Uno sguardo critico sul ruolo delle Regioni in ambito penitenziario: confronto fra realtà ed opportunità

Bruno Mellano[1]

(ABSTRACT) ITA

La generale consapevolezza che dalla condizione della detenzione si possa dedurre il livello di civiltà di un Paese, dovrebbe far conseguire la necessità per ciascuno di contribuire ad accendere una luce sull’esecuzione penale in carcere, richiamando e sottolineando in particolare il ruolo fondamentale, ma troppo spesso misconosciuto, che le Regioni hanno nella gestione concreta di questo particolarissimo servizio pubblico. Dalla riforma dell’Ordinamento Penitenziario avvenuta nel 1975 sono trascorsi quasi cinquant’anni, ma già in quella norma e poi nelle leggi che sono seguite emergeva in modo trasparente come gran parte delle funzioni, che l’opinione pubblica erroneamente pensa delegate alla competenza dell’Amministrazione penitenziaria, sono invero di responsabilità primaria e talvolta esclusiva delle Regioni, o di altre articolazioni territoriali dello Stato e, in alcuni casi, degli Enti locali. Troppo spesso, però, le amministrazioni locali non sono state all’altezza delle aspettative e delle esigenze.

(ABSTRACT) EN

The general awareness that the level of civilization of a country can be deduced from the condition of imprisonment should result in the need for everyone to contribute to shining a light on penal execution in prison, recalling and emphasizing in particular the fundamental, but too often misunderstood, role that the Regions have in the concrete management of this very special public service. Almost fifty years have passed since the reform of the Penitentiary Ordinance that took place in 1975, but already in that norm and then in the laws that followed it emerged transparently how a large part of the functions, which the public mistakenly thinks are delegated to the competence of the Penitentiary Administration, are in fact the primary and sometimes exclusive responsibility of the Regions, or of other territorial articulations of the State and, in some cases, of Local Authorities. Too often, however, local governments have failed to live up to expectations and needs.

Sommario:

1. La necessità di confronto sull’imprescindibile ruolo delle Regioni – 2. Ambiti di competenza regionale nella materia dell’esecuzione penale in carcere – 3. Garanti territoriali e consapevolezza del ruolo delle Regioni – 4. Il Consiglio regionale e la sanità penitenziaria in Piemonte – 5. Gli obiettivi per un carcere costituzionalmente orientato

1. La necessità di confronto sull’imprescindibile ruolo delle Regioni

Come Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà della Regione Piemonte, Ufficio insediato presso il Consiglio regionale, in accordo con la Conferenza nazionale dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, si è ritenuto interessante e fecondo dar luogo ad un momento pubblico di approfondimento su una questione di particolare rilevanza in questa fase storica: il ruolo delle Regioni nell’ambito dell’esecuzione penale in carcere.

Con questa convinzione si è voluto dare tribuna a voci e riflessioni di esperti e organi di garanzia, proprio nel momento in cui Torino ha fatto da palcoscenico allo svolgimento del secondo Festival delle Regioni e delle Province autonome d’Italia, alla presenza del Presidente della Repubblica, On. Sergio Mattarella, e con l’intervento Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni.

Il Festival ha registrato la partecipazione di tutti i Presidenti di Regione, gran parte degli Assessori regionali, la presenza di stakeholder e di esperti chiamati a discutere del ruolo degli Enti regionali sulle tematiche emergenti in questa epoca storica e in un contesto di riforma costituzionale delle autonomie territoriali.

Si è ritenuto necessario, oltre che opportuno, contribuire al dibattito affrontando una questione specifica che non era compresa fra quelle esplicitamente all’ordine del giorno del dibattito nei cinque tavoli “chiusi” previsti nel programma ufficiale del Festival, ove l’ampio tema della Sanità e del Welfare non poteva che avere un approccio generale. Purtroppo si poteva prevedere a priori che questo particolare tavolo non avesse né la forza, né il tempo, né il mandato di scendere nel “dettaglio” e tanto meno nel dedalo proprio dell’ambito penitenziario e delle persone private della libertà.

Cogliendo l’occasione offerta dall’appuntamento del Festival, come Garante regionale e come Conferenza nazionale dei Garanti si è quindi ritenuto indispensabile dare spazio ad alcune autorevoli “voci” per riflettere pubblicamente sul tema, nel tentativo di apportare un contributo concreto e propositivo, ma con l’obiettivo dichiarato di non fermarsi alla moral suasion o alla mera denuncia, nella consapevolezza che sia urgente ed imprescindibile affrontare con efficacia le questioni aperte e le problematiche croniche dei vari ambiti ove si trovano i cittadini limitati nella libertà: criticità vecchie e nuove che negli ultimi anni sono chiaramente emerse all’attenzione di qualsiasi osservatore esterno mediamente attento.

2. Ambiti di competenza regionale nella materia dell’esecuzione penale in carcere

La generale e un po’ generica consapevolezza che dalla condizione della detenzione si possa dedurre il livello di civiltà di un Paese, dovrebbe far conseguire la necessità per ciascuno di contribuire ad accendere una luce sull’esecuzione penale in carcere, richiamando e sottolineando in particolare il ruolo fondamentale, ma troppo spesso misconosciuto, che le Regioni hanno nella gestione concreta di questo particolarissimo servizio pubblico.

Dalla riforma dell’Ordinamento Penitenziario avvenuta nel 1975[2] sono trascorsi quasi cinquant’anni, ma già in quella norma e poi nelle leggi che sono seguite emergeva in modo trasparente come gran parte delle funzioni, che l’opinione pubblica erroneamente pensa delegate alla competenza dell’Amministrazione penitenziaria, sono invero di responsabilità primaria e talvolta esclusiva delle Regioni, o di altre articolazioni territoriali dello Stato e, in alcuni casi, degli Enti locali.

In quest’ottica si deve necessariamente richiamare in primo luogo l’assistenza sanitaria perché si tratta dell’ambito più complesso, di più forte frizione fra diritti contrapposti e di maggiore impatto sulla comunità penitenziaria, ma occorre ugualmente sottolineare le questioni della formazione professionale, delle politiche attive del lavoro, dell’accesso all’istruzione scolastica e universitaria, della fruizione culturale e sportiva, delle politiche volte a favorire i percorsi di reinserimento sociale e abitativo. Sono questi gli ambiti che principalmente coinvolgono enti territoriali chiamati a collaborare nell’esecuzione penale con i vari organi dell’Amministrazione penitenziaria.

Troppo spesso, però, le amministrazioni regionali non sono state all’altezza delle aspettative e delle esigenze: basti citare come, persino nel significativo percorso di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG)[3], alcune Regioni siano state addirittura commissariate dal Governo centrale: otto Regioni, infatti, sono state dapprima diffidate, poi sei di queste sono state commissariate, tre delle quali – per giungere all’obiettivo finale dell’attuazione di una legge dello Stato – hanno subito persino il rinnovo del commissario ad hoc, che era individuato nell’on Franco Corleone, in quel momento Garante della Regione Toscana.

Anche l’entrata in vigore dell’epocale riforma che ha delegato le competenze e le risorse della Sanità penitenziaria al Servizio Sanitario nazionale e dunque alle Regioni, percorso che prese avvio con il Decreto Legislativo n. 230 del 1999[4] ed ebbe esito finale con il D.P.C.M. del 1° aprile del 2008[5], ha fatto registrare molte difficoltà e ha avuto una realizzazione differenziata sul territorio nazionale e, a distanza di oltre 15 anni, per molti versi si è ancora nella fase di una concreta e completa attuazione.

Può essere emblematico ricordare, senza alcuna tracotanza, come, nel pieno dell’emergenza pandemica Covid-19, molte Regioni è sembrato che scoprissero in quel momento, ex novo, le responsabilità specifiche e il ruolo proprio nella gestione quotidiana delle crisi e delle emergenze – sotto i peculiari profili della sicurezza sanitaria, sociale e dell’ordine pubblico. Anche nella nostra Regione si sono registrate dichiarazioni di un assessore che, rispondendo ad un’interrogazione urgente in Consiglio regionale, ebbe ad affermare che il servizio sanitario in carcere non era una competenza propria. Paradossalmente, però, “grazie” alla tragica pandemia, si sono sviluppati passi in avanti nella consapevolezza di compiti e responsabilità, anche delle Regioni: un percorso tortuoso delle istituzioni del nostro Paese che occorre conoscere per valutarne l’esperienza passata e per comprendere le strategie per un futuro migliore.

Oltre al tema della sanità appare di grande rilevanza la questione del lavoro, ambito che può dare un senso “costituzionale” al tempo ristretto della detenzione in carcere: in questo settore appare doveroso riconoscere alla Regione Piemonte di essere stata tra le prime in Italia ad attuare interventi di politiche attive del lavoro nell’ambito penitenziario: dalla formazione professionale ai cantieri di lavoro, dai buoni servizio lavoro per fasce deboli all’attivazione di uno “Sportello Lavoro” in tutte le carceri piemontesi. Infatti, a seguito di un investimento straordinario al termine nella decima legislatura si è avviata una progettualità innovativa e l’intervento ha trovato conferma nella consiliatura successiva, si è potuto realizzare l’apertura sperimentale di un servizio di rapporto diretto con l’utenza in carcere, a cui si sono aggiunte le successive implementazioni progettuali rese possibili grazie ai progetti co-finanziati alle Regioni dalla Cassa delle Ammende[6]. In particolare in Piemonte, è stata prevista l’attuazione di una rete integrata di sportelli “Multiservizi”, con una complessiva attività di sostegno e accompagnamento delle persone in uscita dall’esecuzione penale intramuraria. Questi interventi testimoniano un ruolo da protagonista per la Regione e una potenzialità significativa dell’Ente nell’occuparsi di questi temi propri, ma riservando un’attenzione dedicata ad un target di popolazione particolarmente fragile nel mercato del lavoro e nell’ambito dell’inserimento sociale.

A questo riguardo, non si può dimenticare come storicamente la Regione Piemonte abbia dedicato attenzione e risorse alla formazione professionale in carcere, finanziando in modo stabile e duraturo una ampia gamma di corsi e rafforzando gli enti di formazione che si sono dedicati alla comunità penitenziaria, estendendo ai detenuti e ex-detenuti la fruizione di strumenti come i cantieri di lavoro e i buoni servizio lavoro e di cui l’azione degli sportelli interni sono stati una evoluzione.

In questo contesto e in questa traiettoria di interventi, si deve ricordare come nel gennaio 2004 la Regione Piemonte abbia avuto un significativo riconoscimento a livello nazionale per aver assunto direttamente ben 22 educatori professionali per le 13 carceri piemontesi, in quanto si trattava, allora come oggi, di una figura tanto carente quanto necessaria nelle sue funzioni di “filtro” alle attività trattamentali e dei progetti che, in loro mancanza, non avevano possibilità di essere messi in opera.

Infine, in questa stagione e su questo settore, si può registrare un positivo rapporto fra la Regione ed il PRAP in merito alle progettualità innovative, avendo una proficua interlocuzione che ha portato alla introduzione nel sistema piemontese della nuova figura degli Agenti di Rete, mutuando – su proposta del Garante e del Provveditorato – il modello lombardo e, tramite un avviso pubblico, si è finalmente dato avvio alla sperimentazione con la selezione di soggetti professionali dedicati.

3. Garanti territoriali e consapevolezza del ruolo delle Regioni

Nel 2020, questa Rivista ha pubblicato un contributo, realizzato assieme alla Professoressa Laura Scomparin, sul processo “bottom-up” di introduzione nel nostro Paese della figura del Garante delle persone private della libertà, con un approfondimento sul peculiare percorso di istituzione e di nomina del Garante regionale piemontese[7]. Si è trattato, infatti, di un cammino particolarmente difficoltoso e accidentato, con vere e proprie “battaglie” in Consiglio regionale e nell’agorà pubblica: un dibattito che ha registrato anche gli interventi dell’Università degli Studi di Torino, dell’Ordine degli Avvocati di Torino, della Camera penale del Piemonte Occidentale e di alcune delle associazioni culturali e politiche maggiormente vicine alla tematica penitenziaria. Solo alla fine di questo travagliato percorso si è giunti all’approvazione della Legge Regionale n. 28 del 2 dicembre 2009[8] istitutiva del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte, percorso legislativo iniziato con il deposito della proposta di legge nel 2004, e solo dopo altri quattro anni di iniziative pubbliche si è giunti alla prima designazione del Garante nell’aprile del 2014, con 10 anni di ritardo. Dopo la Città di Roma (maggio 2003) e della Regione Lazio (Ottobre 2003), in Piemonte il 7 giugno 2004 il Comune di Torino aveva già aperto la strada alla nascita delle figure di garanzia dedicate alle persone sottoposte a misure restrittive.

Si poteva sperare che, nelle ultime due legislature regionali, anche a seguito dell’azione dei garanti territoriali e nazionale, ma soprattutto a seguito delle gravissime ferite inferte all’istituzione regionale da episodi e inchieste che hanno direttamente coinvolto consiglieri, gruppi consiliari, assessori e financo Presidenti di Regione, ci fosse – da parte del Parlamento regionale – una maggiore vicinanza ed empatia alla questione dell’esecuzione penale in carcere, se non altro per averne avuto contezza diretta. Non si può dimenticare che questo periodo ha fatto registrare, oltre agli arresti eclatanti e alle detenzioni cautelari prolungate, anche il tragico suicidio di uno degli esponenti politici più in vista della vita amministrativa regionale degli ultimi due decenni.

Inoltre, sia il Garante regionale, nell’ambito dell’ordinaria attività dell’organo, sia un certo numero di consiglieri regionali, usando le prerogative di legge, si sono recati – saltuariamente o con costanza – in carcere per monitorare la situazione detentiva nel suo complesso e per prendere atto delle condizioni di detenzione, anche a fronte del crescente fenomeno dei suicidi e dell’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di tortura. Infine, anche a grazie alla presenza di qualche autorevole esponente politico temporaneamente ristretto nella famigerata sezione “Nuovi giunti” della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, si sono potute registrare visite ispettive alla struttura e la presa di parola nel dibattito politico sul tema.

Appare, quindi, doverosa una considerazione “amara”: nonostante l’intenso lavoro delle figure di garanzia, non è sembrato di vedere, rispetto agli anni passati, un’attenzione più spiccata e partecipe ai problemi della comunità penitenziaria – fatta di detenuti e di detenenti – mentre si continua a dover registrare una considerazione spasmodica a comunicati stampa roboanti e spesso sopra le righe, che – per attrarre l’interesse dei mass-media alle legittime istanze di una categoria di lavoratori di un pubblico servizio – spesso trasformano la protesta scomposta di un singolo detenuto in un’insurrezione rivoltosa collettiva, un danneggiamento grave ma limitato in una devastazione complessiva, i comportamenti derivanti dal disagio mentale in un segnale di una generale volontà di sovvertimento dell’ordine costituito. Spesso fornendo una narrazione eccessiva dei singoli episodi, sempre etichettati come rivolta, pur in un periodo che ha fatto registrare anche violente rivolte collettive, come nel tragico marzo del 2020 con le chiusure per prevenzione del contagio da Covid, rivolte represse che hanno fatto contare ben 13 detenuti morti, ma per fortuna non in Piemonte.

Dunque, persino in un contesto storico in cui il carcere è stato “conosciuto” direttamente o indirettamente dalle istituzioni territoriali, non appare maturata una nuova coscienza in riferimento al ruolo e alle responsabilità proprie; non si è fatto quel passo decisivo per arrivare a dire: “Il carcere è materia nostra”, di cui le istituzioni si devono occupare, se non altro per aver potuto osservare “da vicino”, dopo aver conosciuto le difficoltà di chi in carcere ci è finito in forza di una sentenza o in attesa di giudizio, e dopo aver compresso le problematiche di chi negli istituti penitenziari lavora quotidianamente.

4. Il Consiglio regionale e la sanità penitenziaria in Piemonte

Le ricorrenti relazioni dei Garanti e le particolari situazioni critiche registrate nel 2022, sono state infine colte come occasione per la Regione Piemonte di un approfondimento, almeno sul tema della sanità penitenziaria, anche a fronte di urgenze e fatti di cronaca che hanno scosso l’opinione pubblica: dalla sezione per la tutela della salute mentale in carcere del progetto “Sestante” al fenomeno dei suicidi, dalla zona “filtro” per sospetti ovulatori di droga alle croniche dinamiche del sovraffollamento e di violenze.

Il Consiglio regionale del Piemonte ha deciso ed effettuato un lavoro di ascolto e di sintesi, con l’attivazione di un gruppo di lavoro sulla Sanità penitenziaria[9], scaturito dall’impegno del Vicepresidente della IV Commissione Sanità del Consiglio della Regione Piemonte, Domenico Rossi, primo firmatario, insieme alla collega Sara Zambaia, della mozione n° 916/2022 che ha dato avvio ad un importante indagine conoscitiva. Gli esiti del gruppo di lavoro, alimentati da molte e significative audizioni, accanto ad un’analisi della problematica e a indicazioni – puntuali e operative o generali e di sistema – da parte del Consiglio alla Giunta regionale, hanno sottolineato la necessità e l’ urgenza di una “governance” diversa e condivisa fra Amministrazioni co-responsabili e hanno suggerito una cosiddetta “manovra a tenaglia” del livello regionale verso il Governo centrale, anche attivando in modo forte la Conferenza Unificata Stato-Regioni.

In questa prospettiva appare significativo il contributo offerto dalla Conferenza nazionale dei Garanti territoriali, la quale ha ottenuto il riconoscimento da parte della stessa Conferenza dei Presidenti di Assemblee legislative e delle Province autonome[10] e da parte dell’Associazione Nazionale dei Comuni (ANCI): riconoscimenti che hanno scaturito la formale ospitalità istituzionale della rappresentazione dei Garanti presso la sede di via Pietro Cossa 41 a Roma della Conferenza dei Presidenti e la sottoscrizione di linee guida per i comuni nell’istituzione e strutturazione delle proprie figure di garanzia.

5. Gli obiettivi per un carcere costituzionalmente orientato

La necessità di un ruolo di maggior incisività, più volte sollecitato alla Regione Piemonte, appare complementare ed urgente anche per il livello nazionale rappresentato dalla Conferenza Stato-Regioni[11], la quale dovrebbe affrontare, con nuova risolutezza, quei temi emergenti che la cronaca tragicamente propone: dal disagio psichiatrico in carcere, alle dinamiche legate alle REMS nel percorso di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dall’adeguatezza dei mezzi clinici e del personale medico alla potenzialità inespressa della telemedicina, sino all’interlocuzione fra Amministrazioni diverse, ma co-responsabili sulle vite, sul benessere, sulla salute e sulla dignità delle persone affidate temporaneamente alle patrie galere.

Appaiono essere questi i temi di fondo che caratterizzano l’attuale stagione politica ed amministrativa, ove emergono e si registrano dinamiche penitenziarie sempre più complesse, che non si possono risolvere con una buona gestione, o attraverso un dialogo territoriale tra Assessori e Provveditori o tra Direttori ed ASL. In questa prospettiva occorre dare atto al Consiglio regionale del Piemonte che, con il suo prezioso lavoro d’indagine sulla sanità, ha fatto registrare uno sforzo bipartisan per definire un’analisi condivisa, ipotizzando soluzioni innovative, aprendo una strada. Ora si tratta di assecondare la maturazione dei risultati nella nostra Regione, operando anche sul livello nazionale per rafforzare il sistema e per estenderne il modello di attivazione.

Infatti, pur condividendo il costante monito del Garante nazionale Mauro Palma che, nei suoi otto anni di mandato, ha costantemente richiamato i Garanti territoriali ad evitare il rischio di farsi supplenti di un ruolo organizzativo e di una responsabilità gestionale che spettano agli amministratori locali o regionali, occorre riconoscere che, mancando un dialogo vero e forte tra i vari livelli delle amministrazioni coinvolte, troppo spesso gli organi di Garanzia, con l’utilizzo della moral suasion, hanno dovuto – auspicando il confronto – stimolare il consolidamento di relazioni sempre più strette fra i soggetti preposti, proponendo progetti e offrendo letture di prospettiva alle singole issues.

Ad esempio, sul progetto “Sportello Lavoro in carcere”, un’iniziativa lodevole della Regione Piemonte della decima legislatura che per quattro anni ha assicurato un intervento sperimentale su tutte le tredici carceri per adulti del Piemonte, si può tranquillamente sostenere che la progettualità meritava una maggior considerazione nel sistema regionale delle politiche del lavoro ed esigeva di essere sottoposta ad un’indagine attenta e a un monitoraggio conclusivo che ne valorizzasse – in modo critico – i risultati e le potenzialità.

Come Garanti piemontesi si è segnalata l’esigenza e si richiesto l’intervento regionale, anche con la consapevolezza che le relazioni in itinere e conclusive del progetto avrebbero potuto permettere la conoscenza del fenomeno e la costruzione di nuova sensibilità in merito alla questione della funzione “rieducativa” del lavoro: un dibattito aperto sul ruolo programmatorio della Regione in questo campo avrebbe permesso una proficua e feconda condivisione con gli Enti locali, con i Comuni e con l’Amministrazione penitenziaria stessa, anche per comprendere le dinamiche delle attività realizzate.

L’attuale Amministrazione regionale, per altro di diverso colore rispetto a quella che aveva ideato ed avviato il progetto, ha confermato l’iniziativa innovativa e ha stanziato circa tre milioni di euro per l’intervento su un target di popolazione particolarmente debole, dunque meritevole di politiche attive del lavoro, ma certamente non in cima nella lista delle priorità politiche.

Tuttavia, si sarebbe potuto svolgere in maniera più produttiva la scrittura della nuova progettazione, socializzando i risultati, monitorando le risposte e sentendo l’opinione dei Garanti comunali, i quali si sono costantemente incaricati di indicare, nel corso dello svolgimento del progetto, cosa non avesse funzionato, quali fossero le criticità organizzative, indicando anche cosa si potesse modificare per rendere maggiormente efficace ed efficiente l’intervento regionale, soprattutto nell’ottica di contribuire a trasformare un’attività progettuale specifica in un tassello stabile del sistema.

In un’altra situazione si può usare la “cartina al tornasole” del “caso Alessandria”: l’importante comune – da anni in grave difficoltà economica – ha persino restituito i consistenti fondi assegnati – in considerazione della presenza di ben due istituti penitenziari sul territorio – dalla Regione con i soldi della Cassa delle Ammende con il progetto “Emergenza Covid-19”. Con la stagione pandemica e con la nuova governance di Cassa delle Ammende (Presidente Gherardo Colombo e Direttore generale Sonia Specchia) si sono avuti notevoli investimenti, erogati – rispetto al passato – con una visione sistemica e prospettica, potendo registrare nuovi canali di finanziamento, ma una lungimirante attivazione di reti e di politiche.

La Cassa delle Ammende, infatti, ha scelto di non finanziare più interventi “a pioggia” per singoli progetti, ma di spingere le Regioni ad essere parte attiva, sia nell’indirizzare e governare le progettazioni, sia nel co-finanziarle in modo significativo (almeno il 30%), garantendo una ricaduta in termini di sistema e di stabilità.

Tuttavia, nella prima programmazione dei progetti emergenziali per il Covid-19, la Regione Piemonte, con l’Amministrazione penitenziaria, aveva definito le modalità operative ritenute migliori per erogare velocemente i fondi da assegnare alle singole aree dov’erano ubicate le carceri, con l’obiettivo di agevolarne la rapida ed efficiente gestione sul territorio. Avendo convintamente spronato la Regione a scegliere l’interlocuzione diretta con i comuni, affinché essi potessero attivare immediatamente procedure semplificate, ricorrendo anche alla possibilità di derogare al Codice degli Appalti al fine di garantire una più veloce capacità d’azione, si è – invece – dovuto registrare che molti comuni alla fine non sono riusciti a spendere le risorse e, in alcuni casi, hanno restituito completamente i fondi loro assegnati.

Persino la Città di Torino ha avuto difficoltà nell’operare, mentre paradossalmente i comuni più piccoli e più flessibili sono riusciti ad intercettare e attivare un volontariato già operativo sul territorio, sostenendolo con i fondi dell’intervento emergenziale.

Con le nuove e recenti progettualità per la gestione dello “Sportello Lavoro in carcere” e dello “Sportello Multiservizi”, che comprende anche quello dell’azione a sostegno dell’housing, la Regione Piemonte ha attivato bandi pubblici e avviato una significativa azione di governo delle risorse sulla base dei quadranti in cui è stata suddiviso il territorio. Solo in una delle province piemontesi, Cuneo, il settore del privato sociale non ha risposto, perché coralmente ha ritenuto che le condizioni offerte dal bando regionale, sulla base dei criteri e dei paletti fissati, non fossero adeguate a fornire una risposta economicamente sostenibile.

La Regione Piemonte, avendo preso atto della situazione, ha effettuato le proprie riflessioni in merito, cercando soluzioni gestionali: si tratta comunque di segnali importanti da valutare, soprattutto in un momento in cui si ambisce a creare un sistema con interventi strutturali, passando da una progettazione frammentaria e precaria ad un sistema di risposte uniformi e stabili.

In questo contesto complessivo, partendo dall’osservatorio privilegiato del Piemonte che da anni può contare sulla presenza di un garante comunale per ciascuna città sede di carcere, e con queste prospettive generali dell’esecuzione penale, appare un’opportuna conclusione sottolineare le considerazioni più volte formulate nell’ambito del Coordinamento dei Garanti comunali piemontesi[12]: l’esecuzione penale in carcere, nel nostro Paese, può essere radicalmente modificata solo grazie alle sentenze delle Alte Corti nazionali o internazionali e con un nuovo coinvolgimento, fattivo e responsabile, della società civile e del tessuto istituzionale del territorio.

Una forte consapevolezza del proprio ruolo da parte degli enti locali – delle Regioni in primo luogo – può spingere efficacemente il sistema penale a superare le incrostazioni burocratiche che hanno di fatto annullato la forza dirompente delle norme scritte: la sedimentazione normativa ma anche culturale, in materia, ha determinato ingessature e rotture, scatti in avanti e drammatici ritorni indietro: solo dando alla comunità penitenziaria italiana le risorse necessarie, gli strumenti adeguati, una rete di servizi territoriali efficienti e una sincera e lungimirante compartecipazione ai compiti prescritti, si può assicurare un’esecuzione penale costituzionalmente orientata.

  1. Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte.
  2. Legge n. 354 del 26 luglio 1975, denominata “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”.
  3. Legge n. 81 del 30 maggio 2014, conversione in legge con modificazioni del Decreto-legge n. 52 del 31 marzo 2014 recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  4. Decreto Legislativo n. 230 del 22 giugno 1999 denominato “Riordino della medicina penitenziaria”.
  5. D.P.C.M. 1° aprile 2008 denominato “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria.”
  6. La Cassa delle Ammende è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico vigilato dal Ministero della Giustizia, che attua l’obiettivo strategico di rafforzare la sicurezza e la coesione sociale attraverso azioni di sistema per il reinserimento socio-lavorativo delle persone sottoposte a misure penali, restrittive o limitative della libertà personale e per la tutela delle vittime di reato, (https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/cassa_delle_ammende).
  7. v. “Garantire i diritti di chi non ha libertà”, (https://www.piemonteautonomie.it/garantire-i-diritti-di-chi-non-ha-liberta/).
  8. Art. 1 Legge Regionale 2 dicembre 2009, n. 28 “È istituito, presso il Consiglio regionale, il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale nell’ambito del territorio della Regione, di seguito denominato Garante, al fine di contribuire a garantire, in conformità ai principi fondamentali della Costituzione e nell’ambito delle materie di competenza regionale, i diritti di tali persone.” (http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2009/48/attach/l200928polsoc.pdf).
  9. Mozione n. 916 “Rossi – Zambaia” del Consiglio Regionale del Piemonte, “Gruppo di lavoro sulla sanità penitenziaria in Piemonte” votata e approvata all’unanimità nell’adunanza consiliare del 29 novembre 2022.
  10. Art. 2 comma 1 Statuto della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, delle regioni e delle Province Autonome “La Conferenza è organismo di valorizzazione del ruolo istituzionale delle Assemblee delle Regioni e delle Province autonome e sede di coordinamento e scambi di esperienze per le attività di interesse delle Assemblee legislative. La Conferenza adempie ai compiti previsti dalla legislazione vigente”.
  11. D.P.C.M. 12 ottobre 1983, la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano opera nell’ambito della comunità nazionale per favorire la cooperazione tra l’attività dello Stato e quella delle Regioni e Province Autonome.
  12. Dall’inizio del 2016 è attivo il Coordinamento dei Garanti comunali piemontesi, al quale ha fatto seguito il protocollo d’intesa tra il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria per il Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e gli Uffici dei Garanti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, sottoscritto il 6 luglio 2016.