologiche dei corsi d’acqua per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, preservando allo stesso tempo la biodiversità (Ciampittiello et al., 2021). Bisogna quindi pensare che dalla natura non vengono solo le risorse, i problemi e i limiti, ma anche le possibili soluzioni che possono aiutarci ad adattarci ai cambiamenti climatici e possono fornire molteplici benefici ambientali, sociali ed economici, riducendo anche il rischio dei disastri naturali e mitigando il clima. Tali soluzioni sono quelle legate al nuovo concetto di “Nature Based Solutions” ovvero soluzioni basate sulla natura che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, commentando la Strategia UE per la Biodiversità al 2030 (https://environment.ec.europa.eu/strategy/biodiversity-strategy-2030_it) ha espresso in sintesi come: Riportare in salute la natura per il nostro benessere fisico e mentale e per la lotta contro i cambiamenti climatici e le epidemie. Adottare una simile strategia è una mossa tattica che deve essere al centro della nostra strategia di crescita, al Green Deal europeo e fa parte di una ripresa europea che restituisce al pianeta più di quanto gli tolga (https://ipccitalia.cmcc.it/nature-based-solutions/).
Anche nel bacino del Fiume Po, quindi, è necessario trovare risposta a questa crisi idrica e a quelle future, nelle soluzioni basate sulla natura, attraverso infrastrutture blu e verdi (aree naturali e seminaturali sviluppate sul territorio per fornire benefici ambientali e sociali), il miglioramento degli ecosistemi in esso presenti, la riconnessione fluviale superficiale e sotterranea, il miglioramento della ricarica della falda, la riconversione di terreni agricoli da adibire a boschi naturali per aumentare la resilienza alle elevate temperature estive, alla diminuita umidità dei suoli e al loro basso tenore di materia organica e avere aree golenali in cui le acque di piena possano scaricare la propria energia e la propria pericolosità senza danni per l’uomo, divenendo, anzi, aree di stoccaggio di acqua per affrontare periodi siccitosi prolungati. Soprattutto in un’area vasta come quella del bacino del Fiume Po le connessioni tra l’opera dell’uomo e natura sono profonde e inscindibili: infatti, le azioni “sbagliate” dell’uomo hanno ripercussioni, impatti e danni sugli ecosistemi e l’ambiente, a sua volta, rivolge contro l’uomo e le sue attività, tali danni e impatti. A tale proposito la Regione Piemonte è impegnata nell’ultima decade in progetti di conservazione della biodiversità delle risaie, di rafforzamento della rete ecologica della risaia vercellese e della valorizzazione dei paesaggi rurali nelle risaie considerate, anche dall’Unione Europea, una grande “zona umida” con un ruolo ecologico e paesaggistico “complementare” rispetto alle zone umide naturali. Inoltre, è recentemente impegnata in attività di riqualificazione idro-morfologica di corsi d’acqua e laghi effettuate tramite ripristino degli ambienti umidi perifluviali/perilacuali, l’apertura di nuovi rami fluviali naturali e il mantenimento della giusta quantità d’acqua utile a preservare la vita acquatica, abbassando così il rischio idraulico e permettendo di affrontare meglio la siccità e i cambiamenti climatici, favorendo al contempo la ricarica della falda.
Bibliografia:
Ciampittiello M., 2021. Una sfida per gli ingegneri italiani. Ripartiamo dall’ambiente. Focus in: il Giornale dell’Ingegnere, 1: 10-11.
Ciampittiello M., Boggero A., Breganni F., 2021. Gli invasi: ieri, oggi, domani. Focus in: Il Giornale dell’Ingegnere, 8: 18-19.
IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), 2012. Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation. A Special Report of Working Groups I and II of the Intergovernmental Panel on Climate Change. In: Field, C.B., Barros, V., Stocker, T.F., Qin, D., Dokken, D.J., Ebi, K.L., Mastrandrea, M.D., Mach, K.J., Plattner, G.-K., Allen, S.K., Tignor, M., Midgley, P.M. (Eds.). Cambridge University Press Cambridge, UK, and New York, NY, USA, 582 pp.
IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), 2022. Climate Change 2022: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Contribution of Working Group II to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [H.-O. Pörtner, D.C. Roberts, M. Tignor, E.S. Poloczanska, K. Mintenbeck, A. Alegría, M. Craig, S. Langsdorf, S. Löschke, V. Möller, A. Okem, B. Rama (eds.)]. Cambridge University Press. In Press.